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Capitolo 29

Non amare è un lungo morire

Proverbio Indiano

I successivi dieci giorni, passarono così veloce che loro non ebbero neanche il tempo di vedersi. Quell'ultima notte ad Harlaxton Manor Jake aveva solo potuto assaporare ancora una volta le labbra di Hanry, ma la stanchezza, lo spavento e il dolore del colpo di pistola che gli era stato inflitto non lo guidarono oltre nel suo intento. Avrebbe davvero voluto passare innumerevoli notti di tranquillità con il giovane Conte, ci voleva passare giorni e mesi a dire il vero, ma per lui ormai l'attesa sembrava diventata un po' come una migliore amica e così non si arrabbiava, l'accoglieva e ne faceva parte. Sapeva che anche Hanry era a Londra in quei giorni caldi di Giugno e sperava con tutto se stesso che alla fine del tour di tutti gli avvocati e notai di Trafalgar Square, si sarebbero potuti almeno incontrare, anche solo per bere qualcosa.

I saluti ad Harlaxton per lui erano stati gioviali ma dolorosi, salutare Sarah, la Signora Brown e il Signor Wood non era stato facile, ma si sarebbero rivisti ne era certo. La Signora Davies lo aveva stretto forte, gli aveva sussurrato qualcosa e poi si era congedata. Anche quella mattina come sempre si era svegliata presto e aveva indossato la sua solita divisa. La sua vita poteva cambiare radicalmente ora ma probabilmente il vero momento doveva ancora arrivare e intanto lei faceva quello che aveva sempre fatto, vegliava su suo figlio e sulla sua proprietà. Il suo nuovo ruolo ancora non era chiaro ma lei non aveva fretta, adesso che la verità era arrivata e che tanti segreti erano stati svelati, lei era tranquilla e a dire il vero tutta Harlaxtor lo era.

Kiran era tornato nell'appartamento di Mayfair, non poteva lasciare solo Esh ancora a lungo e in quei giorni sperava almeno di riposare qualche attimo circondato dalle sue cose, circondato da Logan. Voleva tornare il prima possibile a Jaipur, ma ancora non poteva, avrebbe dovuto aspettare ancora un po', ma c'era abituato. Logan era stato così gentile da lasciare a Jake la casa di Hampstead, così uno dei due Conti di Howard per adesso si era sistemato lì, lontano da occhi indiscreti e chiacchiere fastidiose, in un tranquillo nascondiglio in collina, fuori dal mondo, lontano dal rumore, lontano da tutto, solo. Il ritorno del giovane Conte di Howard era ormai sulla bocca di tutti, il fatto che poi adesso ce ne fossero due e che fossero entrambi vivi, era una cosa che non si poteva lasciare indiscussa, anzi. Il pettegolezzo si era propagato a macchia d'olio vorticosamente soprattutto nell'alta aristocrazia Londinese e ora il nome Thompson era proprio sulla bocca di tutti e tutte a Londra e non solo sulle prime pagine dei quotidiani. Chi si poteva far scappare quell'occasione tanto attesa di avere ben due Conti scapoli e di così bell'aspetto che attendevano solo un matrimonio conveniente?

Ma non sarebbe accaduto. Jake conosceva i suoi gusti e non si sarebbe omologato per facciata e Kiran era irrequieto più che mai. Nessuno dei due aveva la ben che minima intenzione di sposarsi, con grande dispiacere delle nobildonne Inglesi, ma ancora loro questo non lo sapevano e forse non lo avrebbero mai saputo. Forse era anche divertente lasciare qualche speranza accesa in città, almeno per ora.

Hanry in tutta quella faccenda infatti avrebbe anche dovuto annullare un matrimonio, ma la cosa straordinariamente colpì in pieno soprattutto il Duca e la Duchessa di Wilkinson in vero. Dopo aver appreso lo scandalo non avevano più neanche voluto le scuse del Conte Stafford, anche perché non poteva certo fargliele visto che adesso era rinchiuso in carcere per concorso in omicidio multiplo. Elizabeth a detta di molti parve quasi sollevata da tutto ciò dopotutto, e di conseguenza anche il nuovo Conte di Howard.

