Capitolo 22
L'odio non cessa con l'odio, in nessun tempo; l'odio cessa con l'amore: questa è la legge eterna
Buddha
Jaipur, 8 Agosto 1903
Caro Jake, mia छोटा बंदर
non ti dirò che mi manchi perché non è giusto che tu porti anche il peso della mia mancanza, hai già la tua, so che è così. Qui i giorni sembrano scorrere più lenti senza la tua risata a rischiarare il mattino. L'alba di Jaipur che di solito fa diventare rosa anche il Palazzo Dell'Acqua, stamattina era annebbiata anche se luminosa, e mi è sembrato per un attimo di sentirti ridere come il primo giorno che ti ho incontrato, così chiaramente che addirittura mi sono voltata a cercarti tra la folla del mercato, ma non c'eri. Come vorrei vederti mentre cavalchi nelle Scuderie Reali, come mi piacerebbe prendere il tè insieme a te e leggerti un libro, come facevamo quando eri piccolo. Ma Kiran mi ha detto che il tè di Londra non ti piace, che non lo bevi mai, forse ti manca il nostro.
La settimana scorsa abbiamo festeggiato Holida Dahan, c'è stata la Festa degli Elefanti, è stato bellissimo come ogni anno, il Maharaja era vestito di ocra e ha percorso tutta la città su Bhanu, Maji è andato fino a palazzo per portarlo, è stato scelto come l'elefante più bello di tutta Jaipur, vedessi come ne era orgoglioso. Siamo andati tutti a festeggiare e Bhanu è stato bravissimo, lo avevano dipinto di rosso e oro, aveva dei bracciali spessi alle zampe che tintinnavano e mille fiori colorati sulla testa e tra le zanne. Abbiamo ballato e camminato fino alla collina fino a sera, i musici con il sitar ci hanno accompagnato tutto il tempo, poi abbiamo liberato le lanterne. Sembravano tante stelle in cielo, hanno oscurato le costellazioni, erano bellissime, fiammelle calde che rischiaravano la sera. Mi dispiace molto che tu l'abbia persa. C'era un profumo di sandalo che ti penetrava le narici Jake, così forte come quelle delle incensiere nella grande sala, so che te lo ricordi ancora il profumo del sandalo vero? Oppure tu hai sempre preferito quello del cherry piccante? Lo so, ma queste cose non si dimenticano, l'odore di casa tua non si dimentica. L'henne che mi sono fatta per l'occasione ancora non se n'è andato, sai spero tanto che non vada via fintanto che tu non ritorni, così ancora una volta potrai dirmi se le linee sono giuste, e se torni prima che sia andato via allora vuol dire che presto ti rivedrò, perché è già sbiadito.
Stringi forte il mālā J, se lo stringi e pensi a casa, io sentirò che lo fai e mi sembrerà di poterti vedere qui vicino a me.
Sto leggendo Guerra e Pace, come mi hai consigliato. E' difficile per me ma tuo fratello mi sta aiutando. Nella prossima lettera ti dirò chi è il personaggio che mi piace di più.
Tuo padre parla sempre di te, non lo ammetterebbe mai ma è così fiero di voi, dei nostri splendidi figli, e lo sono anche io. Jake tu hai un'energia speciale, le persone fortunate che incontrano il tuo cammino lo capiscono subito, per quello molto spesso ti feriscono. Loro colpiscono per primi con la spada per non doversi difendere dopo, se mai le cose non andassero come vogliono. Sorridi figlio mio, tu sorridi sempre e non perdere mai la tua meravigliosa essenza.
