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Capitolo 18


L'amore non bada a caste né il sonno a un letto rotto. Io andai in cerca d'amore e mi persi.

Proverbio Indu'

Sabato

Quel fastidio che continuava a sentire sempre quando doveva rientrare ad Harlaxton Manor non lo abbandonava mai nei giorni precedenti alla sua visita. Era come un tarlo che gli scavava dentro e sentiva un leggero pizzicare alla base della nuca. Era principalmente dovuto al fatto che non potesse fare quello che voleva come sempre, in presenza del padre, quell'uomo debole e insignificante di cui bramava solo ed esclusivamente il titolo e il nome, non che il denaro e l'eredità. Edmund era così, non era grato neanche al Conte di Harlaxton, di avergli donato tanto compresa la possibilità di poter condurre una vita agiata ovunque andasse, perché sapeva che ancora per un po' non avrebbe potuto godere a pieno dei poteri che gli sarebbero spettati una volta morto il vecchio. Ma non poteva far sì che anche quello sparisse come già in passato aveva fatto con tanti suoi "fastidi" più o meno importanti. Mentre la vettura lo conduceva nel tratto che doveva fare dal suo lussuoso appartamento in South Kensington fino a King's Cross, ripassò in rassegna ogni falsità da dire e ogni azione da compiere. Essere dolce con sua madre, essere accondiscendente con il padre ed essere assolutamente indifferenze con quel sodomita viziato di suo fratello, come sempre, solo qualche frase ben assestata ed era sicuro che Hanry avrebbe ceduto, lo aveva in pugno. Aveva già troppe volte frenato il minore dal procurargli fastidi inutili e anche se lui non c'era mai, le lettere accorate della madre che non avrebbe voluto leggere in realtà, le leggeva e sapeva quanto fastidio potesse dare quell'effeminato ingrato che solo una cosa al mondo avrebbe dovuto fare, essergli devoto e gestire una proprietà che a tempo debito poi lui stesso avrebbe rivendicato. Invece no, neanche quello poteva fare, perché lui si rifiutava persino di prendere in carico l'immensa proprietà dei Thompson che lui stesso con grande sacrificio e sporcandosi addirittura le sue mani immacolate, aveva cercato di far diventare degli Stafford. Come osava? Doveva parlargli ad ogni costo, anche con le minacce doveva riuscire a convincerlo e a soggiogarlo così tanto che l'unica cosa che gli fosse rimasta sarebbe stata una moglie stupida e qualche cavallo da corsa. Mentre sul sedile posteriore in pelle guardava fuori indifferente alla vita londinese, pensava infatti proprio a come avrebbe fatto per apparire il figlio perfetto. Con il suo completo grigio fumo, i capelli ordinati e il portamento di chi sa di valere e non lo nasconderà mai, Edmund teneva sotto scacco tante persone, influenti o meno, e questa era una cosa di cui non poteva fare a meno, perché da bravo e violento narcisista qual era non poteva mai sbagliare, non poteva mai chiedere scusa o per favore, non avrebbe mai e poi mai lasciato che niente e nessuno prevalesse sul suo volere, mai, lui vinceva sempre e comunque e avrebbe vinto anche stavolta. Così, intanto che la mascella gli si contraeva ad ogni sospiro prolungato per mantenere una calma che sapeva di non avere, si dirigeva verso la stazione, indispettito dal caos che lo aspettava, dal rivedere facce che avrebbe voluto dimenticare e infastidito dal fatto che avrebbe anche dovuto dividere la carrozza passeggeri con qualcun altro. Perché più di ogni altra cosa Edmund Stafford era uno sfacciato bugiardo arrogante, e il suo ruolo di onnipotenza lo sapeva sfruttare alla grande, anche se dentro di sé sapeva di non tollerare la gran parte della gente che lo circondava.


***


Due giorni prima...

«Mi dispiace Signor Scott ma davvero non posso lasciarla andare.»

«Signora Davies mi ascolti, io devo andare a Londra perché ho un impegno davvero urgente da...»

«Le ripeto Signor Scott che mi dispiace immensamente ma...»

«Signora se solo...»

«No, Signor Scott, ne abbiamo già discusso e il Signorino vuole che ci sia anche lei...»

«Parlerò io con il Signorino Hanry, Signora Davies io...»