Connor O'Brian era tornato in servizio come Agente, ma Jake era convinto che si sarebbe rifatto vivo, ne era certo. Quell'Irlandese sveglio e dalla parlantina veloce ormai era diventato un amico e si erano ripromessi di non perdersi di vista, anche perché Connor voleva finalmente rivedere Castle Howard in tutto il suo splendore una volta rimessa in piedi la proprietà. Dopo anni in disuso e lasciata a se stessa l'immensa villa aveva bisogno di una rassettata. Jake aveva già disposto un gruppo di operai che la riportasse a quello che era, a quello che ricordava da piccolo, lo doveva alla sua defunta madre e lo doveva anche a suo zio che purtroppo come suo padre aveva conosciuto l'ira folle di un assassino. Avrebbe voluto piano piano un passo alla volta tornare alla normalità, magari prendere anche lui dei cavalli, curare il giardino, avere una grande biblioteca, una stanza dei cuscini come a Jaipur anche lì ad Howard, e voleva che la Compagnia adesso sua e di Kiran al settanta per cento, fosse certa di poter contare sulla collaborazione dei Thompson anche negli anni a venire. Un passo alla volta, un cambiamento alla volta, giorno dopo giorno.

Quella mattina aveva appositamente fatto recapitare in carta anonima un invito privato all'Hotel dove alloggiava Hanry. Il Claridge's non gli era particolarmente mancato in quegli anni da fuggitivo finto valletto, ma doveva ammettere che manteneva comunque la sua innata eleganza con quei mattoni rossi e i tetti spioventi e sapeva che Hanry non poteva non essersi sistemato lì per sbrigare tutte le faccende scomode che si erano sollevate negli ultimi giorni.

Un unico biglietto con l'indirizzo di casa di Logan, un unico biglietto scritto su carta bianca, pulita, chiara, con inchiostro nero, come a segnare un nuovo inizio, come a ricominciare da quello, senza nomi, senza intestazioni, non ce n'era bisogno.

Avevano tanto da dirsi, così tanto da raccontarsi che un pomeriggio e un tè insieme, che ovviamente non aveva intenzione neanche di prendere, non sarebbero certo bastati. Ci sarebbero voluti giorni interi forse anni per capirsi, per conoscersi, per riscoprirsi più loro stessi che mai, senza segreti questa volta, senza neanche l'ombra di un segreto a tenerli lontani. Così quando alle 16 in punto il campanello suonò e Jake andò ad aprire, in quell'assolato e stranamente afoso pomeriggio di Giugno, le gambe gli tremavano e il cuore gli batteva all'impazzata.

Aveva indossato il suo completo ruggine che gli andava a pennello con il pantalone che gli fasciava appena le gambe e la giacca doppiopetto che gli esaltava le spalle, una camicia bianca candida a esaltargli la forma del collo, le bretelle scure e i suoi amati scarponcini testa di moro ai piedi, impeccabile. Aveva avuto il tempo di sistemarsi ma la barba aveva preferito tenerla, incolta di tre giorni non di più, solo un velo ispido a ricoprirgli mento e guance, solo un po' di quella tenebra che aveva nel cuore voleva che si vedesse ancora, ma solo un po', solo perché sapeva che all'altro piaceva particolarmente, e lui adesso voleva piacergli più che mai.

Rimase a bocca aperta quando aprì la porta e si trovò davanti il Conte di Harlaxton in blu profondo. Un completo semplice ma di classe dove il colore così scuro faceva esaltare quello della sua pelle nivea, con un pantalone a sigaretta e una giacca ad un unico bottone corta sui fianchi. La camicia era inamidata e azzurra, la pochette dello stesso colore faceva bella mostra di sé nel taschino. Indossava una bombetta dello stesso blu del completo e i suoi ricci come sempre gli scappavano ai lati della testa vicino alle orecchie. Avrebbe voluto baciarlo lì, davanti alla porta ma anche se non c'era nessuno, Jake sapeva che già era strano il fatto che fosse andato lui ad aprire alla porta, certo non voleva che altre voci si aggiungessero a quelle che già circolavano da qualche giorno: Il Conte Thompson vive in una villa tutto solo senza neanche l'ombra del personale di servizio.

Il Conte Thompson dopo troppi anni in India si è dimenticato le buone maniere e anche il decoro.

Il Conte Thompson lì, Il Conte Thompson di la.

