Capitolo 7
Il bene che abbiamo fatto la sera ci regala felicità il mattino dopo
Proverbio Indù
«Si può sapere come gli è saltato in mente?»
Connor imprecava mentre guidava attento rivolgendo uno sguardo a Jake dallo specchietto retrovisore. La guida era nervosa ma fluida, appena saliti avevano avuto un attimo di sbigottimento per quello che era accaduto ma poi c'era stata l'incredulità. Il castano intanto stava cercando di far stare almeno composto Henry che ciondolava pietosamente da una parte all'altra dell'abitacolo anche stando seduto, mentre sbraitava come un ossesso.
«Toglimi quelle mani di dosso, non toccarmi! Voi non sapete quello che avete fatto, voi non lo sapete, riportatemi lì!»
Il giovane Conte finito il suo attimo di esuberante e psicotica ilarità era tornato lo stronzo e ingrato di sempre, mentre si dimenava e cercava di sfuggire alla presa del suo valletto.
«Signore deve calmarsi, è successo un gran casino ma credo che...»Jake cercava di mantenere la calma senza riuscirci.
«Non mi devi parlare Scott, tu non sai niente di me capito?»
Lo affermò in tono biascicato, stanco, sembrava che ogni forza lo stesse abbandonando, ma ora era a pochi centimetri dal suo viso e glielo stava dicendo in faccia con un dito puntato, anche se poco convinto, era comunque spiacevole.
Erano minuti interi che, prima nel riso dell'euforia della rissa e poi nella rabbia del rendersi conto che lo stavano riportando a casa, Henry blaterava e Jake e Connor scuotevano la testa increduli. Jake aveva immaginato più di una volta che sarebbe dovuto ricorrere a qualche pugno quella sera, ma non credeva così tanti. Le nocche escoriate delle mani gli dolevano e la sua giacca puzzava di birra che purtroppo gli avevano buttato addosso più di una volta nella fretta di uscire dal Black Deer.
«Signore dovrebbe ascoltarmi invece, io...»
«No! Non voglio ascoltarti, mi basta mia madre a dirmi cosa posso fare della mia vita, tu non mi conosci.»
Ancora con la voce roca e strascicata, l'alito che sapeva di whisky e gli occhi che neanche lo guardavano da come era ubriaco, sputò ancora veleno.
«Forse uno dei tuoi ganci potrebbe fargli bene.»
Intervenne Connor a bassa voce.
«Non credo servirebbe, è il cuore che gli fa male, colpirlo non gli porterà via il dolore.» Rispose Jake, mentre Henry adesso neanche lo stava ascoltando e si teneva la testa ciondolante tra le mani. Connor non rispose, non avrebbe saputo cosa dire. Jake aveva capito tanto, come al solito, come spesso faceva, ma quel ragazzo rimaneva ancora un mistero per il cameriere.
Dopo un paio di curve prese a velocità ma in silenzio Henry si tirò su all'improvviso.
«Devo vomitare.»
Connor accostò immediatamente la vettura e Jake fece uscire Henry dal suo lato che era quello che guardava il ciglio della strada.
Il giovane Conte ancora scomposto scese inciampando ma senza cadere. La camicia bianca ormai aperta fin quasi all'ombelico lasciò intraveder a Jake qualcosa che aveva visto tante volte ma mai con quegli occhi, mai con quella consapevolezza. Henry si appoggiò al cofano e con un gemito roco riversò rabbia, frustrazione e un incredibile quantità di alcol sul ciclo della strada. Si piegò in due e con un paio di forti conati che gli squassarono il corpo, si accasciò al suolo, subito sorretto da Jake, che in un modo o in un altro doveva adempiere ai proprio voleri.
Henry odorava di vomito e delusione, la bocca adesso era secca e le labbra bianche, tremava, aveva gli occhi completamente lucidi ma erano tornati verdi ed incontrarono quelli di Jake che lo tenne su, sorreggendolo dalle spalle. Non c'era più rancore, pareva sparito in un secondo. Jake continuava a non capire il giovane Conte, gli mancavano tante tessere ancora per completare quell'intricato puzzle che gli si presentava davanti.
«Grazie» si sentì dire il valletto da quella flebile voce fioca, che ormai riconosceva.
«Di nulla Signore, faccio solo il mio dovere non deve ringraziarmi.»
