Capitolo 3
Ogni raggio dell'alba prende per mano i tuoi sogni più belli e li conduce alla realtà.
Augurio Tibetano
Quando riusciva a dormire davvero profondamente, si trovava ancora là. Il sole splendeva alto e attraversava con i suoi raggi la decorazione intarsiata in pietra bianca della finestra che occupava tutta la parete, e che divideva l'interno della stanza dall'esterno, sembrava cosparsa di stelle luminose. Sentiva voci e schiamazzi, risate e campanelli delicati provenire dalla strada che sapeva essere lì sotto, larga, affollata e rumorosa. L'odore d'incenso e cotone che lo aveva sempre cullato tra quelle mura gli entrava insistente nelle narici e ad ogni inspiro riusciva a percepire anche un lieve sentore di curry piccante. Si ritrovava come quel giorno ad essere ancora steso di schiena, un po' scomposto, sul grande tappeto decorato finemente di fili oro e cremisi che occupava gran parte del salone centrale di quella dimora. I piedi scalzi e i buffi pantaloni che si stringevano al ginocchio gli lasciavano libertà di movimento perché erano larghi e morbidi in vita. Una camicia di seta chiara con uno scollo sagomato a V e senza colletto, gli ricadeva morbida sul petto e le maniche gli coprivano fino al gomito i lembi della pelle appena dorata. In mano teneva stretto un libro aperto, quella volta erano Le Notti Bianche, che descriveva luoghi lontani e in netto contrasto con quello che lo circondava ogni giorno. Se voltava lo sguardo vedeva Ravi accanto a se seduta sui talloni, ad intrecciarsi i capelli lunghi e scuri in una treccia laterale facendo muovere le piccole dita svelte dalle punte dipinte di rosso, tra le ciocche spesse, in modo veloce ed esperto. La ragazza portava un saree giallo ocra e aveva lo sguardo pacifico rivolto verso di lui. Poteva vedergli i lineamenti dolci e allo stesso tempo marcati, che lo fissavano e gli sorridevano, poteva vedere il Tilak fare bella mostra di sé in mezzo alla fronte tra le due sopracciglia arcuate e ben curate che sovrastavano occhi grandi e nerissimi. Delle labbra carnose e scure completavano un volto che per lui era più familiare di qualsiasi altro, per lui rappresentava tutto ciò a cui era legato. Rimaneva come incantato dall'intreccio dei capelli della donna e sentiva solo calma e pace riempirgli il petto, una sensazione che aveva dimenticato da tempo. In un attimo tutto cambiava e vedeva che Ravi ad un certo punto muoveva le labbra ma senza emettere alcun suono. Quando succedeva e tutto intaccava quella calma apparente, gli occhi di lei improvvisamente s'intristivano e la bocca a quel punto sembrava scandire il nome di lui, ma ancora non riusciva a sentirne il suono. Lui era lì con lei ma la donna si agitava improvvisamente guardandosi intorno e lasciando cadere su una spalla i suoi capelli intrecciati per metà. Lui adesso era seduto e il libro tra le sue mani non c'era più, gli occhi neri e contornati di kajal della donna lo guardavano ancora questa volta impauriti, impotenti, tristi, e la sua bocca continuava a chiamare il suo nome ma ancora senza che ne uscisse alcun suono. Quando poi Ravi allungava la mano scura con le punte delle dita rosse cremisi verso di lui, sembrava quasi che lo stesse per toccare e invece, lui si svegliava all'improvviso, frastornato, come sempre strappato ad un ricordo che avrebbe preferito sparisse per sempre, ma che in un qualche modo lo confortava anche se era orribile in un certo senso.