Al diavolo.

«Buonasera Milord, è un piacere vederla.» disse Hanry per rompere il silenzio che si stava protraendo per troppi secondi, davvero troppi in cui Jake era rimasto a bocca aperta.
«Benvenuto Milord, anche per me è un piacere averla qui, prego.» Sorrise e si accostò alla porta per farlo entrare. Con calma si tolse il cappello ed entrò quasi timido, la porta si richiuse subito alle sue spalle.

Quella strana situazione doveva presto finire e l'imbarazzo tra loro due doveva cessare. Ma nessuno dei due sapeva come fare. Dopo quei lunghi giorni forse poteva essere cambiato qualcosa, forse uno dei due poteva aver cambiato idea sul loro rapporto. Così Jake da perfetto padrone di casa gli fece segno di seguirlo, anche se la nausea era costante e il suo cuore non la finiva di battere come un tamburo impazzito. La voglia di toccarlo era così forte che la pelle pareva fargli male, come se la sua sola vicinanza gli provocasse dolore fisico, aveva bisogno di sentirlo.

«Posso offrirle qualcosa da bere?»

«Vuole farmi ubriacare Milord?»

«No, solo...possiamo rilassarci e poi...parlare magari.»

«Jake non sono venuto qui per parlare con te, per adesso.» Sembrava freddo, glaciale.

«A no? E che cosa crede di fare qui Milord?»

Erano arrivati al salotto senza sfiorarsi. Erano riusciti a non toccarsi per l'intero percorso dal corridoio al salotto e ora Hanry era alla grande finestra con tre ampie vetrate che facevano passare molta luce, mentre aspettava di rispondere, guardava fuori, si vedeva la città da lassù e il suo sguardo si perse mentre Jake a braccia conserte lo guardava e attendeva una risposta, che non arrivò.

«Allora è vero?»

«Che cosa?»

«Che non hai personale.»

«Non ne ho bisogno.»

«Giusto, tu non bevi neanche il tè.»

Sorrisero entrambi, quasi in imbarazzo, ma sorrisero.

Ancora silenzio, ancora Hanry cercava di non guardarlo in faccia, Jake non sapeva cosa fare, deglutì, le gambe sembravano volergli cedere ma rimase in piedi.
«Hanry...»
«Non lo so che cosa credo di fare qui Jake, dipende da te, dipende da quello che vorrai, dipende da quello che vuoi ora.»

Finalmente lo guardò e Jake rilassò le spalle. Sapeva che quella facciata d'indifferenza era solo l'arma del Conte, l'unica arma che adesso credeva di avere e l'unica arma che ogni volta distruggeva il Conte di Howard emotivamente e l'altro lo sapeva.

Jake era stato criptico nel suo messaggio; Ti aspetto ad Hamstead, dobbiamo vederci. J.

Hanry adesso probabilmente pensava che avrebbe dovuto affrontare per l'ennesima volta discorsi troppo complicati che non voleva sentire, forse credeva che anche Jake volesse delle spiegazioni, delle risposte, dei chiarimenti, ma non era così.

«E tu cosa vuoi Hanry?»

Il riccio rise, gli mostrò i denti e poi scosse la testa.

«Avanti dimmelo.»

«Lo sai Jake.»

«Forse, ma ho bisogno di sentirtelo dire, ho bisogno che ora sia vero, che ora sia tutto possibile senza ostacoli.»

«Gli ostacoli ci saranno sempre.»

«Sì, ma se andrà come spero forse saranno meno complicati.»

«E come speri che vada?»

Jake si avvicinò, ma dopo qualche passo si fermò.

Faceva caldo in quella stanza e l'aria era densa di ansia e aspettativa, di profumo di rose fresche appena colte che facevano bella mostra di sé in un vaso vicino al tavolino da fumo e l'aroma lontano di acqua di colonia e cotone confondeva i sensi di entrambi.

Deglutì ancora e poi si morse le labbra.

«Non c'è altro che vorrei di più in questo momento che te.» disse a voce bassa ma sufficiente quel tanto per farsi sentire.

Hanry sollevò la testa e lo guardò ancora. I loro occhi s'incrociarono di nuovo e questa volta si riconobbero. Sinceri.

«Possiamo ricominciare?» chiese Hanry.

