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Capitolo 5


Se non sei felice è tutta colpa tua.

Proverbio Tibetano

Abituarsi alla caccia per Jake era sempre stato difficile. Non gli piaceva che fosse uno sport praticato per divertimento e tanto meno gli piaceva il fatto di dover cacciare per dover dimostrare qualcosa. Ma nelle grandi dimore d'Inghilterra quello era un passatempo non raro, non poteva certo tirarsi indietro. Non doveva attirare troppa attenzione su di se naturalmente e rifiutando un privilegio simile sicuramente lo avrebbe fatto. L'unica cosa che lo consolava era il fatto di non dover sparare su quelle povere bestie lui stesso, ma di essere solo il complice dell'aguzzino a cui passava l'arma del delitto poco prima di compiere il crimine.

Quella mattina il completo che indossava era molto diverso dal solito, comprendeva pantaloni in lana leggera leggermente corti sulle caviglie e morbidi sulle gambe di un colore grigio fumo a motivo spigato, una giacca della stessa foggia che gli arrivava appena sotto il bacino, panciotto bordeaux e camicia bianca ben inamidata e abbottonata fin sotto la gola. Portava un cappello in feltro dello stesso colore del completo e al taschino il fazzoletto era dello stesso colore del panciotto. Era uno dei completi informali che aveva portato con sé sapendo che prima o poi ne avrebbe avuto bisogno, anche solo per potersi recare in città nel suo giorno libero, ma non aspettandosi di certo di doverlo sfoggiare ad una battuta di caccia tra Conti e Duchi nella nebbiosa campagna del Lincolnshire. Gli scarponcini in pelle testa di moro si stavano già macchiando di fango ma almeno erano molto comodi e non gli impedivano i movimenti. Lo sguardo serio e la mascella contratta facevano risaltare ancora di più i lineamenti marcati che erano appena coperti dalla piccola tesa del cappello e che gli coprivano in parte gli occhi cristallini.

Henry stava da almeno dieci minuti immobile con il fucile sulla spalla e un occhio puntato tra mirino e boscaglia. Concentrato e nervoso cercava in ogni modo di sembrare un vero cacciatore, ma di quello forse ne aveva solo l'aspetto. Il completo grigio khaki che indossava gli fasciava le spalle larghe e definite, il panciotto verde bosco a contrasto con la camicia bianca, gli faceva risaltare il colore degli occhi adesso socchiusi, ma Jake questo non lo avrebbe mai ammesso. Aveva tanto sperato che Henry scegliesse quel completo e inaspettatamente lo aveva fatto. Intorno a loro il silenzio era irreale ma ogni tanto si potevano sentire il fruscio appena accennato del vento tra gli alberi e qualche allodola che cantava timida. La nebbia era riversa ancora nella vallata, era presto e i cacciatori si erano fatti trovare già pronti all'arrivo degli Stafford a Melton Mowbray così da non fargli perdere tempo prezioso e da non doverlo togliere al divertimento. Milady e la Duchessa Wilkinson erano rimaste alla tenuta certamente a programmare delle nozze da sogno, mentre un'audace Elisabeth Wilkinson, vestita da caccia e pronta a fare il suo dovere, era andata con il gruppo ma non aveva calcolato la presenza opprimente e forse per la sua timidezza anche ingombrante del valletto del Signorino Stafford.

La ragazza infatti si manteneva qualche metro più indietro rispetto ai due, Jake portava la sacca rigida con i fucili di calibro più grande su una spalla, intanto osservava in silenzio il suo padrone mentre cercava di sparare con un terzo di calibro più modesto.