Torna presto, ti aspettiamo
Con amore, la tua Ravi
***
Jake stringeva quella lettera tra le dita come fosse oro. Non la leggeva da tanto tempo, ma ne aveva bisogno. Era ingiallita, i margini erano ormai smussati e la carta era così liscia che sembrava diventata quasi trasparente tante erano state le volte che l'aveva tenuta in mano negli ultimi anni. Mai come in quel momento gli era servita. La calligrafia di Kiran era sicura, sapeva che la lettera l'aveva scritta suo fratello, ma le parole erano di Ravi, di questo ne era certo. L'amore di quelle parole arrivava al suo cuore anche se ormai l'inchiostro era meno visibile. Nella sua stanza ormai non riusciva più a dormire, la pressione era alta, troppe cose stavano succedendo e ogni piano sembrava andare a rotoli. Com'era stata bella e semplice la sua vita prima di Edmund Stafford, com'era stata piena e felice, ricca e dolce. Se chiudeva gli occhi riviveva ancora tanto della sua vita in Rajasthan, e avere lì suo fratello lo faceva per forza tornare a quegli anni. Come avrebbe voluto sentire ancora il calore soffocante del sole di mezzogiorno sulla sua pelle, la sabbia fine del cortile sotto ai piedi sempre calzi, i suoni lontani del giardino di palme che attiravano tante specie diverse di uccelli cinguettanti, l'odore forte delle spezie che ricopriva ogni cosa. Se si concentrava tanto poteva sentire sotto le sue dita, la forma a stella delle fessure in marmo bianco delle finestre della stanza dei cuscini, ne delimitava sempre il contorno con la punta delle dita quando curioso guardava la strada affollata sotto di sé. Aveva imparato a memoria ogni abitudine di quella città, lui era parte di Jaipur, come Jaipur lo era di lui. Ma sapeva che quelli erano effimeri sogni ad occhi aperti. La sua realtà era ben diversa ora, era molto cambiata, completamente stravolta e doveva conviverci. Quei due mesi con Hanry gli avevano quasi fatto dimenticare quanto vuoto sentisse dentro di sé nel pensare all'India. Lui riusciva a colmargli le mancanze. Nessuno mai ci era riuscito negli ultimi anni, ma lui sì. Nessun altro uomo, nessuna fugace avventura, nessun sentimento che poteva aver anche solo provato ad esternare per qualcuno, nessuna circostanza. Ma lui sì, Hanry ci era riuscito, contro ogni sua volontà, e questo Jake non poteva certo ignorarlo. Perché lo sapeva che una parte di lui in fondo apparteneva all'Inghilterra, a quelle abitudini a quelle origini, quindi qualcosa di lui lì c'era e ci sarebbe sempre stata, per quello si era perdonato con facilità l'essersi concesso il lusso di provare emozioni proprio con un nobile Inglese. Ma non aveva fatto i conti sul tipo di nobile Inglese. Così adesso si ritrovava a dover tenere a bada nervosismo e rabbia, e doveva concentrarsi sul sistemare le cose. Mise via le lettere che aveva tirato fuori dal suo borsone, si tolse il mālā riponendolo nella sua scatolina di legno, si rinfrescò il viso. Una lunga giornata lo attendeva, una lunga giornata nuovamente senza di lui, se lo sentiva. Ma volle fare le cose per bene. Si sbarbò come avrebbe dovuto fare da qualche giorno, e si preparò come se dovesse andare a svegliare il giovane Conte, come aveva fatto nelle ultime settimane. La livrea era immacolata, la postura perfetta, si guardò un'ultima volta nel piccolo specchio sul comò e anche se spaventato da quelle occhiaie che ormai parevano accompagnarlo giorno dopo giorno, iniziò il servizio come ogni mattina, anche se era ancora forse troppo presto.
Ma non si aspettava quello che poco dopo accadde.
Passando davanti alle scale che portavano al piano superiore, per andare a farsi una tazza di caffè in cucina, sentì un richiamo come un bisbiglio provenire da sopra.
«Pssh..Jake.»
Una flebile voce lo chiamò.
«Pssh, Jake vieni qui.»
