Sixth
~ 29 Dicembre 1977 ~
«Buongiorno tesoro, dormito bene?»
Erano poche le cose che le mancavano di Little Whinging e una di quelle era proprio il saluto mattutino di sua madre.
Aveva l'abitudine di entrare in cucina con la vestaglia, le pantofole morbide e un sorriso sulle labbra. La sua permanenza a casa sembrava renderla ancora più felice, a differenza di sua sorella che invece la guardava con astio ogni volta che si ritrovavano nella stessa stanza, e forse era proprio quel gesto a renderle più piacevole il soggiorno.
Ad Hogwarts non passava giorno in cui qualche Serpeverde la guardava con disgusto ma vedere la stessa espressione sul viso di Petunia, le faceva solo molto male.
Era stato difficile accettare l'odio che provavano alcuni degli studenti per quelli come lei, o meglio, per le sanguesporco, come le aveva ben ricordato Piton, e puntualmente trovava la stessa accoglienza anche in casa sua per colpa di sua sorella.
Aveva provato in tutti i modi ad accaparrarsi, anche in piccola dose, l'amore di Petunia, purtroppo però non era mai arrivato.
Checché le parlasse sua madre o suo padre, lei restava della stessa opinione: Lily era, e sarebbe stata per sempre, un mostro.
Aveva vissuto nella convinzione che lo fosse fin quando Alice non l'aveva obbligata a pensare il contrario. Era stata proprio lei a salvarla da quel baratro di auto colpevolezza in cui stava pian piano scivolando, e le aveva donato la cosa che più desiderava avere al mondo: una sorella.
Faceva qualunque cose fosse in suo possesso per farla sentire amata, per farla ridere e gioire di quei momenti che avrebbe conservato gelosamente nel suo cuore.
E allo stesso modo le sue lettere, colme di commenti ironici che avevano fatto ridere Lily così tanto da farle notare sua madre intenta ad osservarla fuori la porta della sua stanza e sorriderle.
Lily aveva scritto delle lettere ad Alice durante quella settimana e le aveva parlato di come Petunia rendesse le cose ancora più difficili.
Le aveva raccontato come, quando era arrivata, non l'avesse nemmeno salutata giustificandosi con "lei non è mia sorella" e fosse salita in camera sua.
Oppure di come la sera della Vigilia di Natale avesse invitato il suo nuovo fidanzato, un certo Vernon Dursley, che prontamente l'aveva guardata come se fosse stata una creatura sovrannaturale, un qualcosa di mostruoso da cui era meglio stare alla larga.
Aveva trascorso, forse, la Vigilia più brutta della sua vita. Non le era mai capitato di essere guardata in quel modo da qualcuno che neanche conosceva, eppure lo sguardo avverso di Dursley gravava su di lei come il sedere pesante di Lumacorno sulla sedia nel suo ufficio.
Alice non aveva evitato, neanche quella volta, di dedicare epiteti poco carini contro qualcuno che le faceva credere di non essere abbastanza.
"Se ci fossi stata io, probabilmente sarebbe tornato a casa con una coda a ricciolo di maiale."
Lily aveva riso tanto a quel commento, come del resto durante tutta la lettura.
Inoltre le aveva raccontato della presunta pace tra lei e Frank, e quella notizia aveva scaldato il cuore a Lily come il caminetto della Sala Comune dopo una passeggiata nel parco innevato.
Frank le aveva versato sul suo vestito nuovo, nonché regalo di Lily, la zuppa che avevano servito per cena e grazie a quell'incidente avevano ripreso a parlarsi, sebbene Alice gli avesse inveito contro più e più volte.
«Ti va del caffè?»
Lily si girò a guardare la mamma e annuì: «Però prima...»
«Prima il caffè e poi il latte. Lo so, Lily. Vorrei ricordarti che ti ho cresciuta io», le disse amorevole la madre mentre preparava la colazione alla figlia.
Lily non poté fare a meno di ricordarsi che anche Romeo sapeva come lei bevesse il latte, e ovviamente inosservata non passò la reazione di Alice.
"Ti rendi conto? Questo è amore, Lils! Trovami anche solo una persona che è dedito ad un'altra in questo modo. Non esiste e tu sei fortunata ad avere l'unico sulla terra!"
Aveva utilizzato mezzo foglio di pergamena per decantare tutte le nobili qualità di quel giovane senza volto.
Effettivamente anche a Lily non era passata inosservata la dedizione che lui aveva nei suoi confronti.
