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Capitolo 25


L'amore può rompere una roccia

Proverbio Orientale

Kiran quella mattina non si aspettava che un concitato Logan bussasse alla porta della sua stanza. Ma adesso il moro aveva davanti a se l'avvocato, impeccabile come sempre in un completo tortora con la giacca sganciata e le bretelle scure che facevano bella mostra di sé sulla camicia bianca immacolata. Qualcosa nel suo atteggiamento sempre sicuro e deciso però lo ingannava. Anche lui già vestito con giacca e pantaloni a sigaretta entrambi di un color terra di Siena molto scuro, stava per intrecciare il suo safa davanti allo specchio lungo e stretto che aveva nella stanza. La luce che ormai entrava ad illuminarne ogni angolo era quella delle nove di mattina. Logan non poteva rischiare di farsi vedere, così aveva atteso che nel corridoio non ci fosse più nessuno per intrufolarsi in camera del suo amante. Kiran lo aveva fatto entrare e mentre lo guardava con un cipiglio in volto, teneva ancora i sei metri di tessuto del suo safa delicatamente tra le mani, in attesa che l'altro parlasse.

«Che succede?» chiese poi, posando il tessuto sul letto e dirigendosi verso l'altro che pareva nervoso e non riusciva neanche a guardarlo in faccia.

«Logan? Che succede? Se qualcuno sa che...»

«Kiran, Hanry è venuto da me. Ha sentito Edmund parlare con Brody, ti vuole far fuori, avevi ragione.»

Logan parlava in modo concitato, agitato, faceva su e giù per la stanza.

«Dobbiamo parlare con quelle persone, io, io...»

«Logan, ci parliamo, abbiamo detto di attendere fino a domani e poi facciamo quello che dobbiamo, non mi farò uccidere prima del divertimento.» sogghignò.

«No tu non ai capito, quello vuole ucciderti oggi.»

«Quello vuole uccidermi da mesi.»

L'avvocato si avvicinò al moro e lo baciò con trasporto. Subito ricambiato dall'altro che anche se inatteso, in realtà aspettava quel gesto. L'adrenalina che scorreva tra i due in quel momento così delicato, in quel costante e asfissiante senso di pericolo perenne, faceva sì che le pulsioni tra di loro fossero ancora più accentuate.

«Kiran io non ti posso perdere.»

Sorrise a quella dichiarazione davvero inaspettata, ma che gli mandò una stilettata inevitabile al cuore.

«Logan tu neanche dovevi saperla tutta questa storia, io ti ho messo in pericolo e non avrei mai...»

«Sssh, no non dirlo.»

L'avvocato gli aveva fermato le parole con le dita sulle labbra carnose. Il moro aveva chiuso gli occhi aspirando l'odore di lui direttamente dalle sue dita.

«Non dirlo, io ho accettato di aiutarvi e lo farò, anzi, non potevo chiedere di meglio, dopo mesi questa è l'unica volta che posso conoscerti davvero.»

«Ma io questo non lo volevo.»

Kiran non fu freddo nel dirlo, ma solo diretto. Prese quella mano tra le sue e le intreccio insieme, baciandogli poi le nocche con le labbra umide. Logan lo guardava e basta. Quelle labbra, quel viso, il suo respiro, quel piacevole odore che la sua pelle emanava, lo facevano uscire di testa.

«Tra noi non doveva esserci altro che sesso Logan, solo quello, piaceva ad entrambi e solo così potevamo essere al sicuro.»

«Per me non c'è mai stato solo sesso.»

Kiran alzò i grandi occhi ambrati verso il suo viso. Rimasero zitti per qualche attimo, poi ripresero a baciarsi.

«Il fuoco che mi crei dentro non lo posso ignorare, ma non mi perdonerei mai se ti succedesse qualcosa.» disse il moro.

«Tu fidati di me e vedrai che le cose potrebbero sistemarsi.»

«Potrebbero.»

«La certezza è per gli sciocchi.»

«E da quando è così arguto avvocato Bennet?»

«Sono solo sicuro che voglio continuare ad averti Kiran, quindi non posso perdere questa battaglia.»

Si baciarono ancora, le lingue a rincorrersi, le labbra ad unirsi ancora.

«Non la perderemo, quel figlio di puttana deve pagare Logan»

«E succederà, sarà così, basta aspettare domani, fidati.»

«Fino ad allora?»

«Fino ad allora ti toccherà starmi vicino.»

«Cercherò di sopportarti.»

«Conte...pensa un po'.»

«Già proprio così, adesso verrai a letto con me solo per quello?» Chiese sorridendo appena.

«Sarà un motivo in più, ma anche un Conte a bisogno di un avvocato no?»

