Capitolo 4
Quello che è difficile da sopportare è dolce da ricordare
Proverbio Indù
Lo sfregare delle lenzuola di seta porpora lungo il suo inguine, sembravano lasciare dolci carezze proprio dove ne sentiva davvero il bisogno in quel momento. Si era tolto il pigiama durante la notte come spesso gli capitava, anche quella, il dormire, era una delle cose che non riusciva a fare in modo convenzionale. Girandosi supino ancora frastornato dal sonno e cullato dalla flebile luce dell'esterno, rimase ancora per un po' fermo immerso tra quelle onde di morbido tessuto Giapponese. La sua mano destra andò lenta ad accarezzare un fianco ma si spinse subito avida un po' più sotto, dove un piccolo rigonfiamento si faceva sentire tra bacino e materasso. Si voltò a pancia in su e ancora coperto per metà dalle lenzuola, fece scorrere l'altra mano lungo tutto il suo busto che si stava piano piano ricoprendo di quella pelle d'oca che tanto gli piaceva procurarsi da solo, o forse avrebbe preferito che fosse qualcun altro a farlo. Con quel pensiero in testa, i ricci sparsi ancora sul cuscino e gli occhi socchiusi, iniziò a muovere la mano sull'erezione che stava diventando sempre più dura ad ogni stoccata pigra. Le gambe si muovevano lente e le ginocchia riuscirono ad allontanarsi dal materasso così che potesse accentuare la frizione del coccige sul tessuto. Si sentiva bene quando si dedicava a se stesso, ancora di più se in quel momento nei suoi pensieri c'era l'inimmaginabile e inaspettato. Mani che lo accarezzavano, sussurri che gli parlavano all'orecchio, capelli castani che gli sfregavano la fronte, labbra calde che lo baciavano, un profumo così dolce da stordirlo, un accenno di barba che lo graffiava appena e dita esperte e delicate che lo esploravano. Con un piccolo gemito sommesso aumentò la frizione sulla sua lunghezza che ora svettava al centro del suo corpo candido appena ricoperto sul pube e fino all'ombelico da una peluria scura e morbida. La mano sinistra scese languida nel solco tra le natiche sode lievemente sollevate dal materasso. Puntò ancora forte i pieni così che potesse tenersi più sollevato e iniziò a cercare di entrare dentro di se per arrivare a quel piacere proibito che bramava. Il respiro divenne più affannoso, l'odore di ormoni che si risvegliavano si poteva sentire flebile nell'aria, ma lui sentiva solo il calore di una voce immaginaria che lo chiamava piano, gentile, melodiosa.
Tutto quello che vuole Milord....
Entrò dentro di se senza neanche leccarsi le dita, i suoi occhi erano ancora socchiusi e la bocca rossa stava boccheggiando appena, cercando aria ma trovando solo gemiti. Gemeva e si penetrava con un dito mentre si masturbava piano senza sprecare neanche un attimo di quel sogno ad oggi aperti. Scostò le fastidiose coperte di seta scura e si abbandonò nuovamente nudo sul materasso nella stessa posizione supina adesso meno oppresso, con il corpo libero più fluido nei movimenti. Puntò di nuovo i piedi con decisione e sollevò il bacino aprendo un po' le gambe. Era più deciso questa volta, tornando a darsi attenzioni ormai cedevole alla lussuria, passando quasi per l'oscenità come se tutto quello non fosse già abbastanza. La sua bocca ormai spalancata per il piacere accolse indice e medio che furono inondati di saliva che la lingua rilasciava abbondante, quella sensazione non fece altro che aumentare le sue fantasie...
Come desidera Milord...
Gemette un po' più forte, la schiena s'inarcò un po' di più e non resistette oltre, tornando ad esplorarsi con le dita umide, sentendo che il suo corpo lo accoglieva così bene da sentirsi appena più rilassato. Con il respiro che accelerava, i suoi movimenti diventavano sempre più veloci, le sue mani suonavano quello strumento che era il suo corpo come se fosse un gran maestro di musica, come una melodia perfetta che si libera nell'aria, come una musica divina. Continuò così a darsi piacere sempre di più e a penetrarsi con le sue stesse dita. Voltò il viso sul cuscino e si morse una spalla quando non riuscì a trattenersi oltre. Le gambe si aprirono leggermente e rimase completamente esposto ad uno spettatore invisibile che gli faceva delle richieste precise.
