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Quel pomeriggio, tornò a casa esausto. Non era stato il lavoro, restare in piedi otto ore, preparare settemila caffè, duemila aperitivi con la fretta che gli uomini di affari gli avevano messo con la solita consuetudine addosso. No, non era stato quello. Era stato il peso dell'ultimatum datogli da Alfonso, a gravare sulle sue spalle ormai troppo provate, ad estenuarlo. Vista da lontano, con un binocolo, la vita di Tony poteva sembrare quella di un menefreghista qualunque.
La triste esistenza di un ragazzo troppo preso dalle futilità per dare peso al lavoro e alle bollette da pagare con la perenne difficoltà di racimolare il denaro per fare la spesa a fine mese. Sarebbe stato un giudizio troppo facile e affrettato. La quotidianità di Tony non poteva essere riassunta con il parere di chi lo osservava da lontano, magari guardando solo la superficie delle cose. La vita di Tony andava esplorata nel profondo, studiando le battaglie che aveva dovuto combattere per arrivare a quel momento della sua esistenza. Era rimasto orfano che aveva
solo quattro anni. Di sua madre e di suo padre, salvo alcune schegge di memorie fotografiche, l'unico ricordo che gli era rimasto era un carro funebre da inseguire in braccio a suo zio Lello, in un pomeriggio di pioggia. Da allora era vissuto con sua nonna, in una gabbia poco dorata e molto asfissiante. Poi il tempo, come un vento malefico si era portato via anche anche suo zio, precocemente scomparso a causa del suo suo amore per la droga che era più forte di quello per la sua vita e alle fine aveva risucchiato anche la nonna. Lei si era semplicemente arresa alla vecchiaia. Alla fine si era ritrovato solo alla soglia della maggiore età e a strappare un sessanta agli esami di stato, ritagliando scampoli di tempo per lo studio, fra una pausa lavoro ed un'altra. Delle persone a cui aveva voluto bene, gli era rimasta solo quella vecchia casa dai muri incrostati e i ricordi asfissianti. Ricordi, che erano tanti, di sua nonna sempre opprimente nei suoi confronti per il timore che le era sorto dopo che un incidente le aveva portato via sua figlia e suo genero. Oltre a quelli legati a Lelluccio, lo zio adorato. Dei pomeriggi passati ad ascoltare i Pink floyd con lui e degli accordi imparati sulla chitarra che un pomeriggio grigio d'inverno, aveva venduto per comprarsi un altro pezzettino di morte.
Quando era rimasto solo, si era attaccato alla musica come un polpo ad uno scoglio. Gli era parsa una cosa ovvia. Così un giorno di primavera, per contrapposizione alla scomparsa della chitarra da casa, era corso a comprarne una di seconda mano da un suo vecchio compagno di scuola. Gli era stata regalata ma non era stata una sorpresa molto gradita. Non aveva il tempo, quel ragazzo coi capelli sempre pieni di gel e la roba all'ultima moda da sfoggiare alle ragazze che gli stavano appresso giorno e notte, di stare a pizzicare quelle corde per ottenerne "solo" una stupida melodia.
Così, erano bastate solo venti euro per portarla a casa.
Aveva comprato libri per imparare ad usarla e spartiti in vecchi mercatini dell'usato, spulciando con pazienza fra romanzi rosa dalle copertine semidistrutte e gialli che si erano sbiancati al sole. Passava il tempo ad ascoltare i pochi vinili rimasti invenduti ai mercati della disperazione dei tossici e a cercare di imparare tutto quello che il manico gli offriva. Poi,
Per caso, facendo zapping in televisione, era incappato a metà di un video di una tizia alta e magra dalla voce dolce e struggente al tempo stesso. Si era fermato incantato dalla bellezza del suo viso lungo e dal dolce sapore delle note che uscivano fuori dalla sua bocca larga e carnosa. Aveva atteso con impazienza che il video terminasse per leggerne il nome. Levante.
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