Connor lo guardava dall'alto della scala, già vestito da valletto, impeccabile anche lui con i capelli chiari perfettamente pettinati e il viso fresco anche a quell'ora del mattino.
«Che ci fai lì?»
«Vieni, dobbiamo andare.»
Jake non chiese altro e guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno fosse nei paraggi, salì le scale a due a due per raggiungere il biondo.
«Andare dove scusa?»
«Sta zitto e seguimi, fai silenzio le domande dopo.»
Connor si voltò verso di lui con un dito davanti alla bocca, rafforzativo delle sue parole. Jake non sapeva perché, ma si fidò di Connor e lo seguì.
La casa dormiva ancora, era prestissimo e dalle finestre arrivava solo la poca luce quasi azzurrina che contraddistingueva l'alba. Attraversarono l'ampia entrata della casa adorna di quadri e mobili scuri. Un prezioso tappeto persiano era posto all'ingresso della tenuta e nessuna luce era accesa, donando ai soffitti alti e all'ampia sala dove le grandi scale salivano ai piani superiori, un'aria austera e quasi lugubre, ma comunque molto regale.
Jake non capiva dove l'Irlandese lo stesse portando e soprattutto perché stesse passando proprio dalle sale della casa per andare chissà dove, invece che dall'esterno, ma aveva capito di dover fare silenzio, quindi non chiese. Passarono davanti alla biblioteca, al giardino d'Inverno, poi svoltarono a destra verso la sala da tè che guardava sull'esterno, dove in fondo al giardino dalla grande porta finestra, si poteva vedere la fontana e poi le scale della struttura in pietra che conosceva fin troppo bene, dove forse per la prima volta i battiti del suo cuore erano cambiati vedendo Hanry.
Ma non sapeva come evidentemente invece Connor, che da quel lato della casa non c'erano finestre ai piani superiori che permettessero di vedere quell'angolo di giardino. Si vedeva solo dalla sala da tè. Era un angolo esterno della Tenuta completamente nascosto, come un angolo cieco.
«Non chiedermi spiegazioni ora Jake perché non saprei dartele, ma io ho solo fatto quello che mi hanno chiesto, ho capito che siete invischiati in qualcosa più grande di voi e non oso chiedere, solo una raccomandazione, non fate mai il mio nome.» sussurrò pianissimo il biondo.
Jake era perplesso, una grande ruga di incertezza gli si palesò sulla fronte, ma che diavolo stava dicendo?
Connor tirò su il chiavistello che bloccava la grande porta a vetri della sala e la aprì senza fare rumore.
«Dopo quando avete finito tu passa dall'esterno, costeggia la villa nessuno ti vedrà.»
«Ma che diav...»
«Non chiedere Jake, non so risponderti.»
Connor lo spinse fuori dalla porta finestra e poi richiuse subito il vetro alle sue spalle, e mentre l'altro lo guardava ora dal vetro pulito e immacolato della sala, tirò su le spalle ma gli fece un occhiolino. Quella era assolutamente la situazione più losca e strana a cui avesse mai preso parte.
«Sono qui.»
Una voce che non poteva scambiare con nessun altra arrivò alle sue orecchie.
«Kiran?»
Jake si voltò e suo fratello, ancora con gli occhi assonnati e in maniche di camicia, lo aspettava appoggiato al muro nel punto in cui gli aveva detto Connor di stare, il punto cieco.
«Dice che qui è sicuro.»
«Tu ti fidi?»
«Se ti fidi tu...»
«Cosa è successo?» chiese già abbastanza interdetto da tutta quella situazione. L'aria era fin troppo fresca per lui e si chiese come suo fratello riuscisse a stare in maniche di camicia.
«L'avvocato sta per arrivare, il tuo collega sta andando a chiamare anche lui.»
«Cosa? No, Kiran ma se completamente impazzito?»
«Dobbiamo dirglielo.»
«Dobbiamo dirglielo?»
«Dobbiamo dirglielo perché è l'unico modo.»