La governante si fermò di scatto interrompendo la sua marcia dalla lavanderia alle cucine, seguita da Jake che la pedinava da qualche minuto solo per avere conferma che il suo giorno libero non fosse spostato, lei si voltò con sguardo brusco.

«Signor Scott, le ho già detto che il Signorino vuole che lei sia presente, me lo ha fatto promettere e giurare, che in ogni modo le avrei impedito di andarsene proprio sabato, ed è quello che sto facendo.»

Jake la guardava sconsolato, rassegnato scuoteva la testa, immaginava che sarebbe successo.

«Non può mancare quando Milord arriverà e sarà accolto dal Conte da Milady e dal Signorino, non potrà mancare in alcun modo.»

«Ma io...» Jake era davvero in difficoltà, ma si sentiva anche stranamente bene, perché sapeva che Hanry lo voleva lì per sostegno, ma come poteva?

«Niente ma Jake, davvero. Mi dispiace tanto interferire con i suoi impegni ma non posso deludere il giovane Conte, mi dispiace.»

E posandogli una calda mano sulla spalla, guardandolo con oggi sinceri, si diresse voltandosi ancora verso le cucine. Il giovane sospirò forte e si rassegnò. Doveva parlare con Hanry ancora una volta, anche se sapeva che non poteva resistere alle sue richieste, ormai questo gli era più che chiaro.

Aveva programmato di non esserci per l'arrivo di Edmund così da non rischiare di essere riconosciuto, ma arrivare solo dopo qualche giorno per assistere alla cena di Gala per il fidanzamento ufficiale. In santa pace avrebbe potuto piangere tutte le sue lacrime in quell'assurdo momento di panico che sicuramente ci sarebbe stato dopo quello che tra loro era successo in Irlanda. Ma invece no, il destino sembrava avergli giocato un brutto scherzo e adesso si ritrovava prigioniero del suo stesso piano. Come poteva lasciare Hanry da solo quando Edmund sarebbe arrivato? Come poteva abbandonarlo a se stesso proprio quando sapeva che avrebbe tanto avuto più bisogno di lui?

Ma allo stesso tempo, come poteva farsi trovare lì da Edmund? Suo fratello non lo preoccupava o almeno non troppo, ma Edmund...

Aveva pensato di poter prendere almeno un paio di giorni liberi e poi mescolarsi al personale di servizio nei restanti giorni in cui Edmund sarebbe stato alla Tenuta, senza dare troppo nell'occhio, ma adesso era costretto a presenziare alla porta insieme a tutto il personale nel momento del suo arrivo, e sarebbe stato un incubo.

I giorni con Hanry, appena tornati da Belfast, erano stati forse i più belli mai avuti dopo tanti anni. Harlaxton Manor era stato loro testimone in ogni momento, avevano fatto l'amore in ogni angolo della tenuta, ancora nelle scuderie, nei giardini, vicino al lago, nella rimessa delle automobili, nella biblioteca, nella stanza di Jake, sul letto di Hanry, nel giardino d'inverno e anche al limite del bosco. Si baciavano e si sfioravano dietro ogni colonna, ogni muro, ogni porta chiusa che trovavano a loro disposizione, avevano consumato gemiti e sospiri in ogni angolo che avevano trovato vuoto per riempirlo di loro e dei loro sentimenti. Erano stati giorni spensierati, giorni che sapevano di follia, giorni che non avevano avuto il cuore di contare per paura che finissero subito, ma che avevano avuto il dannato coraggio di vivere per sentirseli addosso. Ma entrambi sapevano che non potevano durare, non più di un sospiro. Hanry doveva sposarsi, prendere in mano le redini di un regno che non voleva ma che gli spettava e che aveva il dovere di gestire obbligatoriamente. Jake doveva compiere quello per cui aveva atteso anni e che aveva promesso a Kiran per vendicare la sua famiglia che non c'era più. Avevano compiti diversi, ancora segreti in sospeso, e lo sapevano, ne erano consapevoli. Forse uno dei dolori più forti infatti era proprio quello, l'essere consapevoli che quella parentesi di gioia che stavano vivendo, non era altro che una parentesi appunto, che prima o poi si sarebbe chiusa. Nessuno dei due voleva mettersi di fronte ad un'evidenza tanto crudele, nessuno dei due voleva rovinare quegli idilliaci momenti che gli erano concessi con pensieri brutti, nessuno dei due voleva sporcare quelli che sarebbero stati magnifici ricordi di un periodo che non sarebbe tornato mai più. Così facevano finta che non dovesse esserci alcun cambiamento. Si amavano solo più forte, si sentivano più forte, facevano l'amore con più impeto e decisione, cercando di arrivare in fondo a loro stessi per lasciare sulle loro pelli e nelle loro anime un marchio a fuoco che non sarebbe mai scomparso, a differenza dei marchi che si lasciavano con le loro bocche. Solo così avrebbero potuto ricordarsi che quello che avevano vissuto in quei giorni non era un sogno anche se lo sembrava, ma era stato tutto vero.

