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Capitolo 8


Non c'è niente di costante tranne il cambiamento

Buddha

Henry aveva il cuore in gola e lo stomaco in subbuglio da quella mattina e non era solo per il post sbornia. Aveva evitato il valletto per tutto il giorno cercando di non risultare sgarbato con la sua improvvisa latitanza e freddezza, ma doveva pensare. Quello che era successo il giorno prima e quella notte stessa, aveva bisogno di essere spiegato ma aveva paura. Paura che Jake avesse cambiato idea, paura che si fosse pentito di tutto: di averlo aiutato, di averlo difeso, di averlo baciato. Aveva una paura dannata che lo considerasse solo un capriccio di un bambino troppo viziato, paura che quella sensazione tanto bella che aveva provato quella notte non sarebbe mai più tornata. Aveva discusso abbondantemente con suo padre e aveva dovuto anche sorbirsi le lamentele stridule della madre, che non sembrava avere la ben che minima intenzione di sorvolare sul suo comportamento del giorno prima dai Wilkinson e della sua scortesia nell'andarsene prima di avere anche solo accettato il tè del pomeriggio. Sopportarla non era stato facile con la testa che gli esplodeva e la mente altrove.
«Tu forse non ti rendi conto di quello che hai fatto, lasciare in quel modo la casa dei Wilkinson, andartene come un ladro di nascosto a Notthingam senza valletto al seguito!»
Henry era seduto un po' scomposto e quasi scocciato con una caviglia poggiata sul ginocchio, sul divano di broccato verde acqua decorato con motivi cashmere al centro del salotto nella parte sud di Harlaxton Manor. Non ne poteva più dei discorsi della Contessa che vestita in rosa pallido, stava in piedi accanto alla finestra indignata senza neanche guardarlo continuando a sbraitare e blaterare su buone maniere ed educazione. Suo padre dal lato opposto della stanza invece cercava di fingersi interessato ad un quadro che ritraeva Sua Maestà Re Giorgio V, e pareva invecchiato di trent'anni mentre sorseggiava già alle quattro del pomeriggio Brandy e Ginger Ale bagnandosi appena i baffi a manubrio ormai grigi che si muovevano su e giù seguendo la testa per calcare un segno di assenso ai discorsi della moglie.
«Non sei più uno studente adesso, dovresti crescere, prenderti le tue responsabilità e smetterla con i capricci. Lady Elizabeth si aspettava qualcosa da te ieri, ma tu ai voluto a tutti i costi che quel...ragazzo, quel valletto fosse sempre con te, non gli hai dato modo di mostrarti quello che doveva e quello che voleva.»
Henry non ci vide più, non poteva più sopportare quei discorsi senza intervenire, soprattutto se pensava che la madre pur di infierire su di lui avrebbe tirato in ballo anche persone che non c'entravano niente, tipo Jake.
«Che cosa madre? Cosa doveva mostrarmi Lady Elizabeth ieri? Che ha finalmente imparato a ricamare? Che è riuscita a non annoiarsi leggendo Hoffmann, che ha finalmente trovato un profumo che gli si addice?»
«Henry non osare!»
«Oh io oso madre, oso perché non ho scelto io quella ragazza lo avete fatto voi per me e al momento questo è tutto ciò che posso dargli, non di più. Forse in estate sarà diverso, forse quando Edmund mi avrà mostrato quanto è in gamba nel commercio mi convincerò che non potrò davvero mai essere alla sua altezza e così saprò che la mia unica qualità nella vita è veramente quella di prendere moglie e gestire la scuderia di questo posto.»
L'aria si fece pesante a quelle parole dette con rabbia e una frustrazione inaudita. Milady pareva sconvolta, ma non intervenne perché Milord si voltò e ancora con il bicchiere in mano e il panciotto che gli stringeva lo stomaco prominente guardò Henry in modo glaciale prima che continuasse, facendolo tacere all'istante.«Tuo fratello tornerà tra poco più di un mese. Sai che ha degli affari a cui non può rinunciare. Lui ci sta rendendo molto fieri.»
Il tono era fermo e austero, non accettava repliche.

Henry distolse lo sguardo dal padre per guardare fuori e cercare di ricacciare indietro un groppo che gli si stava formando in gola dopo lo sfogo necessario secondo lui, ma probabilmente vano. Sapeva che quella dose di ammonimento e rimprovero anche se imbottito di pacatezza, non era finita.
«Tuo fratello sta creando un impero dal quale anche tu stai traendo vantaggio. Lui è il legittimo erede e in quanto tale ha potuto avere questo privilegio. Al suo ritorno dovremmo annunciare il suo matrimonio che si terrà la prossima primavera, deve fare il suo dovere e darci un erede maschio.»
Ancora una volta Henry era secondo, ancora una volta suo fratello avrebbe fatto meglio di lui, ancora una volta avrebbe fatto tutti contenti e invece lui li avrebbe delusi.