Risvegliarsi da quell'incubo gli procurava quasi sempre una fitta al petto. Si tirava su dal letto, respirava profondamente e si convinceva di non essere più a Jaipur ma in Inghilterra. La sua vita adesso era molto diversa da quella di allora, da quella che si sarebbe aspettato di vivere e che era destinato a vivere, e per colmare un dolore che divideva con qualcun altro ora lontano era diventato quello che era adesso. Non più se stesso, non più. Era stato difficile accettarlo, lo era ancora probabilmente, più di quanto non volesse ammettere. Ogni mattina cercava di ripetere sempre gli stessi gesti, di mantenere sempre la stessa routine, meditazione compresa e ringraziava silenziosamente di aver ottenuto una stanza singola in quella casa così grande, la sera tornando lì poteva ancora essere छोटा बंदर , una scimmietta, come lo chiamava Ravi, e in qualche modo si perdonava, riacquistava tranquillità e si imponeva di non lasciarsi prendere dallo sconforto. Ma era dura, era molto molto dura.
Le prime settimane ad Harlaxtor Manor erano stati orribili. Aveva dovuto imparare in fretta le poche e strane abitudini del giovane Conte, capire dove fossero le cose che gli servivano per cambiarsi e cercare di orientarsi in quella tenuta che definirla immensa sembrava un eufemismo. Il primo incontro tra i due ragazzi non era andato come sperato, era stato imbarazzante e anche poco educato, ma ovviamente da bravo valletto non si era fatto scoraggiare dal trattamento riservatogli. Henry era scostante, irascibile e assolutamente viziato, ma sembrava anche tremendamente solo in effetti. Dopo la mattina del loro incontro Jake aveva cercato di rendersi il meno visibile possibile, come lui aveva richiesto, ma senza lasciare al caso i suoi doveri naturalmente. Avrebbe ottenuto quella fiducia che cercava, e ci avrebbe messo tutto se stesso per farlo anche se Henry non gli avrebbe reso come stava già facendo, le cose per niente facili. Ogni giorno gli preparava i vestiti con cura e devozione, vestiti che non venivano mai indossati perché il giovane Conte non sceglieva mai la proposta che Jake gli avanzava, ma non avrebbe mollato. Gli illustrava ogni mattina le ultime notizie del Times, del Daily Telegraph e del Morning Post se necessario, aiutandolo a mettere i gemelli o ad allacciarsi la camicia, ma lui lo scacciava e lo zittiva immancabilmente ribadendogli ogni volta che «Ad Oxford mi hanno insegnato a leggere sapete? Penso di potermi leggere il giornale ben stirato da solo a colazione signor Scott.» e a lui non restava che accondiscendere con un «Ma certo Signore mi perdoni.»
Ma comunque ci provava e riprovava e non avrebbe certo smesso, la caparbietà era una delle sue maggiori virtù. Aveva notato che Henry, come lui era molto silenzioso, tranne che al loro primo incontro non aveva mai formulato in sua presenza frasi più lunghe di un rimprovero o di un buongiorno. Il pomeriggio solitamente il giovane Conte usciva a cavallo per delle lunghissime passeggiate, ma ancora la presenza del valletto non era mai stata richiesta e così Jake si era trovato a sistemare ogni indumento del giovane Conte, e a cercare di far sì di non sbagliare mai per non dargli un pretesto per lamentarsi ancora, cosa che aveva notato gli riusciva particolarmente bene.
Quella mattina dopo essersi riscosso dal sogno che lo aveva svegliato, Jake si era rasato, aveva aggiustato i capelli più corti ai lati e più lunghi sopra tirandoli appena indietro come sempre, e si era preparato come suo solito impeccabilmente, per non destare neanche un minimo accenno di poca professionalità da parte dei suoi colleghi e soprattutto dal signor Wood. Chiudendosi poi la porta della camera alle spalle era andato verso la cucina. Gli interni di quella dimora erano immensi, conosceva l'austera Burghley House quindi nulla più lo stupiva, ma Harlaxton Manor aveva qualcosa di più arioso e un non so che di romantico, in effetti, lo faceva in qualche modo sentire meno in soggezione. Molti colleghi erano già intenti ad attendere la colazione che veniva servita alle sei in punto, il Conte Stafford era solito svegliarsi molto presto e il signor Murray il suo valletto insisteva ogni volta a voler entrare in camera di Milord senza la puzza di porridge addosso. Aveva avuto modo di conoscere meglio alcuni suoi colleghi. Oltre alle cameriere Juliet e Elise poi c'erano anche Clara, Margharet e Luise che era la capo cameriera. In completo nero e panciotto bianco già seduti sulla destra del tavolo c'erano i tre camerieri con i quali Jake aveva già scambiato qualche sigaretta e qualche battuta nelle serate che li aveva visti dividere il turno di lavoro, erano Connor, Oliver, il ragazzo che lo aveva accolto il primo giorno, e Michael.
