Capitolo 28
L'amore dopotutto è solo un continente senza confini
La notte si stava facendo davvero buia, ma non era fredda, anzi. L'estate ormai aveva preso posto nello scorrere inevitabile delle stagioni e si era appropriata di quello che gli spettava. La luce della luna rischiarava appena alcuni angoli dell'immensa scuderia e dalle finestre dei box entravano raggi argentei che illuminavano l'interno. Quel giorno sembrava durare da un eternità eppure ancora non si era concluso. L'odore forte dei cavalli ormai era una coccola, una sicurezza, una rassicurazione nel mondo di incertezze che adesso Hanry si trovava ad affrontare, quella sensazione di vuoto sotto i piedi era arrivata come uno schiaffo in pieno volto, ma aveva deciso di affrontarla, quella volta non sarebbe scappato, no.
«Quando ho iniziato a lavorare ad Harlaxton Manor, Colombine cercava di avere un figlio che però sembrava non arrivare mai. Questa cosa la distruggeva e aveva spesso comportamenti strani e inclinazioni che la portavano quasi ogni giorno ad infliggersi dolore. La Signora Smith, la vecchia governante aveva notato in lei i primi segni di un cedimento di nervi, solo lei sapeva di queste cose naturalmente, sarebbe stato uno scandalo se si fosse saputo che la Contessa Stafford fosse poco lucida o incline a certi disturbi, infatti non li tradì mai, non lo disse mai a nessuno nemmeno dopo essere andata in pensione.»
I ricordi piano piano prendevano vita con le sue parole.
«La Signora Smith preferì sempre mantenere una certa reputazione per il bene dei suoi padroni, non pensando però a quanto fosse stato meno doloroso per tutti denunciarne le inclinazioni della Signora almeno al loro medico di famiglia. Poi con il passare dei mesi con il passare delle stagioni Colombine rimase incinta e nacque Edmund, a quel punto i sospetti della Signora Smith si fecero certezze e infatti Milady poco dopo la nascita di suo figlio, crollò.»
Daiana era ferma davanti ad Hanry, ancora in piedi fiera mentre gli teneva una mano stretta tra le sue, fredde dalle dita fini e con le vene appena in vista per l'età, raccontando tutto quello che doveva a suo figlio, finalmente potendolo toccare senza vergognarsi di guardarlo negli occhi emozionati. Quasi incredula di essersi tolta un peso dal petto che era ormai diventato una montagna che per scalarla ci sarebbe voluta una vita intera. Hanry era frastornato ma il sentire le parole sincere che quella donna gli aveva appena rivolto e il calore e la semplicità con cui si era finalmente rivelata, lo avevano quasi meravigliato, l'ascoltava con attenzione, mentre gli occhi ogni tanto gli si velavano di lacrime.
«Aveva tutto, una bella casa, un marito che le voleva bene e ora un figlio che tanto desiderava, ma lei non era felice. Aveva sviluppato una profonda malinconia e questo faceva male al bambino, ad Edmund, questa è stata una delle cause del perché lui era come era. Ma quello che sempre di più risentiva una mancanza di normalità era il Conte. Lui non accettava che Colombine fosse così debole, non voleva che suo figlio fosse come lei, e si chiedeva spesso se crescendo anche lui avrebbe sviluppato qualche strano turbamento della mente. Non lo sto giustificando Hanry, credimi, perché quello che ha fatto tuo padre è stato orribile, ma sto solo cercando di mettermi nei suoi panni almeno da una vita, anche se non ci riesco mai.»
«Cos'è successo poi?» Ormai era curioso, voleva sapere, conoscere ogni dettaglio anche se sarebbe stato doloroso, anche se non avrebbe forse capito, ma voleva sapere tutto, basta bugie basta segreti.
«Si allontanarono tanto, lui vedeva in suo figlio colui che poteva ereditare tutto, ma allo stesso tempo vedeva anche i suoi comportamenti violenti, i discorsi strani, le somiglianze inquietanti che aveva con i comportamenti della madre. Edmund però a differenza di Colombine non era autolesionista, anzi. Lui era un narciso, sapeva come parlare, come porsi, come farti fare quello che voleva fin da piccolissimo, fin da bambino. Era un manipolatore nato. Io lo accudivo spesso e ho visto come cambiava con il trascorrere degli anni, ho visto come in lui il tarlo della follia scavava a fondo. Tuo padre intanto sembrava svuotato, Milady era alla deriva, un giorno andava bene, l'altro era confinata a letto senza neanche volersi muovere di un passo, tuo padre era ormai diventato di conseguenza il fantasma di se stesso.» Daiana si morse le labbra al ricordo, una lacrima scappò al suo controllo.
«Scusami Hanry, certe volte è difficile ricordare.»
«Ti prego non scusarti.»
Lo guardò ancora negli occhi, osservò il viso perfetto di quel giovane uomo e capì solo in quel momento quanto Hanry in vero gli somigliasse. Forse non se ne era mai realmente accorta fino a quel momento, anche se era sicura di conoscerne ogni espressione, ogni smorfia, ogni sorriso.