«Tu hai solo questa occasione Henry, cercare anche tu di darmi un nipote sano che possa portare alto il cognome degli Stafford e gestire questo posto. Non ti viene chiesto nulla di più, ma tu invece vuoi fare di testa tua. Ti abbiamo fatto studiare ad Oxford anche se eravamo contrari, ti abbiamo concesso controvoglia di ospitare qui dei tuoi conoscenti che potevano infangare il nostro nome viste le loro idee rivoluzionarie e chissà che altro. Ti abbiamo permesso di non presentarti a qualche festa a cui avresti dovuto prendere onestamente parte per la tua reputazione, solo perché eri indisposto. Ti abbiamo accettato nei tuoi abiti fin troppo simili ad un qualsiasi borghese di Londra. Ma adesso basta. Non possiamo più sopportare tutto questo. Tu sposerai Lady Elizabeth a Dicembre diventando un buon marito e il sovrintendente di Harlaxton Manor sotto la mia supervisione fin quando il buon Dio me la concederà.»Henry aveva voltato il viso verso suo padre che ora lo guardava serio in un modo che il giovane Conte aveva visto poche volte ma che sapeva bene cosa significava. Suo padre non si sarebbe mai piegato a nulla, e se lui diceva una cosa, quella era. Sul suo matrimonio non si era mai imposto troppo , così che aveva sempre sperato di poter far rinunciare Milady rimandando l'inevitabile, ma adesso no. Adesso non poteva più rimandare, era in trappola, Milord aveva deciso e così sarebbe stato, nessuno ostacolava gli Stafford. Qualunque cosa fosse stata anche minimamente diversa da come volevano loro era da eliminare, da abbattere come un povero cavallo che non serve più a nulla e non ti fa più guadagnare neanche una sterlina alle corse, solo perché si è slogato una caviglia.«Sono stato abbastanza chiaro Henry? Rispondimi!»
Milord quasi urlò nel richiamargli lo sguardo su di se che si era di nuovo perso nei meandri dei suoi pensieri pesanti che non riusciva a tenere a bada.
«Sì padre, sei stato chiaro.»
E con poca pazienza si alzò dal divano emettendo un flebile «Con permesso.» Congedandosi dai genitori. Non gli avrebbe permesso di lasciare che lo vedessero in lacrime, quello non glielo avrebbe concesso. Non si cambiò neanche, sapeva avrebbe dovuto chiamare Jake per farsi aiutare a indossare la divisa da equitazione ma non voleva vedere nessuno in quel momento men che meno lui, non voleva certo sputargli la sua rabbia contro perché sapeva che sarebbe successo si conosceva troppo bene. Così si diresse nelle scuderie con il completo da pranzo ancora addosso stirato e pulito, non gli importava. Il vento fresco di primavera sembrava non bastargli più, doveva sentirlo che gli sferzava il viso. Cavalcò fino a Little Ponton, dove poi fece riposare Eighteen il suo stallone purosangue Inglese dal manto ebano. Le lacrime calde che gli avevano fatto compagnia durante il breve viaggio, si placarono solo dopo aver urlato contro se stesso e contro il fiume una volta sceso da cavallo. Non avrebbe mai potuto essere se stesso, non in quella vita, non in quel tempo, forse mai. Avrebbe dovuto fare i conti con la realtà, ma non ci riusciva. Per lui era sempre stato estremamente difficile omologarsi a quell'alta nobiltà di cui faceva parte, quella stessa nobiltà che non prevedeva opinioni diverse scambi d'idee pacifiche o discussioni costruttive. Non c'era tempo per i libri, per le passioni per il romanticismo, c'erano solo gli affari, la politica e i matrimoni di convenienza. Non aveva mai avuto un gran rapporto con il fratello, più grande di lui di sette anni. Edmund era sempre stato quello giusto in tutto. Sempre puntuale, sempre impeccabile un perfetto gentiluomo, un grande ammaliatore e un falso di prima categoria. Fin da bambino riusciva a tenere il punto perfino con il suo insegnante privato a cui metteva i piedi in testa, sostenendo che il legittimo erede di un Conte avrebbe meritato di meglio. Aveva sempre goduto nel far valere il suo diritto di nascita e se ne approfittava. Anche negli affari era così, si era sempre interessato di politica estera e la sua ossessione per il controllo di alcuni commerci nelle Colonie in India aveva sì reso fiero suo padre ma aveva reso estremamente meschino se stesso, anzi forse si andava addirittura oltre la meschinità. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non deludere Milord, e se questo comportava mettersi contro altre famiglie d'Inghilterra con strategie ben calcolate e studiate per colpire e affondare, a lui non importava, lo avrebbe fatto lo stesso. Erano gli opposti precisi, Henry non ricordava una volta che suo fratello avesse avuto una buona parola per lui, non ricordava un abbraccio, una stretta di mano, non ricordava nulla che Edmund non avesse fatto perché doveva impressionare gli altri o perché l'etichetta glielo imponeva. Forse aveva preso troppo dalla madre, lei pensava solo alle apparenze, lui pensava solo a se stesso e alla ricchezza. Henry era sempre stato la sua spina nel fianco, anche se non era il futuro Conte in linea di successione, Edmund sapeva che alla morte del padre avrebbe dovuto dividere il suo patrimonio anche con lui, e questo gli dava alla testa. Lo aveva sempre appellato con le peggiori parole e i più squallidi aggettivi ogni qual volta tornava da uno dei suoi viaggi, sperando sempre di non doverlo avere troppo tra i piedi o di doverci condividere troppo le giornate. L'aggettivo che era stato usato per lui e che gli aveva fatto più male, era stato detto due anni prima durante la festa di Natale che ogni anno suo padre teneva maestosa e piena di lusso proprio ad Harlaxton. Sulla soglia dell'ufficio del Conte aveva sentito Edmund e suo padre parlare, aveva esitato ad entrare, solo un istante, ma lo aveva sentito bene, le parole che aveva usato erano state «Quel piantagrane sodomita rivoluzionario.»