«Tutto da capo.»

«Dal primo momento?»

«Da dove vuoi.»


***


La luce calda ma flebile di quel pomeriggio Londinese entrava tenue nella camera dalle tende bianche appena chiuse. Il pulviscolo leggero che fluttuava morbido nell'aria riempiva spazi che sembravano vuoti ma che vuoti non lo erano. Ai lati opposti del grande letto al centro della stanza, si spogliarono piano all'unisono come se lo stessero facendo reciprocamente davanti ad uno specchio, guardandosi, scandendo il loro ritmo, spogliandosi e scoprendosi non solo con le mani ma anche con gli occhi. Completamente nudi si arrampicarono sul materasso e in ginocchio su di esso attesero. Si guardavano come se si stessero scoprendo per la prima volta, come se fossero corpi nuovi, come se fossero anime sconosciute, come se non si fossero mai incontrati prima eppure conoscendosi già. Si avvicinarono l'uno a l'altro per poi quasi sfiorarsi con il petto, vicini, sentendo i loro respiri sulla pelle che reagiva ai loro sospiri con la pelle d'oca che si propagava per tutto il corpo, ma ancora senza sfiorarsi ad occhi chiusi. In attesa. Attendendo il momento giusto per toccarsi di nuovo, per incontrarsi ancora, per sentirsi ancora in momenti sconfinati che non vedevano l'ora di vivere e poi anche di ricordare. Guardandosi negli occhi ora, come se non si fossero davvero mai visti si sorrisero ed ebbero il coraggio di provare a sentirsi. Le mani iniziarono a sfiorarsi, le dita ad intrecciarsi, i palmi sollevati a ritrovare la loro metà in quello dell'altro. Le punte delle dita strofinavano i dorsi e riconoscevano un calore che era stato loro per molte notti e altrettanti giorni. Si ritrovarono in quella stanza luminosa, in quel pomeriggio di fine primavera, in quell'istante meraviglioso che volevano imprimere nelle loro menti. Sorridendosi ancora e ancora, sfiorandosi appena, riconoscendosi sempre anche se adesso erano due persone diverse da quelle che avevano lasciato ad Harlaxton Manor quella ormai lontana sera di dieci giorni prima.

«Le ho sognate anche di notte le tue mani su di me.»

Jake sorrise alle parole di Hanry e in un impeto di passione e gioia mentre sorrideva senza riuscire a smettere, fece collidere le loro bocce finalmente, ma anche dopo giorni di astinenza si riconobbero come se non fosse passato neanche un minuto dall'ultima volta che si erano incontrate, e le loro lingue presero ad inseguirsi come sapevano fare meglio, come erano abituate a fare.

Il respiro di entrambi divenne affannato, corto, difficoltoso perché non riuscivano a staccarsi neanche per riprendere fiato, ora che erano uno nelle braccia dell'altro non riuscivano più a staccarsi. Le loro mani ormai avevano imparato nuovamente a memoria ogni solco e neo delle loro pelli. Sfiorandosi, accarezzandosi, stringendosi, sembravano volersi dire tante cose che ancora dovevano raccontare, tante frasi che per troppo erano rimaste sospese, ma che avrebbero dovuto attendere ancora perché i loro corpi adesso più di ogni altra cosa bramavano di ricongiungersi, d'incastrarsi di nuovo tra loro, di ritrovare la loro dimensione, quella per la quale sembravano essere stati fatti. Hanry si soffermò a baciare la cicatrice netta e ancora rossa sulla spalla di Jake che si stava piano piano rimarginando, passandoci sopra le dita, imparando a conoscerla e a non dimenticare com'era stata fatta.

«Ti ho voluto sempre, sempre in questi giorni e mi sei mancato tanto.» disse il castano.

«Anche io ti voglio, ti prego...»

Jake avrebbe voluto ancora parlare, ancora dirgli quanto aveva sofferto nel vedere i suoi occhi persi e spenti in quegli ultimi giorni a Grantham, avrebbe voluto curargli le ferite che sentiva sanguinare in lui, che sentiva ancora pulsare aperte ed esposte, ma sapeva anche che quel momento di passione sfrenata e folle, non lo poteva fermare. Semplicemente non poteva.

