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05. ATROPOS

Ancora una volta è grazie alla Pasticceria Creativa di ciambella198 se sono riuscita a uscire dalla mia amata comfort zone... anche se stavolta abbiamo decisamente esagerato! 😂

Il contest era Una pausa da Cacciatore. Sapete quali elementi segreti è riuscita ad affibbiarmi la mia proverbiale sfiga? Eccoli qui (e cercate di non ridere troppo):

Prompt: Una pausa davanti a una tazza di caffè... quando nel locale entra chi non ti saresti mai aspettato

Genere: Storico

Sottogenere: Horror (😱)

Elemento: Penna

Da questi elementi è nato Atropos, seconda classificata nella categoria Ingrediente segreto ❤️

Buona lettura!

◾◾◾

Era seduto a quel tavolo da più di un'ora e aveva dimenticato di finire il caffè.

I camerieri avevano acceso le lampade a gas per rischiarare l'ambiente. A quella luce tremolante e incerta, i busti dorati che decoravano le pareti sembravano animati. Gli sembrava che le loro bocche si contraessero in un urlo. Anime in trappola che gridavano il loro strazio.

Quel suono gli inondò le orecchie, ma il martellare di un pianoforte disturbò le sue piacevoli memorie. Tornò a fissare la tazza che aveva di fronte. Era fredda. Sollevò discretamente due dita, ne ordinò una seconda. Avrebbe bevuto quella, poi sarebbe andato via.

Mentre attendeva di essere servito, lanciò una rapida occhiata all'uomo distinto e ben vestito che vedeva riflesso nello specchio della parete. I capelli castani gli sfioravano l'alto colletto inamidato, due leggeri baffetti adombravano labbra carnose e ben disegnate, gli occhi rilucevano di un azzurro pallido. Compiaciuto da se stesso, si portò l'orlo tiepido alla bocca. In quell'istante, udì un fruscio di vesti che si interruppe al suo fianco.

Abbassò la mano fino a che la ceramica tintinnò contro il piattino. Non pensava proprio di trovarsela di fronte, eppure era lì. I capelli neri, sapientemente arricciati dalle dita della cameriera, le facevano da corona al viso pallido, dove un filo di belletto tentava di coprire le efelidi. Gli occhi verdi, magnetici come quelli di un gatto, lo osservavano dall'alto, mentre il bocciolo di rosa della sua bocca si allargava in un timido sorriso.

"Buonasera, Lord Alfred".

La sua voce risuonò suadente come il canto di un usignolo. Lui impiegò qualche istante di troppo a digerire quella sorpresa che non si aspettava più. Si levò impacciato come un ragazzino e sfiorò le dita che lei gli porgeva, chinandosi in un baciamano accennato.

"Mary... ", biascicò, raddrizzando di nuovo la schiena e tornando a studiarle il viso. "Non speravo di vedervi qui".

La ragazza si lasciò sfuggire una lieve risata che nascose dietro il guanto.

"E perché mai? Mi avete detto voi stesso che ogni giovedì passate il pomeriggio a scrivere in questo Caffè".

"Perché... insomma... una ragazza come voi, venire in un locale pubblico senza chaperon...".

Il viso di lei si ricompose in un'espressione compita.

"Siamo fidanzati, adesso. Ho pensato che non fosse un problema che ci vedessero in pubblico insieme".

Forse. O forse no.

Le fece cenno di prendere posto dal lato opposto del tavolino. Attese che lei raccogliesse le gonne e si sedesse con grazia prima di imitarla. Studiò ogni suo movimento cercando di coglierne ogni sfumatura.

Chissà se lei... se è davvero sincera. Chissà se lei è pura fino in fondo.

Nel momento in cui la sua mente elaborò quella considerazione, ebbe l'impressione di precipitare. Una volta pensata, non sarebbe riuscito a levarsela dalla testa. Il tarlo che lo rodeva ogni volta aveva ripreso il suo tremendo lavoro.

Eppure era sicuro, sicuro che quella volta non sarebbe accaduto. Aveva scelto Mary tra tante, l'aveva corteggiata come si conveniva, avevano seguito tutti i passaggi e, alla fine, si erano fidanzati. Lei era bella e innocente. Un fiore immacolato che avrebbe portato all'altare, mettendo finalmente a tacere tutte le voci sulla sua stranezza. Avrebbe fatto felice sua madre. Lo sapeva, perché le aveva visto brillare gli occhi dalla commozione quando le aveva dato la notizia.

Mary era perfetta. Non era come le altre.

Non doveva pensare a lei in altro modo che non fosse quello. Eppure il suo demone interiore aveva ripreso a sussurrargli nell'orecchio. Si agitò sulla sedia, si accorse di non aver ascoltato le parole che lei gli aveva rivolto.