Vieni per me, vieni per me e ti prometto che farò lo stesso per te....
Sentendo nelle orecchie quella voce calda come il sole di Luglio e delicata come lenzuola di seta, anche se sapeva di averla solo immaginata, dette ancora alcune rapide stoccate e con un gemito strozzato ma liberatorio si riversò sul suo stomaco in fiotti caldi e prolungati. Godette forte fino all'ultimo momento di piacere e appoggiate ancora le chiare natiche sul materasso, sospirò forte e si accarezzò ancora dai fianchi al petto per crogiolarsi nell'estasi dell'orgasmo ancora per qualche istante. Poi con un sorriso beffardo che aveva tutta la malizia del giovane Conte contenuta in esso, guardò oltre la finestra come sorridendo a qualcuno, uno spettatore immaginario e ignoto, solo dopo si rilassò completamente rimanendo supino sul grande letto a baldacchino. Sospirò «Cristo Santo...» un'esclamazione poco velata e blasfema che pronunciò a bassa voce solo a se stesso e che lo riportò alla realtà cruda. Ma almeno sperava di iniziare la giornata forse più di buon umore del solito. Henry sapeva cosa significava un'intera giornata di caccia a Melton Mowbray, non ne era contento ma troppe volte aveva declinato l'invito e ora era giunto il momento in cui non avrebbe più potuto tirarsi indietro. Sua madre non lo mollava un attimo, ogni volta che incrociavano gli sguardi doveva insistentemente parlargli del fidanzamento. Sempre e solo quello. Come se avesse avuto una qualche importanza chi avrebbe dovuto sposare. Tanto sapeva che agli occhi della madre e soprattutto del padre che sempre meno gli rivolgeva la parola, lui sarebbe sempre stato il secondogenito, il meno dotato, quello che non aveva interesse per la politica, quello che sigari e brandy dopo una lunga cena in frac non erano di suo interesse. Quello che riusciva a far innervosire perfino il parroco della città con i suoi discorsi sull'uguaglianza sociale, quello che era stato costretto a studiare legge perché letteratura non si addiceva ad un futuro Conte. Sarebbe stato sempre il secondo in tutto, nel titolo, quel sentirsi chiamare Signorino, lo odiava, non poteva più sopportarlo, sarebbe stato secondo anche nel meritare una parola di incoraggiamento dal padre, sarebbe stato secondo nel decidere anche una minima cosa della sua vita. Perché c'era Edmund, sempre e solo lui. Per questo aveva imparato a non parlare più di tanto, a non perdersi inutilmente in frivole conversazioni di circostanza, gli piaceva di più ascoltare. Per questo le uniche compagnie che aveva tollerato nei lunghi mesi a Harlaxton Manor dopo il suo rientro da Oxford erano state i suoi preziosi libri e i suoi amati cavalli. A loro non doveva alcuna spiegazione, non doveva essere Conte o Signorino o Signore, non doveva fingersi qualcun altro, non doveva provare qualcos'altro. Odiava suo fratello, di questo era certo, una persona così orribile e meschina non l'aveva ancora trovata nella sua vita. Era sempre in viaggio e questo era un bene, soprattutto da quando il College era finito e non avrebbe sopportato di trovarselo tra i piedi ogni singolo giorno, ma sapeva che stava per tornare e quello, aggiunto al fatto di dover essere gentile e carino con una donna alla quale non poteva donare altro che falsi sorrisi, lo avevano portato ad esagerare in molti sensi in quei mesi di esilio ad Harlaxton. Perché Henry in fondo non era cattivo, ma conosceva solo pochi modi per attirare l'attenzione su di se e uno di quelli era mettere in imbarazzo il nome della sua altolocata e nobile famiglia, fregandosene completamente del giudizio del padre. Lo avesse almeno una volta guardato negli occhi mentre lo ammoniva nel salotto immacolato della sala nord, dove sedeva alla sua scrivania davanti alla grande finestra con gli occhiali sul naso passando in rassegna le mille scartoffie che aveva di fronte. Lui era una mosca fastidiosa che gli ronzava ogni tanto troppo vicina e il Conte era costretto a scacciarla con un gesto della mano. Come