Henry si rese improvvisamente conto della vicinanza dei loro corpi. Sentiva freddo ma il calore emanato dal corpo del ragazzo che lo teneva per la vita e gli faceva poggiare un braccio intorno alle sue spalle, fu piacevole come poche cose al mondo. Guardandolo ancora poi incontrò quel blu che ricordava, lo osservò e Jake parve confuso, voleva distogliere lo sguardo certo, ma senza riuscirci davvero.
«Jake...»
Non credeva di averlo sentito sul serio, ma gli aveva visto muovere le labbra pronunciando quella parola, il suo nome. Proprio come nel suo sogno quando Ravi lo chiamava, gli vedeva le labbra muoversi ma non sentiva il suono, questa volta parve il contrario. Ma poi si rese conto.
«Jake, per favore riportami a casa.»
Henry aveva pronunciato il suo nome, e in più gli aveva fatto una richiesta in modo dolce e pacato, senza dargli del lei e senza nessun altro senso che quello che aveva detto, senza ordini o richieste, frecciate o pretese. Volle osare perché sapeva che se non l'avesse fatto in quel momento forse non lo avrebbe mai più fatto e se ne sarebbe pentito, lo sapeva. Magari Henry si sarebbe dimenticato di tutto la mattina dopo, quindi cosa aveva da perdere? Assolutamente niente.
«Certo Henry, andiamo a casa.»
***
Quando varcarono la soglia della camera da letto tutta Harlaxton Manor dormiva quieta. Foster era arrivato prima, aveva rassicurato il Signor Wood che poi aveva fatto il resto. Avrebbero pensato l'indomani a tutto; a dare spiegazioni a Milord, a raccontare le vicende al personale che non stava certo più nella pelle dalla curiosità e forse anche ad evitare altri problemi.
Jake e Connor sistemarono Henry come meglio poterono sul materasso del letto a baldacchino, si era quasi addormentato negli ultimi chilometri di strada e non si reggeva bene in piedi dalla stanchezza. Il fatto che avesse vomitato aveva smussato di sicuro la sbornia che comunque la mattina dopo avrebbe lasciato segni e dolore lancinante alle tempie.
«Ci penso io adesso, grazie Connor.»
Jake mise una mano sulla spalla del biondo che sulla porta si congedò lasciando il valletto al suo lavoro.
«Grazie a te Jake, adesso è in buone mani, buonanotte.» Annuì e chiuse la porta dietro di se.
Henry sembrava già russare lievemente, i lineamenti che giacevano prima scomposti sul cuscino adesso erano tornati dolci ma decisi, proprio come li aveva visti tante volte osservandolo nei momenti in cui non pensava di essere visto. Jake doveva cercare di contenersi ma sapeva di dover spogliare il Conte e mettergli almeno il pigiama, non poteva certo lasciarlo con quei vestito addosso, sporchi e umidi di bile, birra e notte.
Si tolse cappello, cappotto e giacca, era stanco ma doveva comunque svolgere i suoi compiti. Rimasto in camicia e panciotto iniziò piano a spogliarlo. Questo non sembrò accorgersi di nulla mentre gli toglieva scarpe e pantaloni, giacca e panciotto. Rimasto in camicia anche il giovane Conte, Jake si permise di guardarlo ancora una volta. Ma era diverso adesso, tutto lo era. Non vedeva più solo il conte di Harlaxton, vedeva un giovane ragazzo che si stava perdendo, vedeva segreti nascosti, vedeva frustrazione e rabbia. Ma c'era anche tanto altro. Non poteva più asfissiare quella sensazione che gli stava crescendo nel petto, quel corpo, quelle gambe, quelle labbra, quel viso, non gli erano indifferenti e lui lo sapeva ormai da un po', toccarlo gli procurava uno strano formicolio alle dita, proprio come quello di quella mattina, gli faceva bruciare tutto. Jake sapeva chi era anche se non poteva rivelarlo. Jake Thompson era sempre stato attratto dai ragazzi fin da piccolo e questa consapevolezza era forte in lui. Ma era una delle tante cose che gli avevano insegnato a celare, sempre, e forse erano solo due le persone che sapevano, una di queste non c'era più comunque. Vedendo Henry così indifeso e vulnerabile in quel momento si rese conto che uno dei motivi del perché sopportava i suoi cambi d'umore e le sue parole, era anche la consapevolezza che