Henry al suo arrivo era stato gentile con Elizabeth, le aveva fatto un baciamano impeccabile vedendola uscire dalla tenuta e andandogli incontro, l'aveva fatta arrossire facendo apprezzamenti sul suo completo da caccia scuro e sul suo cappello, ma poi non aveva detto altro. Le uniche cose che Henry riusciva a dire erano le poche frasi rivolte a Jake inerenti alla caccia, niente di più. Non che non avesse argomenti, certo che no, il figlio del Conte era colto e ben informato avrebbe potuto instaurare una conversazione con chiunque in qualunque situazione gli era stato ampiamente insegnato a farlo, ma si percepiva un nervosismo che non era del tutto normale vedere in un giovane uomo di ventitré anni che incontra la promessa sposa dopo parecchi mesi dal loro ultimo incontro e sa di non potersi tirare indietro in alcun modo e per nessuna ragione.

Lei naturalmente stranita aveva chiesto il perché della presenza del valletto, ma Henry aveva troncato subito il discorso dicendole che non era molto che era in servizio da loro e che voleva che sapesse tutto quello che un valletto non dovrebbe mai fare, tipo lasciare solo il suo padrone per troppo tempo nel caso ce ne fosse stato bisogno. Ovviamente una stupidaggine più unica che rara che non solo fece infuriare totalmente Jake, ma che lo mise anche in un leggero imbarazzo. Con Henry era così, un passo avanti e cento indietro, davvero faticoso.

Quando finalmente si decise a sparare un colpo questo andò a segno con grande giubilo della signorina Wilkinson che non esitò ad avvicinarsi ad Henry per accorciare il più possibile le distanze e complimentarsi con vari squittii gioiosi. Jake poco più in la rimase nel silenzio ma sorrise, unico gesto che regalò ad Henry mentre questo si voltò inspiegabilmente a guardarlo. Non uscirono parole dalla sua bocca, non c'era bisogno di dire molto e il giovane Conte era fin troppo elogiato dalla ragazza al suo fianco in quel momento, il suo ego era ancora totalmente salvo.

Dopo un altro paio d'ore nel freddo bosco di Mowbray, il Conte Stafford decretò la fine della battuta così che signori, signorine, prede e valletti potessero tornare alla tenuta ospiti del Duca Wilkinson che non aveva mollato un attimo il Conte parlando sicuramente di affari e non solo di fagiani o lepri. Avrebbero gustato lo squisito pranzo che li attendeva nell'immensa sala del piano inferiore, dove solitamente si consumavano pranzi più informali con menù di selvaggina e dove non ci sarebbe stato bisogno di un cambio d'abito.

Henry durante il pranzo fu costretto a congedare Jake, con sollievo del secondo e con terrore del primo. Adesso quella bolla di protezione effimera che il riccio si voleva creare intorno doveva scoppiare e svanire per un po'. Il valletto però stava venendo forse a capo di tante cose che non aveva ancora avuto il modo di vedere nella quotidianità di casa Stafford. Henry non era solo arrogante e viziato, sapeva essere subdolo certo, e lo aveva apertamente offeso davanti alla sua futura moglie, ma aveva notato in lui quella mattina, un ombra di timore, quasi avesse paura. Aveva intravisto dietro l'aria spavalda e sicura, una fragilità che gli ricordò se stesso appena tre anni prima, alla sua età. Aveva l'aria di chi vorrebbe scappare con tutto se stesso da tutto e tutti senza però riuscirci, sembrava proprio qualcuno che sta mantenendo un segreto così terribile dentro di sé da avere timore nel voler stare troppo in compagnia di qualcuno altro senza che questo riuscisse a scoprirlo. Vedeva in lui la paura di essere vulnerabile, di essere scoperto a fare qualcosa che non poteva essere visto da nessuno in alcun modo. Forse era proprio per questo se fino alla sera precedente quando gli aveva chiesto il favore di stargli vicino, non aveva mai voluto avere a che fare con lui. Era paura di qualcosa.

Il valletto interruppe i suoi pensieri e si ritirò velocemente per il fugace pranzo servito in cucina per i componenti del personale, ma sapeva che sarebbe dovuto tornare in sala quanto prima.

