Levicorpus - II
ISTRUZIONI PER L'USO: CAPITOLI "LEVICORPUS"
I capitoli "Levicorpus" che incontrerete nel corso della storia sono dei capitoli bonus che potete scegliere di leggere se volete avere da subito una visione più completa della storia, oppure semplicemente li potete saltare se preferite, invece, godervi la storia con un pizzico di mistero in più e mettere assieme tutti i pezzi un po' per volta fino ad arrivare al quadro completo soltanto alla fine.
A voi la scelta 😉.
È la prima volta che sperimento questa formula rudimentale stile librogame (per chi non lo sapesse, quei libri in cui la storia si costruisce sulla base delle scelte del lettore) e spero che l'idea possa piacervi :D
26 settembre 1978, Parigi
Uccidilo.
Sibilò quella voce innaturale che proveniva dall'angolo più segreto e remoto della sua anima, strisciando tra i suoi ricordi, mentre lei correva ignorando l'aria fredda che le congelava il viso e con il cuore in gola.
"T-ti prego, ti prego lasciami andare i-io non..."
L'aveva supplicata quell'uomo che senza la maschera d'argento appariva fragile e indifeso proprio come una qualsiasi preda braccata e messa all'angolo, in attesa che si compia il proprio triste destino.
Uccidilo.
Sibilò di nuovo nella sua mente, e Arya si sforzò di correre più veloce, come se quello potesse aiutarla a liberarsi di lei, di quell'oscurità che le dava forza, potere, le dava una ragione per continuare ad alzarsi la mattina e che tuttavia poi la abbandonava proprio quando lei ne aveva più bisogno, quando, dopo averla accontentata, si sentiva completamente svuotata, un guscio vuoto e apatico.
UCCIDILO.
Arya si fermò di colpo quando il suono secco di ossa spezzate rimbombò nell'arena deserta di Père Laschaise e nei suoi ricordi della notte appena trascorsa. Si sforzò di riprendere fiato, piegandosi sulle proprie ginocchia, di allontanare l'immagine del corpo di quell'uomo che scivolava a terra privato dell'unica cosa rimastagli, la propria vita.
Respirò a fondo l'aria fredda di Parigi, fino a che non le bruciarono i polmoni e finché anche la risata sguaiata e divertita di Bruce Sutherland non finì bruciata, persa per sempre nel mare oscuro dei suoi pensieri.
Poi un silenzio inquietante era calato su quel luogo di dolore e morte, e così ora nella sua mente, quando infine quella voce oscura e sibilante aveva sospirato soddisfatta.
Arya avvertì di nuovo quella strana sensazione invaderla, mentre nella sua mente le immagini della notte appena trascorsa le si riproponevano come un pasto tanto gradito quanto indigesto. Cercò di allontanarle e di concentrarsi solo sulle parole di Gabrielle: "beh, qualcuno sembra abbia deciso di farti una sorpresa", le aveva detto quando Arya le aveva chiesto cosa mai fosse successo di così interessante quella mattina al salotto della Confraternita, convinta che dovesse trattarsi dell'ennesima scenata di una facoltosa signora gelosa dell'amante del marito.
Gabrielle da parte sua si era limitata a sorridere incurvando le labbra in quel modo malizioso che faceva costantemente strage di cuori, l'aveva lasciata un po' sulle spine, accomodandosi elegantemente sulle lenzuola di seta del letto di Arya: Non sapeva bene come fosse successo che lei e Gabrielle fossero diventate amiche, eppure quella delle serate in giro per locali assieme e delle successive colazioni erano diventate una piacevole abitudine che Arya accoglieva molto volentieri dopo serate difficili come quella.