Jake tornò al suo lavoro, doveva iniziare a prendere in mano la situazione, a farsi una ragione di tutto quello che stava succedendo e a trovarne una soluzione, una soluzione che però tardava sempre di più ad arrivare. Strofinava con tanto impeto gli stivali di Hanry che ad un certo momento pensò quasi di consumarli. Il panno stava lucidando la pelle nera che ad ogni passata diventava sempre più lucida, ogni movimento si portava via un pezzo di pasta scura con cui stava coprendo i piccoli graffi che c'erano sulla punta, quel panno avrebbe voluto che portasse via anche tutto quello che stava accadendo. Avrebbe voluto davvero che con una passata rapida e un po' di olio di gomito sarebbe riuscito a far andare via pensieri e preoccupazioni, ansie e indecisioni, per potersi godere una vita normale. Invece no, il karma stava agendo con lui certo, lo aveva fatto innamorare e ne era felice, ma di chi? A che scopo? Perché quella maledetta ansia non lo abbandonava mai, neanche un attimo per dargli tregua, per potergli lasciare la gola libera così che avrebbe potuto respirare davvero? Perché il suo cuore così pesante, quando vedeva Hanry gli saltava in gola, ma poi ricordandosi tutto quello che c'era da fare gli sprofondava di nuovo nel petto come un macigno e si sentiva solamente uno stronzo per come si stava comportando?

Era confuso, gli faceva male la testa, poi si voltò di scatto verso la porta quando la sentì chiudersi a chiave dall'interno, non si era neanche accorto che qualcuno l'avesse aperta. La figura dell'uomo di spalle che ancora teneva la maniglia era quella familiare a cui non si sarebbe però mai abituato, anche di spalle lo trovava bello come non mai, e anche in quel momento sapeva che non poteva resistergli.

«Non ho ancora finito con i suoi stivali Milord.»

«Non importa Signor Scott, non voglio cavalcare oggi.»

«Ma come, credevo che avesse richiesto proprio di farlo e che gli piacesse Milord.»

«Solo se sei tu a farlo con me.»

E mentre lo disse Hanry si voltò e Jake sollevò di nuovo lo sguardo dallo stivale che aveva in mano.

«Lo sai vero che se il Signor Wood ti trova qui avrà un mancamento e io sarò nei guai?»

«Da quanto non ti bacio esattamente?»

Hanry con il suo completo da equitazione con giacca nera e pantaloni aderentissimi bianchi, che tanto lo facevano impazzire, si avvicinò ancora al valletto che posato lo stivale sul lucido tavolo di mogano, non perse tempo e gli si avvicinò afferrandolo per la nuca e avvicinando le sue labbra per baciarlo con avidità. No, non ci riusciva a resistergli o ad essere arrabbiato con lui, l'amore glielo impediva, la passione lo accecava. Le braccia si mescolarono tra loro in un groviglio come sempre per tenersi la schiena a vicenda. Non era proprio possibile che gli resistesse, ci aveva provato, lo avrebbe giurato su chiunque che ci aveva provato davvero, ma non ci era riuscito e non ci riusciva ancora, forse non ci sarebbe riuscito mai.

«Forse due ore?»

Hanry sorridendo tornò a baciarlo ancora, per poi far collidere il fondoschiena del castano con il tavolo spingendolo appena indietro continuando comunque il suo assalto a quelle labbra.

«Com'è possibile? Mi sembra una vita.»

«Forse se non sono due saranno due e mezzo, sì.»

Continuavano a baciarsi ancora e come sempre succedeva, anche se i vestiti li tenevano a distanza, le loro erezioni si risvegliarono.

«In questa stanza non l'abbiamo mai fatto.»

«Scordatelo Hanry, non è proprio possibile.»

«Forse solo un assaggio?»

«Mi piacerebbe te lo assicuro ma no.»