E forse, solo forse, sarebbe stata proprio quella passione a farle rendere conto, poco alla volta, che anche lei aveva iniziato a non provare più solo indifferenza nei confronti di Romeo.
***
L'anno era quasi volto al termine ed erano poche le cose che era in cambiare nel corso di questo.
Sedeva di nuovo lì, a distanza di mesi, sulla panchina in ferro battuto che sua madre aveva voluto mettere in giardino cosicché potesse cucire alla luce del sole.
Chiuse gli occhi per godersi il calore dei flebili raggi di sole di quella mattina e rimase in silenzio ad ascoltare gli uccellini cinguettare, le macchine camminare sull'asfalto innevato, le risate dei bambini e il tipico rumore della neve che si infrangeva sui cappotti pesanti.
Sarebbe voluta rimanere così per sempre.
A riportarla nel mondo reale, però, era stata sua sorella che, con la sua eleganza da gigante infuriato, aveva sbattuto la portiera della macchina di Dursley.
Lily doveva ancora capire se le faceva più tenerezza la sorella perché aveva scelto di stare con quell'ominide, oppure se le dispiaceva più per lui che si era fidanzato con la vecchia megera che portava il suo stesso cognome.
«Hey Tunia», la salutò mettendo su un sorriso dolce.
Uno di quelli che prima sicuramente sarebbe stato più che genuino e sincero.
«Ciao.»
Petunia continuava la sua scalata verso la porta di casa ma Lily non aveva intenzione di lasciarsi perdere quell'occasione. Le aveva addirittura rivolto la parola, come avrebbe mai potuto far finta di niente?
«Come va?»
La sorella si girò a guardarla con un sopracciglio alzato e con l'espressione più seria che le avesse mai visto assumere.
«Cosa hai combinato in camera mia?» Insinuò la più grande con tono di accusa.
«Io? Niente. Sono stata tutta la mattina con la mamma e adesso ero uscita un po' in giardino», le spiegò pacatamente l'altra.
Decisamente non capiva come potesse essere possibile che l'accusasse subito di cose mai fatte. Menomale che c'era la mamma a difenderla.
Petunia la guardò per qualche secondo e riprese la sua camminata verso la porta. Aveva poggiato la mano sulla maniglia quando Lily la chiamò di nuovo.
«Perché devi fare così?» Chiese alzandosi: «Perché devi sempre allontanarmi? Che cosa ti ho fatto? Sei mia sorella!»
Sembrò non essere toccata da quelle parole. Sembrò che fosse immune e non sentisse quel dolore lacerante che sua sorella cercava di esprimerle.
«No, Lily. Tu hai smesso di essere mia sorella nell'esatto momento in cui hai fatto esplodere le lampadine della cucina. Da quando hai ricevuto quella lettera e hai cominciato a sventolare quella bacchetta credendoti ancora una volta migliore di me», sputò Petunia tutto il suo rancore: «Tu non lo sai, ma non si parla altro che di te. Lily fa questo, Lily fa quello, e io mi sono scocciata di esserti sempre seconda. Ho smesso di stare dietro le quinte e non rovinerai di nuovo tutto quando tornerai a stare qui.»
«Io non ho mai chiesto di essere messa al centro dell'attenzione, Petunia, e...» cominciò la più piccola ma fu interrotta dalla sorella che aveva ripreso la sua filippica.
«È questo il punto! Tu non chiedi e gli altri eseguono. Mamma e papà parlano di te, di quanto tu sia brava e di quanto tu sia più tutto rispetto a tutti», aggiunse ancora inviperita: «E lo so che tra quei tutti ci sono anche io.»
«Ma cosa dici, Petunia? Mamma e papà sono orgogliosi di te quanto lo sono di me. Non mi preferiscono in alcun modo!»
Petunia abbassò lo sguardo sui suoi piedi con un sorriso amaro: «Ti hanno sempre considerata più importante, ancor prima della magia, erano solo più bravi a nasconderlo. Fortunatamente per te non ti sei mai accorta che c'era qualcosa di strano, ma io lo sapevo. Io vedevo come ti guardavano, come ti amavano e i loro atteggiamenti sono aumentati in maniera esponenziale quando sei partita per quella scuola di pazzi.»
Lily guardava Petunia con dispiacere, si sentiva in colpa perché si riteneva meno importante di lei e per un attimo ebbe l'impressione di aver visto i suoi occhi diventare lucidi.