Il Conte a sentir chiamare così il figlio secondogenito non era intervenuto e questo per lui fu un altro duro colpo da affrontare. Rispose solo che probabilmente Henry stava frequentando compagnie sbagliate ad Oxford e che avrebbe fatto qualcosa perché smettesse subito di dare delle impressioni sbagliate. Solo dopo mesi capì fino a che punto poteva arrivare il Conte di Harlaxton sotto l'influenza del figlio erede e della moglie arrivista. Henry era profondamente deluso da tutto quello e quindi si era chiuso ancora di più in se stesso, rendendo la vita impossibile a tutti e diventando il giovane Conte più viziato e sregolato d'Inghilterra. Ma poi qualcosa all'improvviso era cambiato, non aveva ancora ben chiaro il quadro generale ma poteva cambiare ancora. Tornò dopo un bel po' alla Tenuta con una consapevolezza nuova dentro di se, una scintilla che anche se piccola bruciava viva. Costeggiò il fiume riscendendo da Grantham, ma non si presentò mai per la cena, doveva comunque tenere il punto con Milord e Milady finché suo fratello non avesse fatto il suo ingresso trionfale ad Harlaxton, poi forse sarebbe potuto finalmente esplodere come un fuoco d'artificio.


***


Erano le dieci passate, dormivano quasi tutti tranne lui ma dopo quella lunga e intensa giornata almeno una sola e singola cosa sperava che potesse andare per il verso giusto. Arrivando nel downstairs senza farsi vedere il giovane Conte cercò di orientarsi e trovò la parte degli alloggi del personale con estrema facilità, era tanto che non si recava lì sotto e non di certo da quella parte di corridoio, era leggermente spaesato. Aveva il suo libro in mano, lo teneva stretto tra le dita cercando di calmare il respiro e l'euforia, i battiti del cuore e i pensieri, fallendo miseramente. Non aveva alcun diritto di stare lì, il panico gli stava quasi salendo erano gli alloggi privati del personale e lui aveva un intera casa nella quale stare perché doveva aggirarsi proprio la sotto? Ma in quella grande casa non c'era la persona che stava cercando e invece lì sotto l'avrebbe trovata. Era ormai determinato, aveva deciso di tentare non poteva esitare. Improvvisamente gli venne un tuffo al cuore, una delle porte si aprì e fece uscire qualcuno. Connor che mezzo assonnato si strofinava un occhio mentre richiudeva la porta alla sue spalle, voltandosi verso l'uscita rimase fermo vedendo in mezzo al corridoio Henry in pigiama, vestaglia da notte di seta e pantofole con un libro in mano. Si riscosse immediatamente.«Buonasera Signore, le serve qualcosa?»
Henry pareva aver perso ogni spavalderia ogni arroganza, non si era mai sentito così vulnerabile e nudo soprattutto nei confronti del personale. Boccheggiò appena e poi guardandosi intorno cercò di formulare una frase.
«Io...beh. In realtà stavo cercando...»
Gesticolava e si guardava intorno non riusciva a nascondere il nervosismo che gli si leggeva palese in faccia. Connor capì subito quale fosse l'intento del giovane Conte, non era stupido e tanto meno cieco, ma non lo aveva mai visto imbarazzato e quasi rosso in viso così per non metterlo ancora di più a disagio, perché non sarebbe stato certo professionale, tentò.
«Posso chiamarle il Signor Scott?»
Henry s'immobilizzo ancora di più sentendo quel nome e abbassò la testa ancora più in imbarazzo, Connor a bassa voce senza farsi sentire continuò.
«Venga.»
Con un gesto della mano si fece seguire da Henry che non esitò neanche un istante. Attraversarono una porta secondaria in mezzo al corridoio che divideva due ambienti e il cameriere questa volta senza parlare indicò al giovane Conte una porta sulla sinistra in fondo. Henry sorrise ancora nel disagio che tutta quella situazione che pareva assurda aveva raggiunto, poi avanzò di un passo lasciandosi Connor alle spalle che provò a richiudere la porta dietro di se, ma fu fermato.
«Connor io...»
«Non dirò niente Signore.»
Henry sembrò sollevato e sorpreso insieme da tutta quella gentilezza. Mai poteva immaginarlo anche se sapeva che i ragazzi del personale erano molto alla mano e gioviali, li aveva osservati nelle loro ore libere dal servizio aveva sempre invidiato la loro complicità, gli sembrò per un attimo di farne parte, anche se quando poteva faceva lo stronzo senza remore.
«Grazie!»
Lo ringraziò con sguardo sincero, quello ricambiò con un gesto che sapeva d'inchino e lo fece ancora sorridere mentre finalmente si congedava lasciandolo solo. Sulla porta il nome Jake Scott era stato scritto in una calligrafia morbida su un foglietto di carta che poi era stato inserito dentro una targhetta dorata. Henry tremava tantissimo e si tirava indietro i capelli ricci in gesti sempre più nervosi. Come gli era saltato in mente ma cosa aveva in testa? Forse non era davvero una buona idea, forse doveva solo fare i conti con la sua vita e andarsene da quel corridoio, rassegnarsi ad oblio e bugie, prendere moglie riallacciare i rapporti mai avuti con il padre, fare figli. Ma non ne era convinto, mai lo era stato e dopo la sera prima e quella giornata passata a rimuginare in riva ad un ruscello lo era ancora meno. Doveva provarci perché sapeva che non avrebbe dormito quella notte e neanche quella dopo ancora se non lo avesse fatto. Doveva scusarsi in qualche modo, doveva per forza, almeno con lui. Voleva dimostrare a qualcuno che poteva essere una persona diversa e quel qualcuno in quel momento della sua vita voleva che fosse il suo valletto personale che non conosceva minimamente ma che sognava due giorni sì è uno no, quindi bussò piano sospirando.