«Andiamo J!»

«Hanry tu sarai la mia rovina, mi farai arrestare.»

«Mi vuoi troppo per resistermi.»

«E tu vuoi troppo me per non riuscire a starmi lontano neanche due ore.»

«Touchè!»

Sorrisero entrambi mostrandosi i denti, ma subito dopo ripresero a baciarsi avidamente, Hanry era tra le sue gambe, lo spingeva ancora al tavolo facendogli sentire la sua erezione sull'interno coscia, prepotente.

«Ora basta Milord o non saprò fermarmi.»

Jake lo sussurrò al suo orecchio, piano, mentre l'altro aveva già provato a baciarlo sul collo, ancora avido, ancora incosciente.

Ma sentirono dei movimenti fuori dalla porta e si staccarono con un sussulto rapido, veloci come non erano mai stati in vita loro. La porta si aprì e una sbigottita Signora Davies gli si parò davanti. Ci fu un attimo di silenzio assoluto, lo stupore della Davies di trovarseli lì in una stanza chiusa a chiave non se lo sarebbero mai tolto dalla testa. Ma la donna dopo attimi infiniti riuscì a chiedere.

«Mi...mi scusi Milord non...credevo non ci fosse nessuno...cosa ci fa qui? Posso aiutarla?.»

Hanry si portò la mano alla bocca con tranquillità in un gesto quasi spontaneo ma con il quale in realtà intendeva asciugarsi i baci di Jake da dosso, lo mascherò con un colpo di tosse alla donna. Si erano completamenti dimenticati che la governante con la sua chatelaine poteva aprire quasi tutte le porte anche quelle chiuse a chiave se erano destinate al servizio, ma non quelle private per fortuna.

«Oh Signora Davies, mi scusi lei, colpa mia. Stavo giusto chiedendo al Signor Scott se i miei stivali fossero pronti e per sbaglio devo aver chiuso la porta entrando, mi perdoni, vecchie abitudini.»

Hanry era impareggiabile, con quello charme che possedeva, con quella nonchalance con cui ostentava la sua sicurezza, tutti gli cadevano ai piedi e troppo distratti dal suo fascino spesso non potevano ribattere. Soprattutto se sorrideva e ai lati delle guance spuntavano quelle fossette così irresistibili. Un viso da angelo, con l'anima un po' più oscura in effetti, pensò Jake che con un gesto fulmineo si fece trovare con gli stivali ben lucidati in mano, pronto a porgerli al giovane Conte.

«Si figuri Milord, ma non siamo abituati a lavorare con le porte chiuse e questo certo...» la donna sembrava imbarazzata da quella intrusione che non si aspettava e Jake già sapeva che avrebbe dovuto giustificare quella faccenda, ma sperava che la Signora Davies non infierisse.

«Sì certo, capisco, ha ragione Signora Davies, ma sono abituato ad avere il Signor Scott sempre intorno, e lo stavo cercando per questi.»

Hanry cercò di fare il possibile per sviare la questione porta, e sperò di esserci riuscito.

«Certo, la comprendo, il Signor Scott sta svolgendo un lavoro...»

«Impeccabile sì, me ne rendo conto, ora se vuole scusarmi...»

La Signora Davies rimase zitta e sbigottita e naturalmente liberò il passaggio sulla porta per Hanry che con un ultimo sguardo a Jake e un «A più tardi Signor Scott.» si dileguò immediatamente.

«A più tardi Milord.»

Rispose Jake tranquillo per poi portarsi un pugno alla bocca per nascondere un colpo di tosse che forse in realtà nascondeva un sorriso. Se solo avesse deciso di fare quell'assaggio, forse la Signora Davies non avrebbe mantenuto quella calma e la cosa non sarebbe finita così bene, no, proprio no.


***


Sabato...

Kiran si era preparato a lungo in quei giorni. Agire tempestivamente e con cautela era una delle cose che più gli premevano ma non era sicuro di potercela fare. Aveva pensato tanto in quegli ultimi mesi e anche se sapeva nasconderlo bene, soprattutto a suo fratello, i dubbi erano arrivati.