«Sono impazziti completamente. "Abbiamo una strega in famiglia" eppure solo io ho capito che saresti diventata un pericolo, un problema per me. Sei onnisciente e io più provo a dimenticarti, a nasconderti dai miei ricordi, più tu compari come quei funghi velenosi che ti procurano intossicazioni alimentari. Perché tu sei così, Lily. Sei velenosa e mi rovinerai la vita fin quando non sarai estirpata dalla radice, fin quando non sarai morta.»
Il tempo sembrò fermarsi. Il silenzio calò su tutta la strada. Non c'era più alcun rumore e il freddo sembrava abbracciare quel perimetro di terra che era casa Evans.
Chiunque avrebbe potuto dire che vi era un imminente arrivo dei dissennatori perché non c'era felicità, e Lily credette che non ne avrebbe mai più potuta provare.
Guardava Petunia quasi come se non la stesse guardando per davvero. Era assente, era fisicamente lì ma con la mente era lontana anni luce.
«Ti odio», riuscì solo a dire e la sorella sorrise amara di fronte a quelle parole.
«Benvenuta nel mio mondo, Lily.»
Abbassò finalmente la maniglia della porta di casa ed entrò lasciandosi alle spalle una Lily con il cuore e l'anima distrutti in mille pezzi.
Era certa che niente e nessuno avrebbe potuto sistemare quell'ammasso di cocci che era appena diventata.
Non pianse, non avrebbe permesso a Petunia di godere anche di quella soddisfazione.
Così si allontanò dal giardino per tornare nella villa dove l'ultima volta era riuscita a trovare conforto, e solo lì, tra i mille e mille europsys, si concesse di far cadere tutte le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento.
***
L'ultima volta che aveva visto suo padre fissarla senza dire niente dall'altro lato della stanza era accaduto quando aveva all'incirca nove anni.
Era stata, per la prima volta, insultata da sua sorella. L'aveva chiamata mostro e nonostante il vetro fosse sparpagliato ovunque sul pavimento, Lily si era seduta a terra vicino al camino con le ginocchia tirate al petto, un'espressione di sofferenza sul viso giovane e gli occhi lucidi.
A distanza di quasi dieci anni, si ritrovava nel stesso punto, nella stessa posizione, con la stessa espressione e con maggiore sofferenza da leggere negli occhi.
Era tornata a casa dopo circa un'ora e senza dare spiegazioni si era rintanata in quel posto.
La mamma era uscita per fare la spesa, aveva intenzione di prepararle i tortini al cioccolato, mentre sua sorella era chiusa in camera.
In casa Evans si sentivano solo i rintocchi di quell'orologio a pendolo vintage che suo padre aveva comprato ad un mercato dell'usato. Diceva che aveva fatto un affare e nessuno osava metterlo in dubbio.
«C'era una volta...»
«Papà, apprezzo il tentativo ma il mese prossimo farò diciotto anni», lo bloccò Lily guardando fisso davanti a sè: «Dubito che la storia di Murphy lo scoiattolo tontolone possa risollevarmi il morale.»
«Quando eri piccola funzionava sempre, infatti mi chiedevi di raccontartela almeno altre tre volte», ammise il suo papà mentre le si avvicinava e si sedeva accanto a lei.
Lily poggiò la testa sulla spalla del padre e rimasero di nuovo in silenzio. Non avrebbe mai potuto dirgli quello che le aveva detto Petunia. Era un problema che riguardava loro, e loro lo avrebbe risolto. Non avrebbe permesso che l'odio di sua sorella disgregasse la famiglia ancora di più, i suoi genitori non c'entravano nulla e sarebbero rimasti fuori da quel discorso.
Il signor Evans tanto meno avrebbe fatto domande, sapeva che Lily odiava essere costretta a parlare di qualcosa di cui non voleva, così le sarebbe stato vicino e avrebbe aspettato un cenno da parte sua.
Ad un tratto si sentì il campanello della porta suonare. Chi avrebbe mai potuto essere? Se fosse stata la mamma avrebbe di sicuro utilizzato le chiavi. L'uomo si alzò e andò ad aprire.
«Alice, cara! Che piacere rivederti. Prego, entra pure.»
Alice? Lily pensò che se lo fosse immaginato, insomma, la sua amica era ad Hogwarts, non di certo fuori casa sua.
Si girò a guardare verso la porta e dopo pochi secondi la figura di Alice comparve.
«Avevo detto niente finta forte.»