Così stringendo Hanry lo fece stendere di schiena e lasciandogli le labbra sole, solo per un po', iniziò a percorrere ogni centimetro del suo corpo con la bocca, poi con la lingua, per assaporare e assaggiare un gusto che riconosceva ma che gli sembrava lontano. Voleva riavere sulla lingua il sapore di lui, voleva sentire il prima possibile quel gusto appena salato della sua pelle, quel profumo di fresco e inconfondibile odore di lui.

Gli prese il membro tra le labbra e si riempì la bocca con quello, all'improvviso, inaspettatamente senza esitare. Hanry gemette e sussultò nel vederlo scomparire tra le sue gambe, per poi tornare a guardarlo con occhi così chiari e blu da sembrare puro oceano in piena Londra, da fargli sentire quelle maledette farfalle nello stomaco ad ogni sospiro, ad ogni sguardo, ad ogni sorriso, ad ogni pensiero.

«Mi ero quasi dimenticato del tuo sapore, non deve più accadere...» disse Jake facendo gemere ancora il riccio, per poi leccare e succhiare con impeto con le labbra fini e rosee.

Accarezzò e sfiorò sentendo la morbidezza delle sue forme, poi si spinse sempre più in basso nel suo punto più nascosto, che come un fiore si aprì al suo contatto permettendogli di entrare. Hanry sospirava, tremando e tenendogli una mano tra i capelli, scompigliandoli ad ogni affondo di dita e bocca, in una danza d'estasi che lo faceva sussultare. Si lasciò andare guidato dalla maestria del suo amante, si lasciò sfuggire gemiti prolungati, aprì ancora di più le gambe per lasciargli spazio per accoglierlo, per fargli capire che era pronto, lo voleva dentro di se, ora.

Avevano aspettato troppo, avevano vissuto nella quasi certezza che forse tutto sarebbe andato male e che loro non si sarebbero mai più rivisti, che dovessero separarsi, che fossero costretti a dimenticarsi, proprio all'inizio di un amore che sembrava già infinito, proprio quando entrambi sconosciuti e consapevoli di esserlo, avevano deciso di amarsi e basta, oltre un'identità certa, oltre loro stessi, oltre le loro famiglie e quello che dovevano o volevano essere.

Adesso che si erano ritrovati, che volevano ritrovarsi ancora, che volevano essere lì presenti in quel preciso istante, loro si emozionavano e non lo nascondevano. Così Jake sentì un gemito più acuto dalla bocca di Hanry, sollevò la testa guardandolo ancora e sorrise di nuovo.

«Fammi tuo, ne ho bisogno.»

Una richiesta, la prima di quel pomeriggio che però non sarebbe stata l'ultima, Jake lo sapeva e anche Hanry. Perché gli piaceva eseguire quegli ordini, ma Hanry sapeva anche che gli piaceva darli, e non vedeva l'ora.

Il castano senza parlare, si arrampicò ancora sul riccio, e riprese poi a baciarlo, sfregandosi l'uno con l'altro. Ancora qualche istante e poi Jake si sollevò sulle ginocchia e con forza e possesso prese una gamba di Hanry portandosela sulla spalla, quella buona, per avere più controllo ed entrò in lui con un'unica spinta poderosa mozzando il fiato in gola al riccio che piegò la testa all'indietro in un grido muto di piacere e dolore mischiati insieme.

Iniziarono spinte poderose e profonde, gemiti forti di entrambi riempivano le stanze della casa sulla collina, immersa nel verde, tra i giardini pubblici e il bosco di faggi.

Hanry chiedeva, Jake ubbidiva.

Era un gioco che facevano da mesi, un gioco che conoscevano a memoria e del quale non si sarebbero mai stancati.

Spingendo dentro e fuori Jake si teneva alla gamba di Hanry, da lì poteva vedergli le smorfie di piacere sul viso, poteva imprimersi nella mente gli spasmi meravigliosi che aveva quando affondava in lui e il suo petto che si sollevava e abbassava. Erano in estasi. Hanry gli teneva i fianchi forte senza mollare la presa, così Jake prese ad occuparsi ancora di lui perché non resisteva più. Avevano sognato da troppo di ricongiungersi in quel modo che adesso tutto era amplificato.