"Beh, intanto, Blackburn era parecchio in ansia questa mattina: onestamente non l'ho mai visto tanto preso da qualcuna, avresti dovuto sentirlo"
Aveva mugugnato, più infastidita che realmente colpita. Poi per un secondo il suo sguardo si era incupito, e Arya aveva capito che Jonathan doveva averle parlato dei propri sospetti. Lei, da parte sua, aveva tentato di giustificarsi con la solita scusa che rifilava all'amica tutte le volte che all'alba si ritrovava a bussare alla sua finestra, che andava a guadagnarsi da vivere lavorando come barista per non dipendere esclusivamente dalle laute mance che Blackburn Sr. elargiva generosamente al figlio. Aveva anche dovuto costringersi ad immaginare davvero sé stessa intenta a servire da bere a gente sconosciuta in uno dei locali che ricordava perché alcune volte ci aveva suonato sua madre, per evitare che Gabrielle potesse leggere nei suoi pensieri la verità.
"Almeno avvertilo che stai da me la prossima volta, vorrei evitare di sorbirmi un altro dei suoi interrogatori, grazie", aveva replicato l'amica mentre Arya dentro di sé aveva tirato un sospiro di sollievo.
Era sfiancante dover continuamente mentire, soprattutto a Jonathan, ma quando aveva provato a dire a Bruce che Blackburn aveva dei sospetti su ciò in cui l'aveva coinvolta, lui semplicemente si era limitato a riderle in faccia aggiungendo sprezzante: "Puoi sempre tirarti indietro, piccola Mezzosangue". Arya da parte sua era stata costretta ad ingoiare quelle parole crudeli, e non solo perché non voleva dare una soddisfazione a quello stronzo di Bruce.
Il fatto era che una parte di lei, quella più oscura e prepotente, sentiva come un bisogno fisiologico di partecipare alla Caccia. A volte Arya aveva persino l'impressione che quella voce sibilante glielo imponesse. In cambio, lei riusciva finalmente ad attingere e a controllare quell'immensa riserva di potere che si celava da qualche parte in lei.
La prima sera dopo aver partecipato alla Caccia Arya ricordava di essersi chiusa in bagno e di aver vomitato, di aver pianto a lungo, finché Jonathan non era tornato dal salotto della Confraternita e l'aveva trovata accasciata sul pavimento.
"Devo aver bevuto troppo", si era inventata su due piedi, ricordando vagamente di avergli detto che avrebbe passato la sera in chissà che locale con Gabrielle.
La verità, naturalmente, era ben diversa: la Caccia era un'antica – e barbara – pratica con la quale la Confraternita per così dire univa l'utile al dilettevole: alle Sentinelle più esperte veniva, infatti, affidato il compito di andare a caccia di dissidenti, traditori della purezza del sangue e, in tempi più recenti, sostenitori e seguaci del traditore Tom Riddle. Il povero sventurato di turno veniva poi sommariamente condannato ad affrontare per tradizione la Sentinella che l'aveva catturato in un macabro spettacolo per i facoltosi membri della Confraternita, svenevoli donzelle escluse, che non si risparmiavano nello sperperare i propri averi in scommesse: capitava non di rado, infatti, che alcuni degli uomini o delle donne catturati riuscissero a sopravvivere al primo, forse anche al secondo incontro, ma dopo ore di estenuanti duelli a colpi di magia oscura tutti alla fine cedevano.
La prima volta che Arya aveva assistito ad uno di quegli spettacoli ne era rimasta inorridita, finché Bruce non le aveva rivelato che quel ragazzino spaventato che invano tentava di difendersi era in realtà un Mangiamorte.
Al suono di quella parola, era riaffiorato nella sua mente il ricordo di quegli uomini nascosti dietro maschere d'argento che senza alcuna pietà avevano torturato suo padre. Arya aveva percepito nuovamente ciò che aveva provato quando quell'uomo che era scivolato a terra, ucciso da quella bestia oscura che dimorava in lei. Aveva ricordato di essersi sentita bene, di essersi sentita potente.
E poi di essersi sentita come un'ombra triste di sé stessa.