«Vuoi che camminiamo?» Hanry fu gentile e gli porse il braccio come se fosse la cose più ovvia del mondo, come se non ci fosse stato un prima, solo un adesso, come se quella donna fino a poco fa non lo avesse dovuto chiamare Milord e come se lui forse dentro di sé, in un piccolo angolo nascosto in fondo a se stesso, avesse sempre saputo. Lei accettò volentieri e si incamminarono verso la tenuta, la giacca del riccio ancora appesa ad uno dei box fu dimenticata, come una piccola zavorra da lasciare indietro per decidersi a spiccare il volo, per cercare di guardare avanti ad un domani diverso, ad un'altra vita, un piccolo gesto involontario che forse però raccontava l'inizio di un qualcosa di nuovo.
«Sai che tutte le mattine vengo a trovare i tuoi cavalli?»
«Ogni mattina?»
«Tutte le mattine sì, mi rilassa e mi aiuta a pensare, mi sveglio meglio e posso affrontare la giornata.»
«Io non posso pensare che tu sei stata costretta a...»
«No! Hanry questo non pensarlo mai, io volevo stare qui, io dovevo farlo. Non pensare mai che io abbia fatto cose che non volevo fare, mai. Io ti ho amato ugualmente anche se non mi sentivo chiamare madre.»
Lui adesso si morse un labbro e fece una smorfia come di dolore. I suoi grandi occhi verdi vacillarono, ma Daiana lo rassicurò stringendogli il braccio.
«Camminiamo, ti racconterò tutto con calma Hanry, se mi concederai del tempo dopo oggi, per ora lascia solo che ti dica ancora un paio di cose.»
«Dimmi che cosa è successo, perché?»
«Una di quelle mattine, una di quelle in cui avevo iniziato ad uscire presto per venire qui, era quasi estate si stava molto bene, arrivai alle scuderie come sempre con la fioca luce del sole, ancora non c'erano Eighteen o Kindness certo, ma c'erano i cavalli di tuo padre. Ero giovane a quel tempo e avrei tanto voluto cavalcare, come mi sarebbe piaciuto, così fantasticavo, era il mio piccolo segreto. Arrivavo qui, spazzolavo qualcuno di loro, stavo molto attenda a non sporcarmi come si conveniva e poi tornavo alla tenuta per l'inizio del servizio, ero appena diventata governante, da qualche mese.» Camminavano piano, con calma, come se avessero avuto da ora in avanti tutto il tempo del mondo.
«Quella mattina però trovai Milord, ne fui davvero sorpresa, mi aveva colto alla sprovvista naturalmente. Così mi scusai timida e feci per tornare subito indietro, ma tuo padre mi bloccò. Successe tutto molto in fretta Hanry, nessuno dei due era consapevole di quello che davvero stava succedendo, ma successe. Tuo padre si liberò in un pianto che mai avevo visto uscire da un uomo. Era disperato, distrutto, non era in sé. Io feci per consolarlo, chiunque al posto mio lo avrebbe fatto, ma la cosa purtroppo andò oltre. Lui era debole, io lo ero più di lui, ero sfinita da Edmund e soprattutto nella mia vita non ero mai stata davvero felice, la vita delle persone a servizio sa essere molto dura Hanry, non hai una famiglia tua, una vita tua, tutto è mescolato inevitabilmente a quella della famiglia che servi, ero ingenua.»
«Ti ha fatto violenza?» Hanry lo disse deciso ma la sua voce tremava terribilmente. Si fermarono di colpo.
Daiana abbassò lo sguardo, le labbra fini tremarono appena e in un gesto che il figlio aveva ereditato se le morse. Non seppe trattenere oltre le lacrime, così mentre si faceva forza riprese a camminare cercando di tirare con se Hanry, ma un singhiozzo gli uscì dalla bocca.
«Che bastardo schifoso, come ha potuto...lui...»
«E' stato tutto troppo veloce Hanry. E' semplicemente stato un errore.»
«Non un errore, un abominio! Come ho potuto vivere in questa casa? Come ho potuto vivere con una persona così? Lui...»
«Io avevo bisogno di questo lavoro. Vengo da una famiglia molto umile Hanry e diventare governante alla mia età non era certo da tutti, così io non dissi mai nulla, lui mi fece promettere o mi avrebbe cacciato. Quando me lo disse, subito dopo quasi si scusò e io cercai semplicemente di dimenticare tutto, avevo deciso di seppellire la sensazione di sporco che provavo, quel senso di impotenza che avevo sentito dentro il mio stomaco e cercai di dimenticare, di rimuovere ogni cosa dalla mia testa. Ma poi passarono un paio di mesi e io capii, ero sicura di non poter avere figli, ne ero certa, mi era sempre stato detto, ma non è andata così.»
«Quindi io sono stato il frutto di un...»
«Sei stato e sei l'amore della mia vita Hanry.»
Daiana gli sorrise e si voltò appoggiandogli una mano fresca sul viso splendido che aveva davanti e che adesso poteva sfiorare come aveva fatto poche volte quando era piccolo. Adesso il suo giovane uomo era lì davanti a lei e gli stava raccontando la sua verità l'unica verità che doveva conoscere, la sola che aveva più importanza di tutte.