«Ma chi lo conosce, io...»
«Io lo conosco.»
«Tu non lo conosci Kiran, tu ne sei innamorato è diverso.»
Kiran sorrise ma scosse la testa.
«Lo conosco e so che non mi tradirà.»
«Come lo sai?»
«Come lo sai tu del tuo giovane Conte.»
Jake ammutolì. Suo fratello stava davanti a lui, senza safa, senza giacca, infreddolito dal clima mattutino e gli stava dicendo che ora, la verità doveva venire fuori con uno sconosciuto, ora, dopo tanti anni, ora in quel preciso istante e momento. O era completamente impazzito, o quella era la cosa migliore da fare. Sperò nella seconda, ma sospirò. Lui era suo fratello, parte della sua anima, si fidava completamente e ciecamente di lui.
«Dovevi solo prendere informazioni legali Kiran, nient'altro.»
«E l'ho fatto J, ma è stato aggredito.»
«Cosa? Chi?»
«Logan.»
«Da chi?»
«Dal valletto ex militare Signor Brody.»
«Lo scagnozzo di Edmund?»
«Credo che lui ora sappia Jake, se non ci difendiamo o non ci guardiamo le spalle, quello farà con noi quello che noi volevamo fare con lui ma che tu mi hai impedito di fare.»
«Kiran io...»
«Lo ha minacciato, e sa, ti dico che quello sa!»
Jake guardando ormai negli occhi suo fratello, capì che sì, poteva essere così, ma come? Era stato attento, aveva cercato di essere sempre impeccabile, cosa l'aveva tradito?
Forse Hanry? Forse aveva riferito al fratello che li aveva sentiti parlare in hindi? No, non poteva crederci. Non poteva essere, non lo avrebbe mai tradito così. Mai.
«Ti stai chiedendo se ti ha tradito?»
«No, io non voglio crederci...» Jake guardava un punto indefinito oltre le spalle del moro, perso nei suoi pensieri. Pareva sconvolto, ma allo stesso tempo abbastanza lucido da ragionare.
«Jake ti sei fidato della persona sbagliata.»
«Lui odia suo fratello.»
«Ma ama la sua vita di privilegi. Svegliati Jake!»
«Signor Patel?»
La voce di Logan arrivò chiara anche se flebile. Parlare piano era stato un avvertimento che Connor aveva dato a tutti e tre evidentemente. Così adesso anche l'avvocato Bennet ancora con la sola camicia addosso e i pantaloni con le bretelle appena agganciate che scendevano sui fianchi, guardava i due un po' stupito da tutto quello.
«Signor Scott? Che ci fa lei qui?»
«Logan, devo spiegarti una cosa.» intervenne Kiran deciso senza tanti preamboli. Il suo accento dolce e la sua cadenza lieve anche in quel momento così concitato, arrivarono alle orecchie dell'altro che rimase zitto. Gli sembrava già abbastanza strana tutta quella situazione anche solo per iniziare a chiedere. Il moro gli si avvicinò e Jake si inumidì le labbra per poi scuotere piano la testa, avvicinandosi però a sua volta anche lui, sfregandosi le mani l'una con l'altra in un gesto che faceva spesso, ma che in quel momento gli riscaldò anche le dita fredde. Ora più che mai dovevano fare silenzio. La nebbia ricopriva ancora il grande giardino, la rugiada sull'erba era così fitta da riflettere la tenue luce del sole che stava per sorgere, così bella che intorno a loro pareva esserci un tappeto argentato fatto di piccoli cristalli.
«Voglio fidarmi di te Logan.»
L'avvocato guardava fisso Kiran ma con un grande punto interrogativo stampato in volto. Non capiva perché era stato svegliato a quell'ora del mattino da un valletto, ne perché si trovava lì con il suo amante e il valletto del suo amico Hanry, quindi la situazione era alquanto strana in effetti.
