Capitolo 6
Per cambiare il mondo dobbiamo prima cambiare noi stessi
Proverbio Tibetano
Ormai si era fatto buio tornando ad Harlaxton Manor e Jake sentiva che tutto il dovere insieme al nervosismo, nonché all'adrenalina e la sorpresa di tutta quella stramba giornata gli si erano scaraventate addosso tutte insieme, in un eccesso di torpore e abbattimento che lo rendevano stanco come dopo aver scalato una montagna. Le continue chiacchiere in automobile dei suoi colleghi, la posizione scomoda e la sensazione di dover concludere qualcosa lo avevano stremato. Ma appena sceso e direttosi verso il retro della villa sperando che il giovane Conte non fosse in vena di stupidaggini e che lo avrebbe congedato presto, fu subito fermato da Connor che con la scusa di una sigaretta lo trattenne di fuori prima di lasciarlo andare a cambiarsi per il servizio serale. Ormai aveva preso confidenza con i tre ragazzi del personale e ci scambiava volentieri due chiacchiere, anche se quella sera aveva ben altri pensieri per la testa e sapeva che era solo una scusa per farsi raccontare perché Milady stava ancora sbraitando, sempre in modo composto, anche dopo essere scesa dall'automobile davanti all'entrata e perché ne erano tornate solo due invece che tre.
«Il giovane Conte è tornato poco prima di noi, guidava Foster, credo che abbia fatto infuriare Milady non fermandosi per il tè con la signorina Wilkinson.»
Confermò Jake sbrigativo accendendosi svogliato una sigaretta, illuminato solo dalla fiamma del piccolo cerino che Connor gli aveva passato.
«Ma noi non li abbiamo visti rientrare!»
Il castano sentendo quelle parole fissò Connor, suo malgrado sentì un tuffo al cuore, aspirò un tiro ben prolungato mentre gli altri tre lo guardavano di rimando con un punto interrogativo stampato in faccia. Non fece in tempo a voltarsi verso la porta sul retro che questa si spalancò di colpo con un tonfo secco. Il signor Wood trafelato scese di corsa i quattro scalini che lo dividevano dal selciato e si precipitò fuori verso di loro.
«Signor Scott!» quasi gridò, sembrava sollevato nel vedere il giovane appoggiato ad un muretto lì vicino insieme agli altri.
«Oh meno male è qui grazie al Cielo! Signor Scott, non troviamo il Signorino, Margharet dice di averlo visto entrare, salire in camera e riuscire subito dopo con il cappotto in spalla.»
Jake lo ascoltava quasi imbambolato, pareva confuso.
«Signor Wood si calmi, si farà venire un infarto in questo modo!»
Provò a rassicurarlo avvicinandosi all'uomo dopo aver spento la sigaretta sotto uno scarponcino scuro.
«Non capisce signor Scott, lei deve cercarlo, se è andato a Notthingam...»
«Notthingam? E perché dovrebbe andarci a quest'ora di sera e senza valletto?"»
Chiese sorpreso ma questa volta con tono preoccupato perché la sensazione di formicolio dietro la nuca che lo aveva perseguitato per tutto il viaggio di ritorno senza però capire che cosa fosse, si stava riproponendo ancora e non era mai un buon segno, mai.
«Signor Scott, lei non ha mai visto Henry come l'ho visto io, mi dia retta e vada a cercarlo la prego, mi ascolti!»
A Jake non ci volle molto per capire. Il signor Wood lavorava in quella casa da più di trent'anni, ne doveva aver viste di cotte e di crude e inevitabilmente doveva essersi affezionato a quel ragazzo anche non volendo, così tanto affezionato da chiamarlo per nome in quella supplica pacata ma decisa che gli aveva appena rivolto. Lo sguardo quasi disperato che sembrava oscurargli il viso convinse il valletto a prendere in mano la situazione. I tre ragazzi che erano rimasti imbambolati da quello scambio di battute, seppur in disparte, si riscossero vedendo Jake voltarsi verso di loro.