«Non avrei mai potuto essere più felice di aver scelto di tenerti e avere avuto la possibilità di vederti crescere. E' vero io ti avrei dovuto nascondere scappando, ma ero una codarda e non ne ebbi il cuore.»
Hanry poggiò la mano su quella della madre che ancora era sulla sua guancia e afferrandola la strinse forte.
«Forse eri solo sola e spaventata, tu non avevi nulla oltre a quella vita.»
«E' vero, ma sono stata una codarda.»
«Non avevi scelta.»
«C'è sempre una scelta Hanry, avrei potuto scegliere di non dirlo a tuo padre ma come potevo spiegarlo? Quando lo scoprì non fu molto comprensivo, ma io fui categorica sul fatto che non potevo rinunciare a te, non m'importava, che mi cacciasse via! Ma io non potevo rinunciare. Lo minacciai, ma non servì, chi mi avrebbe creduto? Chi poteva anche solo credere ad una sciocchezza come quella? Così lui vide un'altra faccia di quella medaglia, io gli avevo dato una speranza. Lui in te aveva visto un'opportunità e siccome la mela non cade mai lontana dall'albero e Milord aveva comunque un temperamento particolarmente autoritario, mi costrinse a dover scegliere.»
«Scegliere?»
«Restare ad Harlaxton, vederti crescere, vederti ogni giorno, amarti, ma senza mai essere quello che ero, senza mai essere tua madre senza mai poterti rivelare la verità, vivendo nell'ombra ma sempre al tuo fianco, perché tu saresti stato il secondogenito degli Stafford quello di cui loro avevano un disperato bisogno per risollevarsi.» Daiana fece una pausa, sospirò e poi spronò il figlio a continuare a camminare.
«Oppure l'alternativa era non vederti mai più, essere rinchiusa, arrestata essere cacciata via e dimenticarti per sempre. Quello era uno scandalo, un Conte che aveva un figlio bastardo. Io avevo fatto male i miei conti, pensavo che lui capisse, che mi lasciasse andare, ma non lo fece, io solo per amore sono rimasta e lui dal suo punto di vista solo per pena mi ha fatto restare.»
«Ma come ha potuto, come ha potuto farti questo?»
«Quando glielo dissi credevo che lui sarebbe stato comprensivo, credevo che mi avrebbe lasciato andare via e la storia fosse finita lì, io avrei trovato un modo per crescerti e saremmo stati bene, ma invece no. Lui in te vedeva il figlio sano che poteva tramandare il suo nome e prendere il suo posto alla Tenuta. In te vedeva la rinascita di sua moglie Colombine, vedeva un futuro prospero. Avrebbe ottenuto quello che voleva con Edmund e ancora di più con te.»
«Ma come a fatto mia madre a...Colombine a...»
«Lei era d'accordo, tu l'hai fatta rinascere, l'hai quasi guarita quando sei arrivato. A lei non interessava che tu fossi o meno figlio suo, lei voleva un gioco nuovo che non pensava più di poter avere, lei voleva mostrare quanto fosse perfetta la sua vita. Ma tuo padre sapeva che infondo non sarebbe mai del tutto migliorata, ormai era perduta, la sua mente compromessa, non avrebbe mai potuto affrontare la vergogna di una moglie rinchiusa e un figlio che aveva avuto da un'altra donna.»
«Tutto questo è disgustoso, come hanno potuto?»
«Io ho avuto l'opportunità di viverti Hanry, non come avrei voluto ma ci sono sempre stata. Non mi perdonerò mai per aver permesso tutto questo ma almeno ho potuto darti una chance di vivere. Hai potuto avere un istruzione, un futuro e dopo tutto, tuo padre era davvero tuo padre, io avevo poca voce in capitolo a quel punto. Poteva semplicemente farmi sparire, togliermi di mezzo, ma lui giurò di non farlo, se io fossi sempre stata al mio posto lui ci avrebbe protetti, ti avrebbe protetto. Sarei potuta scappare certo, ma che futuro avrei mai potuto darti? Tu sei nato Conte Hanry e quello che è successo oggi non cambia le cose, tuo padre ti ha lasciato un impero. Ma ora sta solo a te decidere come vivere questa vita, la tua vera vita, un po' più libero, ma sempre te stesso.»
Hanry se ci pensava anche solo un attimo ricordava quanto la Signora Davies, Daiana, ci fosse sempre stata nella sua vita. Ricordava le sue mani calde sulla fronte quando si ammalava, le sue raccomandazioni quando usciva a caccia o a cavalcare, la sua premura nel preparargli sempre le cose giuste al momento giusto, le sue parole d'incoraggiamento, i suoi sorrisi sinceri quando tornava da Oxford, le sue parole consolatorie quando lo vedeva particolarmente giù di morale. Adesso era tutto chiaro, lei era stata sua madre più di quella che avrebbe dovuto esserlo, nell'ombra certo ma sempre presente, mai entrante ma sempre vigile, attenta, premurosa. Adesso capiva tutto.
«Ma tu adesso cosa farai?»