«Sai che puoi farlo.» Gli rispose però convinto.
Kiran gli sorrise e lo guardò da sotto le lunghe ciglia fitte e nere.
«Quello che mi hai detto ieri sera, quello che mi hai raccontato, è colpa nostra forse.»
«Vostra?»
Logan sembrava sempre più perplesso in effetti, Jake li osservava entrambi. Gli piaceva l'avvocato Bennet e vederlo con Kiran gli bastò per capire più di quello che sapeva sul loro rapporto. Quando poi vide suo fratello afferrare la mano dell'avvocato che però si ritrasse subito come scottato, capì anche che la realtà con cui dovevano fare i conti era più dura che mai, e che non sempre si ricordava quanto lo fosse.
«Kiran che fai?»
«Logan fidati di me, stai calmo.»
Logan sentendosi esposto in quel modo con Jake che li osservava aveva ritirato subito la mano che l'altro voleva stringergli, pensando ancora e come sempre di doversi nascondere agli occhi di tutti per la sua sessualità. Anche se Logan stesso aveva dei sospetti sul rapporto che legava il castano ad Hanry l'abitudine lo fece agire.
«Non si preoccupi avvocato Bennet, i suoi gusti non sono molto diversi dai miei.» Jake fece schioccare la lingua con fare quasi arrogante e poi portò gli occhi al cielo.
Kiran ci riprovò. Logan questa volta non si ritrasse e nel tocco sembrò che i suoi nervi si rilassassero solo un po'. La mano calda e olivastra del suo amante, gli provocò un brivido e un sospiro. Tenere la mano di un uomo davanti ad un altro uomo era una delle cose più assurde che si fosse mai trovato a fare in vita sua. Era un gesto semplice, ma poiché non era una stretta di mano, ma una calda carezza, era strano. Ormai c'era invischiato fino al collo, ormai voleva sapere.
«Logan, Jake è mio fratello.»
Spalancò gli occhi, incredulo.
«Che...che cosa scusa?»
Jake sorrise, furbo, alzando un sopracciglio, mentre Logan lo guardava.
«Già. So che è strano da accettare, ma Jake è davvero mio fratello.»
Ci fu un attimo di incredulo silenzio che quasi sembrò assordante.
«Voi...come...com'è, non è...»
«E' una storia lunga e vogliamo provare a raccontartela ma ci serve la tua parola.»
«Che diavolo sta succedendo Kiran?»
Logan era sempre più confuso, voleva provare a non esserlo ma lo era immancabilmente, come biasimarlo?
«Logan noi abbiamo un cognome che forse conosci, Thompson.»
«Thompson?» Logan stava ancora fermo in piedi con Kiran davanti a se che gli teneva una mano, come si fa con i bambini quando hanno paura di qualcosa per tranquillizzarli e Jake invece, senza esitare un solo istante, aveva sganciato la bomba.
«Jake!» intervenne brusco il moro, ammonendolo, sempre a bassa voce.
«Che c'è? Sembrava che ci avresti messo un'eternità.»
«आप वास्तव में एक उदासीन हैं » *sei davvero un insolente
«बस उसे बताओ» *diglielo e basta
«मैं इसे करने की कोशिश कर रहा था, क्या आप मुझे एक मिनट दे सकते हैं ?» *stavo cercando di farlo, mi dai un minuto?
«जितनी जल्दी आप इसे बेहतर करते हैं, मुझे वापस आना होगा.»*prima lo fai meglio è, devo tornare.
Logan era completamente scioccato. Il suo sguardo andava dall'uno all'altro così veloce che non stava capendo assolutamente nulla di tutto quello che stava accadendo, assolutamente nulla. Sapeva che Kiran parlava hindi, ma Jake?
«Scusate?» I due si zittirono, richiamati piano dall'avvocato e la smisero di rimbecchettarsi come due vecchie zitelle inacidite. Sospirarono e tornarono concentrati.