Attese appena qualche secondo poi la porta si aprì. Jake si stropicciava un occhio e l'altro era mezzo chiuso, era scalzo e indossava degli strani pantaloni beige che si stringevano al polpaccio ma poi rimanevano larghi sulle cosce e gli fasciavano la vita. Il petto era nudo e il suo addome ben definito, in mezzo ad esso ricadeva anche una singolare collana che gli pendeva dal collo formata da tante palline circolari di legno chiaro una vicina all'altra che finivano con un piccolo pennacchio fatto da tanti fili legati insieme del colore del tramonto, tra l'arancione il rosso e il rosa. Il valletto realizzando chi aveva davanti si fece uscire una piccola imprecazione e richiuse subito la porta. Henry rimase interdetto, da tutto in effetti. Dal suo abbigliamento, dal fatto che fosse mezzo nudo e questo non lo aiutava di certo, e dal fatto che gli aveva appena chiuso la porta in faccia con un'esclamazione poco velata.
Rimase ancora un attimo davanti la porta chiusa sentendo armeggiare veloce al suo interno, poi scuotendo tra se la testa fece per voltarsi e andarsene, ma la porta si aprì di nuovo mostrando Jake questa volta coperto da una vestaglia scura.
«Signore mi perdoni, sono desolato!»
Henry voleva parlare ma non gli uscirono suoni dalla bocca, era una delle poche volte in cui rimaneva senza parole.
«Tutto bene, le serve qualcosa?»
Jake non capiva più niente ed era palesemente confuso, non credeva che una cosa come quella sarebbe mai potuta accadere. Credeva fosse Connor alla porta o qualcuno dei ragazzi che rientravano più tardi del solito e magari volevano solo delle sigarette, ma non credeva di vedere Henry, no di certo, non lì e non in quel momento.
«Mi perdoni lei Scott io...»
Harry sulla soglia immobile pareva imbarazzato lo sguardo era basso ma gli occhi erano comunque luminosi, non poteva nasconderli anche volendo.
«No! Si figuri non c'è problema.»
«Non avrei dovuto disturbarla io, mi perdoni...»
Fece per girare i tacchi ma poi, la mano di Jake gli afferrò il polso, delicata ma decisa, la sua pelle scottò al contatto.
«Ti prego.» disse il castano a bassa voce «Non andare, entra.»Improvvisamente il suo tono era cambiato, il lei era nuovamente scomparso, la sua voce era dolce e sembrava quasi trascinarlo con se, il riccio non si trattenne e lo seguì.
«Scusami io non aspettavo visite.»
Jake si guardò intorno quasi desolato dal caos che aveva in quella stanza, anche se in realtà non era chissà che cosa pensò Henry ricordando bene in che sorta di condizioni Jake aveva visto la sua più di una volta. Il castano comunque si apprestò svelto a rassettare. Tolse un paio di libri dal letto, una sorta di piccolo tappeto damascato dal pavimento e appese decentemente la sua camicia da lavoro all'appendiabiti in mogano che stava di fianco al comò.
«Non c'è problema sono io che non avrei dovuto, insomma...»Henry era decisamente in imbarazzo con la porta alle spalle teneva stretto il libro concentrandosi sulla presa e non su Jake che si era appena coperto il petto, anche se non molto bene a giudicare come continuava a contrarsi nei movimenti lasciando intravedere tutto al riccio che non sapeva più dove indirizzare lo sguardo.
«No è solo che non me lo aspettavo ecco tutto, mi hai evitato per tutto il giorno e credevo...»
«Non è per te, sono venuto a scusarmi in effetti.»
Il valletto lo guardò allora e facendogli segno di accomodarsi sulla sedia che era abbandonata solitaria tra comò e armadio, gli sorrise. Si era chiesto per tutto il giorno quale sarebbe stato il suo destino dopo quella notte in effetti, era anche pronto a fare le valigie in realtà, ma non era andata così e anzi nessuno si era lamentato con lui o aveva fatto capire che c'era qualcosa che non andasse. Al contrario il Signor Wood lo aveva ringraziato più volte per i suoi servizi della sera precedente, così lui aveva semplicemente scordato tutto e aveva fatto il suo lavoro, ma aveva mentito a se stesso, perché scordare quello che era successo era praticamente impossibile. La stanza era illuminata solo da una lampada ad olio che Jake aveva come arredo e da una candela chiara e grande che si stava struggendo lenta sul mobile scuro. La sua fiamma era piccola e tremolava, quasi che in quella stanza ci fosse un vento che soffiava leggero. Il silenzio che si era creato non era imbarazzante forse più disteso, rilassato, ma Henry al contrario era nervoso e non riusciva a stare fermo, così si alzò di nuovo, facendo alzare anche Jake di rimando, che nel frattempo si era appoggiato al letto, se non altro per galanteria.
«Scusami è che...» disse Henry prendendo un profondo respiro «Ieri sono stato un idiota, perdonami ti ho trattato male, beh in effetti non solo ieri ma comunque...devo davvero scusarmi. Sei stato molto gentile ad accompagnarmi in camera evitandomi una strigliata da parte di mio padre in piena notte, mi hai difeso ti sei quasi immischiato in una rissa, ti sei ferito, mi hai visto vomitare, io...sono molto imbarazzato per tutto questo e volevo davvero solo ringraziarti.»
Lo sputò fuori tutto d'un fiato a bassa voce, mantenendo il tono flebile che aveva sentito usare dal castano poco prima, probabilmente per non disturbare nessuno.
«E' il mio dovere Henry, non c'è problema.»
«Il problema c'è Jake»
La sua voce tornò fredda e si alzò appena.
«Sssh ti prego, non fare rumore, finirò nei guai se ti trovano qui!» Disse piano mettendosi un dito davanti alla bocca e unendo le mani in una muta supplica.
«Oh Cristo scusami! Hai ragione, io, io è meglio che vada, volevo solo...»
«No!»