Jake spinse ancora di più, manteneva il ritmo e sentiva Hanry cedere sempre di più sotto le sue mani, allargarsi, stringersi, aprirsi e lasciarsi andare.

«Ancora un po' amore, fallo per me...»

Hanry gemette forte e Jake con lui.

Usava la sua mano delicato ma deciso, lo sentiva che c'era vicino, le pareti del riccio si stringevano sempre di più.

«Vieni per me...»

Ancora qualche spinta e Hanry aprì i suoi occhi verdi su di lui, regalandogli una finestra su quel paradiso che Jake non avrebbe scambiato mai con nessun altra vista al mondo.

«Vieni per me, vieni per me e ti prometto che farò lo stesso per te...»

E spingendo ancora, vennero all'unisono. Ancora tra istanti sospesi, ancora respiri infiniti.

«Bravo piccolo...»

«Tutto quello che vuole Milord...» rispose Hanry con il fiato corto sorridendo.

Jake si accasciò sul suo petto per riprendere fiato, ma poi il riccio gli fece voltare la testa e riprese a baciarlo con fervore, senza resistere anche se l'adrenalina aveva raggiunto il suo culmine e si stava abbassando. Voleva ancora le sue labbra, voleva ancora il suo sapore, voleva ancora lui, sempre.

«Quanto possiamo restare?»

«Tutto il tempo che vuoi.»

«Sono con una delle Tedesche.»

«Mi stai dicendo che tornerai da solo?»

«Quando voglio.»

«E se non volessi farti tornare?»

«Vuole rapirmi Milord?»

«Ti voglio e basta.»

E ricominciarono a baciarsi con un impeto che adesso riconoscevano, con un ardore che ora più che mai sentivano. Nudi tra le lenzuola pulite ma che si erano già impregnate di loro, dei loro corpi mescolati, delle loro forme adesso di nuovo unite in una sola, dei loro sospiri che tanto gli erano mancati, dei loro occhi che come sempre parlavano e dicevano più di mille parole scandite chiaramente.

«Voglio sentirti ancora J, ti voglio così tanto, voglio sentirti gemere mentre sono dentro di te.»

Si abbracciavano, si stringevano, le mani sicure a toccare pezzi di pelle che i loro corpi non riuscivano a sfiorare, le gambe intrecciate in un nodo meraviglioso e indistricabile.

«Sai che sono tuo quando vuoi.»

«Voglio.»

«E allora che cosa aspetta Conte Stafford?»

Si sorrisero perché non potevano farne a meno, sorridevano tra i sospiri perché entrambi sapevano che da quel momento in avanti avrebbero conosciuto parti di loro stessi che nessuno aveva mai svelato, sapevano che potevano conoscere una parte di loro più sincera, più vera, autentica, come i loro sentimenti.

Hanry scese dal collo esposto di Jake fino al petto, poi all'addome, poi percorse con la lingua la linea appena accennata di peluria che c'era tra l'ombelico e il pube, mordicchiando, leccando, baciando, fino ad arrivare a quello che davvero voleva sentire. Il sapore di Jake di nuovo sulla lingua, i suoi gemiti rochi e profondi di nuovo nelle orecchie. Attimi di estasi che entrambi bramavano da giorni, giorni che erano stati stanchi, difficili, pesanti e che ora sembravano solo tanto lontani.

«Solo a te lascio fare questo, lo sai?»

«Ci sono tante cose che dovrai dirmi Milord...» sussurrò Hanry mentre si prendeva cura di lui, ricambiando le sue attenzioni. Le mani del riccio esploravano il suo amante, preparandolo a quella intrusione che sapeva non essere scontata, che sapeva di poter avere solo perché era lui, solo perché si erano trovati.

Affondava le sue dita ormai bagnate dentro di lui, per compiacerlo, per accontentarlo, per dargli quello che gli chiedeva, quello che voleva. Si beava di quella vista mentre gli continuava a sentire il suo sapore, circondato da sospiri che per Hanry in quel momento erano come melodia.

Jake lo afferrò saldo dalla nuca, Hanry lo guardò con occhi lucidi e di un verde così intenso da confondere i sensi.

«Entra dentro di me e non te ne andare più.»

Lo fece. Seguì la strada a ritroso che aveva fatto prima, dal pube all'ombelico, dall'addome al petto, poi al collo e baciò il suo amante mescolando i loro sapori.