«Io starò dalla tua parte come sempre Hanry, come ho sempre fatto negli ultimi ventitre anni, mai lascerò il mio ruolo, anzi voglio rivendicarlo se me lo permetterai, non desidero cosa più grande che poter essere davvero tua madre.»
Daiana con gli occhi ormai pieni di lacrime si era ancora voltata verso di lui che la guardò e gli sorrise, semplicemente. Forse quell'idea in effetti non gli sembrava poi così sbagliata.
Era tutto davvero confuso e assurdo, davvero incredibile, ma Hanry in quell'istante capì che forse questo cambiamento, forse tutto quello che gli stava succedendo era proprio quello in cui lui aveva sperato per lunghi anni senza neanche rendersene conto. Forse quel cambiamento era tutto quello di cui aveva bisogno ma non se ne era mai davvero accorto e mai lo avrebbe neanche minimamente pensato.
«Quando hai compiuto cinque anni ho voluto donarti quello.»
Hanry guardò per l'ennesima volta il suo anello d'oro con l'H, l'anello che tanto lo confortava senza conoscerne davvero il motivo, ma che ora acquistava tutto un altro significato, ancora più profondo.
«L'incisione l'ho fatta fare da un artigiano di Grantham. Volevo che tu avessi qualcosa di mio, sempre, e anche se ero consapevole che non conoscevi il significato di tutto quello, un giorno forse lo avresti saputo. Hai iniziato ad indossarlo verso i diciassette anni. Un giorno ci incrociammo in sala da pranzo, lo avevi al dito e lo guardavi mentre seduto sulla poltrona ocra tuo padre ti parlava di lezioni di letteratura.» Lei sorrise e ripresero ancora a camminare.
«Non ricordo il giorno esatto, ma quando ho iniziato ad indossarlo l'ho sentito subito mio. Non avevo idea di chi me lo avesse regalato, ma mi piace così tanto che per me è indispensabile, ora più che mai.» Sorrise senza rendersene conto.
La commozione nei loro occhi era palpabile e visibile. Una madre che si concede un momento d'intimità con il figlio non è poi così strano, ma tra loro fino a quel momento c'era sempre e solo stato ossequio e rispetto. Hanry doveva certo abituarsi a vedere quella donna per quella che era davvero, ma incredibilmente dentro di lui era già scattato qualcosa che non lo faceva neanche per un attimo dubitare. Troppe frasi erano state dette da Edmund quel giorno. Troppe da suo padre, troppe da sua madre, e lui si era sentito svuotato, solo, lasciato a se stesso e forse in quel quadretto finalmente aveva raggiunto la consapevolezza vera di essere l'unico a non mentire su nulla, anche se lo aveva fatto molte volte in altre circostanze. Hanry prese piano piano consapevolezza che Colombine in realtà non gli aveva mai neanche stretto le mani come ora stava facendo Daiana, e senza neanche rendersene conto, si sentì il cuore più leggero.
Continuarono a camminare e arrivarono quasi fino all'entrata sul retro. La serata era improvvisamente tornata tranquilla e si era fatto davvero tardi. C'era solo un piccolo trambusto fuori in cortile, alcuni ragazzi del servizio fumavano altri parlottavano tra sé dopo la serata movimentata che ancora non era neanche finita.
«Ti ha chiamato puttana, non riesco neanche a dirlo in realtà.»Hanry si fermò sul limitare del cortile, ripensando a quelle parole che Edmund aveva vomitato a quanto adesso le capisse e fossero ingiuste, quanto fossero meschine.
«Edmund non è mai stato carino con me, ha sempre finto. Quando scoprì la verità ne fu sconvolto perché era una delle tante cose che non poteva controllare, era una delle cose che lui non aveva previsto. Io non ho mai augurato il male a nessuno Hanry, mai te lo giuro, ma la famiglia Stafford mi ha privato di tanto, pur dandomi un'unica misera possibilità di poterti almeno vedere crescere. Ma non dimentico cosa hanno fatto, forse tutte le vicende di stasera domattina prenderanno un senso diverso, spetta a noi scegliere quale.»
Hanry senza alcuna vergogna o contegno si voltò verso Daiana e l'abbracciò stretta. Sentiva il calore del corpo di quella donna che conosceva ma non aveva mai davvero conosciuto e gli sembrò di sentire un contatto così viscerale che si chiese se in realtà la sua mente avesse sempre saputo che quella a cui apparteneva non era completamente la sua famiglia. Aveva la pelle d'oca sulla schiena, la camicia umida gli si appiccicava addosso, ma il calore lo sentiva dentro di sé in profondità, così in fondo da tenergli caldo il cuore.
«Torniamo dentro, avrai freddo e credo che ci aspettino altre sorprese per stanotte.»
Sua madre lo guardò ancora, riconoscendogli in volto una giovinezza che rifletteva la sua di un tempo. Daiana si chiedeva spesso da chi avesse preso quegli straordinari occhi verdi, così limpidi e profondi, ma in cuor suo aveva sempre pensato che fossero quelli della sua defunta madre, e l'idea gli piaceva particolarmente. Aveva fatto tanti errori in vita sua, era stata usata e forse era stata troppo gentile con gli altri più che con se stessa, ma aver avuto l'opportunità anche solo di veder crescere quell'uomo che sapeva essere suo l'aveva sempre fatta andare avanti. Adesso iniziava una vita diversa, adesso poteva finalmente essere la madre che Hanry aveva sempre voluto.