«Connor, sai guidare?»
«Certo,sì!»
«Bene ho bisogno di te, ma adesso guido io!»
***
La Sperber quattro posti nera con rifiniture oro e rosse, era l'automobile più bella ed elegante che Jake avesse mai guidato. Piccola e agile rispetto a quella che avevano i signori di casa Burghley, poteva arrivare fino a settanta chilometri orari ed era dotata di tettuccio e finestrini, era come una locomotiva che sfrecciava sulla strada principale per Notthingam illuminando con i fari quella serata scusa e nebbiosa.
«Sai cosa va a fare a Notthingam?»
Chiese Jake mentre concentrato sulla guida cercava di capire le dinamiche che lo avevano visto costretto a prendere l'automobile e allontanarsi così dalla tenuta.
«So che spesso va in un pub del centro, non ci girano delle facce molto raccomandabili di solito, non so se mi spiego ecco non è proprio il posto da Club del Libro diciamo. Ma il Signorino sembra voler far infuriare in ogni modo Milord.» affermò il biondo accendendosi l'ennesima sigaretta che lo aiutava secondo lui a distendere i nervi. Era solo un cameriere perché doveva ritrovarsi in quella situazione, diamine!
«Spiegati meglio Connor! Ci sono solo io adesso puoi parlare, forza.»
«Signor Scott, gliel'ho detto io...»
«Connor chiamami Jake, ormai i convenevoli in questa situazione non credo servano più.»
Il biondo annuì e poi tirando ancora avido dalla sigaretta, si sistemò il cappello in feltro e riprese il discorso. Avevano fatto appena in tempo a rimettersi le giacche addosso, ma l'aria era frizzante e ancora il calore della bella stagione la sera non si presentava.
«Voci più che certe sanno che Henry ha un problema con degli allibratori. Scommette con i cavalli.»
«E perché un Conte dovrebbe abbassarsi ad avere a che fare con gli allibratori quando potrebbe avere un intero ippodromo per se?»
Jake guidava spavaldo, mantenendo il controllo totale della vettura, la mascella contratta, gli occhi blu attenti ma con un velo di preoccupazione a fargli da eco. Non stava capendo come mai una persona così ricca, dotata, affascinante e interessante come Henry, poteva invischiarsi in cose simili. Ma allo stesso tempo aveva intuito soprattutto quel giorno, che attirare l'attenzione su di se in ogni modo possibile era l'unica arma per avere il Conte e la Contessa interessati a lui, e pur di trovare un modo di deluderli ancora avrebbe fatto di tutto. Probabilmente anche se viziato, insopportabile e un malandrino della peggior specie, il giovane Conte forse voleva solo essere se stesso.
«Jake, Henry non è come sembra.»
Connor lo sussurrò piano scuotendo la testa, quasi vergognandosi di averlo detto, sembrava anche imbarazzato del fatto che stesse chiamando entrambi per nome e non era certo abituato.
«Spiegati meglio, perché rischio d'impazzire prima di arrivare.»
«Un paio di anni fa quando ancora studiava ad Oxford, non tornava spesso ad Harlaxton, solo durante le feste. Milady ovviamente era sempre più arrabbiata, avrebbe dovuto mantenere i suoi compiti da erede sforzarsi di trovare una moglie, ma niente. Poi un giorno tornò con un amico, era un ragazzo Russo che studiava ad Oxford con lui, molto pacato, calmo, era anche molto affascinante credo almeno nei modi e aveva una qualche influenza su Henry in un certo modo.»
«Intendi dire politica? Aveva un influenza politica su di lui o vuoi dirmi altro?»
«Intendo dire in ogni senso. Sembrava avere idee abbastanza rivoluzionarie sì, sembrava un bohemien di quelli usciti da Montmartre.»