Si mise di fianco a Jake per stargli dietro, lo accolse tra le sue braccia e mentre ora petto e schiena aderivano perfettamente come avevano sempre fatto, sollevò piano una gamba del castano per avere più accesso e spinse dentro di lui con una lentezza estenuante. Voleva fargli sentire tutto, ogni sospiro, ogni brivido.

«Mi eri mancato...» disse Jake mentre la pelle gli si riempiva di brividi nel pronunciare quelle parole. Hanry lo strinse ancora di più a sé e con la mano che aveva sotto il suo collo per sostenerlo, gli passò le dita sulle labbra, dita che Jake iniziò a succhiare dolcemente, ma con vigore e passione.

Hanry gemette nascondendo il viso nell'incavo tra spalla e collo dell'amante, beandosi di quelle sensazioni e iniziò a spingere in lui, costante e deciso. Gli accarezzava le labbra umide e l'altro gli succhiava le dita, gli teneva la gamba dal ginocchio e Jake lo accoglieva. Spingeva dentro e fuori come in un movimento continuo, un moto ondoso, come se non fossero neanche lì, come se in quel momento si trovassero da tutt'altra parte, come se esistessero solo loro due al mondo.

«Avevo bisogno di te.»

«Sono qui...» rispose Jake incitandolo a continuare premendo ancora di più il bacino verso di lui, per lasciargli ancora il comando, per farlo eccitare ancora di più, per farlo continuare ancora e ancora.

Jake voltò il viso verso di lui che subito lo baciò ritrovando la sua lingua, accarezzandogli le labbra sempre con la punta delle dita, sentendogli i gemiti nascere dalla gola per poi propagarglisi nel petto. Sentendogli il cuore battere sempre più veloce, mentre con la mano che gli teneva la gamba adesso aveva preso il membro e gli stava dado ancora più piacere mentre non aveva smesso mai di spingere dentro di lui, di penetrarlo a fondo, di farlo suo, di volerlo, di riaverlo con se.

«Vieni con me...»

Jake fu sconvolto ancora da un brivido potente, la pelle d'oca gli riaffiorò su tutto il corpo prepotente. Hanry sprofondò ancora in lui per qualche altra spinta mentre lo masturbava più veloce ormai sentendo la mano bagnata di lui.

Vennero di nuovo, insieme, all'unisono. Un orgasmo prolungato accompagnato da gemiti infiniti sembrava perdurare ancora e forse non si sarebbe mai fermato. Si baciarono nuovamente, Hanry teneva ancora il viso di Jake e lui gli teneva la mano sulla sua, per intrecciare ancora le loro dita insieme.

Si addormentarono così, uno tra le braccia dell'altro, due corpi in una sola forma, in un pomeriggio Londinese che a loro parve non finire mai.

***

«Perché non ti piace il tè?»

Jake rise mentre gli porgeva un bicchiere di vetro pieno di Ginger Ale e vodka.

«Tra tutte le domande che potevi farmi ai scelto proprio questa?»

«E' che mi sembra strano, in India il tè si produce, quindi non capisco perché non ti piaccia.»

Fece spazio a Jake sul letto, dove si mise a gambe incrociate e aspettò che anche il castano ancora completamente nudo come lui facesse lo stesso.

«Non ho mai detto che non mi piace, non bevo quello Inglese.»

«Ma non è lo stesso?»

«Assolutamente no! Non ha niente a che vedere con il tè del Rajastan dammi retta.»

Jake sorseggiava la stessa bevanda di Hanry con molto ghiaccio che era stata servita da lui stesso in bicchieri di cristallo spessi e intagliati con motivi floreali. Erano ormai le otto di sera e anche se si erano svegliati solo da qualche minuto avevano voglia di un piccolo aperitivo, che forse avrebbe aperto la strada ad una cena fugace e tarda in qualche pub di Hampstead, se solo avessero trovato ancora aperto, forse lo Spaniard's avrebbe fatto al caso loro, magari servivano ancora il Roasbeef, ma non erano sicuri.

«Raccontami dell'India J.»

«L'India non si può raccontare. E' difficile per me spiegarti che cosa rappresenta e com'è ,perché io la sento nelle mie ossa, credo che mi scorra nelle vede il curry speziato invece del sangue. E' che mi sembra di esserci praticamente nato e non è facile da descrivere.»