***
Jake era già svenuto due volte quella sera. Adesso si stava riprendendo ma non sapeva minimamente come aveva fatto ad arrivare in quella piccola stanza in cui aveva vissuto gli ultimi mesi. Il cuscino gli sosteneva la testa, una fasciatura era stretta intorno alla sua spalla e il dolore gli si irradiava in tutto il braccio e su un lato del busto, ma era sopportabile. Aveva ancora indosso i pantaloni del completo scuro, sopra il petto era scoperto e la pelle d'oca era evidente, nella stanza non faceva freddo ma lui lo sentiva lo stesso. Sentiva odore di alcol e garze pulite, sentiva sotto di se le lenzuola morbide e bianche che lo accoglievano, fuori dalla porta invece c'erano voci concitate. Sentì qualcuno avvicinarsi e mentre le voci si facevano sempre più chiare qualcuno bussò.
«Avanti.»
Kiran non perse tempo.
«Oh bene sei sveglio.»
«Kiran, ah!» Jake fece per alzarsi ma un dolore lancinante lo costrinse a non farlo.
Il moro si avvicinò al fratello e cercò di farlo sedere sul bordo del letto dopo che il castano gli aveva già allungato un braccio intorno alle spalle per sollevarsi.
«Ti hanno appena sparato, vacci piano.»
«Come stai? Stai bene? Cos'è successo prima io...io credo di essere svenuto.»
«Si, due volte in realtà.» Kiran si sedette accanto a lui sul letto e fermò le mani del fratello che si assicuravano fosse tutto intero. Il suo safa era sparito e ora anche lui in maniche di camicia aveva un'aria meno formale. Il suo lungo ciuffo di capelli corvini gli copriva una parte del viso e l'orecchino d'oro sul lobo era di nuovo in bella mostra. Il suo Kiran di Jaipur sembrava aver finalmente fatto la sua comparsa nel pomposo e sontuoso ma corrotto mondo dell'aristocrazia Inglese.
Si presero del tempo, sospirarono. Probabilmente i pensieri che affollavano in quel momento le menti di entrambi erano davvero simili, anzi forse proprio uguali.
«Sai quando è arrivato il momento in realtà non volevo davvero ucciderlo.»
Jake si voltò verso di lui che si guardava i palmi delle mani appena più scuri dei suoi che tremavano appena mentre lo diceva. Il castano gliene strinse una.
«Kiran tu non sei un assassino, non sei cattivo, la nostra vendetta è stata raggiunta e questo è l'importante.»
«Ho affondato il coltello nelle sue costole Jake. Ho sentito la lama che entrava.»
«Lui voleva farti del male, si è scagliato contro di te con una furia inaudita, il suo sguardo era quello di un pazzo in quel momento , l'ho visto.»
«Connor dice che è stato un incidente, che non doveva finire così ma lui è stato costretto a sparare.»
«Non lo biasimo, Edmund non avrebbe mai esitato come invece tante volte abbiamo fatto noi Kiran, il suo obiettivo era solo uno e lo avrebbe portato a termine, siamo stati solo più furbi.»
«Abbiamo avuto la nostra vendetta.»
«Abbiamo avuto la nostra vendetta, anche se è finita nel sangue.»rispose Jake allo stesso tempo categorico ma amareggiato.
«Adesso che facciamo?» Kiran lo chiese piano, quasi in un sussurro.
Jake lo guardò ancora. In quel preciso momento quei due uomini erano tornati improvvisamente bambini. Due anime affini che si tenevano per mano in mezzo alla stanza dei cuscini colorati nella loro città Rosa, scalzi con i pantaloni larghi fino al ginocchio e le camice di lino chiare che gli coprivano i corpi esili. Loro due, da sempre fratelli uniti da un amore incondizionato, figli di persone diverse ma così tanto legati da aver dato un significato reale alla frase che suo padre spesso gli ripeteva...il sangue non conta. Ancora insieme dopo tanti anni, ancora insieme dopo tanto dolore, adesso non sapevano cosa fare, adesso che non dovevano più vivere nell'ombra, adesso che erano finalmente i degni eredi di una casata che si pensava persa per sempre, sembravano vacillare, sembravano non rendersi conto di nulla.
«Oh eccovi! Vi cercavamo, se volete raggiungerci Connor voleva dirvi due parole.»
Logan sorrise ad entrambi sulla porta, anche lui adesso era più formale, senza la giacca scura dello smoking sembrava quasi più rilassato. Kiran gli sorrise.
«Stai bene Jake?»
«Sono stato meglio in effetti.»
«Oh ti sei preso un bel proiettile sì, ma poteva andare peggio.»
«Grazie Logan adesso sono più tranquillo.» intervenne Kiran.
«Grazie avvocato Bennet.» rispose poi Jake, alzandosi aiutato dal moro.