Per l'intera durata del pranzo Milady aveva tenuto gli occhi addosso ad Henry, non lo aveva perso di vista un attimo, come un'arpia pronta a sferrare il suo attacco alla minima esitazione, al minimo fallo, al minimo dubbio. La frustrazione già ingombrante tra genitori e figlio nell'automobile che li aveva accompagnati alla tenuta, si stava trasformando in un enorme problema. Henry si sentiva letteralmente soffocare, aveva già dovuto sorbirsi la predica della madre indispettita dal colore del completo che aveva scelto e dal fatto che volesse a tutti i costi che Il signor Scott lo accompagnasse anche durante la battuta, se non altro per tenergli i fucili, ma adesso i suoi occhi parlavano chiaro, era furiosa. Notava nella signorina Wilkinson una nota di disagio e cosa poteva essere se non la delusione di non vedere in Henry quell'adorazione che lei invece aveva nei suoi riguardi. Milady non poteva essere messa in discussione neanche per un attimo, era per questo che Henry cercava di passarci il minor tempo possibile, perché lei come suo padre anzi di più, era quella che gli diceva come doveva vivere la sua vita, spesso con molto poco garbo e senza mezzi termini.

Elisabeth Wilkinson in realtà non era neanche una ragazza spiacevole se non fosse stato per la mascella piccola e i denti abbastanza sporgenti in avanti. Era una ragazza castana e alta con tutte le forme al loro posto, aveva una risata equina e questo poteva essere un problema, ma era almeno spigliata e gentile o perlomeno così pareva. Si era stretta in un completo da caccia blu scuro, che cozzava inevitabilmente con il suo incarnato rosato, il cappellino posato delicatamente sui capelli raccolti la faceva sembrare ancora più alta e sproporzionata e questo sembrava quasi imbarazzarla. Ma il problema più grande di quella povera ragazza in effetti era l'odore, purtroppo per un motivo ad Henry sconosciuto Elizabeth emanava un per nulla piacevole odore come di stantio. Non doveva essere proprio lei in sé povera ragazza, ma probabilmente lo shampoo seppur francese con il quale lavava i capelli, non aveva il profumo che ci si poteva aspettare nelle boutique di Parigi. Così tra un sorso di vino e l'altro quando gli si avvicinava per scambiare una frase timida, Henry si ritrovava a dover trattenere il respiro cercando di non rimettere il cervo in salsa al vino rosso.

«Pensate di fermarvi per il tè?» chiese lei remissiva mentre tentava di affondare il coltello nella carne scura, perfettamente addestrata a tenere le posate dritte come fusi.

«Solo per il tè sì, vorrei fare un giro a cavallo nel pomeriggio, se non le dispiace.»

Henry voleva mettere subito in chiaro la cosa, non sarebbe stato ancora vicino a sua madre o nei suoi paraggi, neanche per tutte le Colonie Inglesi del mondo, la passeggiata a cavallo gli sembrava l'unica cosa sensata da fare per avere almeno anche solo la sensazione di scappare via.

«Oh, bene! Pensavo che avremmo potuto fare una passeggiata nel giardino all'Italiana, ma in tal caso faccio preparare due cavalli!»

La ragazza sembrò sorpresa e delusa insieme, sicuramente aveva sperato di poter passeggiare con il giovane Conte nell'immenso giardino della villa fino all'ora del tè, magari scambiandosi qualche sguardo languido e qualche sfioramento di mani, ma evidentemente il suo promesso aveva altri piani.

Così mentre lei richiamava l'attenzione di uno dei camerieri per farsi chiamare la cameriera personale mettendola al corrente del cambio d'abito necessario, Henry intervenne brusco senza esitare e con la poco delicatezza che lo contraddistingueva in quelle occasioni disse solo.

«Tre!»

Quella distolse lo sguardo dalla cameriera appena arrivata rimettendo l'attenzione su di lui.

«Ne faccia preparare tre.»

Lui fu glaciale, si pulì deciso gli ancori della bocca con il tovagliolo in cotone bianco immacolato e prendendo un sorso di vino dal calice di cristallo intarsiato davanti a lui, neanche si voltò a guardarla.