Lily non disse nulla, si limitò ad alzarsi e correre ad abbracciarla. Le era mancata così tanto, aveva così bisogno di un suo abbraccio e finalmente l'aveva lì. Non avrebbe dovuto aspettare un'altra settimana.
«Cosa ci fai qui?» Le chiese stringendola ancora di più, così per essere sicura che ci fosse davvero e che non fosse un brutto scherzo della sua mente.
«Sono venuta a salvarti, ovviamente», disse, Alice le lasciò un bacio tra i capelli e dopo aver sciolto l'abbraccio le sorrise colpevole: «Ho portato i rinforzi.»
Lily non ebbe il tempo neanche di chiedere cosa intendesse che vide entrare nel salotto, con cravatta slacciata e giaccia di pelle, Sirius Black.
«Evans, tuo padre è il babbano più simpatico che abbia mai conosciuto.»
«E questa scatola che cos'è?» Chiese invece Peter avvicinandosi, assieme a Frank, alla televisione e guardandola con aria curiosa.
«La ringrazio, signor Evans. Scusi i miei amici ma non sono abituati a conoscere dei babbani», si scusò James invece, entrando nella stanza al fianco dell'uomo.
Lily fissò James per qualche secondo e si chiese da quando chiedesse scusa agli adulti per i comportamenti dei suoi amici, o addirittura che si scusasse e basta.
Il ragazzo posò lo sguardo su di lei e accennò un sorriso, dov'era finito lo spregiudicato che aveva imparato ad odiare?
Quella sì che era una sorpresa.
«Ciao Evans.»
«Potter», lo salutò con un sopracciglio alzato, l'espressione più dubbiosa che potesse avere.
Era senz'altro strano avere tutti a casa sua e ancora più assurdo era il fatto che suo padre avesse intavolato una conversazione con Sirius e James mantre Alice spiegava a Peter e a Frank la vera magia della televisione.
«Sono torn... Alice! Come sono contenta di vederti! Tutto bene?»
Anche la signora Evans era rientrata dalla sua commissione e appena aveva visto la ragazza con il caschetto nero, non aveva potuto fare a meno di poggiare le buste ai piedi della porta e abbracciarla.
Erano poche le volte in cui Alice era andata a casa sua ma i suoi genitori l'ammiravano e le volevano bene esattamente come una figlia.
«E chi sono questi bei ragazzi?» Chiese la donna mentre cominciava a presentarsi.
Lily poté giurare di aver visto sua madre farle l'occhiolino dopo aver stretto la mano a Potter. Che fosse impazzita?
«Vi fermate per cena?»
***
Se le avessero detto che avrebbe trascorso una serata a casa sua circondata dai suoi genitori, dalla sua migliore amica e dai ragazzi che credeva superficiali e immaturi, probabilmente non ci avrebbe creduto.
E invece era successo.
Dopo la cena con una scusa l'avevano convinta a partire con loro per tornare ad Hogwarts.
Erano arrivati con le scope e ognuno di loro aveva un compagno. L'unico che invece aveva volato da solo era James.
Lily non avrebbe mai perdonato Alice per quel tranello ma dovette ammettere che Potter l'aveva tranquillizzata per tutto il viaggio.
Non aveva fatto nessun commento riguardo la sua paura e tanto meno aveva detto qualcosa, quando Lily troppo spaventata di passare tra le nuvole, aveva stretto la presa maggiormente facendoli avvicinare l'un l'altro.
Nulla. Non aveva detto niente e lei non poté fare altro che essergli riconoscente.
Arrivati in Sala Comune, avevano ingrandito di nuovo il baule e poi lei e Alice lo avevano trascinato fino al loro dormitorio.
«Non ti sarò mai abbastanza grata.»
«Potresti farlo promettendomi che farai un pensierino su James se con Romeo dovesse andare male», provò Alice lasciandosi cadere sul letto.
«E da quando sei diventata loro amica?»
«Beh, io ero sola, loro sono amici di Frank...»
Lily scosse la testa e si chiuse in bagno per farsi un doccia. Non ci mise molto e dopo essere uscita trovò Alice intenta a guardare fuori dalla finestra.
«Potrei sapere cosa stai facendo?» Chiese avvicinandosi all'amica.
«Ho sentito uno strano rumore e non riesco a capire cos'è», spiegò mentre chiudeva la finestra.
D'improvviso si sentì un tonfo e, grazie all'occhio attento di Lily, si resero conto che un gufo era appena andato a sbattere contro l'infisso.
«Credi sia morto?»
«Merlino... non credo.»
