Capitolo 27
La verità non ha sentieri:
questa è la bellezza della verità, che è viva
L'odore forte di zenzero e pepe nero gli arrivò in faccia come uno schiaffo. Sentiva intorno a sé i rumori della giungla e quello del vento lieve. Sotto i suoi piedi scalzi l'erba fresca lo fece rabbrividire ma sentiva il sole caldo sulla sua pelle e quello lo scaldava. Aprì improvvisamente gli occhi e di fronte a sé bella, luminosa e immacolata c'era casa sua. Il marmo bianco, le scalinate esterne, le finestre decorate, la luce abbagliante di un tramonto rosa che stava iniziando. Una donna in sari ocra con una lunga treccia laterale di capelli corvini era seduta sull'erba poco lontano da lui, accanto a lei un bambino indiano con gli stessi lineamenti e i capelli scurissimi gli mostrava un piccolo serpente verde che teneva sicuro e senza paura tra le mani. Dentro di se sentiva propagarsi gioia, calore e felicità. Poi un uomo alto si avvicinò ai due, il bambino gli corse incontro e l'uomo abbassandosi sulle ginocchia prese in mano il serpente che gli mostrava.
Jake si avvicinò piano al trio, gli sembrava di fluttuare. Ora sentiva l'odore del curry piccante, sentiva la sua Jaipur e vedeva davanti a se quasi reale, tutta la sua famiglia. Stava quasi per toccarli, c'era vicino. Poi la donna si voltò verso di lui, gli occhi neri dritti nei suoi, il volto stupendo a guardarlo attenta, gli sorrise, poi guardandolo ancora fisso, mosse la bocca, ma senza emettere alcun suono. Lui si sentì svuotato. Il sole accecante era sparito, ora si stava facendo buio intorno a lui, ma loro erano ancora tranquilli sull'erba. La donna si alzò lenta, gli prese le mani, le intrecciò con le sue, quelle di lei avevano le punte delle dita rosse dipinte con l'henne, le strinse forte e lui sentì calore e amore in quel contatto, ma c'era anche paura. Si sentì soffocare, voleva urlare, improvvisamente, aveva tanta paura e sentiva dolore.
La donna sempre guardandolo negli occhi mosse ancora la bocca ma ancora niente suono. Lui sentiva sempre più paura, poi freddo, poi ancora dolore, voleva urlare ma non ci riusciva. Questa volta guardò sua madre negli occhi e finalmente lei parlò. Svegliati Jake...
La prima cosa che vide furono gli occhi di Hanry sopra di lui. Con uno sguardo gelido e preoccupato lo fissava sgomento, sentiva voci concitate intorno a sé e rumore, anzi grida di qualcuno e rumori di ogni genere. Gli faceva male la testa. Poi sentì un dolore forte e lancinante alla spalla destra.
«Fermo J, fermo.» disse Hanry che accanto a lui, cercava di farlo sollevare un po' dal pavimento, con gli occhi lucidi di preoccupazione e paura, il volto angelico ora bianco e sconvolto. Jake moriva di dolore gli faceva male anche solo a respirare, ma poi capì, gli avevano sparato.
Si riscosse un attimo e la scena che gli si presentò davanti fu assurda. Si sentivano voci una sopra l'altra, concitate forti, grida.
Kiran giaceva immobile in una pozza di sangue denso. Non capiva se tutto quel rosso che vedeva intorno al fratello fosse reale o meno. Trattenne il respiro, non riuscì a deglutire e rimase anche lui immobile per istanti che gli parvero ore. Poi riprese a respirare, vide Kiran alzare la testa dal pavimento e riprendersi mentre con non poca difficoltà cercava di togliersi di dosso il corpo di Edmund Stafford completamente immobile, esanime.
Tanto sangue gli stava colando ancora addosso e Logan lo aiutò a tirarsi fuori da quella posizione, lasciando quello che era davvero il cadavere di Edmund a terra in una chiazza scura e appiccicosa che si stava propagando sempre di più sul pavimento di legno intarsiato con disegni geometrici.
Un colpo di pistola gli aveva colpito la nuca, deciso, sicuro, letale. Allo stesso tempo il pugnale degli Stafford che Kiran aveva in mano poco prima, adesso era conficcato nel suo costato in profondità, così tanto che la lama non si vedeva più dal suo corpo morto ne usciva solo l'elsa decorata.
«Nooooo! Che avete fatto?» il Conte Stafford con un urlo straziato si accasciò sul corpo del figlio. Milady lo seguì. Le due donne sentendo gli spari si erano precipitate nella stanza da fumo rimanendo scioccate dalla scena che avevano davanti. In un istante che fu un fulmine, dalla porta ormai aperta della sala entrarono anche cinque Poliziotti in divisa, seguiti dal Signor Wood che con una mano alla bocca assisteva alla scena inerme.
«Arrestate quell'uomo! Milord lei sarà processato per concorso in omicidio. Poi portate via questi due corpi, sono gli assassini di Richard Thompson, sua moglie e almeno altre cinque persone. Hanno tentato di uccidere Jake e Kiran Thompson questa sera.»
Jake non capiva chi stava parlando, la scena davanti a lui era pietosa ed era confuso, confuso e frastornato da tutto, la testa gli esplodeva. Ma quella voce che adesso accusava sicura l'assassino di suo padre e Ravi la conosceva ne era certo.
«Nooo! Voi non potete farlo, voi non potete!» il Conte Stafford si dimenava ma fu fermato subito e portato via delicatamente ma con decisione dagli uomini in divisa, dopotutto rimaneva pur sempre un Conte anche se ormai in declino e in rovina.
«Siamo stati testimoni, confermiamo l'accaduto.» disse uno dei Funzionari ad alta voce, mentre gli agenti cercavano di mantenere la calma tra gli ospiti e i testimoni oculari, controllando allo stesso tempo che nessuno degli invitati avesse armi con se.
Tra il pianto isterico di Milady ormai in piena crisi e le grida concitate e sconvolte del Conte, due cadaveri adesso giacevano a terra, Edmund Stafford e il Signor Brody. Ma Jake e Hanry ora guardavano altrove in silenzio, ancora inginocchiati a terra, ancora interdetti da tutto quello che era accaduto troppo velocemente in quella serata. Hanry non aveva ancora reagito a nulla, solo ad assicurarsi del fatto che Jake accanto a lui fosse vivo, solo quello, come una priorità, come se non contasse niente altro. Ma la cosa ancora più strana fu quella che videro e sentirono subito dopo.
«Tempismo perfetto Ispettore O'Brian.» disse Logan mentre aiutava Kiran ad alzarsi definitivamente per poi allontanarsi dal sangue, aiutandolo a reggersi con le sue gambe perché visibilmente scosso e con le mani tremanti.
Connor dalla parte opposta della stanza, stava rimettendo la pistola nella fondina sotto la sua giacca da cameriere e si chinò a togliere l'altra pistola che aveva sparato dalla mano morta di Brody.
«Connor perché mi hai sparato?» Jake era confuso, facendo quella domanda così assurda che sembrò quasi comica nel contesto drammatico di tutta la faccenda, si sorprese anche lui.
Connor sorrise e scosse la testa.
«Non ti ho sparato io Jake, è stato Brody, io ho dovuto difendere Kiran, ma purtroppo è finita come non avrei voluto.» Tornò subito serio e guardò ancora una volta i due poliziotti che stavano controllando il corpo di Edmund.
«Connor ma tu...» Hanry era sconvolto, non sapeva neanche se riusciva a parlare.
«Hanry dobbiamo parlare, sì.» intervenne Logan che guardò il giovane Conte di Harlaxton e non riuscì però a fermarlo.
«Hanry, no aspetta!» Jake provò a gridare dietro alla figura del riccio che se ne andava ma strillò dal dolore, mentre ancora a terra si teneva la spalla strizzando gli occhi.
Hanry sconcertato da tutto quello che stava accadendo uscì dalla stanza da fumo e corse al portone principale dove vide Milord che sbraitando e perdendo ogni contegno regale stava dimenandosi ancora mentre lo mettevano su un'automobile della Polizia. Milady isterica stava ancora urlando mentre la Signora Dawson e il Signor Wood la sorreggevano in un chiaro atteggiamento di compassione che erano evidentemente abituati ad usare in quelle tetre circostanze.
«Madre.» Hanry provò ad avvicinarsi con il cuore in gola e la testa pesante, una strana adrenalina gli scorreva dentro ma sapeva che se si fosse anche solo fermato un secondo sarebbe crollato sotto il peso di tutto quanto l'accaduto.
«Tu, sei stato tu a tradirci! Tu sei la rovina di tutto, guarda cosa hai fatto!» la donna gli urlava contro, sbraitava, Hanry con le mani ancora insanguinate per aver sorretto Jake, non riusciva a respirare anche se l'aria del cortile era fresca e umida, si tirava indietro i ricci imbrattandosi la fronte di rosso. Il volto pallido non riusciva a dimostrare nessuna espressione, era sconvolto.
«Madre ma cosa dici? Io non ho fatto nulla...io..»
Un Poliziotto si avvicinò all'avvocato Dawson.
«Lei è l'avvocato dei Signori?»
«Sì, sì...io credo di sì.»
«Bene, venga con me, la Signora e il Conte avranno bisogno di lei temo.»
Il Signor Dawson non capiva neanche che cosa stava succedendo, ma lui e sua moglie presa la loro automobile seguirono quella dei poliziotti dove era stata fatta salire anche Milady in lacrime.
«Dove li portate?» chiese Hanry completamente cinereo in volto, scosso, non capendo più che diavolo stava accadendo alla sua intera vita ed esistenza e non sapendo neanche che cosa avrebbe dovuto fare in quell'istante. Gli pareva tutto offuscato come in un sogno, gli sembrava di muoversi piano come al rallentatore.
«Il suo Avvocato gli dirà tutto Signor Stafford.» e poi se ne andarono.
Hanry era solo. Solo come si era sempre sentito, com'era sempre stato, ma ora gli sembrava di esserlo di più. Il suo petto in quel momento esatto anche se faceva un male terribile e il respiro sembrava mancargli, gli parve appena più leggero. Rimase immobile davanti al portone principale della tenuta spalancato, guardando le auto allontanarsi sul viale, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, le mani sporche di sangue e senza un pensiero che lo facesse reagire a tutto quello che stava accadendo.
«Signore venga con me, venga l'aiuto a...» il Signor Wood anche lui sconvolto ma sicuramente più lucido si era avvicinato piano.
«La ringrazio Signor Wood ma ho bisogno di stare solo, solo un attimo...io...io ho...» non riusciva a comprendere la questione, così si voltò a guardare il volto benevolo che conosceva bene dell'uomo accanto a lui.
«Può aiutare il Signor Sco...Jake? Temo gli abbiano sparato. Bisogna far accomodare i Funzionari in un altro posto, loro...»
Hanry cercava di fare quello che avrebbe dovuto sempre fare, pensare ai suoi ospiti, alle persone che erano lì, comportarsi come il padrone di casa. Ma sorprese il Signor Wood perché tutto quello era talmente meccanico che non ne comprendeva il senso, come se in quel momento non fosse più se stesso.
«Signorino, la prego venga con me, le preparo un tè lei ha bisogno di...»
«Pensi ai nostri ospiti Signor Wood, io arrivo, mi dia un attimo.» Freddo, glaciale, con una calma mai vista Hanry si rivolse al maggiordomo che fece come gli era stato chiesto lasciandolo solo nel fresco della sera che inaspettatamente però si era fatta tranquilla.
***
«Kiran stai bene?» Logan aiutò il moro a ricomporsi.
«Ho ucciso una persona.»
«Non hai ucciso nessuno, la dinamica è stata molto diversa, ci penso io.» Connor O'Brain, agente della Polizia sotto copertura da qualche anno in casa Stafford, stava cercando di riprendere tutti i documenti che il Signor Dawson aveva lasciato sul chesterfield scuro in un ammasso di fogli disordinati, così che non andassero persi, tutto questo con una sicurezza e una professionalità che non si era mai vista.
«Aiutate Jake ad andare di sotto, dobbiamo curare quella ferita. Dovremmo portarti in ospedale in effetti.» aggiunse il biondo.
«No! No, niente ospedale, sto bene.»
«Non stai bene ti hanno sparato.»
«Kiran portami giù, c'è una cassetta co delle bende.»
Connor annuì al moro, sapeva che in quel momento per tutti loro le spiegazioni erano molto più importanti delle ferite stesse. Il Signor Wood era incredulo, tutto il personale della tenuta ormai era accorso a capire che cosa stesse succedendo nelle loro vite e con tutta quella assurda vicenda.
Hanry sembrava invece scomparso nel nulla.
«Signor O'Brian ma lei...»
«Signor Wood, mi dispiace molto.» Sembrava quasi imbarazzato dal doversi scusare davanti a quelli che erano stati i suoi colleghi per anni, increduli e sbalorditi, ma ci provò.
«Sono anni che teniamo sotto controllo Edmund Stafford. Mi dispiace di aver mentito a tutti voi, ma era una cosa che andava fatta. Vi spiego tutto giù nelle cucine, anche i Signori Thompson hanno il diritto di sentire, visto che è stato proprio il Conte di Howard a far sì che si potesse agire contro questa ingiustizia, e inaspettatamente devo dire.»
«Ahia!»
«Oh Signor Scott, stia fermo altrimenti come posso ...oddio! Mi scusi Milord, lei...lei è un Conte...io...io...»
«Calmati Sarah, chiamami Jake come sempre, non è cambiato nulla da oggi pomeriggio...vacci piano però!» disse piano alla ragazza che gli aveva fatto mancare il respiro per un attimo mentre cercava di estrargli il proiettile dalla spalla.
L'aiuto cuoca Sarah, era l'unica insieme alla Signora Davies che ad Harlaxton Manor avrebbero potuto curare una ferita di quel genere, una aveva dimestichezza con disossare polli e cucire filetti, l'altra sapeva come annullare il dolore con bende e garze. Il proiettile era rimasto dentro la carne ma non aveva toccato punti troppo delicati, muscoli o nervi per fortuna.
Così mentre gli avevano somministrato un'iniezione di morfina, adesso Kiran lo teneva fermo mentre loro provavano a curarlo.
C'erano praticamente tutti lì, compresi i Funzionari della Compagnia. Il personale di Harlaxton Manor era parecchio scosso, il Signor Wood stava cercando di mantenere la calma ma era quasi impossibile. Milord e Milady erano stati arrestati, c'erano due cadaveri al piano di sopra, c'erano ancora degli ospiti alla tenuta, un ferito da gestire, un ispettore di Polizia in incognito che era stato un loro collega per anni. La Signora Brown aveva messo su l'acqua per il tè, nervosa mentre gesticolava e parlava fitto con le ragazze che l'aiutavano, anche loro sconvolte da tutto. Tutti erano in attesa di conoscere la storia che si nascondeva dietro a quel grande, madornale e strano caos. Mancava solo una persona, Hanry.
«Figliolo perché non avete presentato prima i documenti?» chiese un Funzionario a Jake.
«Noi avevamo dei sospetti dopo la morte di vostro padre, pensavo che ci fosse qualcosa di strano dietro alla sua morte improvvisa certo, ma non pensavamo assolutamente a questo.» chiese un altro.
I Funzionari erano ancora sbigottiti da tutto, non riuscivano ancora a credere a quello che era accaduto sotto i loro occhi.
«Signori! Possiamo spiegare come abbiamo agito certo, così anche i qui presenti sapranno ogni cosa, dopo tutto si meritano una spiegazione anche loro.»
Jake cercava di non imprecare mentre Kiran lo reggeva e Sarah provava a non squarciargli un braccio.
«Dov'è Hanry?» chiese però il castano piano, preoccupato della sua assenza. Sarebbe voluto essere con lui, stringerlo, dirgli che poteva contare su di lui, che lui c'era era lì, nonostante le bugie, nonostante il dolore, nonostante adesso Hanry fosse solo, come del resto lo era stato per molto e molto tempo.
«Non l'ho visto.» rispose repentina la Signora Davies, passando dei panni bianchi e puliti a Sarah.
Jake sentiva che stava per svenire, ma non voleva, non prima di sapere dove fosse Hanry. Lui in quel momento, più di qualunque altro aveva bisogno di spiegazioni. Aveva bisogno di lui.
«Signora Davies...la...la prego può provare a cercarlo...io...» Jake era sempre più pallido e stava combattendo una battaglia che presto avrebbe palesemente perso.
«Ci penso io Jake.» fu l'unica cosa che il castano sentì prima di vedere di nuovo tutto nero.
Il momento per le spiegazioni del giovane Conte di Howard avrebbero dovuto attendere ancora un po'.
***
Incredulo, nervoso, forse anche sconfortato, Hanry aveva percorso da solo nella sera scura la strada che divideva la Tenuta dalle scuderie. Non aveva bisogno di luce, non aveva bisogno di divisa, conosceva bene la strada e non aveva intenzione di cavalcare, lo aspettavano, lo sapeva, non poteva sparire, non così. Ma aveva bisogno di sentire quell'odore confortante che tanto lo tranquillizzava, aveva bisogno di accarezzare il muso dei suoi cavalli, che forse più di ogni altra cosa gli infondevano coraggio, aveva bisogno di quello prima di tornare, prima di sapere altro, prima di riuscire a capire come poteva essere accaduto che la sua vita fosse completamente cambiata nel tempo di una cena e di un Brandy.
Aveva ancora le mani sporche di sangue ormai secco. Era sudato, i ricci gli si iniziavano ad appiccicare alla fronte, si sentiva stanco, stremato, come se fin ora avesse dovuto portare il peso del mondo addosso. Con tutta la calma del mondo, si avvicinò all'abbeveratoio interno della scuderia e senza curarsi del gesto poco decoroso ci infilò le mani dentro per togliersi la sensazione appiccicosa dalle dita. Poi silenzioso si tolse la giacca, sentì i suoi animali nitrire e appoggiandola ad un box si avvicinò poi a quello di Golden per accarezzargli il muso vellutato e morbido, mentre la porta di legno scuro li divideva ancora. Che cosa doveva fare ora? Che cosa si aspettavano che facesse? Che cosa succedeva adesso? Suo fratello era morto. Suo padre arrestato, sua madre portata via come testimone. Jake era un Conte, Kiran era un Conte, Logan era un avvocato davvero in gamba, ma questo lo sapeva e Connor era un ispettore di Polizia. Ma chi era lui? Cosa c'era di vero nella sua vita? Cosa c'era di vero in tutto quello?
Doveva sapere, voleva farlo. Aveva sentito il cuore andargli in mille pezzi appena aveva visto Jake accasciarsi a terra, mentre una macchia scura gli si allargava sulla camicia ricoprendo anche parte del suo petto di un rosso cremisi scuro, lo stesso rosso con cui si era macchiato le mani.
Si era sentito morire, spezzare, si era sentito impotente, impaurito. Sapeva bene che Jake aveva ragione, cosa contava chi era se lo amava?
Già, che cosa contava in fondo? Ma aveva anche capito perché aveva mentito, era incredulo ma l'aveva capito, però voleva delle spiegazioni il prima possibile, se le meritava. Eppure per codardia, per una paura irrazionale che neanche lui riconosceva in se stesso, era andato alle scuderie. Solo per qualche istante, solo per qualche minuto da solo, per respirare.
Ma poi cedette. Smise di accarezzare Golden e si accasciò a terra sulle ginocchia, prendendosi la testa tra le mani e urlando con tutto il fiato che aveva in corpo. Fu un urlo straziante, acuto, disperato, di dolore profondo che gli squassava il corpo e gli toglieva il respiro. Si mise una mano al petto per cercare di inalare aria. Ma si sentiva spezzare, sgretolare, infilzare da mille pugnali, la sensazione bruciante di mille spilli sulla pelle. Chi era lui? Chi era suo fratello e che cosa aveva fatto, perché aveva ucciso quelle persone e chissà chi altro? Lui stava per essere complice di una vita di delitti e bugie senza fare assolutamente nulla, accettando semplicemente una realtà che anche se gli sembrava scomoda, era la sua, pensava di non avere scampo, di non avere scelta. Poi era arrivato Jake, all'improvviso come un fulmine e gli aveva dato amore, prospettive, fatto promesse a cui forse non avrebbe mai creduto in altre situazioni. Poi il resto, il mondo si era capovolto, tutto si era ribaltato.
Era devastato, lacrime calde gli rigavano le guance, gli occhi arrossati erano ancora coperti dalle sue mani, che vagavano dal viso al corpo, scomposte. Coprendosi ancora il volto, ancora rannicchiato su se stesso cercò di calmare il respiro per non rompersi definitivamente.
Sentì un silenzio tranquillo, aveva smesso di urlare, l'aria era fresca, i rumori familiari della scuderia, il respiro di Golden, il calore del suo fiato che gli arrivava dall'alto, rimase immobile per alcuni istanti, non riuscendo ad aprire gli occhi.
«Sapevo di trovarla qui Signorino.»
Una voce flebile e calda arrivò alle sue orecchie, era ancora rannicchiato ma si tirò su di scatto e si pulì le guance.
«Si..Signora Davies, non l'ho sentita arrivare.»
Aveva ancora la voce impastata dal pianto, ma riprese velocemente il controllo di sé, abituato a non far vedere mai le sue emozioni in pubblico, abituato ad una compostezza totale e necessaria alla sua condizione di Conte.
La donna con il suo scialle di cashmere sulle spalle, si avvicinò piano, silenziosa. Ma con un volto stranamente rilassato, familiare, confortante.
«Non deve scusarsi, dovrei farlo io Milord, mi scusi per averla disturbata io...»
«No, no non disturba affatto. Dovrei tornare in effetti, ci sono tante cose da sistemare.»
Hanry era ancora in maniche di camicia, si scostò i capelli dalla fronte e si rigirò l'anello con l'H con due dita due o tre volte, in un gesto involontario che lo teneva impegnato in qualcosa per calmare il nervosismo e regolarizzare il respiro così da poter nascondere l'imbarazzo inevitabile di essere stato trovato lì in quelle condizioni dalla sua governante.
«Sapete anche a me piace molto venire qui la mattina presto, ho sempre amato tanto gli animali, i cavalli soprattutto.»
Hanry sentì un calore confortevole nel tono pacato e dolce di quella donna che conosceva e aveva visto sin da quando era nato. Gli sorrise in un gesto amichevole. Lei gli si avvicinò.
«Posso?» chiese poi piano avvicinando la mano chiara al muso curioso di Golden, prima dell'assenso del riccio.
«Sono speciali, loro sentono come ci sentiamo, sono molto sensibili sapete?»
«Sono anche tanto intelligenti, sono molto legato a loro.»
«Oh lo so, credetemi. Lo siete da quando eravate piccolo.»
Hanry si mise ad accarezzare Golden insieme alla Signora Davies, in un gesto colloquiale, genuino, che sollevava il velo sottile che divideva le loro posizioni sociali.
«Voi vi ricordate quando ho iniziato a cavalcare?»
«Ma certo Milord, io mi ricordo tutto di lei. Mi ricordo tante cose in effetti non solo la sua prima volta su un cavallo.» ci fu silenzio tra loro, ma non imbarazzo. Continuarono per poco a coccolare Golden, come se lo avessero fatto insieme altre mille volte.
«Signora Davies io...io sono confuso, adesso cosa devo fare? Io non so se potrò gestire tutto, sono da solo, io...»
«Non sei da solo Hanry.» i due si guardarono negli occhi. Hanry sentì un calore propagarsi dentro di lui, quella donna lo stava confortando con il suo tono di voce, la sua tranquillità, gli era grato in quel momento. Era contento che in quelle condizioni lo avesse trovato lei e non qualcun altro. Era contento che quella donna dallo sguardo così gentile adesso lo stesse chiamando per nome in un modo che non sentiva da anni.
I loro sguardi s'incontrarono.
«Hanry, quando sei nato c'era un temporale tremendo fuori, il vento infuriava da tutto il giorno e faceva anche piuttosto freddo. Mi ricordo bene che in casa c'era tanto trambusto, la balia correva su e giù per le scale e il Signor Wood non conteneva più l'emozione.»
La donna guardando ancora il riccio si fermò un attimo, poi continuò prendendo il silenzio di Hanry come un invito a continuare.
«Tuo padre era appena tornato da Londra, appena in tempo per vederti e aspettava fuori dalla stanza.»
La Signora Davies si fermò ancora, il cuore nel petto gli batteva fortissimo e smise di accarezzare Golden per stringersi ancora di più nello scialle e allontanarsi appena da quella posizione.
«E' stato il giorno più bello della mia vita quello, ma anche il più terribile.»
Harny la guardò stranito, le sopracciglia s'incurvarono ma non parlò. Il petto tornò a fargli incredibilmente male e il respiro gli si gonfiò nei polmoni.
«Quell'anello Hanry, è una promessa che ti ho fatto quando ti ho messo al mondo. Per sempre nel mio cuore, tu sarai per sempre nel mio cuore Hanry e non sarai mai da solo finché io avrò vita, questo l'ho giurato quel giorno.»
Hanry fece un passo indietro, le gambe gli tremavano, il volto era tornato pallido, la bocca semi aperta in un'espressione stranita. Si guardò ancora l'anello che portava, il suo anello preferito, quello che gli dava conforto, quello che conteneva quelle esatte parole al suo interno.
«Che cosa vuol dire...io...io non...»
«Devo spiegarti tante cose Hanry, hai bisogno di tante verità adesso e te le meriti. Questa cosa doveva morire con me, non avrei mai dovuto dirtela, mai e poi mai, i patti erano questi. Io avrei potuto vederti crescere, ma senza mai poter essere chi sono davvero, tua madre.»
«Ma non è possibile, non è possibile, io sono figlio di...»
«Tu sei mio figlio Hanry e sì sei anche figlio del Conte Stafford.»
Hanry si fece ancora più indietro. Non riusciva a capire nulla, non riusciva più a dare un senso a nulla, neanche alla sua vita.
«Non devi essere spaventato, lo so che non sarà facile da accettare, ma è la verità e tu la meriti. Dopo tutto quello che hai passato e che stai passando adesso, tu meriti un'altra opportunità. L'opportunità di essere felice, ma con la verità in tasca.»
«Tu sei...mia madre.» lo disse piano, come se quelle parole gli facessero male solo a pronunciarle.
«Io sono tua madre Hanry, ti ho partorito e ti ho sempre amato immensamente.»
La Signora Davies aveva gli occhi pieni di lacrime, il viso si stava arrossando e le spalle iniziarono a tremare forte. Quella donna, sempre così composta, sempre così altera e forte ora vacillava, tremava, sembrava gracile, sembrava essersi fatta piccola.
Hanry nel vederla in quel modo, non ebbe reazione, non riusciva a muoversi, non riusciva neanche a capire. Ma nelle sue parole c'era una sincerità che gli fece quasi paura, in quelle parole sentiva un amore familiare. Era vero lei c'era sempre stata nella sua vita, sempre, gli aveva fatto da governante certo ma era stata anche molto di più. Non lo aveva mai tradito, mai in nessun caso e in nessuna delle sue bravate. Se aveva la febbre c'era lei a curarlo, se era nei guai lui andava da lei prima che da altri, lei era stata una costante nella sua vita e il calore che sentiva propagarglisi nel petto in quel momento dimostrava molto. Allungò un braccio insicuro, gli mise una mano su una spalla, piano, delicatamente, quasi avesse paura di scottarsi. Lei chiuse gli occhi e una lacrima sfuggì al suo controllo con un sospiro.
«Ti prego credimi Hanry, la tua storia è molto più complicata di quello che si può pensare. Avevo promesso di non rivelartela mai e poi mai ma le circostanze sono molto cambiare adesso e quel giorno è arrivato.»
«Io...io non so cosa dire...chi sono? Non capisco chi sono io.»
La Signora Davies si avvicinò al riccio, quello non si ritrasse e così lo prese dalle spalle.
«Tu sei un uomo forte Hanry, un uomo splendido con dei valori così grandi che ti stanno portando a fare le scelte giuste. Tu oggi hai perso un fratello che non è mai stato tale, tu hai perso un padre e una madre che non ti ha mai voluto, ma hai trovato me, hai trovato Jake.»
«Non so se voglio sapere, sono confuso, cosa succede ora?»
«Ora saprai la verità e solo quella è importante, solo la verità e l'amore ora lo sono.»
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