«Non devi ringraziarmi, ho fatto quello che era giusto, per entrambi voi.» con uno sguardo fermo ma dolce allo stesso tempo lasciò un'ultima occhiata a Kiran e la porta aperta, poi si allontanò.
«Mi piace lui.»
«Adesso non mi pare proprio il momento di parlarne.»
Sorrisero insieme, mentre Kiran posò sulle spalle del fratello una giacca che aveva nel piccolo guardaroba, così che non dovesse muoversi troppo per infilarsela e uscirono diretti in cucina dove ora tutto il personale e gli ospiti di Harlaxton Manor erano in attesa.
«Mi scuso per il mio poco decoro ma spero che capirete.» disse mentre entrò in cucina e tutti si voltarono verso i due fratelli Thompson.
«Non si preoccupi Milord, prego si accomodi.»
Il Signor Wood lo fece sedere al grande tavolo delle colazioni e tutti quanti gli sorrisero, come se fossero davvero contenti di vederlo lì e di sentirlo chiamare con il nome che finalmente gli spettava.
«Signor Wood la prego almeno per me per adesso mi chiami Jake, non sono più abituato a tanta formalità e per adesso preferisco così, grazie.»
Kiran non parlò ma annuì, tutti ne compresero il motivo. In quella situazione, in quella vicenda ormai tra Conti e Avvocati e Ispettori di Polizia e Funzionari ci si poteva confondere non poco, così usare i loro nomi per spiegare alcune faccende delicate sarebbe stato molto più semplice.
«Hanry!»
Jake fu preso alla sprovvista e non potè resistere, quando il riccio fece la sua comparsa nella sala con la Signora Davies al suo fianco. Semplicemente sussurrò il suo nome, come era abituato a fare, come voleva ancora fare. Per loro quel segreto che custodivano era ancora tale, l'unico che forse li riguardava entrambi e che ancora condividevano.
«Oh bene Milord, cioè Hanry, ci sei anche tu allora possiamo cominciare.» Connor stava in piedi ad un'estremità del tavolo, sembrava più autoritario che mai e anche se il suo viso gioviale e positivo non era sparito, uno sguardo più consapevole gli era comparso in volto.
Hanry da perfetto gentiluomo fece accomodare sua madre su una sedia e gli si mise dietro, con una mano sulla spalla, quasi protettivo. Il Signor Wood guardando Daiana non riuscì a trattenere la commozione e dopo che gli occhi dei due s'incontrarono, sorrisero. Lui era uno dei pochi a sapere tutto, e non poteva sperare lieto fine migliore per quella donna che aveva sempre amato nel profondo del suo cuore. Anche Jake sorrise, ma con Hanry avrebbe potuto parlare dopo. Il personale di Harlaxton era un po' frastornato da tutti quei cambiamenti ma non era il momento d'indagare, ci sarebbe stato anche il tempo per le innumerevoli domande che sicuramente facevano capolino nelle loro teste.
La stanza era calda e accogliente, teiere di tè fumanti accompagnavano le chiacchiere dei presenti che però si acquietarono per ascoltare l'Ispettore O'Brian. In quel momento nella grande sala illuminata dalle calde luci soffuse delle lampade si respirava un aria di uguaglianza. Personale di servizio e alta borghesia mescolata con l'aristocrazia più rinomata erano tutti lì per un motivo e l'atmosfera sembrava solo molto più rilassata di un ora prima. Jake si sorprese per un attimo ad incrociare lo sguardo di Hanry e questo contro ogni sua aspettativa gli sorrise, giurò che il cuore avesse perso un battito e poco dopo la voce di Connor lo distrasse.
«Devo delle spiegazioni a tutti voi, lo so. Questa storia forse avrà dell'incredibile ma ognuno di voi adesso merita di essere al corrente di tutto.»
Connor si schiarì la voce e poi continuò.
«Qualche anno fa l'avvocato Bennet, il padre del qui presente suo successore Logan Bennet ricevette una lettera dal Conte Richard Thompson.» Connor era chiaro e conciso e mentre parlava gesticolava appena per far capire a tutti di chi stesse parlando e a chi si stesse riferendo.
«La lettera era molto simile a quella che avete ricevuto tu e Kiran, Jake, avvertiva di un pericolo che stava correndo, da parte di chi, in che luogo e dichiarava anche che i qui presenti Funzionari sarebbero stati dalla parte giusta una volta scoperta la verità sul suo assassino, Edmund Stafford.»
Ascoltavano ancora tutti in silenzio, senza interrompere, presi dal racconto.
«La lettera dichiarava che Edmund purtroppo aveva intenzioni omicide, che i suoi figli erano in pericolo e che lui non avrebbe purtroppo rivisto l'Inghilterra perché sapeva che sarebbe morto prima, su quel treno. Pregava l'avvocato Bennet di indagare sulla famiglia Stafford. Lo pregava di riuscire a scoprire quanto più possibile su di loro e sulla natura di Edmund, voleva tutelare la Compagnia, voleva cercare di proteggere la sua famiglia, ma purtroppo c'è riuscito solo in parte. Purtroppo la Signora Thompson, Ravi Patel la seconda moglie del Conte di Howard, si è trovata coinvolta in una faida economica che andava oltre l'amore e lui non è riuscito a salvarla.»