«Vai su, diglielo.» disse poi Jake, con le braccia aperte, finendo di gesticolare. Kiran sospirò e scosse il capo, suo fratello era davvero incorreggibile quando ci si metteva, meno male che lui di pazienza ne aveva tanta.
«Logan, lui è Jake Thompson, quel Thompson. Dei Thompson di Castle Howard nello Yorkshire.»
«Molto piacere.» azzardò Jake, fulminato subito dalla sguardo del fratello per un'altra interruzione, così alzò le mani e si zittì nuovamente.
«Kiran lui è il valletto di Hanry, a quanto pare non so perché tuo fratello, ma non si chiama Patel.» Logan era ancora più confuso.
«No sono Jake Thompson, credimi.» di nuovo intervenne.
«Vuoi stare zitto un secondo?»
«अप्रिय » *antipatico
Il moro esausto sospirò rumorosamente, suo fratello era incorreggibile in ogni caso.
«Sono anche io un Thompson Logan, Kiran Thompson, Patel era il cognome di mia madre da nubile. Sono diventato Thompson quando ufficialmente il Conte di Howard Richard Thompson l'ha sposata a Jaipur.»
Quelle parole fecero male ad entrambi i fratelli, che si fecero subito seri e i loro botta e risposta quasi comici, finirono in un istante.
Logan era incredulo, la bocca appena aperta, lo sguardo che andava ancora dall'uno all'altro, sembrava in apnea, poi finalmente rilasciò il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento e respirò di nuovo.
«Quindi i Thompson di Jaipur? Ma...ma sono morti, l'intera famiglia, in un incendio.»
«Non è del tutto vero.» rispose serio Kiran.
«Io e Jake siamo fuggiti dal Rajastan, abbiamo con noi le lettere di nostro padre e dei documenti che attestano la nostra identità, ma prima di riprenderci quello che era nostro, dovevamo fare una cosa.»
«Quindi voi due siete fratelli? I fratelli Kiran e Jake Thompson di Jaipur, gli eredi della Compagnia che Edmund vuole amministrare e di Castle Howard?»
«Esattamente.»
«Ma non è possibile.»
«Possiamo provarlo, te lo giuro.»
«Kiran, ma...perché mentire? Perché tutte queste bugie e perché tu sei un valletto adesso?» si voltò sgomento verso Jake.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Jake non resisté oltre.
«Vogliamo vendetta.»
***
Erano le nove del mattino e Hanry ancora non trovava il coraggio di alzarsi dal letto per affrontare un'altra magnifica colazione con la sua dolce e splendida famiglia. I programmi per quella giornata erano, colazione, passeggiata con Elizabeth prima della sua ripartenza per Melton Mowbray, si sarebbero rivisti a Londra da lì a una settimana per una cena formale con la famiglia al completo di lei, e poi aveva solo ed esclusivamente intenzione di chiudersi nelle scuderie per il resto della giornata. Quello era il suo programma giornaliero che doveva cercare di mantenere ad ogni costo. Ma avrebbe anche tanto voluto parlare con Jake. Perché gli mancava troppo e sì voleva dargli la possibilità di spiegare. Si era deciso finalmente. Era abbastanza inutile continuare imperterrito a farsi mille domande quando poteva benissimo chiedere risposte, sincere e dirette.
Non voleva vedere nessuno però, neanche Connor, così non suonò mai la campanella quella mattina. Il sole era già alto, l'aria sembrava tipica del mese di Giugno. Si sentiva come svuotato, stanco, nervoso, il cuore gli batteva sempre forte come se galoppasse all'impazzata appena si svegliava e si ricordava di non poter accarezzare Jake. Era moltoafflitto da tutta quella situazione, e voleva reagire, ma doveva farlo senza destare neanche un minimo sospetto in suo fratello. Ricordando la minaccia di Edmund infatti Hanry si passò le mani tra i ricci scuri e sospirando forte, scrollò le spalle e si fece coraggio per alzarsi. Si rinfrescò il viso, cercò di sistemare la sua chioma folta e scura di ricci ribelli, si vestì con un completo in tweed color tortora e una camicia azzurra abbinata, che tanto odiava Milady ma che sarebbe stata adatta alla passeggiata. Indossò i suoi scarponcini testa di moro, mise il suo anello d'oro con l'H incisa, unica cosa che pareva dargli sicurezza in quei giorni senza ben conoscerne il motivo, e si decise a scendere per la colazione.