Risero entrambi, scuotendo la testa per avere ancora una volta quella voglia di scherzare che mai li abbandonava anche in momenti di tensione. Il calore dei loro corpi li chiamava. Avrebbero voluto possedersi ancora e ancora, perché Logan e Kiran erano così, loro si conoscevano solo con il sesso, si sentivano solo con quello e forse non sapevano fare altro, forse loro non sapevano amare davvero, forse sapevano solo fare sesso e compiacersi di quello, forse India e Inghilterra potevano unirsi solo con il corpo. Ma negli ultimi giorni sapevano che oltre a quello era entrato in ballo molto di più, per loro volontà o meno, era successo. Sapevano che ormai avrebbero dovuto fidarsi. Kiran doveva cercare di aprirsi e Logan cercare tutto il coraggio possibile e le sue conoscenze, per non fallire.


***


Tutto era assolutamente un caos. La sua testa, i suoi pensieri, nulla riusciva minimamente a distrarlo e nulla forse ci sarebbe mai più riuscito finché tutta quella storia non fosse finita. Tutto si era complicato all'inverosimile e quella situazione totalmente assurda nella quale si stava ritrovando era peggio della trama di un libro complicato. Sentiva freddo mentre uscito dalla Tenuta adesso si dirigeva verso il bosco. Neanche i suoi adorati cavalli avrebbero potuto lenire il dolore, scaldare la sua pelle così fredda, quasi congelata da quando Jake ci aveva messo le dita sopra. Così ancora mezzo vestito, con solo la camicia azzurrina infilata nei pantaloni grigi e le bretelle scure a tenerli su, con i suoi stivaletti stringati e neanche un libro sotto braccio, stava camminando lungo i sentieri che costeggiavano i giardini, sotto i noci alti e i platani che poi con una curva morbida riprendevano il loro corso sulla strada principale che divideva Harlaxton da Grantham. Avrebbe potuto prendere un treno, andarsene, scappare via. Poteva prendere le chiavi di una delle automobili di suo padre e semplicemente mettere in moto e fuggire, a Londra a Birmingham a Belfast, no a Belfast no, troppi ricordi di lui. Anche i suoi posti preferiti gli aveva contaminato. Ma alla fine che differenza avrebbe fatto il luogo? Ma Hanry camminava, camminava a passo spedito, veloce, i fili d'erba si scontravano con la suola dura di cuoio ebano degli stivaletti. Borbottava tra sé perché non capiva, si teneva le braccia strette al busto perché lo stomaco rischiava ancora di ribellarsi a tutta quell'ansia e a quella paura che stava provando. L'aria era fresca ma il sole stava piano piano riscaldando tutta la campagna intorno a lui. Come quando era con Jake, sentiva calore, protezione, sentiva compagnia, amore, dolcezza. Il cielo terso, l'aria pulita, un leggero venticello a tenergli i ricci ribelli indietro scoprendo la fronte ampia e gli occhi ormai irrimediabilmente rossi da lacrime e insonnia. L'odore lieve di sterco, quello forte di erba e quello pungente di fieno gli arrivavano alle narici facendolo ispirare profondamente in un gesto che ricordava, lo avesse sempre calmato. Come poteva essere successo? Adesso lui era innamorato di una persona che diceva di essere un Conte, proprio quel Conte perduto di cui avrebbe dovuto amministrare le proprietà. L'immensa e maestosa Castle Howard ora aveva nuovamente un Conte e Hanry sorrise, era perfino più ricco di lui ironia della sorte. Sorrise perché ogni volta che era stato con Jake, ogni momento passato con lui aveva avuto il sapore dolce di un segreto da mantenere, ma non credeva che fosse come quello. Gli aveva detto che i suoi modi, il suo porsi, il suo sapere quasi sempre cosa dire, somigliavano ai modi di un nobile, ci avevano scherzato sopra, ma ora era tutto vero. Adesso era lui che avrebbe dovuto chiamarlo Milord. Gli venne anche da piangere, ma non lo fece, ricacciò le lacrime indietro al sicuro dietro le sue palpebre e continuò a camminare. Adesso univa tutti gli indizi che erano sempre stati davanti ai suoi occhi, ora vedeva. Il suo modo di parlare, di porsi, il rifiutare il tè Inglese perché forse abituato a quello Indiano, la sua strana collana, la sua cavalcatura perfetta, la sua conoscenza impeccabile della letteratura. Tutto poteva averlo fatto pensare, tutto, ma lui semplicemente gli aveva creduto. Non aveva indagato, perché avrebbe dovuto farlo? Quella era una parentesi felice della sua esistenza e semplicemente non aveva dubitato.

Ma mentre camminava non poteva non tornare con il pensiero e le sensazioni anche a quello che provava davvero, anzi soprattutto a quello.