La ragazza rimase interdetta, sul suo viso si dipinse una maschera di delusione così chiara che non c'era neanche bisogno di sapere se fosse o meno così. Il sangue sembrò concentrarsi tutto sulle sue gote e arrossendo ma non d'imbarazzo, sembrò capire al volo cosa quella richiesta comportasse.

Con un flebile ma garbato "Vogliate scusarmi» si alzò velocemente e a passo deciso si allontanò dalla sala da pranzo, quasi correndo ancora rossa in viso e agitata, seguita dalla cameriera che non stava capendo nulla di quello che era appena successo.

Henry prese un altro sorso dal calice, con calma come se non avesse appena scatenato una bufera con una semplice frase e prima di alzarsi sempre educato con un «Con permesso» rivolto a tutti i commensali, incrociò di proposito lo sguardo della madre. Era gelido e quel freddo lo sentì arrivare dritto sulla pelle e tra le ossa, gli si conficcò nel petto e un brivido nacque da dietro la nuca, questa volta doveva averla fatta davvero grossa.

Jake aveva già indosso gli stivali alti per cavalcare, e si stava bighellonando sul retro della Taverna quando vide Henry uscire a passo spedito sul prato dirigendosi verso il boschetto di betulle lì vicino. Non aveva il cappello e per qualche ragione gli parve di vedergli sul viso un ghigno arrabbiato e poco consono alla situazione. Nessuno ancora aveva finito di pranzare ma lui era uscito lo stesso, molto tipico del giovane Conte in effetti. Fu più forte di lui, in quel momento senza pensare a niente che non fosse il ragazzo davanti a lui lo seguì senza esitare, non sapeva neanche perché lo stava facendo, in qualche modo dentro di sé aveva sentito qualcosa che gli diceva di andare e lui il suo istinto lo ascoltava sempre, in ogni situazione.

Dopo un centinaio di metri pensò di averlo perso di vista, ma poi sentì un rumore cupo, quasi come un urlo strozzato e spezzato, come un grido soffocato, un rantolo di un animale ferito con un colpo di fucile. Svoltando dopo un'alta siepe vide Henry davanti ad una fontana rotonda che rilasciava un alto zampillo di acqua chiara, era di schiena, non gli vedeva il viso ma capì che si stava chiaramente sfogando nell'incavo del gomito facendo uscire un altro suono quasi osceno, che durò il tempo di un urlo disperato.

Quel ragazzo doveva avere così tanta rabbia dentro di sé da non potersi neanche godere un pasto completo. Quella frustrazione agitata che lo contraddistingueva arrivava come una nuvola carica di pioggia, cupa e scura promettendo tempesta.

Lo scricchiolio dei sassolini sotto i piedi del valletto però lo tradì e Henry con gli occhi gonfi e lucidi, la bocca rossa per la pressione contro la giacca e le labbra appena bagnate, si voltò verso di lui con un'espressione tra il sorpreso e il sollevato. Era bellissimo e allo stesso tempo faceva paura, un piccolo tremore delle spalle tradiva quello che la bocca non poteva dire, quella era muta, gonfia e muta, ma i suoi occhi no. Il giovane Conte non si scompose molto nel vederlo o almeno era quello che sembrava dai suoi gesti, prese un profondo respiro continuando a guardarlo negli occhi e sistematosi la giacca sul davanti si voltò di nuovo verso la fontana dandogli nuovamente le spalle, come se nulla fosse accaduto. Quegli occhi erano dolore, disagio e dolore, Jake non li aveva mai visti in quel modo, così vulnerabili così indifesi come mai prima, dopo quasi un mese al servizio della famiglia per la prima volta vedeva traccia di un sentimento vero sul volto del riccio, un sentimento che non era solo un capriccio o un vizio ma nascondeva molto di più. Tutta la sfrontatezza improvvisamente era svanita, tutta la caparbietà e la noncuranza in quel momento si erano dissolte.