Eppure, lei alla fine in quell'arena ci era tornata, solo quando Bruce e i suoi amici perversi semplicemente volevano regalarsi uno spettacolino privato, le avevano insegnato ad evocare le fiamme oscure dell'Ardemonio per impedire alla vittima designata di fuggire, e quando Arya si trovava lì, di fronte a quegli uomini sconosciuti e spaventati rivedeva quelle figure scure, con il volto argenteo, che torturavano suo padre, lo trascinavano attraverso i ricordi della loro vita ormai in frantumi, lo umiliavano di fronte a lei, solo per il puro, sadico piacere di farlo.
"C-chi... chi è, Gabrielle?"
Aveva chiesto con un fil di voce, mentre Gabrielle sorrideva raggiante come se le stesse dando una grande notizia, e quando infine il nome di Sirius le era scivolato fuori dalle labbra, Arya aveva sentito il proprio stomaco torcersi dolorosamente, e ancora non era certa che correre a perdifiato fino alla Confraternita fosse una buona idea.
Il suo corpo e la sua mente razionale le avevano urlato di lasciar perdere, di nascondersi tra le comode lenzuola di seta di Gabrielle e lasciar perdere. Ma era stata la sua parte irrazionale e impulsiva che l'aveva fatta precipitare fuori, nell'aria fredda del mattino, l'aveva spinta fin lì e quando finalmente Arya imboccò l'anonima via che ospitava l'altrettanto anonimo ingresso della Confraternita, riconobbe immediatamente il ragazzo che passeggiava svogliatamente sul marciapiede, calciando via sassolini e detriti vari, annoiato come solo un Grifondoro privato di emozionanti avventure sapeva essere.
James Potter ci mise un po' ad alzare la testa e forse persino a riconoscerla, e quando alla fine le fu chiaro che non avrebbe ricevuto in cambio nient'altro che quello sguardo freddo ed impassibile, Arya si avvicinò, percorrendo con calma calcolata gli ultimi metri che la separavano dall'ingresso.
-ti chiederei di chi è stata quest'idea brillante, ma onestamente non mi interessa-
Disse, mentre il ciondolo che Jonathan le aveva dato e che raffigurava l'antico sigillo di Salazar emanò un piacevole calore contro il suo petto.
-perché, c'è forse qualcosa che interessi a sua maestà che non sia solo sé stessa? –
Ribatté James altrettanto acido e tagliente, mentre Arya gli passava semplicemente accanto diretta verso l'antico portone.
-oh ti prego, puoi fare di meglio-
Lo stuzzicò, in attesa che l'antica magia che proteggeva la Confraternita da eventuali estranei abbassasse le difese per lasciarla entrare.
-allora dimmi questo: perché non sei tornata? –
Le chiese, mentre Arya stava facendo scattare il pomello intagliato.
Come un flash, la sua mente le ripropose il sibilo dell'oscura voce che dimorava in lei, il terrore negli occhi del Mangiamorte spogliato della propria maschera, ed infine il suono secco del fragile osso del suo collo che andava in frantumi.
Ma non era quella la vera risposta alla domanda di James. La vera risposta era ciò che quel macabro spettacolo le faceva provare, un senso di giustizia e liberazione, e poi più nulla, un vuoto cupo che tuttavia era di gran lunga meglio che il lancinante dolore del ricordo di ciò che era perduto per sempre.
-ti consiglio di tornare al Ministero a prenotare la passaporta per il ritorno: Sirius ti raggiungerà tra poco-
Gli disse poi, richiudendosi alle spalle lo spesso portone prima che Potter potesse replicare e forse trovare anche il tempo di mandarla all'Inferno.
Arya attraversò quindi l'atrio ignorando il vetusto Elfo in livrea addetto all'accoglienza, e mentre percorreva a lunghe falcate l'illusorio e luminoso corridoio d'ingresso cercò di contenere la rabbia che sentiva pulsarle a fior di pelle e che montava in lei passo dopo passo sempre di più, finché le sue dita si strinsero a pugno a sufficienza da farle male.