Uscì quasi come un piccolo grido anche questo. Entrambi spalancarono gli occhi e guardandosi si misero all'unisono una mano sulla bocca, soffocando un eccesso di riso spontaneo.
«Sssh dobbiamo fare piano!»
Disse Jake mentre ancora rideva e fece nuovamente segno all'altro di accomodarsi sulla sedia. Ma Henry non esitò oltre e senza vergogna ma con uno slancio folle si sedette accanto a lui sul letto.«Mi dispiace molto di averti procurato tante rogne in questo ultimo mese. Io non sono sempre così...»
«Viziato?»
Osò Jake facendo voltare il riccio che gli sorrise mostrandogli una profonda fossetta sul lato destro del viso, proprio in mezzo alla guancia, una delle cose che il valletto si era accorto di adorare del suo viso.
«No quello lo sono proprio sempre sì.»
Affermò ancora ridendo.
«Volevo dire, così insopportabile.»

Jake non disse ancora nulla, guardava il giovane Conte accanto a se, che teneva la testa china sul libro che aveva portato come palese pretesto e si scusava con lui sembrando davvero sincero.
«Non so cosa mi succede, cioè lo so in effetti ma non avevo mai sentito tutto questo, tu mi metti a disagio Jake, ecco qual è il problema.»
Il castano lo guardò ancora, avvicinandosi di più al riccio così che le loro cosce adesso collidevano insieme. Jake era ancora scalzo e i suoi polpacci si vedevano ben definiti lasciati scoperti dai pantaloni. Henry nel suo pigiama lungo a righe viola e nere tremò appena a quel contatto. Sembrava che il valletto avesse davvero intenzione di metterlo a disagio, con quei gesti e quel silenzio.
«Non ho mai incontrato qualcuno così poco leggibile, io non riesco in alcun modo a capirti...forse un po', mi pare in alcuni momenti ma poi...»
Le guance di Henry diventarono subito leggermente rosse quando Jake mise una mano sul suo ginocchio facendolo voltare verso di sé.
«Poteva richiedere un altro valletto Signore.» disse serio incollando lo sguardo a quello dell'altro che rimase in silenzio.
Quel tornare a chiamarlo in quel modo, nel bel mezzo di una discussione che lo stava rendendo vulnerabile gli provocò un brivido di eccitazione lungo tutta la schiena.
«Il Signor Wood avrebbe trovato qualcun altro per soddisfare le sue esigenze.»
Continuò poi ancora guardandolo mentre si avvicinava sempre di più al suo viso e la sua mano adesso si stava spostando a metà coscia facendolo irrigidire. Henry deglutì a quelle parole. Mio Dio quante volte le aveva sentite nel suo cervello, in momenti poco consoni e molto intimi. Era tutto difficile in quel momento, sembrava quasi faticoso, stava per entrare in affanno, troppe sensazioni si susseguivano. Poi prese coraggio. «No...» Disse piano scuotendo la testa. «Mi va bene lei Signor Scott.»
Jake gli rivolse un sorriso sghembo e si leccò piano le labbra, in un chiaro segno che lasciò Henry senza fiato. Quel sorriso, quanto gli piaceva così assolutamente furbo e indecifrabile, irresistibile e contagioso. Il valletto poi si alzò e prese delicatamente il libro dalle mani del riccio posandolo sul comodino accanto al letto. Henry gli vide bene il petto adesso, la vestaglia si era slacciata ormai e Jake non sembrava volersi ricoprire. Molte volte il giovane Conte si era accorto che il castano faceva dei piccoli gesti quasi strani per un Inglese e il suo abbigliamento in quel momento certo era una di quelle cose strane. Non sembrava imbarazzato dalle nudità di certe parti del corpo, non pareva notare che certe volte i suoi capelli non erano perfettamente composti. Non portava nessun orologio come si conveniva per il personale di servizio, faceva una smorfia strana ogni volta che il riccio gli chiedeva una tazza di tè. Aveva la strana abitudine di muovere le labbra in silenzio tra se come se stesse recitando qualcosa quando era concentrato. Tutte queste piccole cose si rese conto Henry, di non averle mai viste in nessun altro, perché non si era mai davvero preso il tempo e l'interesse di guardare nessun altro così in effetti. Ma con Jake era diverso, lo guardava e riguardava anche quando lui credeva di non essere visto, quel giovane uomo lo incuriosiva ed era come una calamita per i suoi occhi. Il giovane Conte era immobile non voleva che tutto quello, tutte quelle attenzioni finissero ma allo stesso tempo ne aveva timore, i gesti dell'altro erano così pacati, precisi, come li aveva sempre visti ma mai sentiti davvero sulla sua pelle. Le sue dita sicure si muovevano sempre svelte senza esitazioni e in quel momento non fu diverso. Jake gli si mise davanti fermo, Henry alzò la testa per osservarlo. Gli occhi verdi del riccio brillavano così tanto che Jake non poté resistere oltre. Era tutto incredibilmente sbagliato lo sapeva bene ma non poteva farne a meno, quell'istinto che mai lo aveva tradito insisteva e Jake doveva ascoltarlo. Si tolse la vestaglia rimanendo a petto nudo con il mala a ricadergli fino all'ombelico dove un lieve strato di peluria scura gli ricopriva una piccola striscia del bassoventre che spariva all'interno degli strani pantaloni che indossava.
«Se vuoi che mi fermi dimmelo.»