fanno i cavalli con la coda quando devono scacciare mosconi sporchi che gironzolano troppo vicini alle loro orecchie. Henry era solo un grattacapo per il padre, aveva vizi troppo costosi, davvero troppo e non si comportava in maniera decorosa con nessuno. Ma le uniche parole che il Conte riusciva a dirgli sempre erano «Se solo tu potessi prendere almeno un po' l'esempio da tuo fratello.» e lo congedava. Non c'era nulla che lo tenesse ancora legato alla tenuta o alla famiglia o a quella nazione pensava addirittura, ma non avrebbe rinunciato anche all'ultimo schiaffo ben assestato che poteva dare alla madre, uno schiaffo in pieno volto, che avrebbe sentito fin troppo bene. Così doveva cercare nel miglior modo che poteva di metterla in imbarazzo e avrebbe iniziato proprio dal giorno seguente, visto che non poteva più declinare nessun invito da parte dei Wilkinson e della loro insignificante figlia, Lady Elizabeth Wilkinson, sarebbe andato a trovarli e avrebbe fatto il suo trionfale ingresso. Henry si alzò definitivamente dal letto, aveva fatto più tardi quella sera leggendo il libro che al momento lo dilettava, Guerra e Pace, adesso il tomo mezzo aperto riposava sulle coperte color porpora vicino a lui e aveva assistito silenzioso ad uno spettacolo mattutino interessante che il giovane Conte aveva regalato alla sua stanza. Era da un po' che intendeva iniziare quella lettura, così la sera prima, dopo aver congedato il suo nuovo valletto, si era diretto da solo verso la biblioteca e ne aveva preso la copia che sapeva non essere mai ancora stata letta da nessuno, immacolata nella sua rilegatura di pelle rossa con le scritte bronzate in bassorilievo sulla costola e in copertina. Era solo il volume numero uno, la prima parte, ma sapeva che avrebbe potuto facilmente reperire la seconda della stessa casa editrice una volta tornato a Londra. Non sapeva però che quella sera mentre si muoveva nell'oscurità della casa, due occhi chiari e silenziosi lo avevano seguito. Non sapeva di essere osservato e non era neanche nei suoi più reconditi pensieri, o forse sì. Tornando in camera con la lampada ad olio a fargli luce, aveva letto poco più di una quindicina di pagine poi era crollato travolto dal tepore delle coperte calde e dal confuso conforto di un bicchiere di whisky che si era preparato prima di tornare al piano di sopra.
Comunque quella mattina Henry voleva cavalcare, avrebbe avuto bisogno di tutta la calma del mondo per affrontare la giornata successiva e intendeva non stancarsi neanche troppo, ma i suoi pensieri lo chiamavano. I programmi erano di cavalcare un po' la mattina e di rilassarsi leggendo il pomeriggio. Non avrebbe toccato alcol a cena e sperava di svegliarsi almeno in parte di buon umore il giorno seguente. Un lieve bussare arrivò alle sue orecchie, era già in piedi in vestaglia e pantofole vicino alla finestra che illuminava la stanza. Aveva già tirato le tende e questo sorprese non poco Jake quando entrò educato e silenzioso all'interno della stanza.«Buongiorno Milord.»
«Buongiorno signor Scott.»
Jake rimase quasi impietrito sentendosi salutare, solitamente Henry gli impartiva solo ordini ogni mattina senza eccezione, quindi quando sentì la voce del giovane ancora assonnata e calda, un piccolo sorriso gli nacque spontaneo sul volto. Non volle ammettere che forse aveva visto un sorriso anche nell'altro. Il ragazzo davanti a lui in quel momento era illuminato dalla luce flebile del mattino e i suoi lineamenti dolci ma decisi, la pelle chiarissima e le labbra appena imbronciate, risaltavano in contrasto con la vestaglia bordeaux. Per non parlare dei capelli, ormai stava imparando ad apprezzare i ricci scuri e ribelli di Henry che gli arrivavano appena sotto le orecchie e che continuava insistentemente a non voler tagliare, sembravano selvaggi ma allo stesso tempo gli donavano un'aria misteriosa e molto regale. Se solo avesse saputo a cosa pensava il giovane Conte quella mattina toccandosi...