Era stato lui a scriverle di cercare la propria strada, di andare avanti e dimenticare. Di lasciare che ciò che c'era stato tra loro sbiadisse in tenui ricordi.
E ora era tornato a cercarla, a riaprire quella ferita in via di guarigione e se possibile a gettarci sopra una bella manciata di sale.
Quando Arya entrò nel salotto solo pochi avventori si crogiolavano ancora tra chiacchiere e un'abbondante colazione, e tuttavia il suo sguardo saettò immediatamente al tavolino dov'era accomodata la più improbabile delle coppie: Jonathan, che con fredda indifferenza fumava una delle costose sigarette di suo padre, e Sirius che con le braccia incrociate al petto e il resto del corpo svogliatamente abbandonato contro lo schienale imbottito della poltroncina spaziava con lo sguardo attraverso il salotto, contraendo il viso in una impercettibile smorfia di disgusto.
Arya attese che il suo sguardo si posasse su di lei, che la giudicasse come stava facendo con il resto di quello che era diventato il suo nuovo, piccolo universo, ma il broncio di Sirius appena i suoi occhi si posarono su di lei si sciolse in un'espressione indecifrabile, mentre il suo corpo assumeva di nuovo una posa dignitosa e attenta. Anche Jonathan a quel punto rivolse la propria attenzione ad Arya, riservandole uno sguardo furioso e deluso.
-era ora-
Le disse Blackburn, sprezzante, una volta che Arya li ebbe raggiunti.
-se ne deve andare, adesso-
Aggiunse senza darle tempo di replicare e indicando con un cenno del capo Sirius, come se si trattasse di un fastidioso intralcio che ingombrava l'elegante salotto della Confraternita.
-io non vado proprio da nessuna parte! –
S'intromise il giovane Grifondoro, attirando un paio di sguardi cupi dai tavoli accanto. Arya sapeva che se Sirius non era stato malamente allontanato, o peggio, era solo grazie alla presenza di Jonathan, figlio del Capo delle Sentinelle e rispettabile membro del consiglio della Confraternita.
-dacci cinque minuti-
Disse rivolta a Jonathan, premurandosi anche di fulminare con lo sguardo Sirius.
-due, e poi pretendo una spiegazione-
Sentenziò Blackburn, spegnendo la sigaretta ormai consumata nel posacenere di cristallo abbandonato in mezzo al tavolo prima di estrarne una nuova dal portasigarette d'argento, mentre Arya trascinava Sirius lontano da tutti quegli sguardi indiscreti.
Per un attimo riaffiorò nella sua mente il ricordo di quando, allo stesso modo, l'aveva guidato attraverso la folla colorata e caotica dei Tre Manici di Scopa, dopo che lei gli ebbe lasciato vincere la scommessa con James, accettando di uscire con lui. Ma durò solo finché la porta della stanza dove si addestrava con Jonathan si chiuse con un tonfo alle loro spalle.
-si può sapere chi è quello?! -
Esplose Sirius, riferendosi con astio a Jonathan.
-è Jonathan Blackburn, e se non fosse per lui saresti già stato rimandato a calci nel culo a fare compagnia a Potter sul marciapiede qui fuori-
-ma davvero? Credi abbia paura di qualche vecchio fanatico o forse del tuo amico? –
-dovresti, e Jonathan ha ragione: devi andartene, Sirius-
Gli disse, senza riuscire ad impedirsi di lasciar trasparire da quelle parole una nota dolorosa. Sirius sembrò accorgersene perché quello scintillio di folle ribellione che aveva attraversato i suoi occhi poco prima scemò in uno sguardo più pacato e attento.
-non me ne vado senza di te-
Quelle parole la colpirono e scossero ogni singola fibra di lei, ma Arya si impose di restare impassibile.
