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di un sole timido e di desideri sotto le stelle

È una di quelle giornate in cui potrei fare un sacco di cose.

Potrei mettermi le scarpe e la sciarpa e passeggiare, osservare Milano scorrermi accanto senza curarsi del mio passaggio o del mio sguardo.
Potrei sedermi su una qualche panchina sperduta con un libro e godermi questo sole timido, questo accenno di primavera, questo tentativo di speranza.
No.
Preferisco tenere le pantofole e guardare il sole tramite le finestre, contando le sirene delle ambulanze, pensando alla mia vita un anno fa, e alla mia vita oggi.
Un anno fa ero spudoratamente felice, mi sentivo stranamente libera, avevo qualche soldo in tasca, un po' di libri nello zaino, la voglia di viaggiare, qualcuno da cui tornare e che ascoltasse i miei pensieri, le mie giornate, i miei progetti e qualche timore, qualche paura, qualche ombra all'orizzonte da cui, però, avevo deciso di non farmi spaventare. Avevo fatto delle scelte che forse non erano davvero quelle che avrei voluto, ma mi ripetevo che era giusto così, che avrei avuto tempo per viaggiare, per andare lontano, per vedere posti nuovi: avrei avuto tempo. Avrei avuto tempo per recuperare quegli esami che avevo lasciato indietro, mi sarebbe bastata qualche settimana in più seduta china ai tavoli della biblioteca, con gli amici di sempre, un pranzo al sacco, la bicicletta ben legata fuori, i portatili da cui spiare di tanto in tanto foto di posto lontani e voli low cost che sicuramente un giorno avremmo preso.

Avrei avuto tempo.
Ce lo ripetevamo sempre.
Avremmo avuto tempo.
Oggi non ho voglia di uscire di casa, conto le ambulanze, non guardo più i voli low cost, anche perché non credo esistano più, nessuno può più permettersi di improvvisare una domenica al mare come ho fatto io, come abbiamo fatto noi, un anno esatto fa.
Gli esami che ho lasciato indietro non li conto più, e senza dare reale valore alle parole, dico che in qualche modo recupererò, mentre in realtà non faccio che pensare a quando, appena finita la scuola, ho scelto di rimanere qui, di rimanere a casa con i miei per tutta una serie di motivi assolutamente validi, e perché tanto, di tempo per viaggiare ne avrei avuto - d'altronde, appena compiuti vent'anni, ogni giorno è una pagina bianca.
Oggi non ho voglia di uscire, non riesco a studiare, non lego più la bici fuori dalla biblioteca, non riesco a fare nessun tipo di progetto, e le pagine bianche di un anno fa mi mettono solo nostalgia.
Una delle persone più importanti della mia vita è volata via, un giovedì pomeriggio con gli alberi in fiore, quando avevamo capito solo da una manciata di ore che il mondo sarebbe andato a rotoli. A conti fatti, mi vergogno ma sono grata che non possa vedere quello che è successo attorno a noi nell'ultimo anno.

Ho paura del mio futuro.
Ma non è una paura paralizzante, non è una paura da fiato corto, non è neanche una paura fatta di euforia come quando dovevo scegliere se rimanere o no: è una paura che mi toglie il sonno, il sorriso, mi fa perdere la concentrazione, mi costringe a una sottile ironia mentre scuoto la testa e racconto un modo sicuramente provvisorio e poco sicuro che io e la mia generazione ci stiamo inventando per rimanere in piedi, o almeno fingere di farlo.

È una paura che mi toglie la voglia di uscire a godermi questo sole timido, perchè il sole di inizio primavera mi ricorda di quando la primavera era solo il prologo dell'estate, delle serate che diventano albe, delle corse verso il mare perchè la sabbia scotta, delle birre che si scaldano subito e delle stelle che sembrano cadere ma che ci danno solo la scusa per tenere il naso in su per qualche ora ed esprimere un desiderio o anche due, che non si sa mai.

Ecco: è una di quelle giornata in cui mi manca poter esprimere desideri. 

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