Nubi oscure - pare II
29 Agosto 1978, Godric's Hollow
Ben presto le prime timide gocce di pioggia erano diventate più insistenti, più numerose, più fredde. La brezza estiva e il piacevole tepore del sole erano spariti, sostituiti da folate rabbiose che spazzavano la brulla campagna che circondava Godric's Hollow, oscurata dalle nubi dense e scure di un ormai inevitabile temporale.
Sirius era rimasto per qualche altro minuto seduto ad osservare affascinato le nuvole contorcersi e muoversi fluide nel cielo sopra di lui, la mente concentrata sul suono attutito della pioggia e il cuore perso altrove, in luoghi lontani, confusi, dove quel cielo che minacciava tuoni e fulmini incombeva già da tempo.
Aveva cercato di evitarlo quanto più a lungo possibile, ma alla fine il momento di fare i conti con le proprie insicurezze, i propri rimpianti e quei nodi di rabbia e tristezza impossibili da sciogliere era arrivato. Non poteva più fingere che quei pensieri e quei sentimenti non esistessero o semplicemente appartenessero a qualcun altro, non poteva più comportarsi come uno spettatore indifferente.
Affondò le dita nella tasca posteriore dei propri jeans e ne estrasse un pezzo di carta stropicciato sul quale l'inchiostro era sbavato a causa della pioggia. Una goccia si era infranta proprio sulle lettere di "Parigi", rendendole illeggibili, mentre Sirius si sforzava di immaginare come fosse cambiata la vita di Arya Ellis-Miller ora che si trovava al di là della Manica, così lontana da casa. Così lontana da lui.
Aveva detto a James di non volerne sapere nulla, ma la verità era che quella domanda lo tormentava e tuttavia non riusciva a trovare il coraggio di ammetterlo, nemmeno a sé stesso. Faceva troppo male pensare che per lui avesse ancora tutto quel peso così Sirius aveva deciso di comportarsi come se non contasse affatto.
"Puoi anche non dare retta alle mie parole e bruciare questo biglietto, ma prima o poi dovrai farci i conti con ciò che provi per lei, che si tratti d'amore o di altro"
Gli aveva detto Orion, dopo avergli parlato di un mucchio di altre cose che, in quel momento, gli erano semplicemente sembrate il frutto delle contorte elucubrazioni di suo padre ed erano così scivolate tra i pensieri di Sirius senza lasciare alcuna traccia. Ma quell'unica, semplice, inattaccabile verità aveva colpito nel segno.
Una goccia d'inchiostro scuro cadde dalla punta della piuma, imbrattando l'ennesimo foglio che Sirius fu costretto a gettare via, assieme a tutti quelli che contenevano niente di più che qualche frase fatta e dei cordiali quanto freddi saluti.
Avrebbe tanto voluto chiedere una mano a Remus, era lui quello dei quattro che se la cavava meglio con le parole e, forse, anche con le ragazze, ma quella era una cosa che doveva fare da solo.
Sirius sospirò, poi si fece coraggio ed infine prese un nuovo foglio e ricominciò a scrivere.
Mise nero su bianco un pensiero dopo l'altro, senza preoccuparsi di come potessero suonare le proprie parole, senza chiedersi se non sembrasse patetico a scrivere quella lettera che forse non sarebbe nemmeno mai giunta a destinazione.
Arrivato infine all'ultimo punto fermo si sentì esausto, svuotato di tutte quelle parole che erano rimaste così a lungo sospese nella sua testa e nel suo cuore. Era tutto lì ora, nero su bianco, e per un istante cercò di immaginarsi come Arya avrebbe reagito a quelle parole, ma si rese ben presto conto che non ne aveva idea, non più.
Quel pensiero spesso l'aveva riempito di rabbia e dell'amara consapevolezza di non avere più alcun potere di cambiare le cose, eppure ora quella sensazione, sebbene non fosse ancora sparita del tutto, sembrava essersi attenuata, non bruciava più come prima ora che si era concretizzata nell'inchiostro scuro impresso sulla pergamena.
Sirius piegò il foglio, lo mise in una busta e dopo aver scritto a caratteri quanto più leggibili l'indirizzo sul retro la affidò al gufo della famiglia Potter, che senza esitazioni si mise in viaggio, sparendo in lontananza nel cielo che timidamente sembra aver deciso di aprirsi nuovamente, lasciando intravedere la debole luce di un tranquillo tramonto.
Aveva smesso anche di piovere.
-ti senti meglio ora? -
La voce dolce di Euphemia Potter lo sfiorò come avrebbe fatto l'amorevole carezza di una madre, e senza attendere un invito formale lo raggiunse prendendo posto accanto a lui nella confortevole nicchia ricavata in una delle finestre dello studio di casa Potter.
Era lì che aveva potuto vedere Arya per l'ultima volta, avvolta in un sonno solo all'apparenza sereno e tranquillo.
Sirius sorrise debolmente, ora che quel pensiero non gli provocava più un'ondata insopportabile di vertigini e tristezza.