non gli fosse in alcun modo indifferente. Gli si avvicinò ancora e lo aiutò piano a togliere anche la camicia, mantenendosi concentrato per non guardare in punti in cui sapeva di voler mettere gli occhi, se lo avesse fatto non sarebbe più riuscito a smettere. La pelle di Henry pareva ardente sotto le sue dita, il suo odore era mescolato a quello acre di alcol ma c'era ancora, gli ricordava le conifere in autunno, un odore che gli pervadeva sogni e pensieri. I capelli scompigliati, le labbra appena rosate ma secche lo attiravano comunque come fa il miele con le api, che strana coincidenza, le api il sigillo di famiglia. Avrebbe voluto assaggiarle così piene e sicuramente morbide, ma non era quello il momento non era quella la situazione. Si voltò di malavoglia allontanandosi dal calore di quel corpo che ben percepiva per prendere dell'acqua e cercare di farlo bere. Poi recuperati bicchiere e vestaglia si avvicinò nuovamente al letto, trovando di fronte a se due occhi verdi così grandi e increduli che lo fissavano. Rimase immobile, non ebbe il coraggio di dire nulla, fissandoli a sua volta. Henry con un piccolo movimento della mano gli fece capire di volere il bicchiere, così Jake si avvicinò sempre in silenzio e glielo porse. Bevve avido, come nel loro primo incontro, poi gli restituì il bicchiere e si ributtò giù sul cuscino come se niente fosse, ancora guardando il castano tornare verso il cassettone e posare il cristallo, per poi tornare verso di lui. Parevano gesti naturali di due persone che sapevano già quali erano i loro compiti. Senza parlare si stavano dicendo tutto, Henry non riusciva a distogliere lo sguardo da Jake. La sua figura snella e proporzionata, le braccia forti, il viso dolce ma dai lineamenti spigolosi che ti rimanevano impressi nella mente, i capelli ora disordinati in qualche ciocca che gli ricadeva sulla fronte, e quegli occhi che Henry avrebbe voluto imparare a memoria. Si lasciò aiutare ad indossare la vestaglia non sorprendendosi neanche del fatto che fosse rimasto in biancheria per tutto quel tempo. Le azioni furono compiute in assoluto silenzio come se fossero gesti meccanici, il castano non voleva rompere un idillio che sembrava essersi creato solo parlando, non voleva interrompere quel ballo che si stava compiendo, non voleva. Il giovane Conte con quei pensieri in testa e quella vicinanza, una volta sentite le mani calde di Jake a contatto con la sua pelle dovette coprirsi velocemente con le lenzuola perché il suo corpo si era svegliato quasi totalmente e il suo bassoventre con lui. Jake si accorse di tutto naturalmente e mentre lo sovrastava finendo di passare anche l'altro braccio dentro il morbido tessuto di seta scura, sorrise incontrando gli occhi del giovane. Erano così vicini che si sentivano i respiri a vicenda, Henry aveva ancora il petto scoperto, Jake cercò di contenersi per quanto possibile per tutte quelle sensazioni che gli annebbiavano la testa, ma non ci riuscì. Guardandosi ancora profondamente e non dicendo ancora nulla Henry con la mano destra afferrò l'avambraccio del valletto e lo attirò appena verso di se. Jake non fece resistenza, appoggiò così la mano e il fianco opposti al materasso, racchiudendo il corpo di Henry in un abbraccio senza contatto. Il riccio aveva appoggiato di nuovo la testa sul cuscino e ora Jake lo sovrastava senza distogliere lo sguardo, erano incatenati in un qualcosa di impossibile, inebriati dal proibito. I cuori di entrambi sembravano impazziti, la luce flebile della lampada ad olio lontana illuminava solo parte dei loro corpi e gli occhi di entrambi risaltavano lucidi e vivi. Neanche la corsa a cavallo più forsennata mai fatta avrebbe eguagliato quello che Henry sentiva in quel momento. Sapeva che tutto quello era sbagliato, che non poteva accadere, ma in quel lasso di tempo in cui si sollevò appena puntandosi con un gomito per far collidere le labbra a quelle di Jake che ricambiò la pressione senza esitare, tutto gli parve tremendamente giusto.