«E che ne sai tu di Montmartre?» lo interruppe il castano sorridendo, l'altro rise a sua volta.
«Ne so qualcosa in effetti, ma questa è un'altra storia!» rise ancora. «Comunque, fu ospite alla tenuta per qualche giorno e quando andò via, Henry sembrò chiudersi in se stesso. Li ho sentiti litigare una volta in biblioteca, erano voci sommesse ma sembravano parlare di movimenti studenteschi e questo aveva intenzione di tornare in Russia. Henry non sembrava contento quindi litigarono e la mattina dopo questo ragazzo se n'era andato, senza lasciarsi nulla alle spalle.»
«Certo che sei peggio del Times!»
Un silenzio tranquillo si creò nell'abitacolo, probabilmente entrambi stavano metabolizzando le informazioni che avevano ricevuto e che avevano dato in cambio.
«Credo che Henry abbia molto dentro di se, ne sono convinto, ma non è facile crescere sempre all'ombra di qualcuno.»
Jake interruppe il silenzio e parlò pacato, concentrato su qualcosa oltre alla guida che lo faceva riflettere, sembrava guardare oltre la strada sulla quale stava sfrecciando, sembrava avere un ricordo che gli passava davanti nitido.
«Che intendi dire?»
«Henry è il secondogenito di una famiglia di Conti, sarà sempre così e questo non potrà mai cambiare. Lui forse sta solo cercando di dare un senso a tutto, senza reprimere quello che in realtà è. Nasconde più segreti di quelli che ci immaginiamo probabilmente.» Jake finita la frase si voltò verso Connor, guardandolo un secondo e rimettendo poi l'attenzione sulla guida.
«Come riesci a farlo?»
«Fare che cosa?»
«Leggere così le persone, sei...diverso da tutte le persone che ho mai incontrato e da tutti i valletti che ho mai visto, non ti ho mai sentito lamentarti una sola volta e sei così, così calmo!»
Jake sorrise ancora, ma non rispose. Non era il momento delle spiegazioni, non ora. Forse non ci sarebbe mai stato o forse sì ma in quel momento era meglio occuparsi di altro.
«Qual è il pub?»
Il biondo che lo stava ancora fissando aspettando una risposta, si riscosse.
«Oh giusto! Dovrebbe essere il Black Deer, è sulla strada principale.»
Guidarono ancora per qualche minuto in silenzio, poi svoltando sulla strada più larga che passava dentro Notthingam, Jake vide l'insegna.
«Eccolo, è quello! C'è l'automobile fuori e vedo anche Foster.!»esclamò Connor.
Jake parcheggiò velocemente e scesero entrambi dalla vettura preoccupati, dirigendosi a passo spedito verso l'autista che controllava a vista l'auto. Erano sì in una strada principale ma l'atmosfera non era delle migliori. C'era puzza di urina, alcol e fumo. Nel vicolo accanto al pub un uomo e una donna riversi su un giaciglio improvvisato stavano consumano un rapporto poco velato, e altri due ubriachi stavano pisciando all'angolo dell'edificio sbraitando con le sigarette tra le dita nere e una bottiglia di whisky nell'altra. Foster vedendo i due colleghi avvicinarsi sembrò riacquistare un po' del suo colore naturale.
«Oh grazie al cielo siete qui! Signor Scott, non ho potuto fermarlo, mi ha chiesto di portarlo subito qui, sono due ore che è lì dentro, non mi fanno entrare io...»
L'uomo adesso di nuovo rosso in viso, preoccupato e mortificato cercava di giustificarsi dell'accaduto.
«Foster, hai fatto quello che potevi, ci pensiamo noi adesso, lui dov'è?»
Jake per rassicurarlo mise una mano sulla spalla dell'uomo e questo sembrò tranquillizzarsi un poco.
«E' dentro non è più uscito, ha solo il cappotto è senza cappello e non so con chi sia, non ho visto nessuno...oddio mi impiccheranno!»