Aveva trovato qualcuno con cui poteva condividere attimi di estrema felicità, aveva conosciuto una parte di Logan che non avrebbe mai immaginato e contro ogni sua volontà lo aveva fatto entrare nella sua quotidianità in punta di piedi ma lo aveva fatto. Sciocco e madornale errore. Lui si era sempre ripromesso di non avere legami. Avrebbe fatto quello che doveva e poi con suo fratello avrebbe ripreso in mano le redini di un regno ripristinato lontano da quelle longitudini, ma c'era stato un intoppo. Non era solo Logan certo, era il contesto, tutto il resto, se lo ripeteva in continuazione, ma era sicuro che in fondo in fondo, l'avvocato Bennet avesse giocato un ruolo cruciale nella sua attuale confusione mentale. Aveva preparato una borsa non troppo grande con qualche cambio, spiegato come sempre alla governante come comportarsi con Esh in quei giorni, aveva riposto ogni paura in fondo al suo cuore e aveva salutato Logan due notti prima, che di rimando sarebbe partito anche lui per lavoro e Kiran sapeva benissimo dove sarebbe andato, per poter poi prendere il treno per Grantham quella mattina. Non avrebbe condiviso la cabina con Edmund Stafford, come sempre lui e il suo valletto sarebbero stati da soli e lui avrebbe diviso la sua con chiunque altro in realtà, ma lo preferiva. Avere così tanto a che fare con Edmund nel suo lavoro lo aveva portato ad odiarlo sempre di più e la sua vicinanza lo nauseava a tal punto da non tollerare neanche il suo tono di voce. Sperava solo che su quel treno non ci fosse anche Logan, ma aveva detto che sarebbe partito la domenica quindi forse non lo avrebbe incontrato, per adesso, avrebbe pensato il giorno dopo all'imbarazzo. Un pensiero in meno.

Il suo completo blu con dettagli arancioni, e il suo safa dello stesso colore, gli conferivano un'aria così elegante e ammaliatrice che persino Edmund appena lo aveva visto arrivare a King's Cross lo aveva squadrato.

«Signor Patel, sempre puntuale vedo.»

«Milord, non mi piace farla attendere.»

Kiran sempre composto, bellissimo e con quell'accento appena accennato della sua terra, faceva uno strano effetto a tutti. Sempre posato, sempre incredibilmente professionale anche nei momenti informali se si trattava di avere a che fare con Edmund. Perché lui preferiva sempre mantenere una certa distanza da chiunque soprattutto da lui.

«Sarà sorpreso di vedere finalmente Harlaxton Manor.»

Kiran ne era certo, ma forse quello più sorpreso tra tutti gli invitati a quell'evento, sarebbe stato lui alla fine.

«Certamente Milord, non vedo l'ora.»

Così non si erano più rivolti la parola per tutto il viaggio e rimanendo d'accordo sul fatto che due vetture li avrebbero attesi fuori dalla stazione qualche ora dopo, a Grantham, perché ancora una volta Edmund non voleva dividere la sua con Kiran, ognuno aveva fatto il suo viaggio con i suoi pensieri.

Quelli di Kiran comprendevano una miriade di cose, così provò solo a trovare conforto nei suoi mantra silenziosi mentre il treno attraversava la fresca campagna inglese con i suoi prati verdissimi e i cottage pieni di fiori, una visione celeste che voleva comunque godersi.


***


Due giorni prima...

Hanry voleva che Jake ci fosse, ne avevano parlato tanto e sapeva che quel fine settimana forse avrebbe avuto il giorno libero, ma aveva chiesto al Signor Wood e la Signora Davies di impedire la sua partenza. Lo sapeva, stava giocando sporco, stava giocando a suo favore e solo per il suo interesse fregandosene tranquillamente della vita privata del suo valletto, ma sapeva di avere immensamente bisogno di lui lì ad Harlaxton Manor. Quella notte Jake si era confidato e aveva detto ad Hanry di voler andare a Londra per alcune commissioni che richiedevano la sua presenza, doveva anche prendersi un paio di giorni liberi da lavoro perché i ritmi a cui il Signor Wood lo stava costringendo, anche se quelli passati con Hanry erano estremamente piacevoli, lo stavano stancando non poco e lui voleva essere vigile per tutto, soprattutto per il tanto lavoro che ci sarebbe stato una volta arrivato Edmund. Il lavoro era duro, non lo immaginava ma lo comprendeva, e anche se i momenti con lui erano i più belli mai passati, immaginava che Jake volesse riposarsi dal resto. Ma come poteva? Come poteva lasciarlo andare via? Non poteva affrontare suo fratello da solo, lo sapeva, ne era assolutamente certo. E anche se la sua arroganza e la sua sfacciataggine avrebbero potuto essere compagne utili per quei giorni che sarebbero trascorsi, la presenza al suo fianco dell'uomo che ormai amava così tanto, lo confortava. Era egoista, crudele, come poteva infliggergli la pena ennesima di farsi vedere anche con Elizabeth? Ma era così confuso...