«Desidera che l'aiuti in qualcosa Signore? Stamattina è ancora abbastanza fresco ma credo che se vuole uscire, una giacca...» S'interruppe perché Henry incalzò il suo discorso, come immaginava, come faceva sempre.
«Voglio cavalcare Scott, quindi se non le dispiace vorrei la mia divisa pronta tra un quarto d'ora.» Henry non lo guardò neanche naturalmente ma pronunciò la frase mentre si avvicinava alla bacinella sul comò.
«Certamente Milord. Cosa devo dire per la colazione?»
Jake da bravo professionista aveva capito che Henry non era minimamente intenzionato a fermarsi con Milord e Milady per colazione, voleva anzi quasi sicuramente evitarli. Certe volte, farsi amici i componenti del personale di servizio voleva dire anche iniziare a conoscere dinamiche familiari che altrimenti sarebbero rimaste sconosciute ai più. Aveva intuito che Henry non aveva piacere a passare del tempo con i genitori e credeva quasi certamente che quella del giorno successivo potesse essere una dura giornata per lui.
«Vedrò di tornare in tempo per il pranzo.»
Rispose il giovane voltandosi questa volta e guardandolo inevitabilmente prima di avvicinarsi al bagno privato. Il riccio doveva ammettere che quel nuovo valletto non aveva minimamente l'aspetto di un valletto, in più stava capendo perfettamente senza troppe domande cosa voleva, come in quel caso che aveva dato per scontato il fatto che non si sarebbe presentato alla colazione e che avrebbe avuto bisogno di dire qualcosa al Conte per giustificare la sua assenza, e questo rendeva tutto molto più interessante di quanto immaginasse in realtà. La prima volta che lo aveva visto al loro primo incontro non lo aveva messo bene a fuoco, certo con i postumi di una sbornia colossale non era stato facile. In realtà il ragazzo, forse di poco più grande di lui, aveva dei bei lineamenti che gli donavano molto e che lo mettevano quasi a disagio, non per nulla i suoi pensieri erano andati a quel volto proprio pochi minuti prima che entrasse. Era alto poco meno di lui e sembrava prestante ma asciutto, muscoloso al punto giusto, sembrava celare forme allenate sotto la divisa. Aveva un naso proporzionato, piccolo e leggermente all'insù, le labbra erano fini e chiare. La sua pelle sembrava di un leggero color nocciola e i capelli lisci e castani erano sempre tenuti indietro in modo ordinato e morbido anche se ogni tanto un piccolo ciuffo ribelle sfuggiva al suo controllo. La prima volta che lo aveva visto gli era parso di vedere un accenno di barba chiara sul suo viso e doveva ammettere che non gli era dispiaciuta quell'insolenza che però non si era più ripetuta, forse solo nelle sue fantasie. Ma la cosa che lo aveva colpito nei giorni seguenti e che aveva notato mentre lui non guardava, era sicuramente il colore dei suoi occhi, non pensava di aver mai visto occhi come quelli in nessuna ragazza ne a Birmingham né a Londra, sembrava il mare più limpido, qualche giorno in tempesta e certe volte così blù da lasciarlo senza fiato. «Le farò preparare anche un abito da equitazione per domani Milord, immagino che ne avrà bisogno.»
L'affermazione certa di Jake mentre raccolto il pigiama dell'altro, cercava di rassettare l'appendiabiti per fare spazio alla divisa che gli avrebbe preparato, senza guardarlo in viso naturalmente, fece esitare Henry sulla soglia del bagno.
«Grazie Scott, è una buona idea.»
Poi lasciò il valletto al suo lavoro, era arrossito senza rendersene conto.