La cameriera personale di Milady la signorina Miles non sembrava avere molta simpatia per i nuovi arrivati, così spesso veniva praticamente ignorato da quella severa e poco piacevole donna. La cuoca e l'aiuto cuoca Sarah erano state molto gentili con lui fin da subito e non mancavano mai di rivolgergli sorrisi gioviali e parole educate di buongiorno. Mangiavano di solito in fretta attendendo i giornali che poi Connor avrebbe diligentemente stirato. Si sarebbero goduti una prima sigaretta mattutina e poi il lavoro sarebbe cominciato al suono delle campanelle che contrassegnavano ogni stanza sul grande tabellone apposito, appeso al muro dietro il capotavola che era riservato al maggiordomo.
«Signor Scott, domani credo che avrà bisogno di un cambio di abiti anche lei immagino.» Intervenne il signor Wood mentre sorseggiava la sua tazza di tè mattutina e sedeva alto e composto al suo posto. Jake che stava finendo le sue uova, si pulì educato la bocca e girò lo sguardo verso l'uomo. Tutti sembravano essersi improvvisamente zittiti, cosa molto rara la mattina, e aspettavano la risposta di Jake, curiosi.
«Mi perdoni signor Wood, ma temo di essermi perso qualcosa.»disse guardando l'uomo con un chiaro segno di interdizione e forse imbarazzo sul volto.
«Domani i Signori andranno a caccia nella tenuta dei Wilkinson a Melton Mowbray, ci sarà da divertirsi!» intervenne Connor gioviale, mentre il maggiordomo sollevava gli occhi al cielo certo che quel ragazzo non si fosse fatto gli affari suoi neanche questa volta, come spesso accadeva. Quel simpatico ragazzo biondo dalle origini Irlandesi, aveva sempre la battuta pronta ed era stato davvero l'unico in effetti a far sentire Jake quasi ben voluto nel gruppo fin da subito.
«Connor vedi di non creare ancora più confusione del solito, per cortesia.»
Poi rivolgendosi di nuovo a Jake continuò.
«Mi perdoni signor Scott ma devo essermi dimenticato di accennarglielo. I Signori sono desiderati appunto a Melton Mowbray.» e diede un'altra sguardata torva a Connor che finì con l'addentare un morso di pane bianco imburrato per starsene zitto. «Dove i Signori Wilkinson li ospiteranno per il pranzo e probabilmente per il tè. La Signorina Wilkinson sta aspettando da qualche mese ormai la presenza del Signorino, quindi per lui e appunto per lei Scott, sarà doveroso esserci.»
Jake annuì silenzioso. Le signore al tavolo iniziarono a chiacchierare sommesse, la cosa sembrava il gossip di cui non si poteva far a meno di parlare. Si sentivano bisbigli del tipo «Il signorino è così bello, lei è davvero fortunata» oppure «Lei non sembra alla sua altezza ma forse riuscirà a tenerlo a bada per una volta.» A questa frase però la governante zittì una delle cameriere, che ridacchiò con un'altra. Jake non immaginava che Henry stesse per fidanzarsi, a dire il vero non lo credeva possibile, una persona così scontrosa e viziata, egocentrica e forse un pò egoista, non credeva potesse avere una qualche relazione sentimentale, ma poi si ricordò di dove si trovava e che le cose lì erano ben diverse da quelle che fin da piccolo aveva visto e alle quali era abituato.