Jake lo aveva pregato di farlo andare, di lasciarlo solo respirare per poche ore, ma lui non voleva. Gli aveva visto il dolore negli occhi due notti prima quando alle parole «E già abbastanza difficile vederti e non poterti avere davvero, come posso anche pensare di dividerti con lei?» una lacrima solitaria era scappata all'enorme e sempre presente autocontrollo del castano e lui non aveva potuto fare altro che fermarla con un bacio, mentre nudi e abbracciati su quel letto a baldacchino che li aveva cullati per molte notti, avevano appena fatto l'amore riscoprendosi ancora una volta fragili e innamorati come mai avrebbero creduto possibile. Hanry aveva sfogato le sue lacrime con Eighteen la mattina successiva, lo stato di angoscia con il quale perennemente da quando Jake aveva iniziato a far parte della sua quotidianità, viveva, lo logorava. Erano lacrime amare, salate, erano scese a fiumi fino a nasconderglisi nel colletto della camicia inamidata che portava, mescolandosi al profumo dell'uomo che lo possedeva ogni notte e dal quale non avrebbe mai voluto separarsi. L'unica cosa a cui voleva pensare era al non essere solo, erano in due in quella cosa e in due avrebbero affrontato la difficile gestione di quei giorni che li attendevano. Poi avrebbero pensato al poi...poi...

Chissà cosa aveva pensato la Signora Davies pochi minuti prima, quando li aveva trovati dentro la stanza chiusi? Se lo stava chiedendo mentre si dirigeva anche quella mattina verso le scuderie. Si chiedeva anche se dall'esterno si vedesse il rapporto complicato che si era creato tra valletto e giovane Conte, anche se loro credevano di essere bravi a nasconderlo. Gli sarebbe piaciuto chiederlo a qualcuno, forse a Connor, aveva pensato solo a lui come persona papabile per una domanda simile, anche perché effettivamente forse lui era anche l'unico che realmente aveva capito. Ma non ci pensò ancora. Pensò solo a Jake. Riusciva a pensare solo a Jake. Non se lo toglieva un secondo dalla testa. Quella sensazione così splendida dell'essere ricambiato e capito, dopo tutti quegli anni, in quel suo mondo fatto di falsità e bugie, sapere di avere qualcuno che gli stava vicino nonostante tutto rendeva le sue giornate sempre più belle, tanto belle e spensierate che si era quasi scordato di Elizabeth e si era quasi scordato che tra qualche giorno avrebbe dovuto promettere proprio a lei, un qualcosa che non era neanche lontanamente in grado di potergli dare.

***

Sabato...

Scendendo a Grantham si rese improvvisamente conto di quanto in realtà non appartenesse affatto a quell'ambiente. Solo a Londra si sentiva davvero bene, solo nel suo lussuosissimo appartamento di Kensington, circondato da leccapiedi di prima categoria, vizi di ogni sorta e genere, comprese donne di discutibile gusto che spesso però venivano picchiate per il semplice gusto dell'eccitazione perversa che lo contraddistingueva, continuamente accontentato dal suo valletto che ormai era diventato la sua scorta personale. Si era ritagliato un angolo di mondo dove essere uno dei titolari della compagnia che gestiva quel tipo di affari all'estero era l'equivalente di avere mezza città in pugno. Poteva chiedere molto e di più, ed era certo che ogni medio borghese o schifoso plebeo che avrebbe mai incontrato sarebbero stati disposti a fare affari con lui. Non si voleva sposare, ma sapeva di doverlo fare quanto prima come aveva deciso suo padre. Sapeva bene anche che tanto, sarebbe sicuramente stato solo un piccolo fastidio da sopportare visto che sua moglie sarebbe stata continuamente sola a causa dei suoi innumerevoli viaggi. L'India lo disgustava ma ormai ci aveva fatto il callo e in più avere uno stuolo di quelle scimmie ammaestrate sotto di sé lo rendeva ancora più despota di quanto si potesse immaginare. Quando quell'Indiano furbo di Patel lo aveva avvicinato per poterlo aiutare nei suoi affari, sapeva che aveva avuto in qualche modo qualche contatto con i Thompson, ma non si ricordava dove lo aveva visto, un viso come quello difficilmente si scordava, forse lo aveva visto a qualche banchetto a Jaipur, ma non ci aveva dato peso, non conosceva il nome Patel e non gli importava gran che chi fosse. Anzi la cosa lo aveva solo reso più desideroso di poterlo avere dalla sua parte. Chiunque fosse stato accanto a quella famiglia conosceva gli affari che avevano e forse conquistare la fiducia del Maharaja sarebbe stato più facile. Quindi lo aveva fatto seguire e spiare, e dopo aver capito che Patel non lo stava tradendo in alcun modo lo aveva assoldato per i suoi affari come intermediario, chi meglio di uno sporco indiano poteva conoscere l'India e i suoi abitanti?