Con quella frase incatenò ancora gli occhi di Henry ai suoi, e li vide brillare ancora e ancora accendendosi improvvisamente di desiderio, di conferma. Jake non aveva mezze misure, sapeva che quel momento così perfetto non si sarebbe mai più ripresentato, non per molto tempo almeno e volle osare come amava fare. Era troppo che bramava quel ragazzo, non gli era in alcun modo indifferente e il suo cuore batteva più del dovuto. Non se lo sarebbe mai immaginato ma stava succedendo. Il giovane Conte gli sorrise e annuì piano, senza parlare. Non era quello il momento, non era quello l'attimo delle spiegazioni. Henry non si era neanche reso conto di non aver detto nulla neanche una parola, gli sembrava di star parlando con il pensiero e gli pareva tutto assurdamente perfetto. Jake s'inginocchiò davanti al riccio, gli sfilò piano le pantofole una alla volta in gesti lenti e composti, concentrati, donandogli tutta quella reverenza che aveva anche mentre lavorava. Cullandolo dolcemente, accompagnandolo piano in quei gesti sicuri. Non sapeva cosa stava davvero facendo, ma lo voleva ad ogni costo, sembrava una necessità e non voleva pensare alle conseguenze, non in quel momento. Henry era completamente fuori controllo, deglutiva senza sapere più come si facesse a respirare, cercava di tenersi calmo ma non ci riusciva, non sapeva cosa stava per succedere o forse sì e si stava chiedendo solo se tutto quello fosse reale o meno, non riusciva a capire. Vedeva le spalle del liscio che si contraevano mentre le mani gli salirono sui fianchi e poi arrivarono all'ultimo bottone della camicia da notte, in corrispondenza del suo bacino. Le mani del castano erano bollenti o così gli sembravano, era la sua pelle che bruciava, sotto la punta delle dita dell'altro si sentiva ustionare ad ogni contatto. Iniziò a tremare mentre Jake sbottonava piano l'indumento, sempre guardandolo non distogliendo mai gli occhi bellissimi dai suoi che si stava godendo. Il liscio sentì un fremito forte provenire dal corpo dell'altro e si fermò all'improvviso. Henry non capì, fu quasi smarrito all'inizio da quell'interruzione.
«Henry se non vuoi...»
«No ti prego...»
Mise una delle sue mani su quella dell'altro che ancora teneva insieme un lembo della camicia, come a spronarlo a continuare.

«Ti prego continua, è solo che...»
Jake sganciò anche l'ultimo bottone vicino alla gola di Henry e gli mise una mano calda tra spalla e collo all'interno dell'indumento che fece scivolare da una spalla. Si avvicinò al suo orecchio piano, i capelli più corti sui lati scoprivano il suo profilo che Henry guardava da un lato estasiato avvicinarsi nello stesso punto della sera prima in cui lo aveva annusato.
«Farò solo quello che vorrai.»
Sussurrò Jake al suo orecchio provocandogli un brivido così forte da farlo spingere in avanti come a volere più contatto. La pelle d'oca adesso era ovunque e Jake continuò tenendolo a sé, stringendolo appena di più e lasciandogli un bacio quasi sul lobo dell'orecchio, continuando poi lungo tutto il collo.
«Non ti fermerò» sospirò Henry.
Svuotò i polmoni di aria e poi cercò di riprendere il controllo di se senza naturalmente riuscirci. Jake sorrise ancora a quelle parole sicure e finalmente gli levò piano la camicia, appoggiando poi un ginocchio sul materasso tra le gambe del riccio, cercando consapevolmente la sua erezione che vedeva già formarsi dai pantaloni e sperando che questo trovasse una piccola frizione sulla sua gamba che lo avrebbe fatto ancora di più impazzire.
Henry sentendo quel contatto mentre Jake lo assaliva di baci tra spalle e collo, gemette piano quasi in un sospiro. Non resisteva più, doveva toccarlo. Gli mise le mani sui fianchi definiti ma morbidi sentendo il contatto dei pantaloni così strani sulle dita, quella pelle bollente e calda e dall'odore forte di qualcosa che non seppe definire con precisione, era inebriante. Sembrava qualcosa che gli ricordò una coccola, come un odore di biancheria pulita. Poi ci pensò ancora. Seta. Jake odorava di seta e cotone, aveva lo stesso profumo irresistibile della seta orientale che gli piaceva tanto farsi portare da quelle terre lontane. Ci si immerse completamente baciandogli una spalla, poi finalmente Jake non resistendo oltre gli assalì la bocca. Un bacio profondo, profumato, le loro lingue si cercarono e si trovarono subito inseguendosi in sospiri e sorrisi mal celati, abbracci imbarazzati ma caldi troppo trattenuti che finalmente si liberavano. Le loro erezioni ora erano formate ed entrambi cercavano frizione l'un l'altro. Jake gli teneva le mani tra collo e viso, per guardarlo bene ogni volta che si staccavano per riprendere fiato. Henry invece gli si ancorava ai fianchi ma ben presto spostò le mani sulle natiche sode del castano che gemette piano a quel contatto inaspettato. Jake si staccò e prendendo in mano la situazione come fin ora aveva fatto, ribaltando completamente i ruoli convenzionali tra valletto e Conte, oltrepassò il bordo dei pantaloni del pigiama di Henry e lo aiutò a toglierli del tutto mentre era ancora seduto, rimanendo piacevolmente sorpreso nel constatare che il giovane Conte non portava biancheria intima. Jake sorrise, Henry ricambiò con gli occhi pieni di lussuria. Tipico! Pensò il castano, non si aspettava niente di meno in effetti.