Henry prese un altro profondo respiro che nel silenzio di quella conversazione muta fatta di rumore acquatico e vento, sembrava rimbombare, si voltò ancora guardando Jake e annuendo impercettibilmente iniziò a camminare verso la sua direzione. Lo superò passandogli a pochi centimetri e tornando da dove era venuto veloce come una folata di vento, mosse l'aria così vicino al castano che il suo orecchio ne percepì il freddo, un brivido lieve gli attraversò tutta la schiena fino alla vita facendogli venire la pelle d'oca su tutto il corpo. Ma Jake aveva sentito anche un'altra cosa, rimase immobile ancora nella stessa posizione dritta e solida, il profumo di Henry che gli ricordava le conifere in collina sembrava non esserci più, era andato via in un soffio insieme a lui, ma le nocche della mano che aveva sfiorato quando gli era passato accanto senza neanche guardarlo in faccia gli bruciavano roventi. Un formicolio aveva iniziato a disperdersi in tutto il braccio, una sensazione di contatto che ricordava ma che non sapeva di aver bisogno.

La cavalcata del pomeriggio andò bene, la signorina Wilkinson sembrò divertirsi anche se la presenza di Jake sembrava costantemente lì per osservarli in effetti, ma lui fu discreto come sempre e Henry più gentile e rilassato che a pranzo. Jake si era fatto più silenzioso che mai ma non voleva perdere troppo la testa ripensando a quello che era successo, in realtà non poteva proprio farlo in effetti aveva già forse osato davvero troppo seguendolo e trovandolo in quella situazione, doveva andarci piano.

Tornati alle scuderie il giovane Conte aiutò Elizabeth a scendere da cavallo e la riaccompagnò alla tenuta, la salutò con affetto proprio come si conviene ad un promesso sposo ma poi si congedò, non trattenendosi per il tè come invece aveva dichiarato in precedenza. Inutile dire che questo per Milady fu il colpo di grazia. Quando vide rientrare Elizabeth da sola senza Henry ad accompagnarla, non ci vide più e consumata velocemente la bevanda calda che gli era stata offerta, se ne andò con il marito al seguito sempre più stanco dei continui cambiamenti d'umore della moglie dovuti al figlio. Il viaggio di ritorno da Mowbray fu estenuante ma tutto sommato abbastanza veloce. Le nuove automobili tedesche del Conte avevano di molto facilitato il trasporto di tutta la famiglia e del poco personale di servizio che comprendeva Jake, il signor Murray e la signorina Miles, la peggiore compagnia che si potesse desiderare in un viaggio effettivamente. Si erano dovuti stringere perché a quanto sembrava il giovane Conte aveva preso in ostaggio uno degli autisti e di sua spontanea volontà si era diretto a casa ad Harlaxtor senza avvisare nessuno. Milord e Milady non ci vedevano più dalla rabbia, Jake invece aveva dovuto nascondere un sorriso fin troppo azzardato appena fu informato della fuga, beccandosi un'occhiataccia dalla signorina Miles. Aveva indossato di nuovo i suoi scarponcini scuri e per tutta l'intera durata del tragitto aveva cercato di guardare fuori e godersi il paesaggio al tramonto ma non si era neanche accorto che si stava continuamente sfiorando le nocche della mano destra, per riportare alla mente una sensazione che pensava di aver solo sognato.

Non era certo la prima volta che si sfioravano per ragioni ovvie, Jake aiutava Henry con i vestiti, almeno per quanto glielo permettesse, quasi ogni giorno. Nulla però era mai stato paragonabile a quel gesto, non in un occasione come quella, non in quel contesto, non dopo lacrime, rabbia e frustrazione. Era stato intenzionale, voluto e cercato, un piccolo segno quasi invisibile che chiedeva aiuto a gran voce. Non sapeva ancora cosa potesse significare, magari nulla, magari sì, ma capì che voleva assolutamente saperlo. 

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