Le spalle nella postura si erano appena incurvate in avanti rivelando una preoccupazione che forse neanche lui stesso credeva di dare a vedere. Ma Jake sì, la riconosceva, e guardandolo di nascosto da dietro la porta della biblioteca mentre lo spiava dirigersi in sala da pranzo, aveva non sapeva come contenuto l'irrefrenabile voglia di trascinarlo lì dentro, baciarlo fino a non avere più fiato in corpo e tenerlo stretto a sé per lunghi istanti che gli mancavano terribilmente. Ma doveva resistere, doveva resistere ancora un po'.
La prima cosa che Hanry notò appena entrato nella sala grande e luminosa, fu che una volta salutato il Signor Wood che gli aveva diligentemente allungato il Daily Post per le ultime notizie del giorno, Milord lo fece uscire subito cortesemente, Elizabeth non c'era.
«La Signorina Wilkinson non...»
«La Signorina Wilkinson arriverà a minuti, prima c'è qualcosa che devi sapere solo tu Hanry.»
Intervenne solenne il Conte Stafford mentre preso un sorso del suo tè mattutino, si appoggiò allo schienale della sedia comoda che lo ospitava a capo tavola.
Edmund non lo aveva naturalmente neanche degnato di uno sguardo, anzi stava zitto e impassibile al suo posto, all'altro lato del tavolo davanti a suo padre, con lo sguardo fisso all'esterno e un ghigno che sembrava compiaciuto sulla faccia. Milady davanti a Hanry che dava le spalle alle immense finestre, non parlò, ma impeccabile in un abito cipria, con i capelli perfettamente acconciati, sorseggiava il suo tè al limone, mentre leggeva una qualche corrispondenza.
Hanry ripiegò il quotidiano che stava per mettersi a leggere, sorpreso, e guardò i componenti della sua famiglia che parevano in attesa di qualcosa.
«Dimmi padre.» il cuore del riccio era già nella sua gola che spingeva, c'era qualcosa di strano.
Il Conte sospirò, poi però Hanry sentì la risatina di suo fratello che tanto odiava arrivargli alle orecchie e capì che c'era per davvero qualcosa che non andava in quel mattino assolato. Un brivido gelido gli passò per la nuca giù fino alla schiena e si sistemò meglio sulla sedia per ascoltare suo padre.
«Hanry.» il Conte fece una pausa più lunga del previsto, come a lasciare un attimo di sospensione assoluta tra una parola e l'altra, poi riprese.
«Abbiamo ragione di credere che dentro questa casa ci sia un pericolo.»
Hanry esitò un attimo, aggrottò appena la fronte, spalancò gli occhi perplesso.
«Che...che genere di pericolo?»
«Un pericolo per noi e per i progetti di Edmund.»
Hanry si voltò verso il fratello che ora lo guardava fisso, mentre si passava la lingua sui denti a labbra strette, in un inequivocabile gesto di stizza.
«Spiegati meglio padre.»
«Abbiamo ragione di credere che il Signor Scott, non sia davvero chi dice di essere.»
«Il Signor Scott? Il mio valletto?»