-allora temo che resterai deluso perché io non mi muovo di qui-
Gli disse, ben consapevole tuttavia che sarebbe occorso ben altro per convincere Sirius ad abbandonare i propri propositi, considerato che era arrivato fin lì, aveva chissà come superato le difese della Confraternita e, sebbene inconsapevolmente, aveva rischiato di farsi uccidere per riportarla in Inghilterra.
-quindi vattene, ti prego-
Sussurrò stancamente, mentre il peso della notte appena trascorsa e degli ultimi minuti le calò di colpo sulle spalle. Per un attimo vide quella scintilla combattiva riaccendersi nello sguardo di Sirius, ma poi lui la guardò di nuovo come la prima volta, sulla fredda Torre di Astronomia, come se volesse studiarla, capirla, o almeno sforzarsi di farlo.
-io so tutto, so perché mi hai allontanato e perché continui a farlo. E so quello che sei, Arya-
Le disse, e prima che lei trovasse una valida replica Sirius aveva fatto comparire da una tasca della pesante giacca una busta già aperta, e per un attimo sentì le gambe vacillare quando Sirius gliela passò e lei riconobbe la grafia ordinata di suo padre. Non attese che lui le chiedesse di farlo, Arya estrasse la lettera e la lesse silenziosamente, assimilando parola per parola quell'ultimo regalo che le aveva fatto suo padre: avere il coraggio che lei non riusciva a trovare di chiedere aiuto, di chiedere un sostegno a cui aggrapparsi per uscire dalle tenebre e allontanare i fantasmi del proprio passato, anche se, probabilmente, ormai era già troppo tardi.
-io ci ho provato, Arya, ci ho provato davvero, ma non riesco a dimenticarti e onestamente ho capito che non voglio farlo-
Aggiunse Sirius.
-e non mi importa se sei l'Erede di Serpeverde, se... se conosci e pratichi le arti oscure... io ti conosco, so chi sei davvero-
Arya piegò le labbra in un sorriso amaro, mentre una risata sprezzante le scivolava fuori dalle labbra.
-tu non sai proprio niente di me e sei solo un arrogante presuntuoso se credi di poterti presentare qui dopo tutto questo tempo e dopo quello che hai scritto solo perché hai deciso che qualunque cosa credi io sia, adesso ti vada bene... credi che non lo sappia? Credi che non sappia cosa pensi davvero di me? –
Non avrebbe voluto dargli corda, e soprattutto lasciargli intravedere quanto le parole che lui le aveva scritto l'avessero ferita, quanto il pensiero che, sebbene non lo volesse ammettere, una parte di lui la ripugnava la facesse soffrire, ma ormai quel pesante macigno era stato scagliato lontano e ritrarre la mano sarebbe stato uno sforzo superfluo oltre che inutile.
-e questa-
Disse, sfiorando con le dita la pergamena ruvida.
-questa non significa più nulla. Mio padre è morto, Sirius-
Aggiunse, con un tono così definitivo e inevitabile che sorprese persino sé stessa. Non l'aveva mai detto ad alta voce, e pronunciare quelle parole la fece tremare fin nel profondo.
-e infondo credo di esserlo anche io, una parte di me non esiste più e, credimi, ciò che è rimasto non è affatto quello che sei venuto a cercare-
Non vi era più traccia di rabbia, astio o nient'altro in quelle parole. Solo una grande consapevolezza e un vuoto incolmabile.
Sirius la guardava e Arya capì che stava cercando un'altra valida obiezione, ma i due minuti concessi da Jonathan stavano scadendo e così alla fine lei decise di semplificargli la cosa.
-quindi te lo chiedo per l'ultima volta: vattene-
Gli ripeté, senza riuscire a smettere di crogiolarsi in quegli occhi grigi che la osservavano con durezza e una bruciante determinazione.
-e non tornare mai più-
Aggiunse, scivolando poi fuori dalla stanza d'allenamento dove ancora aleggiava l'odore acre di tappezzeria bruciata.
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