L' erezione del riccio svettò davanti a Jake che si inginocchiò senza perdere tempo, rimanendo estasiato da un Henry ormai nudo e meraviglioso che aveva appena confermato di non volersi fermare. Gli sfilò i pantaloni anche dalle caviglie e gli si posizionò in mezzo alle gambe piegato sulle ginocchia. Il giovane Conte con le mani ancorate al materasso, non osò muoversi. Jake lo guardò ancora e mentre lo fece non esitò più, contemporaneamente affondò il viso nel suo inguine. Henry sospirò forte e reclinò indietro la testa inarcando appena la schiena. Quella sensazione lo fece andare fuori di testa totalmente. E mentre Jake lasciava piccoli baci umidi proprio lì dove il suo odore era più forte e gli inebriava i sensi, salì su fino alla sua erezione. Henry allora strinse forte il materasso contraendo quanto più possibile i muscoli di tutto il corpo. Non poteva credere che quel ragazzo gli stava facendo tutto quello, non sarebbe stato decoroso, non sarebbe andato bene per il loro rapporto lavorativo. Come avrebbero fatto poi, come avrebbero potuto anche solo guardarsi ancora in volto? Come faceva Jake a saper fare tutto quello senza la minima esitazione o vergogna? Se lo chiedeva Henry, sì, ma erano pensieri fugaci che sparivano nello splendido piacere che sentiva e che mai per nulla al mondo avrebbe voluto far smettere. Perché in realtà in quel momento, non gli importava minimamente di nulla, solo di quell'attimo che si rese conto di volere immensamente.
«Henry!»
Jake richiamò la sua attenzione piano in un sussurro che mandò una vibrazione anche al suo basso ventre. Il giovane Conte si riscosse.
«Stai bene?»
Jake aveva ormai gli occhi avidi di piacere e tutto il suo blu oceano era quasi sparito, inghiottito da una profonda eccitazione. Aveva però sentito il fascio di nervi che era il riccio in quel momento e voleva sapere se fosse tutto apposto. Henry abbassò lo sguardo e vide solo lui, ancora lui e così che tutto fu ancora più chiaro.
«Mai stato meglio.»
Affermò poi donandogli un piccolo sorriso a fior di labbra. Jake sorrise a sua volta guardandolo.
«Lasciati andare.»
Donargli piacere sembrava la cosa più naturale del mondo. In quella stanza piccola e dalla luce soffusa, che illuminava solo i loro profili Jake si dedicò completamente a lui. Henry non riuscì più a contenersi e d'istinto portò una mano ai capelli di Jake che sentendo quel gesto possessivo che stringeva fino alla cute ma senza fargli male, aumentò il ritmo. Sapeva di non dover esagerare, probabilmente Henry non aveva avuto molte esperienze, ma volle prendere tutto ciò che poteva dargli, gemiti, piacere, bellezza, passione e segreti. Ormai Henry sospirava parecchio e il suo petto si abbassava e alzava ad intervalli sempre più ravvicinati, indicando al valletto che stava provando molto piacere nel ricevere le sue attenzioni. Improvvisamente il castano ancora leccando e succhiando il sapore incredibile del giovane Conte volle andare oltre. Gli sollevò una gamba e la mise delicato sulla spalla per avere una prospettiva dal basso molto diversa e più eccitante. Prima di invitarlo con un gesto gentile a sdraiarsi con il busto sul letto, sollevò il viso per poi sporsi in avanti staccandosi dall'erezione e facendo collidere le loro bocche che ora sapevano di entrambi. Henry gli teneva la nuca, bramoso di sentire il suo sapore e quello del liscio mescolati insieme sulle labbra, sulla lingua, indelebili. Jake approfondì quel bacio, con passione, avidità e tutto il calore possibile, voleva che si ricordasse di lui voleva trasmettergli le stesse sensazioni che stava provando in quel momento.
«Fermami se non vuoi.»
Lo disse prima di accompagnare Henry all'indietro sul materasso di schiena in un movimento fluido. Questo annuì bellissimo, con gli occhi scuri dal piacere, le labbra rosse e socchiuse e gli occhi lucidi di chi vuole di più e non intende rinunciare a nulla. In quel momento era completamente vulnerabile, nudo di fronte a Jake e così esposto, ma allo stesso tempo si sentiva anche profondamente voluto, desiderato, appassionato, proprio come la persona che aveva davanti. C'era uno strano fuoco tra loro, come se si fossero aspettati a lungo e ora trovati, c'era un'elettricità strana, unica. Henry aveva la testa piena di domande per Jake che forse non avrebbero certo trovato risposta quella notte, ma che non vedeva l'ora di porgli. Poi si riscosse dai pensieri. Jake si stava nuovamente prendendo cura di lui. La pelle d'oca del suo corpo non era mai sparita ma continuava a comparire ancora ad ogni gemito e contatto. Jake con un agile movimento si liberò velocemente dei pantaloni chiari che ancora lo costringevano anche se larghi, e rimasto con solo il suo mala addosso si concentrò sui gemiti di Henry che avevano provocato ormai anche in lui un piacere visibile. Le sensazioni erano meravigliose, meglio di quando si perdeva nelle sue fantasie. Jake lo voleva avidamente mentre sentiva che le sue dita si prendevano quello che volevano.
«Jake...»
Sentendosi chiamare in quel modo sollevò subito il viso ed incontrò gli occhi sconvolti dell'altro che aveva un espressione di urgenza e perversione sulla faccia che lo fece quasi impazzire. Erano entrambi un disastro di capelli arruffati e labbra gonfie.
«Si?»
«Ti prego.»
Non era una richiesta velata ma quasi una supplica flebile, un assenso che non richiedeva molte spiegazioni, ma solo gesti. Henry annuì per calcare di nuovo il concetto, Jake lo guardò ancora incredulo a tutto quello che stava realmente succedendo.
«Sei sicuro?»
«Per favore, sì!»