Aggiunse l'autista terrorizzato ma Connor intervenne in suo soccorso. Con un sorriso bonario.
«Nessuno t'impiccherà Foster, tu fai la guardia alle auto, noi proviamo ad entrare.»
Probabilmente le parole del biondo lo convinsero perché annuì e si sistemò più verso i loro parcheggi improvvisati e meno vicino all'entrata del pub, per fare come gli era stato chiesto.
I due ragazzi senza divisa da lavoro probabilmente si sarebbero mescolati meglio alla folla, non gli restava che provare ad entrare.
Aprendo la porta si veniva investiti subito da odore di vomito e brandy che fece arrivare la bile fino alla gola di Jake appena varcata la soglia. L'ambiente era piccolo, pieno di fumo denso dovuto a sigari, sigarette e non osava immaginare che altro. Un uomo corpulento e alto li fece passare senza domande, potevano essere normali clienti. Non ci misero molto a capire la situazione.
Davanti a loro in fondo alla sala seduti ad un tavolo rotondo c'erano quattro uomini, tra cui Henry. Una sigaretta gli penzolava dalle labbra, mentre teneva in mano delle carte che scrutava confuso. Il fumo della sigaretta e quello del locale dovevano avergli irritato gli occhi perché erano rossi e spenti, il verde vivido che di solito li caratterizzava sembrava essere sparito, ma erano così lucidi da brillare lo stesso. Era palesemente ubriaco a malapena sembrava tenersi dritto e sbatteva le palpebre velocemente come per cercare di stare sveglio e allontanare il fumo caldo. Gli uomini che stavano giocando d'azzardo con lui, erano di tutt'altra risma. Forse gli uomini meno raccomandabili che Jake avesse mai visto in Inghilterra, Connor richiamò la sua attenzione con un colpo di gomito.
«Quelli sono due allibratori di Birmingham, e l'altro è.... il Duca di Felbrigg?»
Connor rimase sorpreso dalla sua stessa affermazione.
«Cosa lo ha spinto così a nord da Norwich?" aggiunse poi confuso.
«Probabilmente la stessa cosa che ha spinto il nostro giovane Conte di Harlaxton.» osservò serio Jake.
Si fece coraggio e dopo un piccolo sospiro si avvicinò al tavolo che era circondato da ormai parecchi spettatori che non sembravano molto gentili. C'erano anche quattro o cinque giovani ragazze poco vestite che si facevano notare dagli stessi giocatori, cercando di mettere le loro mani tra panciotti e camice o sussurrando parole ammiccanti ai loro orecchi. Una scena che Jake avrebbe preferito non vedere anche perché una di queste signorine stava letteralmente palpando il petto di Henry addirittura da dentro la camicia ormai sbottonata fino a metà e anche se questo sembrava totalmente indifferente alla cosa, forse troppo ubriaco, Jake inghiottì un imprecazione e cercò di mantenere la calma per non schiaffeggiare la ragazza e fargli mettere giù le mani dal giovane Conte.
Proprio mentre Henry finì di giocare la sua mano, perdendo miseramente, Jake si annunciò.
«Signore, sta bene? Siamo venuti a riprenderla, suo padre richiede la sua presenza alla tenuta.»
La calma pacata con la quale parlò, sembrò non convincere nessuno figuriamoci Henry, ma poi alzò la voce e tutti si zittirono.
«Signore dovrebbe venire con noi!»
La faccia seria e decisa e il tono più alto fecero voltare tutti, compreso il giovane Conte questa volta, che aveva appena ingurgitato un bicchiere neanche troppo piccolo di quello che pareva dall'odore essere whisky. Era palesemente ubriaco e non riuscì subito a mettere a fuoco chi stava parlando.
«Bene bene! Chi si vede, Scott! Sei venuto a salvarmi?»