***
La giornata passò abbastanza veloce, l'atmosfera frenetica dell'imminente spostamento dell'indomani aveva fatto venire i nervi a fior di pelle a tutti. C'erano bagagli da preparare, anche se per un solo giorno, ma i cambi sarebbero stati almeno due. C'era da preparare il personale di servizio e capire chi e con che cosa sarebbero andati via, se con le nuove macchine del Conte arrivate pochi giorni prima dalla Germania o in carrozza. La governante era in delirio e la signorina Miles non esitò a farglielo notare aggiungendo anche che «Milady dovrà essere impeccabile, nulla e ripeto nulla potrà farla passare in secondo piano, soprattutto davanti alla Signora Wilkinson.»
Continuamente elogiata la signora Stafford, teneva a questi eventi mondani più che ad ogni altra cosa. Era una donna estremamente sola e certo i suoi modi pochi carini verso le altre mogli dei signori dell'alta società non aiutavano a farla ben volere. Per lei l'apparenza era tutto, e l'unica cosa di cui poteva vantarsi del suo secondo figlio, era dire a tutti che Henry era il suo fiore all'occhiello. Il ragazzo adesso diventato un giovane uomo più bello che il Lincolnshire e quasi sicuramente anche il Somerset avessero mai visto, era il partito perfetto, il migliore che poteva esserci in circolazione. Ne parlava proprio come fosse merce di scambio. Tutto era apparenza per lei e avere un figlio da dare in marito ad una scialba ragazza seppur dell'alta borghesia Inglese, che non poteva competere minimamente con lui, la rendeva piena di boria e vanità più di quanta già non ne avesse. Se fosse stata un animale maschio Milady sarebbe sicuramente stata un pavone, pensò Jake sentendo i discorsi della Miles, mentre aiutava i ragazzi con i preparativi. Henry tornò per l'ora di pranzo come aveva detto. Nella grande sala dove si serviva il pasto c'era il signor Wood a cui fece un cenno di saluto garbato, ai due camerieri pronti a servire il pranzo invece riservò una strizzata d'occhio malandrina ma ben celata. Ma a tavola aspettava solo sua madre, Milady, elegantemente vestita come sempre strizzata in un abito verde salvia in chiffon, con guanti chiari color burro alti fino al gomito e tre collane di perle che adornavano un collo tirato e longilineo, scoperto dai capelli perfettamente acconciati morbidi sulla nuca. Sicuramente la parte più bella da ereditare da quella donna era forse la pelle d'alabastro ed Henry era stato sicuramente più fortunato rispetto a suo fratello Edmund sotto questo punto di vista o almeno così sembrava. «Buongiorno Madre, perdona il mio ritardo.» disse Henry in tono pacato e formale, sganciandosi il bottone della giacca e accomodandosi all'altro capo del lungo tavolo da pranzo, senza troppe smancerie, mettendosi perfettamente dritto e poggiandosi delicatamente il tovagliolo sulle gambe. Aveva indossato un abito da giorno in tweed sui toni del marrone cappuccino, la stoffa era più leggera del tweed di lana e gli conferiva un'aria ancora più giovane del normale. Jake aveva proposto quasi la stessa cosa per quel pranzo, aveva scelto un tweed ma sui toni del grigio, ovviamente Henry aveva come al solito fatto di testa sua, anche se gli aveva dato la soddisfazione unica di aver azzeccato almeno la fantasia. Il giovane Conte indossava poi scarponcini alti fino alla caviglia di un acceso color mattone, e la camicia bianca sotto al panciotto aveva il primo bottone del colletto sbottonato. Sua madre non esitò a farglielo notare.
«Non capisco perché ti ostini ancora a voler far finta di essere ancora ad Oxford figlio mio.» disse mentre la prima portata veniva servita in tavola.
«Forse perché vorrei che fosse così.» sussurrò piano a se stesso prima di rispondere qualcosa che non avrebbe voluto dirle, sicuro che l'unico che avrebbe potuto sentire da quella distanza sarebbe stato forse Connor che gli stava versando l'acqua.