Così quando salì in automobile diretto verso la tenuta, era molto infastidito di dover trascorrere dei giorni vicino al padre e soprattutto al fratello. Se lo fece comunque andare bene convincendosi che solo in quel modo avrebbe potuto raggiungere i suoi obiettivi di controllo assoluto sulla sua famiglia e ben oltre quella. L'odore della campagna lo nauseava, il fetore dei cavalli lo disgustava, non c'era nulla che amasse di quella Tenuta e infatti avrebbe solo fatto la sua comparsa per poi andarsene, doveva solo convincere il suo dannatissimo fratello minore a non interferire con nessuno dei suoi piani e poi sarebbe andato tutto liscio.

Jake all'entrata era nervoso, continuava insistentemente ad aggiustarsi il colletto, ma il Signor Wood accanto a lui lo aveva rassicurato pochi minuti prima dicendogli:

«Il Signor Edmund è una persona difficile, per così dire, ma anche molto comprensivo Signor Scott, non si dia pena, lei faccia il suo lavoro come sempre e non avrà di che temere.»

«Certo Signor Wood, come dice lei.»

Connor e gli altri membri del personale erano tutti vicini a lui davanti all'entrata della villa, quasi sull'attenti in una giornata così luminosa da sembrare finta per gli standard di Grantham. Le temperature di Giugno si erano fatte via via più piacevoli e il pungente freddo del mattino si era attenuato anche se una leggera nebbia pacata certe volte ricopriva ancora metà tenuta così da renderla ancora più bella.

Quella mattina presto aveva aiutato Hanry con il suo completo, anche se ormai stavano solo in camera insieme a tenersi compagnia e Hanry praticamente si vestiva da solo. Lui però avrebbe voluto svestirlo ogni secondo. Aveva poi consumato una colazione veloce in cucina, Hanry ovviamente l'aveva fatta con Milord e Milady nella sala principale, poi si erano preparati per l'arrivo di Edmund.

Il giovane Conte gli aveva detto che la sera sarebbe sceso a trovarlo ma Jake non sapeva se ce l'avrebbe fatta anche solo a guardarlo dopo che, ne era certo, Kiran lo avrebbe ucciso con un solo sguardo.

Così adesso tutto impettito in fila, vedeva due automobili nere avvicinarsi dal viale. Hanry, Milady e Milord erano davanti alla porta anche loro in attesa del figlio e del fratello che non vedevano da mesi. Jake sapeva che Hanry era teso come una corda di violino glielo aveva sentito nella spalle e nella voce più che mai quella mattina, ma dato che ormai lui era lì, non poteva che dargli il suo sostegno, così si scambiarono uno sguardo sfuggevole ma che voleva dire tanto. Jake aveva il cuore in gola, era certo che forse Edmund non lo avrebbe riconosciuto, non lo aveva fatto con Kiran anche se con lui si era scambiato giusto uno sguardo durante un ricevimento, ma con lui...ci aveva parlato dannazione. Ma era passato tanto tempo, tanto, lui era cambiato molto, e confidava nella boria egoista di Edmund sul fatto che non avrebbe mai associato la faccia di un valletto a quella del secondo lui ormai morto erede dell'impero dei Thompson.

Ma non poteva tenere a bada l'agitazione, così tornando a guardare il profilo di Hanry che sorrise appena alla figura che scese dalla macchina impettita e spavalda che poi gli strinse una mano, cercò di entrare nella sua parte migliore.