Una fragorosa risata arrivò dalla gente intorno a loro, Henry fece l'ultimo tiro dalla sigaretta che teneva tra le dita e poi spense il mozzicone svogliato nel posacenere di vetro davanti a loro che era già stracolmo, poi si rivolse ancora a lui. Jake era diventato appena rosso in volto ma non si scompose, nella sua calma apparente, sorrise spavaldo.
«Forse non hai notato che non ho bisogno della balia, Foster mi riaccompagnerà quando avrò finito con questi signori, ora fammi il piacere di levarti dalla mia vista.»
L'ultima frase non la disse particolarmente convinto, ma la disse comunque abbassando gli occhi. Jake ebbe un colpo al cuore, non era il solito Henry che aveva visto la sera prima nella sua stanza, non era il solito Henry che gli aveva sfiorato la mano solo qualche ora prima con gli occhi che chiedevano aiuto. Quella era la parte che lui mostrava a chiunque lo contraddicesse o a chiunque si mettesse in mezzo nei suoi piani di auto sabotaggio. Aveva la fronte imperlata di sudore e i ricci gli si erano appiccicati alle tempie, stava sudando e la testa doveva girargli molto, il valletto si chiese come mai si infliggeva queste pene e si faceva così tanto male.
Ma la sua caparbietà tornò ancora una volta a mostrarsi impavida. Connor dietro di lui guardava la scena immobile.
«Signore mi dispiace insistere ma deve venire con noi, la riportiamo a casa.»
Henry sembrò diventare improvvisamente lucido, tutti erano ancora ammutoliti dallo scambio di sguardi che c'era tra il giovane Conte e quello che sembrava essere qualcuno del suo personale da come gli si rivolgeva, anche senza divisa. Il giovane Conte adesso aveva un ghigno parecchio irritato sulla faccia, scacciò in malo modo la mano della ragazza che ancora gli accarezzava il petto languidamente, provocando in lei un suono di dissenso e si drizzò meglio sulla sedia.
Puntò un dito verso Jake e con una faccia che sembrava disgustata gli sputò addosso tutta la rabbia che sentiva in quel momento e che sembrava essere arrivata all'improvviso.
«Non ti devi mai permettere di dirmi quello che devo fare, hai capito! Vattene dalla mia vita o giuro che...»
«Che cosa Signore? Non mi sembra in grado adesso di decidere alcun che.» Osò il castano, facendo voltare Connor che ora lo guardava come si guarda un eroe che salva qualcuno dalle fiamme di un palazzo, con una certa ammirazione per la spavalderia con cui si era riferito al giovane Conte, che magari gli sarebbe costata cara ma che aveva trovato incredibile.
«Lui non può andare da nessuna parte finché non paga, chiunque sia, Conte o no.»
Intervenne uno dei due uomini di Birmingham con tono aspro e senza guardare nessuno in faccia.
«Ci deve parecchi soldi stasera e in più deve ripagare anche il debito che ha accumulato per le corse.»
L'altro dei quattro intervenne per rafforzare il discorso dell'amico.
«Oh andiamo!»
Henry si alzò con uno scatto dalla sedia barcollando per poi continuare a parlare.
«Vi ho detto che vi pagherò no? Sono pieno di soldi ve lo assicuro.»Continuava a parlare e gesticolare ad alta voce, con un sorriso quasi divertito sul volto come se la situazione si potesse risolvere in modo pacifico e la rabbia di poco prima fosse svanita, ma non poteva andare così, quella situazione di pacifico non aveva nulla, non quando avevi a che fare con quelle persone.
«Non ce ne frega un cazzo di chi cazzo sei ragazzino. Dacci i nostri soldi ora e tutto si risolve, noi non aspettiamo più!»
Uno dei due allibratori, il più magro aveva uno sguardo assassino negli occhi, non si scherzava con quella gente, non si scherzava con le scommesse in quella parte d'Inghilterra ed Henry in effetti doveva saperlo, semplicemente pareva non importargli.