«Come va con il nuovo valletto? Immagino che non sia stato lui a proporre quel completo e neanche a vestirti dato che la camicia sembra quella di un pittore male in arnese.»
Sua madre non poteva esitare nel dire quello che pensava, mai, e neanche di denigrare tutto e tutti, sembrava non avere un filtro tra pensieri e bocca. Non si erano visti molto in quei giorni, Henry aveva evitato di proposito Milady, ma sapeva bene quanto voleva fargli quella domanda, quanto voleva chiedergli del signor Scott. Doveva averlo visto, doveva aver visto bene Jake in più di un occasione gironzolare per casa indaffarato e probabilmente neanche lei si aspettava che un valletto potesse avere quell'aspetto, quindi era curiosa ed Henry lo sapeva bene perché erano proprio il genere di chiacchiere frivole che piacevano a sua madre.
«Sapete bene che se fosse per me e se possibile vorrei fare da solo madre. Il nuovo valletto sa fare il suo mestiere comunque, ma sa anche che non deve toccare troppo le mie cose.»
Sospirò appena. «Sembra sveglio, dopotutto prendere il posto di Charles non era poi così difficile in vero.»
Henry sembrava volergli far capire che sì, per lui andava bene, ma che avrebbe comunque fatto anche senza un valletto, una bugia pessima che continuava a raccontarsi da solo insistentemente, forse solo per cercare di andare contro al protocollo di casa Stafford. Milady fece un verso di assenso e poi inforcò il primo boccone della portata che calda aspettava sul piatto di porcellana. «Per domani ti prego di essere presentabile e impeccabile, sono mesi che non incontri Elizabeth Wilkinson non vorrei che pensasse che non stai bene o che qualcosa è cambiato tra voi.» Disse in tono vivace la donna. Il giovane Conte capì subito che il primo pensiero di sua madre fu quello di compiacere gli altri. Non aveva chiesto se stesse bene sul serio, come avesse passato la mattinata, perché non era presente a colazione o se domani si sarebbe sentito a suo agio nel rivedere quella gente. No, lei aveva pensato solo all'apparenza, alla camicia non abbottonata e non inamidata, alle scarpe troppo informali, al completo troppo vistoso e al fatto che probabilmente avrebbe potuto mettere in imbarazzo la sua futura moglie continuando a comportarsi in quel modo. Henry era ormai disgustato da tutto, ormai era rassegnato. Connor portò via il primo piatto ormai vuoto e Michael versò del vino nel calice che Henry aveva richiesto con un piccolo gesto della mano, sicuro come sempre di essere visto. Il giovane Conte continuava a guardare fuori dalle immense finestre che davano sul giardino e mostravano un paesaggio verdeggiante e illuminato ad intervalli irregolari dal sole che faceva ogni tanto capolino da qualche nuvola grigia. Non rispose, non ne aveva più il cuore e neanche la mente per formulare una qualsiasi risposta o affermazione a ciò che aveva detto Milady. Bevve invece un sorso avido di quel liquido rosso e acido e posò delicato il bicchiere davanti a sé. In seguito con la mascella contratta all'inverosimile, prese il tovagliolo si pulì la bocca lentamente e si alzò da tavola piano. Si avvicinò alla madre che stranita lo stava adesso guardando davvero, come se avesse attirato improvvisamente la sua attenzione e rispose piano. «Non preoccuparti madre, la Signorina Wilkinson non avrà occhi che per me domani.» Facendo un piccolo inchino davanti a lei si congedò.«Vogliate scusarmi.» e uscì rapido dalla sala da pranzo.
La madre rimase per un attimo interdetta ma poi come se non fosse successo niente, come se tutto fosse assolutamente normale, scosse appena la testa e continuò a mangiare indifferente all'accaduto, richiamando nella stanza la sua cameriera personale che naturalmente non tardò un solo secondo ad arrivare per essere informata di tutto. Jake attendeva fuori dalla sala da pranzo, come si conveniva durante i pasti nel caso ci fosse stato bisogno di lui per qualcosa. Non appena Henry uscì come una furia dalla sala, con lo sguardo basso e il passo svelto, si trovò a non sapere cosa fare, se seguirlo o meno verso la biblioteca dove si stava dirigendo. Le gambe lunghe e snelle del giovane erano svelte e attraversare il corridoio fu un attimo per lui, così che il valletto dovette stargli dietro, ma Henry si fermò di colpo e Jake poco dietro fece lo stesso. Il giovane Conte voltandosi appena senza farsi vedere bene in viso parlò piano. «Ho bisogno di stare solo per una passeggiata Scott, non mi serve niente grazie.»