Ci fu ancora silenzio, Kiran sollevò lo sguardo su Logan come a trovare un coraggio che in quel momento forse temeva di perdere sentendo parlare di sua madre. Ma non vacillò, guardò poi suo fratello e quello annuì serio, guardandolo negli occhi scuri, lui era lì.
«L'avvocato Bennet era molto legato al Conte come tutti sappiamo e non perse tempo. Mi ha mandato qui ad Harlaxton poco dopo, per capire, e io ho scoperto tante cose che purtroppo non avrei mai voluto scoprire. Per qualche anno tutto è stato tranquillo, Edmund si vedeva poco e la situazione pareva stabile, ma poi è successo qualcosa. L'odio che lui aveva nei tuoi confronti Hanry, è sfociato in violenza.»
Il riccio sollevò immediatamente lo sguardo su Connor che ora lo guardava.
«Purtroppo devo informarti che anche Ilya Vasilyev è stato ucciso come tanti altri. Lui non accettava nulla che non potesse controllare e avere un Russo rivoluzionario dentro casa sua che rischiava di inculcarti piani diversi da quelli che lui aveva per te non poteva accettarlo, così lo ha fatto sparire. Noi ne abbiamo avuto la conferma solo qualche mese fa disgraziatamente, e abbiamo dovuto aspettare ad agire, perché poi è comparso Kiran.»
Hanry sembrò pietrificato, Jake si voltò subito verso di lui e gli vide il terrore in faccia. Non era gelosia, non era vergogna, era dispiacere, puro e semplice dispiacere.
«Come? Perché?» chiese allora il riccio.
«Edmund purtroppo soffriva di problemi di mente come Milady, Hanry.»
Il giovane Conte di Harlaxton sentendo la conferma delle parole che poco prima gli aveva rivelato la sua vera madre gli strinse una spalla e lei allungò la mano per metterla sulla sua, quasi a rassicurarlo. Jake intanto si voltò verso suo fratello.
«L'omicidio per lui era solo un azione, non contava nulla e purtroppo aveva assoldato uno dei più bravi a compiere ciò quando lui non poteva, il Signor Brody. Quando però Jake si è presentato ad Harlaxton le cose si sono complicate. Kiran era l'ombra di Edmund e Jake si era palesato ad Harlaxton, dovevamo proteggere entrambi e capire quali fossero le loro intenzioni. Non eravamo sicuri sulla vostra vera identità, ma poi l'ho scoperto, poco dopo che sei arrivato Jake, non ti dirò che cosa ti ha tradito, non ora.» Connor lo guardò quasi con un ghigno furbo, forse per smorzare la tensione di tutte quelle rivelazioni, poi continuò.
«Logan non sapeva nulla di tutto ciò fino a qualche settimana fa, quando poi le cose stavano venendo a galla o dovuto dirgli chi ero, dovevo per forza.»
Logan annuì, ma Kiran a quel punto non pareva neanche arrabbiato. La situazione era talmente assurda che non voleva neanche farsi più domande, non in quel momento.
«Perché non lo avete arrestato subito?» chiese Jake.
«Perché non avevamo i vostri documenti Jake. Tutto quello che siete è scritto in quei fogli che solo tu avevi, quando siamo andati a perquisire Castle Howard, tu probabilmente eri già arrivato, sei stato più veloce di noi. Dovevamo attendere una confessione prima di arrestarlo, sarebbe stato uno scandalo e noi avevamo bisogno di prove concrete. I documenti, il pugnale che Kiran a mostrato, la testimonianza della Signora Davies, i testimoni oculari cioè i Funzionari questa sera. Ci volevano prove che attestassero che qualcosa non andava che lui avesse agito contro la legge oltre che contro la morale. Ma purtroppo lui ha aggredito Kiran e Brody ti ha sparato Jake, io sono dovuto intervenire. Kiran tu non hai ucciso Edmund, io gli o sparato quando ti ha aggredito e lui inevitabilmente si è accasciato sulla persona che aveva davanti, il pugnale a fatto il resto. Logan ha studiato le carte autenticandole e poi c'è stato il caos. Avrei voluto che fossa finita in un altro modo? Certo, ma purtroppo queste cose non si possono scegliere.»
«L'Avvocato Bennet, il padre di Logan conosce bene gli Stafford però.» chiese Jake, Logan rispose subito.
«Sì certo, li conosce bene, ma è sempre stato vostro padre a riporre la sua fiducia in lui, a sempre avuto un occhio di riguardo per i Thompson, me lo ha sempre confessato. Così a scelto di aiutarlo, anche se lui era già morto. Mi ha reso partecipe della cosa solo dopo è vero, ma aveva paura che la mia amicizia con Hanry avrebbe potuto offuscare il mio giudizio. Ma Hanry voleva solo una vita tranquilla dopotutto, non è vero?» smise di parlare e guardò il riccio.