«Domani vi faccio avere tutto, giuro che vi porto ogni sterlina sì?» Henry sembrava ancora voler scherzare con il suo atteggiamento ma loro no, con quella gente non funzionava, potevi ritrovarti con un coltello sotto la gola in un attimo.
«Dacci i nostri soldi ora stronzo!»
Si alzarono entrambi dal tavolo facendolo dondolare pericolosamente. I due uomini dovevano aver capito che Henry era sicuramente qualcuno con i soldi, altrimenti non sarebbe stato raggiunto da due persone che richiamavano la sua presenza ma forse la sua vera identità non la conoscevano. Si era costruito un nuovo nome, una nuova identità per essere qualcun altro, proprio come aveva fatto Jake, proprio come doveva sentirsi lui.
«Signori, il Signore qui può ridarvi tutto ne sono più che certo, ma adesso se mi consentite non mi sembra il caso di parlare di soldi viste le condizioni in cui è.»
Jake intervenne mettendosi tra Henry e l'altro al suo fianco, rimanendo sempre vago sull'identità del Conte e cercando di non aggravare la situazione.
«Scott tu non devi parlare...»
Ma barcollò cercando di avventarsi su di lui per zittirlo. Ma Jake non era ubriaco e neanche cieco, si scansò rapido e il giovane Conte tirò per sbaglio un pugno non proprio forte ma comunque caricato, sul naso di uno dei due uomini di Birmingham. Ci fu un attimo di silenzio in cui la scena si rivelò, Henry iniziò a ridere, Jake si sistemò il cappello sulla testa pronto all'inevitabile e Connor esclamò «Oh porca miseria!» fu la rissa.
Il tavolo da poker fu lanciato in aria facendo volare portacenere, bicchieri e fish di vari colori che ricaddero al suolo in un rumore di vetri rotti. Le ragazze che erano intorno a loro iniziarono ad urlare perché la rissa si estese a tutti i clienti del pub che trovandosi spinti o meno da qualcuno, tiravano pugni a destra e a sinistra senza esclusione di colpi. Jake ormai menava cazzotti ai due allibratori che a loro discolpa avevano parecchio alcol in corpo e barcollavano malamente, non rendendo l'incontro proprio alla pari per fortuna. Il Duca di Felbrigg si era nascosto sotto ad un tavolo in modo più che rapido e Henry continuava a ridere senza sosta, come preso da euforia o isteria.
«Connor portalo fuori!»
Jake gridò mentre schivò una pinta di birra che qualcuno gli aveva lanciato e ricambiò il favore rompendo il naso ad uno dei due uomini che stavano ancora provando a colpirlo. C'era odore di sangue e lui cercò di sfogare un po' della sua rabbia su altri due o tre che cercavano di bloccarlo, arrivandogli alle spalle. Henry senza accorgersene si fece trascinare fuori dal pub mentre ancora rideva sguaiato e Connor richiamò il valletto.
«Jake andiamo, forza, si mette troppo male!»
Il ragazzo guardandosi intorno non esitò oltre e raggiungendo veloce la porta si fiondò fuori, lasciandosi alle spalle un pub che ormai era diventato un ring da campioni.
All'uscita Foster era ancora lì.
«Foster tu vai! Dì al signor Wood che stiamo arrivando, ma non dire altro!»
L'autista non esitò e montò velocemente sulla vettura che aveva portato il giovane Conte fin lì.
«Connor mettiamolo dietro e guida tu, per favore!»
«Sì certo!»
Intanto lo aiutava velocemente a mettere Henry sui seggiolini posteriori mente ancora ridacchiava e si lamentava troppo ubriaco per reggersi in piedi. Jake gli si mise accanto facendolo scostare e Connor dopo pochi secondi prese finalmente il controllo del volante accendendo l'automobile e partendo a tutta velocità, prima che la porta del pub si aprisse e i due allibratori conciati male dopo la scazzottata, vedessero la macchina sfrecciare via.
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