Continuò a camminare dirigendosi in biblioteca e chiudendosi la porta alle spalle. Jake rimase fermo impassibile in mezzo al corridoio, non aveva neanche avuto modo di rispondergli ma quel grazie gli aveva fatto nascere un sorriso spontaneo anche se amaro sul volto, perché aveva giurato di aver visto una piccola lacrima scendere dalla guancia del giovane Conte e seppur dal carattere assolutamente incomprensibile, quel ragazzo non poteva meritarsi di piangere, lui non ci voleva credere. Jake finì in fretta di preparare ogni cosa per il viaggio, stivali da equitazione compresi e lasciò il bagaglio di Henry nell'apposita stanza dove poi l'autista e il facchino sarebbero passati per prendere tutto e caricare le tre automonili che li avrebbero condotti alla tenuta dei Wilkinson. Non sapeva quanto tempo avrebbe avuto a disposizione prima di tornare in camera di Henry per prepararlo per la cena, così per l'ora del tè non vedendolo ancora tornare si fece coraggio e tentò. Doveva cercare di capire quel ragazzo in qualche modo, voleva riuscire a leggerlo e voleva che lui si fidasse totalmente, doveva agire anche se era estremamente rischioso, ma ne valeva per tutti i mille motivi che lo avevano portato fin lì. S'incamminò lungo il vialetto che gli aveva visto prendere con un libro in mano almeno tre quarti d'ora prima, dove lo aveva guardato allontanarsi dalla tenuta a passo svelto. Costeggiò la villa e arrivò fino alle scuderie, ma lì non c'era. Continuò fino al boschetto di faggi più vicino che comprendeva anche alcune aiuole ben curate e altre in manutenzione, ma non era neanche lì. Tornò verso il retro della casa, non poteva allontanarsi così tanto senza motivo e soprattutto senza sapere dove andare, girovagando per la tenuta senza una meta, sarebbe stato nei guai. L'aria era troppo fresca per lui, l'umidità di fine Aprile rischiava ogni volta di metterlo più in difficoltà che in ogni altra stagione, non era né caldo né freddo e la sensazione continua che da un momento all'altro avrebbe potuto piovere lo faceva impazzire. Giunto in prossimità del retro della tenuta, si voltò per caso verso una struttura che faceva da sfondo ad un'imponente fontana decorata con statue di leoni dormienti. Era una struttura rettangolare e abbastanza imponente anche da parecchi metri di distanza, sul davanti si aprivano tre archi grandi che facevano da ingresso ad un regno di roccia e muschio attraversata da sottili rivoli d'acqua, che la facevano sembrare una porta per un altro mondo, un passaggio segreto per un altro luogo, e lo vide. Immerso nella lettura, appoggiato ad una colonna, concentrato e incupito. I capelli scuri gli ricadevano sugli occhi che il valletto non riusciva a vedere, la postura leggermente incurvata non lasciava trasparire nessun fremito anche se la temperatura si era notevolmente abbassata e la nebbia iniziava a salire lenta. Le mani grandi ma dalle dita fini, come quelle di uno scrittore, tenevano in mano lo stesso volume che aveva notato abbandonato tra le coperte sfatte quella mattina in camera da letto. Teneva le caviglie incrociate in una posizione che di nobile aveva poco e in quel momento gli sembrò solo un ragazzo come tanti, uno che avrebbe potuto incontrare ovunque a Londra, uno con cui scambiare due chiacchiere e magari farsi una birra, uno con cui parlare di libri, di sport, di passioni o di vita, non il futuro Conte di Harlaxton secondo in linea di successione, non l'irrequieto ragazzo dai mille vizzi peccaminosi, non l'infelice viziato che voleva far credere di essere. Ma non lo disturbò, non avrebbe mai potuto, Jake doveva essere invisibile e seppur combattendo contro il suo primo istinto, dovette desistere e allontanarsi a passo spedito, possibilmente senza essere visto e senza fare alcun rumore che lo avrebbe tradito. Quell'incontro così inaspettato, anche se cercato, gli aveva mostrato una parte di Henry che forse gli poteva piacere almeno un pò, ma non lo disse davvero neanche a se stesso, era solo un pensiero fugace, uno stupido scherzo che la sua mente aveva deciso di fargli, non gli sarebbe mai piaciuto, mai. All'ora della cena il giovane Conte fece ritorno nella sua stanza, un attimo dopo Jake comparve sulla soglia richiamato dal campanello di cui ormai conosceva bene il suono. Non fece neanche in tempo ad annunciarsi che Henry parlò veloce, ma aveva un tono tranquillo e non minaccioso come suo solito, sembrava quasi rinvigorito da qualcosa, sembrava meno arrabbiato.