-molto-
Rispose sinceramente, tornando poi ad ammirare la quiete avvolgere il cielo in tempesta, placarlo, spazzando via le nubi oscure per far spazio ad un cielo illuminato dalla luce di miliardi e miliardi di stelle.
-ma c'è ancora una cosa che devo fare-
Aggiunse, tornando a guardare Euphemia, la quale gli sorrise come se avesse letto nei suoi occhi tutto ciò che Sirius aveva omesso di dire con quelle poche, enigmatiche parole.
-dille la verità, senza giri di parole, senza aver paura che possa giudicarti. Marlene si merita una risposta sincera da parte tua-
Il tono di quelle ultime parole si era fatto particolarmente serio, e da parte sua Sirius era consapevole di aver tergiversato fin troppo, e non aveva idea se fosse ormai troppo tardi per tornare indietro e chiedere perdono, se fosse troppo tardi per dire la verità, ma doveva almeno provarci. Doveva dirle cosa provava davvero e darle la possibilità di capire se per lei ciò che aveva da offrirle fosse sufficiente.
-lo farò-
Disse allora convinto, senza alcuna esitazione. Anche Euphemia tornò a distendere le labbra in un sorriso e volgendo l'attenzione poco oltre le loro teste, trasfigurò con un abile incantesimo la piuma che giaceva sulla scrivania ancora sporca d'inchiostro in un meraviglioso fiore dai petali bianchi che dalla radice fino alle punte erano attraversati da intense screziature nere.
-Fleamont mi regala un fiore quando vuole farsi perdonare-
Gli sussurrò affidandogli il fiore come fosse stato un gioiello prezioso.
-e funziona? -
Le chiese Sirius, percependo un piacevole sentore d'inchiostro emanare dai petali screziati.
-oh no, sono le parole a fare la differenza, sempre, però presentarsi con un bel fiore e un sorriso gentile non guasta in questi casi-
Parole. Qualcosa a cui Sirius non era davvero abituato, e tuttavia Euphemia aveva ragione, un fiore non sarebbe stato sufficiente a colmare tutti i suoi sbagli, le sue bugie e i suoi silenzi.
-grazie, del fiore e dei consigli... farò del mio meglio-
Le disse, lasciando che Euphemia lo salutasse augurandogli "buona fortuna" con una dolce carezza sul viso. Rimase poi ancora un po' solo ad osservare quei petali così belli, di un bianco candido che si fondeva con il nero intenso in un abbraccio perfetto. La luce e l'ombra convivevano in quel fiore, in armonia, in un equilibrio che fece pensare a Sirius che non sarebbe mai potuto essere così bello se fosse stato solo bianco o solo nero.
Deglutì, sentendosi per un istante, uno soltanto, vacillare di nuovo sul bordo del baratro.
Poi però si alzò, fece un passo indietro per allontanarsi da quei pensieri pericolosi, afferrò la vecchia giacca di pelle nera ancora umida di pioggia e senza più voltarsi indietro uscì nella sera tiepida, portando con sé il fiore dal profumo d'inchiostro.
29 Agosto 1978, East Cambridgeshire
Orion Black non aveva mai visto quel posto, tuttavia la prima cosa che notò, una volta passato lo sgradevole effetto della materializzazione congiunta, fu l'innaturale aura di pace che sembrava avvolgere ogni strada, ogni angolo, ogni casa o antico edificio di quella minuscola cittadina.
Avvertì un brivido gelido corrergli lungo la spina dorsale mentre un uomo dai folti baffi scuri e il viso seminascosto da un elegante cappello da viaggio si muoveva velocemente lungo il marciapiede dall'altra parte della strada. Sembrava troppo preso da chissà quali pensieri per notare la loro presenza.
-sono così presuntuosi nella loro ingenuità, non trovi anche tu, Orion? -
Sibilò la voce strisciante di Tom Riddle. Non avrebbe saputo come definire il suo tono: disgustato? Divertito? Venato di rabbia per l'indifferenza di quegli uomini e quelle donne che ai suoi occhi rappresentavano tutto ciò che l'aveva portato ad essere un emarginato?
Orion non rispose, né a Riddle né a quelle domande inespresse, si limitò invece a seguire l'uomo a cui aveva giurato fedeltà dall'altra parte della strada, all'interno di un pub dove sembrava concentrata la porzione chiassosa e goliardica della piccola cittadina.
Si sforzò anche di allontanare il pensiero di suo figlio, consapevole che l'Oscuro Signore avrebbe potuto sondare la sua mente in ogni momento. Sapeva che non c'era alcuna speranza che Sirius rinnegasse i propri valori e i propri amici per unirsi alla loro causa, per quanto lui avesse potuto tentare di persuaderlo: la testardaggine d'altronde l'aveva ereditata da sua madre, meditò mestamente Orion che aveva avuto, suo malgrado, esperienza diretta di quanto Walburga sapesse essere irremovibile nelle proprie assurde convinzioni.
No, non si era preso il disturbo di raggiungere la sperduta e silenziosa Godric's Hollow per intraprendere una battaglia persa in partenza. C'era qualcos'altro che voleva che Sirius sapesse.