Ad Hanry il cuore iniziò a galoppare all'impazzata, già sentire quel nome gli procurava una fitta forte al cuore, in più sentirlo accusare di una cosa come quella. Con tutti i dubbi che aveva avuto. Ma che stava succedendo? Perché gli sembrava che tutti quelli di cui s'innamorava poi dovessero sparire? Il dolore per la perdita di Ilya si rifece vivo per un secondo, il petto gli stava iniziando a dolere molto forte e lui si stava agitando parecchio. Tanto di più che suo fratello adesso aveva preso un piccolo coltello da frutta e lo faceva girare in un moto ossessivo con la punta infilzata nella tovaglia bianca immacolata, lasciandone il segno sulla stoffa damascata. Gli stava facendo salire un nervosismo malsano addosso, più di quello che aveva già accumulato di suo.
«Lui Hanry, proprio lui. Crediamo che sia stato scaltro ad introdursi in casa nostra, non biasimo il Signor Wood per questo certo.»
«Ma il Signor Scott è impeccabile professionalmente io...»
«Mmpf, professionalmente...» intervenne Edmund continuando a guardare fuori indifferente e a rigirare il coltello da frutta, ma non mancando di sbeffeggiare come sempre il fratello. Hanry si voltò a guardarlo accigliato, ma quello neanche lo vide.
«Sì professionalmente. Sa fare il suo lavoro, non ho di che lamentarmi.» precisò Hanry.
«Su questo non ho dubbi.» di nuovo Edmund. Di nuovo a sbeffeggiarlo.
«Edmund, per favore.» lo riprese piano e pacatamente il padre per poi continuare «La sua identità non è quella che afferma, dobbiamo intervenire.»
«Volete intervenire perché non è chi dice di essere? Ma...ma, e come? Chi credete che sia, voglio dire...»
«Come non ti riguarda.» intervenne ancora Edmund stizzito, mentre posato il coltello si alzò in piedi e si agganciò la giacca.
«Se è davvero chi crediamo che sia Hanry sarà un vero disastro per i nostri progetti, lo capisci?» aggiunse il Conte Stafford ancora serio, senza richiamare neanche Edmund che senza chiedere si era alzato, rivelando da solo un comportamento che diceva più di mille parole. Hanry sapeva che ormai suo fratello aveva in mano anche i suoi genitori, era innegabile.
«Ma chi credete che sia? Voglio dire, ai fini del suo mestiere non fa differenza di come...»
«Un Thompson.»
Affermò freddo e stizzito Edmund.
«Che cosa scusa?» Hanry incontrò lo sguardo del fratello, ma rimase immobile a combattere con un improvviso conato che minacciava di uscire direttamente dal suo esofago.
«Abbiamo la certezza che il tuo impeccabile valletto sia l'erede dei Thompson caro fratello.»
Hanry era sgomento, era impietrito, forse il suo cuore si era fermato non lo sapeva, ma era completamente scioccato da quelle parole, e il suo volto cinereo ne era la prova concreta. Non riusciva neanche a deglutire.
«Ma come lo sapete? Com'è possibile, lui...lui è solo un valletto, lui è...»
«Lui non è chi dice di essere, lui non è chi ti ha fatto credere di essere. Lui vuole ingannarci e chissà che altro.»
«No, lui...lui non lo farebbe, lui...»
Hanry era scosso, forse fin troppo scosso e le sue palpebre iniziarono a sbattere veloci, il suo respiro si fece corto, ma doveva calmarsi, non poteva farsi vedere in quel modo, non per il suo valletto Santo Cielo! Neanche gli sarebbe dovuto importare nulla di tutta quella faccenda. Ma che stava succedendo? Com'era possibile? Ma perché suo fratello aveva detto una cosa del genere? Non poteva essere vero, non poteva e basta.
«Padre cosa...»
«Edmund provvederà alla cosa.»
Hanry allora si girò verso il fratello che in piedi alla finestra gli dava le spalle e si voltò solo a regalargli un ghigno mostruoso. Sua madre non intervenne neanche per un secondo impassibile ad ogni cosa gli succedesse davanti. Hanry si sentì morire.
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