«Scott sei qui, bene! Senti devo chiederti una cosa davvero importante.»
Jake non si aspettava una cosa del genere, figuriamoci una richiesta quindi rispose veloce.
«Tutto quello che vuole Milord.»
Henry che stava intanto trafficando con alcune cartoline sulla sua scrivania vicino alla finestra, alzò gli occhi verdi e svegli e lo guardò malizioso con un sorriso sghembo che nascondeva molto. La sua mente tornò rapida a quella mattina sentendo quelle semplici parole in fila, ma si contenne. Jake inghiottì la saliva che improvvisamente gli era salita alla gola, quasi fosse imbarazzato da quella affermazione che il futuro Conte pareva aver frainteso in qualche modo dallo sguardo che gli aveva dato.
«Domani devi starmi il più vicino possibile.»
Continuò insistendo ancora a rigirarsi tra le dita qualche sottile pezzo di carta rigida. Jake annuì, aveva capito dove voleva andare a parare, ma rimase ancora in silenzio, l'idea però gli stava già piacendo e non poco.
«Devo fare in modo di non stare da solo per troppo tempo con la signorina Wilkinson, quindi le chiedo questo Scott, dovrà starmi parecchio vicino. Durante la caccia voglio che lei sia il mio attendente e durante la passeggiata a cavallo voglio che venga con me!»
Jake non si aspettava nulla del genere, non fino a quel punto, ma annuì ancora sempre in silenzio, facendo il suo mestiere, ma i suoi pensieri stavano già galoppando.
«So che può sembrarle strano, lo capisco ma poi le spiegherò meglio, per adesso ho bisogno che lei faccia uno sforzo in più domani e che non sia solo il mio valletto personale, dovrà essere la mia ombra, mi può aiutare? Crede di poterlo fare?»
Jake temeva quella richiesta, non se l'aspettava così sincera e chiara ma la temeva. Non poteva deludere Henry, in fondo un valletto non era forse anche un confidente, un uomo di fiducia? Se il suo signore richiedeva quel particolare servizio, chi era lui per rinunciare? In più poteva trasformarsi in una giornata davvero interessante.
«Conti pure su di me Signore.»
Fece un accenno convinto con la testa e gli mostrò un sorriso sincero che Henry a quel punto inaspettatamente ricambiò. Erano i gesti più umani e meno maleducati che gli aveva riservato da quando era arrivato a Harlaxton Manor e non voleva farseli scappare. Il giovane Conte lo congedò, dichiarando di non avere fame e di non voler scendere per la cena, un tè in camera sarebbe bastato aveva detto, così Jake si avvicinò alla porta poco dopo, ma fu richiamato sulla soglia, con la maniglia già stretta nella mano salda.
«Scott!»
Il valletto si voltò.
«Grazie, davvero.»
Con un piccolo accenno del capo che gli fece scappare un ciuffo ribelle sulla fronte annuì.
«Grazie a lei Milord.»
Chiuse la porta con un sorriso mentre si permise di ricambiare lo sguardo quasi complice dell'altro.
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