Si scambiarono un bacio tenero e a fior di labbra, senza vergogna o esitazione, ma piano in un soffio appena sfiorato. Sapevano che non era quello il loro momento. Henry aveva ancora la testa frastornata e sapeva di non essere nelle sue condizioni migliori, Jake non poteva approfittarsi di una situazione del genere, no. Ma a nessuno dei due quel piccolo contatto parve sbagliato, non poteva che essere tutto solo come doveva essere. Entrambi sorrisero guardandosi, si lasciarono andare solo per qualche istante, Jake non resistendo in nessun modo al suo odore, gli si avvicinò all'incavo tra orecchio e collo e lasciò un bacio umido e caldo in quel punto che al giovane Conte parve ardere come fiamma viva. Henry sollevò la mano sinistra toccandogli un fianco, a quel gesto Jake rilasciò un piccolissimo gemito mantenendo la posizione e inalando ancora il suo odore più intenso. La pelle d'oca che il riccio sentiva in tutto il corpo attivò ancora di più i suoi sensi e strinse ancora il fianco dell'altro. Le dita del giovane erano caldissime e sembravano ustionargli il punto in cui lo avevano toccato, era una sensazione quasi dolorosa ma solo perché nuova ed estremamente emozionante. Sapevano che se avessero continuato ancora non si sarebbero potuti più fermare quindi non seppero dire chi dei due, forse entrambi, si staccarono da quel contatto e si sorrisero ancora senza parlare. I gesti molte volte dicono le cose giuste senza usare suoni, spesso quello che si prova è più facile mostrarlo che descriverlo.
Henry aveva uno sguardo che Jake gli aveva visto solo un'altra volta sul volto, era molto simile a quello che il giovane Conte aveva quando montava, somigliava al suo vero essere, alla sua vera passione, a quello che voleva intensamente. Henry si sentiva il petto esplodere e non riusciva a contenersi, avrebbe voluto di più in quel momento, avrebbe potuto prenderlo e baciarlo avidamente, avrebbe potuto pretendere che gli fosse dato di più, ma in quell'attimo voleva essere solo se stesso, per qualche istante voleva essere solo Henry, nient'altro. Jake si riavvicinò al riccio per un ultimo bacio a fior di labbra, lieve, era incredibilmente difficile non andare oltre sapeva già di non volerlo fare davvero ma poi si ritirò indietro e si mise seduto sul materasso, doveva farlo, doveva farlo o tutto sarebbe stato vano. Henry si leccò le labbra malizioso e poi le arricciò su se stesse per provare a mantenere ancora quel flebile sfregamento per se, come a farselo bastare, lo guardò ancora accarezzandogli un avambraccio. Notò poi le escoriazioni sulle nocche delle mani del liscio e ci passò un dito sopra, ma Jake volse il palmo della mano verso l'alto e fece intrecciare le loro dita insieme.
«Sono uno stupido, non avrei dovut...»
«No! Non sei stupido, tu sei molto più di tutto questo, ma ora non è il momento di pensarci.»
Affermò Jake interrompendolo mentre non perdeva il contatto con i suoi occhi.
Non era il momento delle spiegazioni, delle scuse, dei perché e dei ma.
Quel contatto tra loro, che aveva sentito prima flebile e poi forte dopo ore di euforia, era tornato e lui non voleva privarsene anche se avrebbe dovuto farlo. Strinse ancora la sua mano in quella del riccio, sembravano fatte per stare unite. Il giovane Conte non rispose, ma anzi cercò nuovamente un contatto con le sue labbra. Henry era eccitato anche se stanco e Jake non poteva più osare perché non sarebbe riuscito a dire di no questa volta.
«Devo andare.»
Disse a bassissima voce quasi a scusarsi guardandolo ancora, questo sembrò deluso ma parve capire. Non potevano certo restare lì non in quel momento, Jake sicuramente era atteso dal Signor Wood di sotto e Henry aveva messo abbastanza alla prova il valletto quel giorno.
«Lo so.»
Jake si alzò in piedi ancora frastornato da tutto, dalla rissa, dalla situazione, dalle parole di Henry, da quel tenero e caldo seppur flebile bacio. Non sapeva bene neanche cosa fare o cosa dire, era confuso ma stranamente felice. Poi vide sul comodino del giovane Conte il libro che stava leggendo, Guerra e Pace.
«Mi dirai cosa ne pensi?» disse il castano tornando a guardare Henry che capì subito a cosa si riferiva anche senza chiedere.
«Se vorrai te lo dirò.»
«Sì, voglio saperlo.»
I loro occhi si incontrarono ancora e ancora, in quelle parole c'era tanto celato dentro ma solo loro potevano capire davvero quanto.
Jake non poteva andare via così, il suo istinto glielo impediva, si avvicinò nuovamente a Henry e rimettendo le labbra sulle sue con impeto e delicatezza insieme, lo baciò di nuovo in modo casto e fugace per poi sussurrargli all'orecchio
«Buonanotte Henry.»
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