In Inghilterra non c'erano certo sguardi complici, danze festose e cesti di frutta, non era necessario essere ammalianti o dolci, bastava avere un titolo e un'eredità cospicua perché un matrimonio funzionasse, si poteva anche evitare fin da subito di rivolgersi la parola se si voleva, il matrimonio forse avrebbe addirittura funzionato meglio.
«Non si preoccupi signor Wood, sarò pronto anche per questo. Preparerò tutto il necessario per la caccia e troverà il bagaglio del Signorino pronto stasera per essere caricato in carrozza.»
I modi gentili di Jake, il fatto che in quelle prime settimane non si fosse mai tirato indietro nello svolgere nessun compito più o meno gravoso, aveva insinuato nel maggiordomo una particolare rispettabilità professionale.
«Mi chiedevo solo, il Signorino monterà anche a Melton Mowbray? In tal caso dovrò assicurarmi che abbia il cambio necessario anche per quello.»
Jake lo aveva capito, ad Henry piaceva cavalcare, e gli piaceva tanto, quindi la sua domanda non risultava fuori luogo. Due giorni prima accompagnandolo sempre in rigoroso silenzio alle scuderie, aveva notato in lui qualcosa che nei primi giorni a servizio non aveva mai visto. Sembrava la cosa più vicina alla felicità che gli avesse visto esprimere fin ora. Gli occhi di Henry si erano letteralmente illuminati vedendo il purosangue già sellato e preparato ad attenderlo. Lo aveva accarezzato sul muso senza esitazione e salutato come si fa con un vecchio amico. Il valletto aveva visto gli occhi dell'altro brillare alla tiepida luce di quel pomeriggio e aveva notato, questa volta con più chiarezza del solito, quanto fossero chiari, tendenti al verde, limpidi e bellissimi. Il volto del giovane Conte non poteva essere di certo ignorato questo no, e Jake lo aveva già capito dal loro primo incontro, ma le cose tra loro non sembravano volgere da nessuna parte neanche per le più piccole incombenze, quindi non gli restava che cercare di concentrarsi solo sul suo lavoro, solo in quello e in nient'altro.
«Ormai avrà capito che i cavalli sono una passione che il giovane Conte non osa nascondere, sì credo che la sua intuizione signor Scott sia davvero azzeccata.»
Il maggiordomo sembrava compiaciuto da come Jake era riuscito a leggere l'esigenza del Signorino, e gli rivolse un piccolo sorriso, che in quell'ambiente fatto di caste e leccapiedi, era un traguardo da non trascurare.
Jake annuì e fece per alzarsi così che potesse godersi in pace la prima sigaretta della giornata. Non gli piaceva particolarmente fumare, ma era anche diventato un modo come un altro per poter chiacchierare con gli altri componenti del servizio, per capire qualcosa di più sulla famiglia Stafford e per cercare di inserirsi nella maniera più semplice all'interno del personale di casa. Connor e Michael erano già fuori in attesa del postino, si avvicinò a loro e si accese una sigaretta di cui aspirò il primo tiro quasi fosse bisognoso di stendere i nervi, sapendo bene che il vizio del fumo portava solo il contrario impedendo una respirazione corretta.
«Non è facile stargli dietro eh?»
Connor aveva la piccola stecca bianca di tabacco tra le labbra e stava cercando di togliersi una piccola macchia di fango dalla scarpa sinistra lucidata a puntino, mentre parlava. Michael lì vicino era appoggiato al muro di calce chiara e sembrava incurante di ogni cosa stesse succedendo intorno a lui, anche se Jake aveva ben intuito che occhi e orecchie lì dentro funzionavano davvero bene anche se non si poneva attenzione alle situazioni.
«Ho già avuto a che fare con Signori come lui, ma devo ammettere che non lo è no.» confermò Jake con un sorrisetto, spostandosi appena il ciuffo di capelli dalla fronte e portandolo indietro. Non gli piaceva stare completamente sbarbato e con i capelli così impomatati ma la divisa non si poteva discutere, doveva farci i conti, per rimediare metteva sempre meno lucido nei capelli e non faceva più caso alla barba.