"Vi chiedo scusa. Per un istante sono stato sopraffatto da un'idea".

Mary piegò lievemente il capo, poi annuì comprensiva.

"Non vi scusate. Siete uno scrittore e vi ammiro per questo. So che ci saranno sempre quei momenti in cui verrete rapito dalla vostra Musa, non ve ne vorrò per questo".

Senza un vero motivo, quella frase lo mise in allarme. Era sincera o lo stava solo adulando?

Tutte lo adulavano. Mostravano un volto ma ne nascondevano un altro. Il suo bell'aspetto, la sua significativa rendita e il titolo nobiliare gli avevano sempre garantito attenzioni femminili, ma non un reale affetto. Le donne erano furbe, false e interessate. Si mostravano caste come vestali, ma donavano il loro cuore e il loro corpo in segreto, secondo il loro capriccio. Anche la sua augusta madre non si curava di infangare l'onore di suo padre, offrendosi perfino a valletti e stallieri. L'aveva vista con i suoi occhi, quando aveva dieci anni, e da allora l'aveva odiata in silenzio.

"Cosa stavate scrivendo?".

Le dita di Mary scivolarono verso la penna poggiata sul tavolo e la scostarono per scoprire i fogli ammonticchiati sotto. Alfred fu lesto ad afferrarle il polso. La lasciò andare appena si rese conto della sconvenienza di quel gesto, ma afferrò la carta e la trasse a sé, nascondendo la paura con un sorriso.

"Non posso mostrarvelo ancora... non è completo".

Lei finse di ignorare la sua reazione. Socchiuse gli occhi civettuola e sospirò.

"Che peccato! Ho sempre desiderato sentirvi leggere qualche brano dei vostri scritti".

Un lampo di vivo interesse si accese negli occhi dell'uomo.

"Davvero?"

"Sì, davvero", modulò lei abbassando la voce, con una dolcezza che somigliava al profumo inebriante di certi fiori velenosi. "Posso confessarvelo adesso?"

Alfred annuì di fronte alle sue lunghe ciglia nere che si curvavano. Mary si tese verso di lui, accorciando la distanza che li teneva lontani.

"Da quando ci siamo fidanzati non faccio che pensare ad altro..."

L'uomo deglutì a fatica. Tutto in lei - i modi, la postura, il timbro della voce - aveva mutato di segno. Un brivido di eccitazione gli attraversò il corpo. Lei sembrò notarlo e non avrebbe dovuto. Una ragazza perbene non avrebbe dovuto riconoscere quei segnali. Una ragazza perbene avrebbe dovuto ritrarsi, e Mary non lo fece.

"Cosa avete pensato?", domandò, recuperando il controllo.

"Voi che mi leggete il vostro romanzo nella nostra camera da letto... o voi che lo scrivete sulla mia pelle".

Lui sgranò gli occhi. Mary scandagliò ogni millimetro del suo viso, poi rise di colpo come una bambina di fronte al suo stupore. La tensione che l'aveva sostenuta scivolò via dal suo corpo e lei tornò a sedere composta, al proprio posto.

"Non è romantico, che marito e moglie condividano così una passione?", chiese.

Alfred non rispose, troppo impegnato a domandarsi se quell'istante di pura perversione non fosse avvenuto solo nella sua mente malata. Era troppo tardi, a quel punto, per liberarsi della frenesia. Doveva scoprire se la sua immaginazione corrispondeva alla verità.

"Lo trovo molto romantico, sì", confermò con lo stesso tono intimo e delicato. "È senza dubbio un'ottima base di partenza per un'unione felice come sarà la nostra. Anzi, mi veniva da pensare...".

Prese una pausa ad arte e le lanciò un'occhiata languida e seducente, cui lei rispose con un cenno a proseguire.

"Perché non iniziare a leggere adesso? Il mio romanzo è molto, molto lungo".

Mary socchiuse le ciglia e distolse lo sguardo con fare modesto, ma il sorriso che si disegnò sul suo viso era tutt'altro che innocente. Era fremente. Lui poteva fiutarlo mentre restava in attesa della sua risposta. Una risposta che poteva cambiare tutto.

"Avete un biglietto?", gli chiese, appropriandosi della penna abbandonata sul tavolo.

Lui estrasse un cartoncino da un astuccio dorato che teneva in tasca e glielo porse. Lei scarabocchiò qualcosa, poi si levò in piedi con glaciale distacco e gli tese la mano per congedarsi.

"Questa la tengo", sussurrò suadente, chiudendo la penna e lasciandola scivolare nella scollatura.