Henry aveva ormai la voce roca e profonda, impastata di eccitazione e godimento che stavano salendo sempre di più dal suo basso ventre. Non sapeva se avrebbe resistito ancora a lungo stimolato in quel modo. Jake non esitò anche perché non voleva resistere neanche lui, non poteva più, era troppo eccitato dalla situazione, da quella visione, da tutto, da Henry in modo particolare che sentiva tutto intorno a lui e voleva averlo. Si sollevò rivelando al riccio tutto quello che aveva da mostrargli. Gli addominali appena accentuati, il petto definito, le spalle piazzate, le cosce snelle ma muscolose, la curva dei fianchi che faceva risaltare un sedere che il giovane Conte aveva subito guardato appena ne aveva avuto l'occasione e sicuramente lo avrebbe fatto anche dopo quella notte. Jake era bellissimo, aveva la pelle appena più scura di quella nivea del riccio, sembrava che il sole lo avesse baciato. Gli parve tutto incredibile, anche la strana collana che portava al collo e gli arrivava quasi fino all'ombelico gli piaceva anche se non aveva idea di cosa fosse. Henry era imbarazzato oltre ogni dire, non sapeva come avrebbe dovuto mettersi, quali fossero le preferenze dell'altro, gli sembrava di non aver mai oltrepassato quel limite. In realtà ci si era spinto solo una volta ma non voleva ricordarla. Voleva cancellare tutto e ricominciare da capo, cambiare per quanto poteva, un ricordo passato che gli faceva ancora male.
«Lasciati andare.»
Jake interruppe il flusso sconclusionato dei suoi pensieri con la sua voce calda e rassicurante.
«Ogni cosa andrà come vogliamo che vada.»
Quelle parole lo colsero alla sprovvista. Pareva avergli letto il pensiero. Come poteva essere così pragmatico anche in un momento del genere? Riusciva a convincerlo e tranquillizzarlo in modi che non capiva, non parlava molto ma quando lo faceva entrava nell'anima. Jake si portò sopra Henry, tra le sue gambe facendo collidere i loro petti, le loro erezioni e le loro bocche in un bacio caldo, umido e poco casto che era tutto lingua e labbra che succhiavano lembi di pelle, tra mascella, spalle e collo, per poi tornare sulla bocca. Ancora una volta i gesti dicevano più delle parole.
«Ti voglio Jake.»
Henry lo sussurrò all'orecchio del liscio sentendo una folata di seta e cotone riempirgli le narici. Avrebbe voluto assaggiarlo per sapere se anche il suo piacere aveva quello stesso odore, ma in quel momento voleva solo essere preso, essere suo per quel lasso di tempo che gli avrebbe permesso di rimanere.
«Come desidera Signore.»
Con un ghigno furbo e malizioso che nascondeva il desiderio e la felicità che provava dopo aver sentito le parole del riccio, entrando lentamente e con ogni attenzione possibile, Jake si fiondò subito sul collo baciandolo per distrarlo dal fastidio e dal dolore di quella intrusione improvvisa a cui l'altro non era abituato. Il giovane Conte gemette e aprì la bocca in un grido di piacere muto che non faceva alcun rumore ma che gli sembrava di sentir rimbombare tutto intorno a loro. Qualche attimo e dopo aver preso quello che doveva cercò ancora le labbra di Jake. Gli occhi stretti del giovane e i suoi ansimi che parvero singhiozzi spezzati, spinsero però Jake a fermarsi.
«No, non fermarti ti prego. E' bellissimo...» disse piano il riccio sorprendendo l'altro.
«Sei sicuro?»
Chiese sincero, ma quando l'altro aprì finalmente gli occhi rilassando il viso, per Jake fu come perdersi ancora nel verde dei suoi amati campi di tè a nord del Rajasthan, freschi, umidi, limpidi e dolci, fu come rivivere un attimo infinito, una sensazione unica di appartenenza che non sentiva da mesi e capì.
«Ti voglio Jake, ti voglio ora...»
«Ti voglio anche io...»
Non servì altro. Ancora baciandosi con impeto, il castano cominciò a muoversi dentro di lui fluido e determinato. Voleva solo lasciargli un ricordo bellissimo, un benessere unico, non sapeva cosa stava provando in quell'istante ma sembrò non importargli, il piacere era troppo. Si accarezzavano si baciavano, Jake spingeva ancora e ancora e Henry si muoveva sotto di lui di rimando accogliendo le spinte poderose e muovendo il bacino. Il giovane Conte era vicino al culmine e Jake richiamato all'attenzione sentendo il suo nome sussurrato tra i gemiti fiochi non esitò. Si sollevò di poco puntandosi sul materasso con un gomito e con una mano, mentre ancora spingeva avido, si concesse una visione perversa. Voleva dargli tutte le attenzioni possibili e Henry mentre godeva di tutto quello che stava accadendo, prendendo tutto il possibile che poteva dall'altro, si accorse di non poter più esitare. Poi sentì quelle parole al suo orecchio.
«Vieni per me, viene per me e ti prometto che farò lo stesso per te...»
Quelle parole erano un deja vù. Con un gemito sommesso si abbandonò all'inebriante sensazione dell'orgasmo e del godimento assoluto, seguito subito dal suo amante che ormai in balia di emozioni che non si aspettava, non poteva più esitare. Rimasero solo sospiri e carezze, si baciarono così tanto da inebriarsi di odori comuni e sapori nuovi. Non seppero fermarsi neanche dopo aver raggiunto il culmine del piacere, non potevano più resistere ad etichette di nessun genere in quel momento. Continuarono solo a baciarsi ancora. In quel letto troppo piccolo per due, ma che sembrava anche troppo grande per loro adesso, si strinsero in un groviglio di gambe e sospiri, continuando ad assaporarsi lievi le labbra e il collo mentre il sonno li prendeva entrambi.

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