«Non è che sia cattivo, ma è parecchio silenzioso, è la persona meno prevedibile e più riservata che abbia mai visto. Tranne quando torna dalla città e si trasforma, in quel caso è insostenibile, diventa isterico.» Affermò il biondo espellendo il fumo dalla bocca.
«Ti ricordi quando vomitò davanti alla scalinata principale?» Aggiunse Michael quasi divertito, mentre Connor annuiva ridendo. «Il povero Charles non sapeva più che pesci prendere era uscito di testa, diceva di averlo perso di vista solo qualche minuto in quel pub di Birmingham e lui era tornato in quelle condizioni, io non ci ho mai creduto!» aggiunse il ragazzo dai capelli chiari e i lineamenti paffuti, sogghignando. Non era decoroso parlare dei padroni di casa in presenza del valletto personale di uno di loro, ma i ragazzi avevano capito quanto anche Jake fosse silenzioso, in più la sua età che non poteva andare oltre i venticinque anni li faceva ben sperare che avrebbe mantenuto un ennesimo segreto. Per Jake era un modo come un altro per poter conoscere qualche aspetto che non poteva scoprire da solo, dei comportamenti, dei vizi e dei misteri della famiglia.
«Forse si sente frustrato per qualcosa?»
Azzardò poi il castano, la sua sigaretta era quasi finita ma volle solo aggiungere quello, scatenando nei due camerieri una certa curiosità.
«Di certo non vuole sposarsi, questo è sicuro. Secondo me è per quello che cerca sempre di scappare da qui. E' una sorpresa in effetti che si presenti domani, perché solitamente non lo si vede quasi mai agli eventi organizzati da Milady.» rispose Connor in tono sommesso ma convinto, forse anche lui pensava che la questione della frustrazione fosse plausibile, poi continuò.
«Quando tornò da Oxford a Giugno dello scorso anno, avrebbe dovuto iniziare ad andare con Milord a Londra per affari, quando non dovevano pensare ad amministrare la magione. Ma il fratello del signorino è sempre stato, diciamo, più sfacciato di lui. Era sempre Edmund ha portare notizie dei commerci da Oriente al padre e ad ottenere la sua attenzione in tutto. Il primogenito ha smanie di grandezza secondo me, così il Signorino è stato nuovamente messo da parte come sempre, sia da Milord che da Milady.» Jake ascoltava interessato, queste dinamiche lo avrebbero aiutato a procurarsi più velocemente la fiducia di Henry in effetti.
«L'unica cosa che poteva fare era avere un matrimonio di convenienza per entrambi e così Milady non ha esitato e a Dicembre gli ha dato la notizia. Non l'ha presa bene, sono mesi che si comporta così. Alla fine Charles non ci ha visto più e ha accettato il lavoro da contabile in un'azienda di Birmingham, non aveva tutti i torti, essere trattati così male è meschino non trova?»
Jake prese l'ultimo tiro della sigaretta e si accorse che con la fine della frase Connor lo stava osservando. Forse attendeva una risposta che però non sarebbe arrivata, non avrebbe detto una parola su Henry anche se a dire il vero gliene venivano in mente parecchie, ma non avrebbe ceduto. Jake invece sorrise, spense il mozzicone per terra e sistemandosi nuovamente i capelli tornò dentro in silenzio.
Aveva capito che c'erano dei validi motivi del perché Henry si comportava così e aveva anche intuito che sia Milord che Milady non avevano occhi che per Edmund, il fratello maggiore nonché vero erede del titolo e di gran parte dell'eredità degli Stafford. Dire che ognuno di loro era il futuro Conte di Harlaxton non era sbagliato, ma non era neanche corretto, però così era uso rivolgersi ai Signori e quindi lo facevano senza distinzione. Una delle tante regole dell'aristocrazia Inglese che non poteva essere riscritta, ma che doveva solo essere interpretata correttamente.
Appena arrivato in cucina Jake alzò lo sguardo sull'orologio e come sempre si mise in attesa del momento in cui la campanella in corrispondenza della stanza di Henry avrebbe suonato. Un'altra lunga giornata doveva avere inizio.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro