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Capitolo 26


Vivi per quello che il domani ha da offrirti e non per quello che ieri ti ha tolto

Buddha

Era tutto pronto per l'arrivo dei Funzionari. Edmund aveva ricevuto un telegramma urgente tre giorni prima, ma non se lo aspettava. I tre Funzionari della Compagnia volevano parlare con lui e il Conte Stafford prima di ultimare velocemente gli ultimi contratti, così sarebbero stati ospiti ad Harlaxton Manor per un paio di giorni al massimo e poi la conclusione di tutto sarebbe arrivata. Edmund credeva però di poter sbrigare quelle faccende oltre le mura di casa sua. Perché mai quei vecchi bastardi avrebbero dovuto intralciargli i piani proprio adesso che c'era così vicino? Perché tanta fretta?

Ormai era completamente fuori controllo, concitato, paranoico, aveva fatto di tutto per reprimere i suoi istinti omicidi e aveva anche dovuto rimandare la "faccenda dell'indiano", come la chiamava lui, perché i Funzionari Kiran lo conoscevano e sarebbe stato davvero inopportuno farlo sparire proprio il giorno prima oppure farne trovare il cadavere nel bel mezzo del giardino. Così aveva cercato di calmarsi per quanto aveva potuto, sfogandosi con la caccia e il galoppo sfrenato per stare il meno possibile dentro quella casa in cui ormai si sentiva totalmente uno straniero, se non fosse stato per la sua disturbata madre che evidentemente soffriva ancora di profonde turbe.

Non aveva più visto Thompson, si nascondeva sicuramente quel figlio di puttana, pensava lui, non aveva il coraggio di affrontarlo credeva, ma Brody era sicuro che non lo perdesse di vista mai per davvero e gli riferiva tutto quello che succedeva, quasi tutto.

A quanto pareva infatti tra il personale di servizio ad Harlaxtor, c'era una specie di contratto di protezione, si facevano come da scudo tra colleghi, Brody era riuscito ad entrare davvero quasi in ogni stanza della tenuta, ma mai nei corridoi del piano di sotto. C'era sempre qualcuno che in qualche modo lo bloccava, e effettivamente lui non passava inosservato con quell'aria seria da Poliziotto in borghese.

Comunque Edmund c'era vicino, non doveva fare altro che far firmare gli ultimi documenti ai Funzionari, farli autenticare dal suo avvocato, e una volta tornato a Londra, dal notaio nel suo ufficio a Piccadilly. Nel frattempo cosa sarebbero stati altri due innocenti colpi di pistola ben assestati per eliminare definitivamente gli ultimi ostacoli che lo dividevano dal controllo dell'impero?

Così, nervoso e quasi febbricitante per il disagio che stava provando e che non tollerava in alcun modo, perché per una singola volta le cose non stavano andando proprio come lui aveva deciso, si stava vestendo irritato per scendere al cocktail prima di cena. Doveva rimanere calmo, doveva almeno provarci e tutto sarebbe andato secondo i piani.


***


Per la serata era stato richiesto lo smoking direttamente dal Conte. Quei tipi d'incontri non erano certo bazzecole e lui più di ogni altro sapeva che mischiare l'utile al dilettevole, cioè affari e cene sfarzose, erano le cose che più piacevano a quella nobiltà Inglese che si sentiva ancora decisamente privilegiata anche se i tempi stavano piano piano cambiando. Suo figlio maggiore stava per raggiungere tutti gli obiettivi che si era prefissato, tranne uno ovviamente e di quello il Conte si sarebbe occupato una volta che i signori della Compagnia si fossero tolti di mezzo. Non gli interessava minimamente come suo figlio fosse riuscito a contrastare ogni nemico che si fosse trovato davanti, la faccenda Thompson se era vera, preoccupava anche lui ma era certo e sicuro che Edmund avesse il suo asso nella manica. D'altro canto era pronto anche a dover sganciare del denaro, ma era chiaro che forse non sarebbe servito. Il Conte Stafford era sempre stato abituato così. Aveva vissuto la sua intera vita tra le mura dorate di quella tenuta, aveva fatto i conti con un padre assente e una madre troppo affettuosa, aveva preso in moglie Milady perché gli era stata imposta non certo per amore, ma aveva comunque cercato di crearsi una famiglia perfetta, proprio come esigeva il suo titolo. Con l'arrivo di Edmund aveva perso una parte della sua amorevole Colomba purtroppo e con Hanry poi tutto era stato vano, sapeva che lei non era mai tornata veramente in se. Ma il Conte voleva ancora lasciare un segno finché il suo regno fosse stato ancora in piedi, quindi assecondava quelle che a suo parere erano le scelte giuste, anche se avventate, del suo prezioso primo erede.

Erano stati preparati piatti deliziosi e ben sei portate avrebbero allietato la cena di quella sera, prima che gli uomini poi si ritirassero nella sala da fumo. La sola presenza femminile sarebbe stata quella di Milady, così la moglie dell'avvocato Dawson era stata invitata per non lasciare sola la Signora, non sarebbe stato decoroso per lei. Dopo che il personale di servizio, esausto, aveva svolto tutti i preparativi, era cominciato l'aperitivo nella sala degli arazzi. Connor quella sera avrebbe presenziato come cameriere poiché Michael aveva avuto problemi con la schiena, ma non aveva protestato. Quel biondino Irlandese era sempre pronto a ficcare il naso ovunque, quella serata non era da meno, così anche se molto stanco per l'intensa giornata aveva accettato di buon grado su richiesta di una più che affannata Signor Davies.

Entrando nella sala degli arazzi, si rimaneva a bocca aperta dalla sua bellezza, era la sala più grande di tutta la tenuta. C'erano grandi opere intessute appese sul lato lungo della stanza con raffiguranti scene di caccia alla volpe e al cervo, nei toni autunnali del verde bosco e del bruno scuro. Parallele a quella parete invece, immense porte finestre rendevano la sala ancora più grande permettendo alla luce naturale di entrare prepotente, regalando così un tramonto mozzafiato ai presenti, quando fosse giunta l'ora giusta, e facendo si che potessero vedere l'immenso e sempre impeccabile prato all'inglese che vi era fuori. La stanza dava sul bosco, così che si potesse anche godere della fauna che spesso si affacciava nella radura. Un grande lampadario di vetro intarsiato era già stato acceso e da quelle gocce lucide come acqua pura, la luce che si irradiava era forte ma calda e accogliente. Erano circa le cinque e trenta quando i primi bicchieri di Champagne Francese fatto arrivare per l'occasione, furono serviti in calici di cristallo purissimo.

«Non mi ricordavo che Harlaxton Manor avesse una sala degli arazzi tanto maestosa, complimenti Milord.» disse uno dei tre Funzionari che amabilmente discutevano con il Conte su quanto fosse sfarzosa la sua dimora.

Erano arrivati in pompa magna con gli smoking scuri e i cilindri in testa.

Edmund aveva espressamente comunicato al personale di servizio che i Signori desideravano partire subito l'indomani mattina e che la loro era più che altro una visita non solo di affari ma di cortesia, sperava.

«Edmund sei emozionato per questo grande e nuovo inizio?»

Uno dei tre, con capelli ormai ingrigiti e baffi a manubrio, dando un sorso di Champagne si era rivolto al futuro Conte che come sempre con la sua solita aria spavalda, era affiancato dall'immancabile Brody, anche lui in completo nero per l'occasione.

«Certamente, certamente, non attendo altro che portare la Compagnia al suo livello massimo in effetti, non potrei chiedere di meglio.»

«Bene, allora io propongo un primo brindisi!» disse più ad alta voce il terzo uomo in nero, sollevando il calice in direzione della sala.

«Alla Compagnia e al suo futuro proprietario, sono sicuro che faremo grandi passi avanti con lei, grandi.»

Furono costretti tutti a bere. Hanry era in un angolo con Logan e l'avvocato Dawson, i due erano impeccabili, bellissimi e leggermente agitati, stavano un po' in disparte per non dover incorrere in eccessive chiacchiere con i Funzionari, ma l'avvocato del padre sembrava bramoso di sapere sempre di più dei casi che stava seguendo il Signor Bennet, tanto per ficcanasare un po'. Milady e la Signora Dawson invece parevano interessate a Kiran, anche lui in smoking ma con l'immancabile safa, questa volta azzurro cielo, che le intratteneva ancora una volta in una settimana, in racconti esotici con quel suo charme che non se ne sarebbe andato neanche se glielo avessero strappato di dosso. In tutto quello, Connor e Jake, che non sapeva ancora dove avesse trovato tutto quell'autocontrollo per non spaccare letteralmente in quell'istante la faccia ad Edmund, intanto giravano tra gli ospiti con vassoi in argento perfettamente colmi di tartine e calici, seguendo le direttive del maggiordomo che controllava la situazione dal banco dei cocktail.

«Ho sentito dire che in India spesso non s'indossano le scarpe è vero Signor Patel?» chiese la Signora Dawson quasi eccitata dal ritrovarsi lì con quel ragazzo che veniva dall'Oriente, così bello e così ammaliante che difficilmente non ti metteva in soggezione anche non volendo, e questo Logan che lo stava praticamente mangiando con gli occhi al di là della sala lo sapeva bene.

Kiran sorrise, regalando alla donna uno di quei sorrisi che a l'avvocato ci erano voluti mesi per vedere e ne fu geloso.

«Non posso contraddirla Signora Dawson, anche mio fratello in effetti spesso era solito non portare le scarpe.»

Inutile specificare che lo aveva detto solo per infastidire Jake e smorzare la tensione, perché la frase era uscita da quelle labbra carnose proprio mentre il valletto passava di lì, e Kiran avrebbe potuto giurare di vederglisi sollevare un angolo della bocca per mascherare una risata amara.

«Deve essere una terra davvero interessante, ma v'immaginate, vivere in mezzo a tutti quegli animali, io non potrei mai!» aggiunse con una voce stridula Milady.

«Naturalmente Milady, ma non viviamo con gli animali, in India ci sono maestose dimore proprio come questa e forse anche più grandi, non siamo selvaggi come la gente spesso crede, ormai l'elettricità è arrivata anche lì e le cene di gala sono alquanto lussuose.» rispose stizzito Kiran ma sempre con il sorriso, tanto per cercare di non perdere totalmente il controllo.

«Oh certamente Signor Patel, immagino sì.» Milady rimase in silenzio, sorseggiando il liquido chiaro del suo bicchiere, ma prima che la Signora Dawson nuovamente si avventasse sul moro per intontirlo con altre domande con cui si divertiva a testare la diversità della sua terra con quella dell'uomo, Kiran sempre con un'eleganza mai vista, fece un piccolo inchino e si congedò.

«Con permesso Signore, credo che il Signorino voglia chiedermi qualcosa.»

Così si allontanò verso Hanry, che in quel momento gli sembrava la persona più fuori posto di tutte in quella sala.

«So che forse sono l'ultima persona con cui vuoi parlare adesso ma...»

«Non pensarlo Signor Patel.»

«Kiran.»

«Kiran, sì, sto solo cercando di rimettere in piedi tutta questa storia, ma non è facile.» Hanry, elegante come sempre riempiva alla perfezione uno smoking nero particolare. Sulla giacca c'erano degli arabeschi in tinta e a seconda di come la luce li colpiva risaltavano con giochi unici di lucentezza e opacità, la camicia bianca che aveva abbinato poi gli calzava a pennello e il suo collo chiaro e meraviglioso spuntava perfetto da essa. Aveva i ricci appena scompigliati e lo sguardo duro di chi è continuamente sulla difensiva, ma si scolò di un botto lo Champagne che gli avevano servito, per poi reclamarne un altro possibilmente da Connor e non da Jake, anche se non poteva proprio evitarlo in quel contesto.

«Hanry posso essere sincero?»

«Proprio tu?»

Kiran sorrise senza trattenersi alla domanda del riccio.

«Credere a lui è semplicemente la cosa migliore che potresti fare in tutta la tua vita. Stare dalla parte giusta per una volta non sarà così terribile, dammi retta.»
Kiran prese due calici dal vassoio pieno di Connor e gliene porse uno prendendogli dalle mani quello vuoto e facendo un veloce cambio.

«Dobbiamo festeggiare?» chiese il giovane Conte interdetto da quelle parole, ma ormai non ci faceva neanche più caso tanta era la confusione che aveva in testa.

«Brindiamo soltanto. Ai segreti, alle verità e all'amore, le uniche tre cose che fanno andare avanti il mondo dei sentimenti veri.»

Hanry si stupì di quelle parole, soprattutto perché Kiran aveva guardato di sfuggita Logan mentre le diceva. Ma il moro aveva ragione, quelle tre cose erano le sole essenziali per costruire rapporti che comprendessero la fiducia reciproca, così brindò facendo tintinnare piano i due calici.

La cena fu lunga ed estenuante. Le portate si susseguivano una dopo l'altra e Jake faceva continuamente su e giù per le scale, per portare piatti e vivande calde al tavolo d'onore dove una parte di quelle persone progettava di ucciderlo, un'altra parte di difenderlo e la mancante forse non aveva neanche la minima idea di quanto si stava consumando dentro le mura di Harlaxton Manor.

Hanry era irrequieto, come lo era stato per tutta la giornata, come forse lo era da giorni. Voleva assolutamente parlare con suo padre, doveva capire, ma il Conte pareva interessato solo ed esclusivamente come sempre, alle sciocchezze che suo fratello stava ancora propinando ai Funzionari.

Non sapeva bene perché ma l'atmosfera era tesa, incredibilmente asfissiante e Hanry minacciava davvero di non reggere alla tensione. Il colletto della camicia gli stringeva, calde gocce di sudore gli correvano lungo la schiena e gli occhi blu che cercava continuamente come aveva fatto solo un paio di ore prima nella stanza degli arazzi, non erano lì con lui.

Terminate le sei portate, come di consuetudine le due signore si accomodarono nel salottino adiacente alla stanza da fumo, avrebbero concluso la serata sicuramente parlando del matrimonio del giovane Stafford, argomento molto succulento per le donne in quelle occasioni. Gli uomini invece si sarebbero goduti un piacevole fine pasto con sigari e Brandy in quantità, tutto naturalmente condito da chiacchiere e accordi ufficiali.

«Padre, devo parlarvi.» Hanry si avvicinò al Conte, poco prima di entrare nella fumosa stanza scura decorata con mobili in mogano e tappezzeria verde bottiglia con ricami bianchi. Il camino era acceso e l'odore di alcolici di ogni genere si disperdeva nell'aria appiccicosa e satura di aromi.

«Non mi pare il momento Hanry, tuo fratello...»

«E' proprio di lui che voglio parlare padre, io non credo che sia lucido, ha minacciato un nostro ospite e lui ha...»

«Hanry devi smetterla di andare contro di lui e contro di me ci siamo intesi?» Il Conte lo prese per un braccio senza farsi notare troppo, mentre gli ospiti erano già entrati e loro due sulla soglia, ancora discutevano. La rabbia repressa tra i denti del Conte si vedeva attraverso i suoi occhi.

«Padre, voi dovete smetterla! Non potete credere a tutto quello che dice Edmund, c'è qualcosa che non va in tutto questo, nella Compagnia, non credo che lui stia agendo legalmente.»

Il Conte Stafford lo guardò quasi incredulo, continuando a stringergli un braccio che iniziava a far male.

«Ma come ti permetti? Lui ha sempre rispettato la nostra famiglia e il nostro buon nome. Lui ha sempre voluto portarci alla vetta, e non ti permetto di parlarne così. Tu non sai nulla del mondo esterno, nulla, non sai che certe volte vanno fatti dei sacrifici?»

«Sacrifici?» Hanry resse lo sguardo del padre che lo squadrava dall'alto in basso. Poi con uno strattone forte si liberò dalla sua presa.

«Sacrifici necessari Hanry. Tu torna al tuo posto e stai zitto, come avresti sempre dovuto fare.»

Hanry sconvolto più dai gesti che dalle parole, guardò il padre con rabbia. Tutta quella situazione doveva finire, ma non sapeva davvero come fare. Il legame familiare che univa lui a quei due uomini sembrava paradossale. Come poteva lui contare così poco per suo padre, come potevano loro considerarlo sempre l'ultimo in ogni cosa?

La voragine che Hanry aveva nel cuore si fece sempre più grande, ma non poteva demordere, scappare l'avrebbe data vinta al Conte. No, lui sarebbe rimasto, voleva capire fino a che punto si sarebbe spinto suo fratello pur di avere quello che voleva.

«Bene, allora i documenti sono pronti, avvocato Dawson vuole dare un'occhiata?»

Uno dei Funzionari della compagnia, accettando di buon grado un Brandy dalle mani di Connor, porse all'avvocato stempiato e rotondo come una mela, dei documenti in carta bollata.

«Oh certo, sì, naturalmente.» rispose, mentre inforcati gli occhiali da vista si accomodò sul chesterfield in pelle scura con alle spalle una grande vetrata dalla quale si vedeva il giardino esterno ormai all'imbrunire. Le lampade erano soffuse e l'atmosfera calda era accentuata dall'odore di sigari.

Kiran stringeva il suo cherry tra le mani e appoggiato vicino al camino pareva nervoso, Logan si stava versando da solo del Brandy in un bicchiere finemente decorato con del ghiaccio dentro. Hanry preso da un nervosismo incontrollato, cercava di calmarsi sorseggiando Ginger Ale e Vodka. C'era uno strano silenzio nell'aria, mentre l'avvocato Dawson consultava i fogli. I Funzionari borbottavano tra loro complimentandosi ancora con Edmund ma attenti anche ad ogni gesto dell'avvocato concentrato a studiare ciò che leggeva. Brody invece, guardingo teneva d'occhio la scena dall'estremità della stanza, dato che in quel momento la minaccia principale secondo lui, era solo il Signor Patel.

«Come intende iniziare Edmund? Tornerà in India con il Signor Patel?» chiese uno dei signori con i baffi a manubrio, tirando da un sigaro scuro e sorseggiando quasi sicuramente del whisky Scozzese, mentre ammiccò a Kiran dall'altro lato della stanza.

Edmund Stafford dall'alto del suo ruolo in quel momento, sentendosi completamente al centro dell'attenzione, si aggiustò i capelli unti indietro e data una sguardata sempre all'indiano, rispose.

«Non lo so ancora, per me ecco l'India è una miniera d'oro certo, ma ho sempre avuto problemi con...»

«Signor Stafford, sa io credo che prima di dire quello che sta per dire dovrebbe tacere.»

Kiran non poteva più resistere oltre. Così quando il silenzio nella stanza arrivò gelido dopo la sua affermazione, prese l'ultimo sorso di cherry e posò il bicchiere sulla mensola del camino che intanto scoppiettava vivace. L'aria nella stanza era calda e densa, c'era fumo e una coltre pesante avviluppò i presenti. Nessuno reagì per pochi istanti perché tutti erano sconcertati, Funzionari compresi.

«Come prego?» il Conte era spiazzato.

«Ahahah, Signor Patel, lei ha sempre avuto questo senso dell'umorismo così frivolo e particolare, dopotutto forse non conosce bene...» intervenne Edmund con un ghigno infastidito, solo per smorzare una situazione che si stava facendo inaspettatamente scomoda.

«Io conosco molto bene tante cose Signor Stafford mi creda, e sono ben due anni che sento parlare male della mia gente da cui a preso tutto, sudore, oro, sangue e vita, quindi se non le dispiace...»

«Avvocato Dawson mi dica, le carte sono davvero in regola?» Logan, con tutta la calma del mondo intervenne interrompendo bruscamente Kiran. Calmo e controllato, con il bicchiere ancora stretto in mano, prese la palla al balzo ed entrò finalmente in scena.

«Ma che sta succedendo?» chiese uno dei Funzionari, accorgendosi che la situazione si stava facendo davvero bizzarra.

Il Conte era immobile, con un sorriso ebete in volto non riusciva a capire che cosa diamine stava accadendo. Brody intanto, si avvicinò a Edmund.

«Signor Bennet, io...» balbettò l'avvocato.

«Avanti avvocato Dawson, mi dica, le carte per il totale controllo della Compagnia sono in regola o no?»

«Beh, dovrei ancora controllare bene ma forse...forse manca...» l'avvocato ormai quasi balbettava, Logan era così terribilmente duro quando ci si metteva, e Kiran lo sapeva bene, quella sua propensione al controllo lo faceva impazzire ogni volta e vederlo così in azione era una cosa magnifica, doveva ammetterlo, anche se in quel momento il cuore di entrambi batteva così forte da non sentire neanche il rumore dei loro pensieri.

«Logan ma che...» Hanry voleva intervenire, ma Kiran gli fece cenno di no. Il riccio non stava capendo assolutamente nulla e un sudore freddo, gelido, gli colò dalla nuca. I battiti del cuore accelerarono improvvisamente, ma non seppe spiegarne il perché con certezza.

«Cosa manca Signor Dawson, che cosa manca? Avanti..»

Sembravano tutti con il fiato sospeso, una strana sensazione si respirava in quella stanza.

Tutti, compreso Connor erano immobili, in ascolto.

«Cosa sta cercando di fare Avvocato Bennet?»

«Oh niente di che Signor Stafford, solo di far aprire gli occhi a questi gentili Signori che stanno per commettere un'ingiustizia.»

«Ma come ti permetti...» Edmund si bloccò, Brody lo tenne per un braccio, quasi avrebbe voluto scagliarsi su Logan, il suo povero autocontrollo stava forse cedendo. La sua vera natura era in agguato e Logan contava proprio su quella.

«Si calmi Signor Stafford, se non ha niente da nascondere, non ha niente da temere no?»

«Edmund che stai facendo? Che cosa hai fatto?» chiese Hanry inorridito dalla scena, un po' per la reazione del fratello un po' perché la faccenda sembrava farsi davvero grave, un po' perché forse avrebbe avuto presto delle risposte.

«Avanti Dawson, cosa manca ai documenti?» insistè ancora Logan.

«L'atto di morte dell'erede di Richard Thompson.»

«Oh, eccoci al punto.»

«Ma come vi permettete...voi...è rimasto ucciso in un incendio, lo sanno tutti.» disse il Conte.

«Non siamo così sicuri che sia così però.» precisò l'avvocato Bennet.

«Tutti lo sanno, ma è vero anche che l'atto di morte non è mai stato fatto perché un corpo non è mai stato ritrovato.» intervenne un Funzionario, nel quale forse il dubbio dell'incertezza si insinuò rapido.

«E voi gentili Signori volete cedere la maggiore percentuale di una Compagnia milionaria ad un solo uomo senza essere sicuri che ci siano altri che potrebbero rivendicarla?» precisò Logan.

«I Thompson sono morti, estinti fino all'ultimo.»

Le parole glaciali e forti di Edmund risuonarono nella stanza e zittirono tutti. L'atmosfera era pesante e la stanza sembrava rimpicciolirsi sempre di più.

«Ed è qui che vi sbagliate.» la voce di Kiran arrivò chiara alle orecchie di tutti.

«Jake!» chiamò il fratello che fece il suo ingresso in livrea scura, entrando dalla porta ancora aperta. A passo deciso si fece strada tra il fumo della stanza. Hanry immobile non sapeva neanche più dove guardare. Tutti rimasero in silenzio perché la situazione era così totalmente assurda da non sembrare reale.

«Buonasera Signori.»

«Lui e Kiran, sono gli eredi legittimi di Richard Sebastien Thompson, ed abbiamo i documenti che lo confermano.» Logan con tono sicuro, sganciò la bomba.

«Il valletto? Ma com'è possibile avvocato Bennet è forse impazzito?» chiese un Funzionario sbalordito da quella che sembrava la scena di un dramma teatrale.

«Ma è una cosa assurda, noi conoscevamo Richard lui...»

«Ma non conoscevate i Signori qui presenti perché Jake era a Londra in quel periodo e Kiran non ha mai voluto partecipare alle vostre serate mondane a Jaipur.»

«Richard aveva detto di aver adottato un Indiano ma...»

«Ma nessuno aveva mai avuto il piacere di volerlo conoscere, non tra di voi almeno. E quando avete visto me con Edmund ma senza mio padre non avete collegato chi fossi.» intervenne Kiran.

«Nostro padre ci ha sempre avvertito su quanto foste meschini, ci ha sempre tenuto in guardia su tutto, e aveva ragione.» Aggiunse duro Jake.

«Voi...brutti bastardi.» Edmund era già rosso in viso, non poteva credere che loro stessero davvero facendo tutto quello.

«Temo che dovrà calmarsi Signor Stafford.» disse Logan «Prego Signori, abbiamo i documenti che attestano quanto detto.» lo disse passando i fogli all'avvocato Dawson a cui si avvicinarono i Funzionari ancora interdetti, ma adesso incuriositi da tutta quella strada faccenda che però sembrava stare in piedi.

«Siamo i legittimi proprietari ancora in vita della percentuale maggiore della Compagnia, il Signor Stafford non ha fatto bene i suoi calcoli.» disse Jake che adesso accanto a Kiran, iniziava ad agitarsi.

«Ma che sta succedendo? Dici sul serio ragazzo?» uno dei Funzionari interrogò Jake, ancora incredulo che un valletto potesse parlare così.

«Lasci perdere, sono diventati matti, non capisco, sistemeremo subito...»

«No Milord, spiego io la situazione, se permette.» Jake guardò finalmente in faccia il Conte che si zittì. Edmund stava bollendo di rabbia.

«Il Signor Stafford qui ha compiuto atti indicibili per affari, siamo stati testimoni di un omicidio e di un tentato omicidio ai danni della nostra famiglia. Edmund voleva toglierci di torno ma non ci è riuscito.»

«Ma cosa stai dicendo brutto figlio di...»

«Tu hai ucciso mia madre Ravi Thompson, l'hai accoltellata.» Kiran intervenne, urlando in faccia ad Edmund, avvicinandosi sempre di più a lui, ma Logan lo riprese per tenerlo calmo.

«Ma che stanno dicendo, ma come vi permettete di fare accuse del genere? Potreste essere arrestati!» il Conte era inorridito da quelle accuse.

«Abbiamo le prove che lo dimostrano. Voi avete rovinato e distrutto la nostra famiglia, voi avete ucciso delle persone innocenti.» disse Jake con una rabbia mai vista, il cuore che galoppava in petto più forte che mai e un volto così duro da nasconderne i lievi lineamenti che vi erano sotto. Hanry era scioccato, guardava Jake, poi suo padre, poi suo fratello, poi Logan, non sapeva cosa fare. Si avvicinò all'avvocato Dawson per vedere con i suoi occhi i documenti che avevano portato.

«Ma come osate!» Edmund non demordeva.

«Oh noi osiamo eccome! Sai Edmund, nella fretta di andartene quel giorno a Jaipur, hai fatto un madornale errore.» disse Jake, quasi ritrovando una calma fittizia.

«Ma che stai...»

«Sì Edmund, tu hai ucciso mia madre ma hai dimenticato questo.»

Kiran estrasse dalla giacca il piccolo pugnale che avevano trovato accanto al corpo insanguinato di Ravi. Non c'erano dubbi che fosse degli Stafford. Il sangue rosso cremisi che grondava dalla lama affilata non c'era più, ma l'elsa non mentiva, le api d'oro dello stemma di famiglia spiccavano alla luce delle lampade, lì in bella mostra. Quel pugnale apparteneva a quella famiglia, era certo.

«Ma che diamine state dicendo?»

«Ma non è possibile!»

«Che storia è mai questa?»

«Questi documenti sono autentici, questa storia...»

I Funzionari erano increduli, l'avvocato Dawson senza parole. C'era quasi tutto in quelle carte, tutto quello che il valletto e l'indiano stavano dichiarando, le lettere del Conte Thompson, i telegrammi, il testamento. Mancava solo il certificato di matrimonio del Conte e l'effettiva certificazione dell'identità di Kiran, ma a quel punto poco importava. La situazione stava andando alla deriva.

«E' stato lui!» Edmund , in un attacco di panico, capendo che probabilmente tutto gli stava scivolando dalle mani, rivolse lo sguardo verso Brody, quello impallidì.

«E' stato lui ad uccidere quella donna.»

«Quella donna era mia madre brutto bastardo.» precisò Jake avvicinandosi ancora minaccioso a Edmund, ma fu trattenuto da Hanry che senza vergogna, lo tirò per un braccio, tenendolo a se. Quel contatto improvviso e spontaneo dopo giorni di lontananza forzata fece sussultare entrambi, ma adesso non era il tempo della lucidità, ora contava solo istinto e niente altro, e quella fu la loro reazione istintiva, avvicinarsi senza neanche pensarci.

«E' stato lui padre credetemi, lui ha ucciso quelle persone.« gridava Edmund.

«Signore ma cosa dite? Voi avete ucciso la donna, io sono stato costretto a fare altro.» Brody voleva difendersi, Edmund reclamava ancora le attenzioni del padre con un patetico e ultimo tentativo di giustificazione.

La stanza era satura di adrenalina e i Funzionari ancora guardavano i documenti per poi guardare ancora Jake.

«Edmund quello è il tuo pugnale, non ci sono dubbi.» intervenne però Milord.

«Padre questi due bastardi vigliacchi...»

«Voi avete altre prove?» chiese uno dei Funzionari quasi calmo.

Jake si staccò dalla presa calda di Hanry mentre con il cuore impazzito deglutiva rabbia e lacrime. Non fece altro che avvicinarsi a loro tirando fuori dalla giacca l'orologio da taschino d'oro del padre, quello che gli aveva regalato per il suo matrimonio con Ravi, per mostrarglielo.

«Ho molte prove Signori, ma voi dovete capire che qui davanti a voi c'è un assassino, che ha trucidato la mia famiglia e che non avrebbe esitato ad uccidere anche noi una volta raggiunti i suoi obiettivi.»

«Queste lettere, questi documenti, voi siete davvero i Thompson?»

«Non c'è dubbio, il ragazzo è in possesso di informazioni che solo lui potrebbe avere.»

«Richard Thompson è stato trovato morto su un treno ma questo telegramma...»

«Signori qui stavamo per fare un errore madornale.» i Funzionari cercavo di parlare tra loro.

«Edmund tu sei un assassino.» Hanry era sconvolto, lo sussurrò piano anche se avrebbe voluto urlarglielo in faccia. Non sapeva come fare a crederci neanche lui, e suo padre? Davvero era a conoscenza di tutto?

«Oh sta zitto! Anche tu non dovresti essere qui, quella puttana avrebbe dovuto ucciderti quando sei nato!»

«Ma che cosa stai dicendo?» Hanry era sconvolto, non capiva più nulla, un ombra scura sul suo viso apparve improvvisa.

«Padre che cosa...» Non riusciva più neanche a formulare pensieri sensati.

«Edmund no!» intervenne il Conte.

«Padre avresti dovuto dirglielo tanto tempo fa, invece...siete tutti dei codardi, schifosi codardi!» Edmund era folle di rabbia ormai, urlava e si dimenava senza freno, stava perdendo ogni controllo.

«Sei solo tu il codardo qui dentro Edmund.» intervenne Jake.

«Tu dovrai pagare per quello che hai fatto!» urlò Kiran.

«Voi! Maledetti, siete solo dei bastardi...»

«Hai ucciso una donna innocente!» ancora una volta Kiran gridò arrabbiato.

«Quella puttana era solo una scimmia ammaestrata da quello schifoso di Thompson, voi siete solo dei bastardi...»

Edmund con uno slancio rapido d'ira che ormai gli esplodeva nelle vene senza poterla più gestire, si scagliò su Kiran che adesso si trovava esattamente davanti a lui. Ormai era mosso da una rabbia incontrollabile che non aveva freno, una rabbia repressa che scatenò il vero mostro dentro di lui e lo rivelò agli occhi di tutti i presenti.

Logan non fece in tempo a mettersi in mezzo e alla fine ci fu l'inevitabile, Edmund spinse a terra Kiran con forza, Jake si scagliò su quello per cercare di difendere il fratello.

«Jake no!» Hanry urlò per fermarlo, ma non ci riuscì, era troppo lontano, non riuscì ad afferrarlo, non riuscì a tenerlo a se.

Nessuno ebbe il tempo d'intervenire perché le cose successero tutte troppo in fretta. Logan provò a separare i due per terra, ma tutto fu totalmente veloce da essere quasi irreale. Jake si avvicinava, Kiran era supino con Edmund sopra che lo stava colpendo in viso. Poi ci fu un chiaro gemito gutturale e profondo di dolore che squarciò le voci concitate di stupore tutte intorno, subito dopo uno sparo forte e potente risuonò nell'aria e ci fu un altro grido roco. Appena dopo, altri due spari molto ravvicinati riecheggiarono nella sala da fumo.

Intorno a tutti loro calò il silenzio più assoluto.

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