Con una fierezza che Jake gli riconobbe subito addosso come quella di un vero Conte, Hanry sollevò la testa e guardò tutti i presenti. In quella stanza la persona che aveva forse perso più di tutto quella sera era proprio lui e ancora proprio lui pareva anche essere quello ad aver guadagnato qualcosa allo stesso tempo. Prese un respiro.
«Quello che ha fatto Edmund è imperdonabile. Lui è stato causa di sofferenze per tante persone e mi dispiace, non posso dire lo stesso della sua fine e non me ne vergogno. Ho vissuto tutta la vita in una bolla di bugie, ma cercherò di rimediare. Logan tu sei stato leale con me, ti ringrazio. Adesso dovrò solo riprendere in mano tutto e capire cosa povrò fare.»
«Per quello ci penseremo Hanry, ci sarà da testimoniare al processo di tuo padre e Milady, ci saranno da firmare carte e leggere testamenti, ma non stanotte, adesso ognuno di voi ha bisogno di capire chi è e come vuole vivere la sua vita tra oneri e onori.» Connor era proprio come Jake aveva sempre detto. Lui riusciva davvero a capire le persone e adesso ne conosceva anche il motivo.
***
«Una storia così incredibile da far invidia agli scandali Reali.»
Hanry si presentò alla porta della stanza di Jake un paio di ore dopo che anche l'ultimo agente in divisa se ne fu andato da Harlaxton Manor. Connor rimase per quella notte, come anche Logan, ma i Funzionari preferirono togliere il disturbo, si sarebbero recati in tribunale quando ci sarebbe stato bisogno di loro, e naturalmente non mancarono di richiedere subito la presenza di Jake e Kiran nei loro uffici di Londra. Molti documenti dovevano ancora essere autenticati e firmati, e anche se non c'era alcun dubbio adesso su chi fossero davvero, le tempistiche legali si dovevano rispettare, da ora in avanti tutto sarebbe stato fatto alla luce del sole.
«Forse neanche Re Giorgio ha mai assistito a tanto.» rispose, voltandosi subito e facendo cenno ad Hanry di entrare, mentre gli sorrise.
Un imbarazzo sincero li legava, in quel momento nessuno dei due sapeva bene cosa dire: Come stai? Raccontami tutto! Che diavolo è capitato? Raccontami la tua storia! Adesso che farai...
C'erano mille e mille domande che affollavano la mente di entrambi, ma per quelle ci sarebbe voluto tempo, ci sarebbe voluta pazienza e voglia di ascoltare, tutte cose che in quel momento con la stanchezza che incombeva e l'ora indecente che si era fatta, avrebbero dovuto attendere almeno fino alla colazione.
«Non so cosa...»
«Hanry io credo che d'ora in poi la sincerità sia obbligatoria, che ne pensi?»
Annuì e sorrise appoggiandosi alla porta chiusa alle sue spalle. Jake sembrava capire sempre che cosa voleva dire. Sapeva che gli avrebbe voluto chiedere tanto e tanto ancora, ma ora solo una cosa era essenziale tra loro, la sincerità.
La tensione palpabile era spessa come un panetto di burro, ma non smettevano di sorridersi. Forse la rabbia in quel momento, la delusione, la sfiducia, non trovavano spazio in quella stanza. Adesso loro erano solo loro e niente altro. Solo Hanry e Jake.
«Vorrei chiederti tante cose, vorrei dirtene tante altre.»
«Perché non lo fai?» Jake si avvicinò al riccio. Adesso indossava una camicia larga e chiara, la spalla era irrealmente ferma ma la fasciatura era coperta. I pantaloni del completo ancora non erano stati tolti e i segni di stanchezza si vedevano sempre di più sul suo volto.
«Sarai stanco, abbiamo tempo.»
«Mi concederai altro tempo?» Jake fece ancora qualche passo e non seppe resistere nel prendergli la mano che però non si ritrasse con sua grande sorpresa. Anzi sospirò, come se avesse per tutta la sera bramato quel tocco e solo ora si fosse reso conto di quanto fosse indispensabile per lui sentirlo.
«Tu hai totalmente distrutto la mia famiglia, lo sai?»
Jake non rispose, sollevò solo lo sguardo chiaro su di lui. Fu solo un attimo ma poi una grande ruga di dissenso gli si disegno in volto, fece per ribattere, doveva dire qualcosa ma Hanry lo incalzò.
«Ma è la cosa più bella che tu potessi fare.» lo sussurrò, come se avesse paura di dirlo, come se avesse paura di farsi sentire da qualcuno.
Poi ci fu ancora silenzio, ma il volto di Jake si rilassò improvvisamente.
«Pensa invece che io non riesco ancora a decidere se me l'hai rovinata o l'hai resa magnifica. Alla fine non ho distrutto nulla Hanry, ti ho solo dato indirettamente un'altra possibilità, quella di essere felice, di essere te stesso, come hai sempre voluto.»
I loro visi erano molto vicini adesso, i loro corpi si attraevano come calamite, e loro non potevano proprio farne a meno.
«E dovrei essere felice con te?» chiese serio il riccio, il volto bellissimo illuminato solo dalla luce fioca della lampada a olio sul comodino.
«Solo se vorrai.»
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