«Provaci, dai per favore.»

Hanry mise una mano calda su una coscia del castano che adesso aveva abbassato lo sguardo. Ricordare la sua terra non era facile per lui ma voleva farlo, voleva che Hanry s'innamorasse dell'India come lui aveva fatto con lui, ma era più difficile del previsto.

«Come ti senti Hanry?»

«Mmmh, dici per la faccenda di mio padre?»

«Per tutto, sì.»

«Quindi non vuoi parlarmi di Jaipur?»

«Non vorresti vederla un giorno? Perché solo così potrei descrivertela.»

«Davvero?»

«E perché no?»

«Tu vuoi tornarci?»

«Io devo farlo Hanry, perché lì ci sono tutti i miei ricordi più belli, devo farlo.»

«Con me?»

«Solo se vorrai.»

Si guardarono negli occhi con una luce diversa ora. Nelle loro parole c'erano promesse e progetti, entrambi ora avevano qualcosa che li rendeva felici, entrambi potevano vivere una vita senza paure.

«Quando mia madre mi ha...intendo Daiana ecco...detto che ero suo figlio io...non lo so mi sono sentito...bene. Come se in un certo senso io avessi sempre saputo di non poter appartenere solo a quel pezzo di mondo che vedevo tra quelle mura.»

«Tu eri un egocentrico esigente e anche un po' antipatico Hanry.»

Il riccio rise forte portandosi una mano alla bocca, Jake di rimando.

«Lo so, lo so, come mio padre alla fine.»

«Esatto sì.»

«Ma quando ho scoperto tutto quello Jake, io ero felice perché così sapevo di non essere come Edmund. Lui ha fatto soffrire troppe persone, ha fatto soffrire te, e non so come tu abbia fatto a volermi sapendo tutto quello che la mia famiglia ti aveva fatto.»

Si rabbuiò, era una cosa che lo tormentava quella di sapere che Jake per tutti quei mesi aveva sofferto così tanto e aveva nascosto così bene il suo intento, ma che comunque era rimasto con lui e anzi aveva fatto così tanto per lui a partire dal primo giorno che si erano visti.

«Non so se ti merito.»

«Ehi Hanry, guardami, non dire così.» Jake gli sollevò il mento e gli accarezzò il viso scostandogli i ricci dagli occhi.

«Tu sei un uomo splendido, non è colpa tua tutto quello che è successo, tu non sei la tua famiglia, nessuno lo è. Le azioni che fanno i nostri genitori non dovrebbero riflettersi sui figli, ognuno sceglie chi essere. Io mi sono innamorato di te e questo non lo potevo cambiare anche se tuo fratello è stato un bastardo megalomane assassino.»

Hanry rimase in silenzio mordendosi il labbro inferiore quasi imbarazzato da quelle parole che sentiva nel cuore come se fosse stato lui a pronunciarle.

Jake si avvicinò ancora al suo viso e lo baciò con passione, entrambi si presero la nuca per non staccarsi, per avvicinarsi anzi sempre di più. Ormai era chiaro che ogni pensiero che esprimevano fosse sincero, i segreti non c'erano più, le bugie non si pronunciavano più e tra loro semplicemente ora c'era voglia di conoscersi, dedicarsi ogni genere di domanda e imparare a convivere con il dolore delle loro perdite.

«Dobbiamo dirci tanto lo sai?»

«Voglio che mi racconti tutto di te.»

«E io di te.»

«Sai tanto di me.»

«Non tutto.»

Avrebbero voluto dirsi ogni singola cosa in quel letto sfatto e grande, avrebbero voluto passare giorni interi nudi, soli e abbracciati in quella casa che adesso era il loro rifugio. Potevano trovare una loro dimensione, far quadrare ogni cosa e lo avrebbero fatto.

«Che ne dici usciamo a cena?» chiese poi Hanry mentre si staccavano giusto un po'.

«Direi di sì Milord.»

«Allora si vesta Conte Thompson, non credo che possiamo presentarci così.»

Ma continuarono a baciarsi perché non potevano farne a meno, continuarono ancora perché staccarsi ora che si erano ritrovati pareva impossibile o forse solo inimmaginabile.

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