Quasi come se fosse stato chiamato, quello ricomparve e lasciò scivolare una lettera sul marmetto senza aspettare alcun biscottino di ricompensa.
«Sai cosa significa?»
«Che stavo per avere sulla coscienza la vita di un gufo?»
«No, il cerchio si dimezza. Per averla mandata qui significa solo che anche lui è ad Hogwarts e sa che sei tornata!»
Alice prese la lettera e la porse a Lily. Il pensiero che lui non avesse perso tempo pur di mandarle la missiva, la rendeva quasi felice.
Cara Lily,
Riaverti di nuovo al castello è un piacere immenso e non scherzo se dico che l'intera Sala Comune ha preso un aspetto diverso.
Spero tanto che tu abbia passato delle belle vacanze, anche se brevi.
Questa distanza mi ha messo in difficoltà perché non sapevo come riuscire ad inviarti questa lettera. E mentre pensavo e ripensavo alle mille possibilità, sei apparsa come il sole dopo una lunga giornata di pioggia.
Non nego che sei mancata come l'aria.
Sono così abituato a cercati tra la gente, che non trovare la
tua chioma rosso fuoco al tavolo dei Grifondoro, o in qualunque altro posto, è stato strano, se non triste.
Si, perché sono così avvezzo ad averti sempre davanti agli occhi che mi sembrava di essere privato di una delle mie più grandi certezze.
Ero un'anima che camminava nel purgatorio cercando il suo posto, non avevo nessuna meta perché tu non c'eri e non sapevo dove andare. Tu sarai sempre il mio arrivo ma mai la mia partenza perché non potrei sopportare di intraprendere una qualunque impresa senza di te.
Partirei solo se avessi la possibilità di prenderti per mano e portarti con me ovunque tu voglia. Non mi importerebbe nemmeno della destinazione perché con te al mio fianco baderei solo al tempo trascorso insieme e nulla più.
Mi sono mancati i tuoi sorrisi, le tue risate e le tue chiacchiere sussurrate con Alice. Mi è mancato vederti seduta sul divanetto difronte alla finestra mentre osservi con attenzione tutti i ragazzi della Sala Comune da sopra un libro che più delle volte mantieni al contrario, tanto che sei distratta. Adoro come aggrotti le sopracciglia e ci studi uno per uno quasi sperando di veder comparire delle luci intermittenti sulla nostra testa che ti indichino chi io sia. Si, Lily, io ti vedo che fai le cose più assurde e queste mi fanno solo bene al cuore perché finalmente ti vedo reagire e cercare di cogliere il piccolo vento di novità che sto provando ad inviarti da un po' di tempo. È anche per questo motivo che ho poi deciso di provare con delle lettere, perché ero certo che le avresti lette e che con queste avresti saputo della mia esistenza. Non mi sono pentito della mia scelta perché così ho la possibilità di parlarti con il cuore in mano ed essere ascoltato. Fa paura dire di amare una persona, tanta Lily, così tanta che tu neanche immagini. Ti tremano le gambe, ti manca l'aria, il cuore batte più veloce e vorresti solo scappare. E per quanto sia sbagliato permetterti di conoscere solo questa immagine di me, io ho paura di guardarti negli occhi e leggervi indifferenza, o, peggio ancora, solo tenerezza. Ma ti giuro che metterò da parte i miei timori per te. Mi hanno sempre insegnato che la felicità, per quanto spaventosa, non la si lascia mai fuggire perché ognuno di noi merita di essere felice.
Tu sei un grand bonheur qui prend sa place. E io non posso lasciarti correre senza provare a prenderti e stringerti forte, di raggiungerti e poterti guardare soddisfatto mentre penso di aver trovato anche io la mia fetta di paradiso. Il mio cuore ha iniziato a battere forte quando ti ho vista e questo è esattamente tutto ciò che voglio provare, sempre, ogni minuto e ogni secondo della mia giornata.
A lungo ho cercato un motivo che mi facesse sentire veramente vivo, che mi facesse sentire soddisfatto di quello che facevo, delle mie scelte e dalla mia vita; è stato difficile, anche se non quanto accettarlo, e sei tu.
Lily, tu sei l'unico motivo per cui varrebbe la pena di fare tutto. Anche svegliarsi preso la mattina e guardarti ancora dormire.
Con amore,
il tuo Romeo.
E finalmente si sentì, dopo due settimane di lontananza, veramente a casa.
•
Traduzione frase: Una grande felicità che prende il suo posto.
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