Si era innamorato, e questo non sarebbe cambiato, Conte o meno, Hanry era innamorato di Jake. Lo sapevano entrambi e lui glielo aveva detto più volte anche quella mattina. Doveva solo fidarsi di lui. Ma come? Se Jake gli aveva mentito su tutta la sua vita, come poteva credergli quando gli diceva quelle cose? Come? Si stringeva ancora di più le braccia intorno al busto, voleva crollare, lasciarsi spezzare in mille pezzi dal dolore magari contro un albero, solo, stanco, disperato con la schiena contro la corteccia dura dove avrebbe consumato dolore e disperazione, in quell'angolo di bosco in cui nessuno forse sarebbe mai andato a cercarlo. Forse nessuno, forse.

Invece no, avrebbe camminato ancora, sarebbe andato fino in capo al mondo prima di tornare in quella casa che non riconosceva. Chi erano i suoi genitori se avevano sempre e comunque difeso suo fratello anche nell'errore? Che persone meschine dovevano essere? Chi era davvero suo fratello, perché aveva fatto forse del male a delle persone solo per soldi, non ne aveva già abbastanza? Perché per arricchirsi doveva distruggere la vita di altri? Lui si era sempre rifiutato di prendere ciò che non era suo e questo Jake lo sapeva, forse era proprio per quello che si era lasciato andare, forse era per quello che si era permesso di amare? Perché sua madre non parlava? Perché non diceva nulla, non prendeva le difese di nessuno, non si esprimeva? Era davvero così meschina come credeva o era solo profondamente sola?

Voleva la verità, la pura e semplice verità, Jake voleva dirgliela la sua verità ma era lui stesso che non si sentiva pronto ad affrontarla. Perché quel seppur effimero equilibrio che aveva avuto con il valletto, si era sgretolato e non voleva però che si disintegrasse del tutto. Quindi non voleva ascoltare, non voleva sentire, scappava, scappava ancora e sarebbe voluto non tornare mai. Ma poi ancora una volta sentiva le sue labbra, sentiva il suo odore, le sue mani su di lui, i suoi sospiri, le sensazioni mai provate prima, sentiva calore, sentiva tenerezza, protezione, gioia infinita, amore. Con lui si sentiva a casa anche senza esserci davvero.

Si fermò di colpo, prese un profondo respiro e alzando la testa con gli occhi chiusi, cercò di far rallentare il battito del cuore impazzito. Sciolse il suo corpo dalla gabbia delle braccia intrecciate e allargò il petto stendendole. Respirò ancora, pensando a lui. Voleva certezze, le pretendeva, le avrebbe avute. Respirò ancora per qualche istante. Questa volta non avrebbe fatto quello che tutti gli dicevano di fare, questa volta non avrebbe ceduto alle minacce di Edmund, no, questa volta Hanry voleva sapere, capire e decidere da solo. Si guardò intorno, la pace regnava nel bosco e i raggi di sole filtravano dalla fitta vegetazione. I pantaloni si erano bagnati all'orlo e gli scarponcini adesso erano diventati scuri per il contatto con la rugiada fresca.

Istintivamente si portò il dito con l'anello d'oro con l'H alle labbra, quasi a baciarlo appena, come se pensasse gli avrebbe indotto un po' di coraggio. Se lo sfilò e rilesse l'incisione al suo interno.

Qualcuno lo voleva sempre nel suo cuore, qualcuno che credeva in lui, qualcuno che lo amava, e anche se ora non riconosceva più sua madre, anzi non l'aveva mai riconosciuta davvero sempre chiusa in se stessa, sempre devota solo a suo fratello, lui si fece coraggio e tornò indietro per provare a contare qualcosa anche per qualcun altro.



1 Febbraio 1891

Non dovrei scrivere questo diario, troppo rischioso, ma il dottore dice che potrebbe farmi bene parlare con qualcuno così confido i miei pensieri alla carta, qui saranno al sicuro.

Oggi è il tuo compleanno e sembra proprio il giorno in cui sei nato, la pioggia cade copiosa e non accenna a fermarsi, come quel giorno. Hai avuto delle notti agitate ultimamente, forse gli incubi non abbandonano neanche te, sei così piccolo eppure già così acuto, magari riconosci la tristezza in chi ti sta intorno e la senti, invece vorresti solo essere felice. Vorrei farti tanti regali. Vorrei poterti portare fuori a vedere i cavalli oppure alla fiera d'Inverno in paese e comprarti quella trottola colorata che ho visto in uno dei chioschi l'altro giorno. Vorrei fare tante cose con te ma non posso. Così rimango qui, incollata solo ai sogni e spero che un giorno ti vedrò sorridere felice e spensierato come meriti di crescere.

Sii forte bambino mio, perché la vita ti riserverà sempre sorprese amare. Ma non temere l'amore c'è, l'amore c'è davvero e io questo posso giurartelo anche se non è facile da trovare e non è per tutti purtroppo. L'amore è solo di chi lo accetta e lo accoglie, ma c'è.

Cresci bene, sii sempre te stesso.

Con immenso Amore

D.

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