Non gli diede il tempo di replicare e si avviò verso l'uscita.

Sul foglietto aveva segnato un indirizzo e un orario. Alfred guardò la grande pendola che troneggiava al centro di una della pareti. Avrebbe atteso ancora un po', poi avrebbe chiesto una carrozza. Sarebbe andato in giro per Londra, facendosi vedere di fronte a qualche teatro o a qualche circolo, poi sarebbe andato da lei.

Affondò la mano nella tasca e si sentì rassicurato. Carezzò l'intreccio della corda che portava sempre con sé e chiuse gli occhi, cercando di afferrare di nuovo quell'odore di fiore esotico.

***

Londra era scura e bagnata anche quella notte. La fioca luce dei lampioni rischiarava appena la bruma attorno e si rifletteva su pozzanghere nere d'inchiostro. Lontano dal teatro, nella strada pietrosa che stavano attraversando non c'erano altre carrozze.

Il cocchiere si fermò di fronte a una villetta elegante, ma dall'aspetto dismesso.

Alfred scese, pagò la corsa, poi salì i gradini fino alla porta e tirò il campanello. Quando l'uscio si aprì, una stretta lampada ad olio illuminò gli occhi chiari e il sorriso di Mary.

"Avete portato il vostro romanzo?"

Lui annuì e la ragazza lo fece entrare. Chiuse il battente alle sue spalle, lo aiutò a liberarsi del mantello e lo indirizzò lungo il corridoio. L'uomo si guardò attorno con fare circospetto. Sulle pareti i quadri erano coperti da lenzuola, così come le statue che si intuivano sopra le eleganti colonnine che introducevano al salotto. Lì un tripudio di candele gli permise di vedere l'elegante linea nera di un pianoforte, un sofà di velluto porpora e un tavolino sul quale erano stati disposti dei calici e del vino.

"Chi abita in questa casa?"

"Chi abitava", lo corresse Mary. "Alcuni amici di famiglia che si sono appena trasferiti a Bath. La figlia si è innamorata di un mascalzone ed è fuggita con lui. La madre si è ammalata per il dispiacere e hanno deciso di andare via da Londra per un po'... una brutta storia".

"E voi? Come avete fatto a organizzare tutto questo?"

"Maman non sta bene da qualche giorno, ha la febbre. Le ho detto che andavo a teatro con Emily Carlson, la mia damigella. È un'amica". 

Abbassò il tono della voce, si appoggiò languidamente contro il pianoforte.

"Abbiamo un paio d'ore tutte per noi... per leggere".

"Per leggere, sì", la assecondò.

Si era fermato a un passo da lei e la ragazza non era indietreggiata. Al contrario, si reggeva spavalda al bordo di legno. Gli si stava offrendo.

"Mary, non dovreste badare di più alla vostra dignità?"

"Tra due mesi saremo marito e moglie, che cambia? Io vi ho amato dal primo istante in cui vi ho visto. Sarò comunque vostra, e vostra soltanto".

Lui le studiò il viso con interesse. Sentì di nuovo quell'odore di fiori che gli faceva girare la testa, inebriante, irresistibile. Marcio.

Lasciò scivolare le dita in tasca, a cercare il laccio. Gli bastava pensare ai colori variegati di cui era composto, dall'oro più puro al rosso al castano, per eccitarsi. I colori dei loro capelli. Si spinse ancor più vicino a lei, a sfiorarle il corpo con il proprio, e le cinse la vita con le mani

"Si non caste, tamen caute?", mormorò, sfiorandole l'orecchio con le labbra

"Che significa?"

"Se non in maniera casta, almeno senza scandalo".

Le sue labbra scesero sul collo. Baciò il punto pulsante della gola, arroventato dal calore del sangue che pompava sempre più rapido man mano che le sue mani iniziavano a carezzarla. Mary chiuse gli occhi, gettò la testa indietro e si espose ancor di più.

"Non è così che fan tutte?"

Lasciva. Lo era la sua voce, lo era la sua frase, lo era lei. Era come tutte le altre.

"Sì, è proprio così..."

La frenesia, quella che conosceva, che aveva già sperimentato altre volte, si impadronì di lui. I baci sulla gola divennero quasi morsi, mentre nella sua testa Alfred vedeva solo il momento in cui quella carne bianca sarebbe stata stretta dal suo laccio fino a diventare livida e poi sanguinare. Fino all'ultimo respiro.

Mary iniziò ad agitarsi e lo allontanò da sé. Lui glielo concesse. Non gli piaceva avere fretta.

La ragazza scivolò via dal suo abbraccio, si accostò al tavolino e afferrò un bicchiere.