-cosa vi porto, gentili visitatori? -
Orion alzò lo sguardo, incontrando quello del barista che sorrise loro affabile, inconsapevole di chi si trovasse di fronte.
-un whisky liscio per me, grazie-
Si azzardò a dire, prima di spostare l'attenzione su Tom Riddle, il quale attese qualche istante prima di sollevare un angolo delle labbra in un mezzo sorriso. Il barista, per tutta risposta, ammutolì e il suo sguardo si fece vacuo, come se la coscienza e il corpo avessero smesso di comunicare.
L'aveva vista usare solo poche altre volte, la maledizione Imperius, tuttavia Orion non ebbe alcun dubbio sul fatto che da quel momento l'uomo avrebbe fatto qualunque cosa la voce strisciante di Tom Riddle gli avesse sussurrato. Portare loro del whisky, il migliore che aveva, oppure piantarsi un coltello nel petto.
-mio Signore, non credete sia... imprudente? -
Sussurrò Orion, il quale non poté a fare a meno di guardarsi attorno nervosamente.
Non riusciva a capire cosa ci facessero in quella cittadina sperduta nella campagna inglese e, a dirla tutta, non ci teneva nemmeno così tanto a saperlo, e tuttavia trovava sconsiderato esporsi così, soprattutto considerato che gli auror erano costantemente alle loro calcagna, in cerca del minimo pretesto per arrestare e sbattere ad Azkaban chiunque fosse sospettato di essere coinvolto in attività legate alle folli mire di potere di Tom Riddle.
Dalla morte di Edward, Orion aveva preso malvolentieri il posto di Abraxas Malfoy, del quale non si avevano più notizie da tempo, da quando Azkaban l'aveva inghiottino nel suo lugubre e funesto silenzio. Quel pensiero gli fece venire ancora una volta i brividi e tuttavia cercò di sforzarsi di non darlo a vedere, non mentre si trovava di fronte all'animo volubile di Lord Voldemort.
-non hai di che temere, Orion-
Lo rassicurò Tom Riddle mentre una cameriera posizionava distrattamente sulla superficie irregolare del tavolo due bicchieri di whisky liscio.
-piuttosto brindiamo, a noi e alle nostre anime immortali-
Disse infine sollevando il proprio bicchiere di fronte a sé, in attesa che quello di Orion si unisse al suo in quel mesto brindisi.
Orion però rimase immobile, consapevole finalmente del motivo per cui Riddle l'aveva portato con sé quella sera: voleva che lui vedesse come nasce un'anima immortale, voleva mostrargli quel tassello essenziale del suo folle piano per diventare invincibile.
Voleva che lui vedesse come muore un uomo e nasce un Horcrux.
-molto acuto, Orion. Abraxas ci aveva messo molto di più a capirlo-
Gli disse sorridendo compiaciuto. Orion da parte sua non si sforzò nemmeno di provarci, a sorridere. Sentiva il cuore battergli all'impazzata, e ad ogni battito la tensione aumentava: se Abraxas sapeva, allora forse era stato anche in quel pub prima di lui, ma se si trovavano di nuovo lì qualcosa doveva essere andato storto la prima volta.
Orion tuttavia non poteva sapere, o meglio immaginare, che nulla in realtà era andato storto e che quella non era la prima ma la terza volta che Tom Riddle spezzava una vita per rendere la propria eterna.
La prima era stata la vita di una giovane ragazza, una sorta di esperimento, che però aveva convinto Riddle che una volta arrivato al termine del proprio piano niente avrebbe più potuto fermarlo, nemmeno la morte. La seconda vita che Tom aveva deciso di prendersi era stata quella di suo padre: l'aveva ucciso facendolo soffrire, tanto quanto aveva sofferto lui per essere stato ripudiato quando non era niente di più che un bambino.
Orion, ignaro di tutto questo, osservò il proprio Signore sfiorare con le dita l'antico medaglione di Salazar Serpeverde dal quale non si separava mai e intuì che quella sera quel cimelio avrebbe assunto ben altro valore, che andava al di là di quello commerciale o storico.
-c-co... come... -
Avrebbe voluto chiedere come sarebbe stato possibile racchiudere in quell'oggetto una parte della propria anima ma gli mancarono le parole, forse perché dentro di sé Orion conosceva già la risposta.
-dovrò uccidere quell'uomo, per poter mettere al sicuro, qui dentro, un frammento della mia anima-
Gli spiegò pazientemente Riddle, indicando il medaglione.
-poi lo nasconderemo, in un luogo sicuro e protetto. Se mi tradirai e tenterai di distruggerlo, io lo saprò-
Non lo disse con un tono severo, come una sorta di ammonimento. Lo disse come se quello fosse semplicemente un dato di fatto e da parte sua Orion capì che aveva ragione: non era un caso che l'avesse reso l'unico testimone di ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco, non era un caso che l'avesse fatto seguire fino a Godric's Hollow e avesse voluto che lui sapesse di essere spiato.
-non lo farò, mio Signore-
Rispose dunque convinto, sforzandosi di non distogliere lo sguardo da quello di Tom Riddle.
In quel momento seppe che non avrebbe più rivisto suo figlio.
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