"Permettetemi di bere un sorso... sono nervosa", ansimò.

Lui sorrise, le si avvicinò e cercò il contatto con la sua schiena.

"È normale...", mormorò insinuante, baciandole la spalla. "Se è davvero la prima volta che vi trovate sola con un uomo".

Lei decise di ignorare quelle parole. Gli porse l'altro calice e si girò tra le sue braccia, cercandogli gli occhi.

"Brindiamo a questa notte", propose.

"A questa notte".

Mary vuotò il bicchiere tutto d'un fiato, come a darsi coraggio. Alfred rise e la imitò.

Gli occhi di lei brillarono alla luce delle candele quando, con mano tremante, cominciò a spogliarlo. Concentrandosi sui bottoni, Alfred poteva vedere la linea del suo collo sottile. Strinse il laccio e lo estrasse dalla tasca. Risalì con le dita fino alla nuca, tese la corda e, in quel gesto, ogni forma di lucidità in lui si spense.

***

Aprì gli occhi e la luce della candela lo colpì con violenza. Provò a parlare, ma la lingua sembrava incollata al palato. Era confuso, non riusciva a distinguere la realtà dal delirio. La pesantezza che avvertiva agli arti gli impediva di muoversi. Il petto gli bruciava intensamente, ma non sentiva più le mani. Non riuscire ad alleviare il prurito non faceva che acuire quello strazio. Si sforzò di sollevare il capo: era nudo fino alla cintola e, sulla sua pelle candida, campeggiava un ghirigoro di macchie rosso sangue.

A quella vista, Alfred cominciò a dimenarsi. Dalla gola uscì un urlo rauco che si spense quasi subito. Ciò che più gli stava facendo perdere la testa era la consapevolezza che avrebbe dovuto sentire molto più dolore di quanto in realtà non ne percepisse. Si placò solo quando avvertì un peso gravargli sul basso ventre. La chioma nera di Mary invase il suo campo visivo, assieme al suo viso e ai suoi occhi.

"Mi sono presa la libertà di scrivere io sul tuo corpo", sibilò con voce fredda.

Sollevò tra le dita la penna che gli aveva preso al Caffè. Il pennino, che sembrava più affilato del solito, stillò una goccia porpora. Mary poggiò la mano sinistra sotto il suo costato e, con la destra, riprese a incidere lettere sulla sua carne dolorante.

"Sai cosa sono questi?", domandò con una risatina.

Alfred tentò, con uno strattone, di liberarsi ancora una volta. Mary si mosse agilmente sopra di lui, si tese di lato ad afferrare un oggetto che posizionò sopra la sua faccia contratta dagli spasmi. Era uno specchio da toletta. Sulla superficie lucida, Alfred riuscì infine a dare un senso ai segni che aveva addosso.

"Mary Ann, Catherine, Sybyl...", mugugnò.

"E Jane", aggiunse Mary, mentre completava con lentezza e precisione chirurgica la curva della e.

Alfred lanciò un grido straziante e lei sorrise in risposta.

"Jane Brandon", specificò. "Brandon. Il nome di mia madre prima di sposarsi. Ma tu non hai pensato nemmeno di cercarlo. E questa è la loro casa. La casa di Jane. Non l'avevi mai vista, vero? Perché lei era così innamorata di te da averla lasciata per seguirti, per venire da te, nel tuo sporco appartamentino fuori dai quartieri perbene. Quello dove te la spassavi con lei. Quello dove l'hai sgozzata e le hai strappato il cuore".

Mary si chinò fino a sfiorargli il viso. Gli occhi di Alfred, iniettati di sangue, erano quelli della bestia che lei odiava.

"Tu sei solo un mostro", sospirò a un palmo dalla sua bocca.

Lui si sforzò di ghignarle contro.

"Anche tu!", ringhiò.

"Può darsi, ma non ha più importanza".

Si drizzò sulla schiena, a dominarlo dall'alto, e sorrise. Il veleno si era fatto strada nel corpo fino a paralizzarlo.

"Che ironia! Ucciso da una... belladonna".

Percorse lettera per lettera i nomi incisi al contrario. Non aveva messo il punto. Con un ultimo colpo di penna ben assestato, concluse la frase.

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CURIOSITÀ 

Atropos è il nome greco di Atropo, una delle tre Moire (o Parche). Era la più anziana delle tre sorelle, colei che teneva in mano le cesoie con cui recideva il filo della vita, decretando il momento della morte di una persona. 

Da questa figura mitologica deriva il nome scientifico della belladonna, Atropa Belladonna appunto, assegnatole proprio per ricordare gli effetti mortali delle sue bacche velenose.

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