Edmund era ancor peggio di come lo ricordava. Capelli scuri tirati all'indietro quasi sembrassero unti di odio, alto più del fratello ma con le spalle meno larghe, gli pareva invecchiato più che cresciuto, forse stanco o consumato anche se il petto tenuto in fuori gli dava una finta aria di superiorità. Il viso era più tondo di quello di Hanry e Jake notò che in nessun caso si potevano dirsi fratelli perché una persona come lui non poteva neanche minimamente somigliare al suo Hanry. Edmund in effetti era la fotocopia di Milady. Occhi piccoli e porcini, sguardo furbo, labbra fini e naso appena appuntito, aveva un fascino meschino e quasi ripugnante, era la persona maleducata in guanti di seta bianca che ricordava, proprio la stessa e gli dava anche le stesse sensazioni.

Quando poi vide suo fratello scendere dalla macchina accanto e lanciargli improvvisamente uno sguardo così profondo che non gli aveva mai visto in volto, si pietrificò ancora di più. Entrambi temevano quel momento.

Jake non sarebbe dovuto essere lì, Kiran lo sapeva ma non poteva reagire in alcun modo, c'era solo una cosa da sperare, solo una, che Edmund non lo riconoscesse. Il tempo parve fermarsi all'improvviso.

«Signor Edmund bentornato, siamo felici di accoglierla a casa.»

Il Signor Wood da impeccabile Maggiordomo fece gli onori.

«Grazie Signor Wood, come sempre gentile a quanto vedo.»

Il Signor Wood fece un segno d'assenso mentre tutti gli altri erano solo immobili e sorridenti in attesa di essere presentati.

«Signora Davies, come se la passa? Ancora a che fare con questi scansafatiche?»

Scherzò Edmund, volendo sembrare simpatico mal riuscendoci. Hanry intanto era alle spalle del fratello e stava assistendo a tutta quella manfrina con un ghigno sul volto che Jake riconobbe come fastidio. Forse il cuore batteva molto molto forte anche a lui, se si concentrava poteva quasi sentirlo da lontano tanto aveva imparato il rumore che faceva.

Dopo pochi convenevoli tra Edmund, la Signora Davies e il Signor Wood arrivò il suo momento.

Deglutì a vuoto, ormai non aveva neanche più saliva e con un'ultima occhiata a Kiran giunse la sua ora.

«Posso intanto presentarle anche il valletto del Signorino Hanry? Il Signor Scott.»

Jake fece un piccolissimo cenno di assenso che somigliava ad un inchino e poi porse la mano guantata ad Edmund che guardandolo negli occhi gliela strinse piano. Jake voleva morire, pensò per un attimo che avrebbe potuto sentire il tamburo che aveva al posto del cuore nel petto, Kiran doveva avere il fiato sospeso come lui mentre attendeva una risposta e mentre si presentava alla famiglia Stafford, in effetti vederlo stringere la mano ad Hanry gli fece uno strano effetto, ma non poté pensarci a lungo.

«Buongiorno Signor Scott...lei mi ricorda qualcuno, ci siamo già visti?»

Jake impallidì ma non lo fece notare, come poteva, anzi lo incalzò furbo e astuto come una volpe.

«Ho lavorato a Burghley House Signore, ero valletto, forse...»

«No, non credo di averla vista lì...magari mi sbaglio.» Gli occhi di Edmund erano diventati due fessure sottili.

«Sono a sua disposizione Signore.»

Ci fu un'attesa più lunga del dovuto, dove Edmund lo guardò ancora.

«Molto bene Signor Scott.»

E mentre Jake faceva ancora un piccolo inchino interrompendo il flusso pericoloso dei pensieri di Edmund, questo lo guardò di nuovo per poi distogliere lo sguardo e rivolgersi alla sua famiglia, in tutta tranquillità.

«Bene, spero che il pranzo sia pronto!»

«Se volete seguirmi signori...»

Il Signor Wood li fece entrare e li portò in sala da pranzo con tutti i convenevoli, mentre Jake intravide Hanry che già provava ad instaurare una conversazione con Kiran, come probabilmente gli era stato richiesto dal padre, lui tirò un piccolo sospiro di sollievo e rientrò insieme a gli altri, pronto per il servizio di quella sera.

Jake aveva rischiato tutto, suo fratello gli aveva lanciato uno sguardo che dire iroso era un eufemismo. Quella giornata era durata fin troppo e lui non riusciva neanche a sentire i suoi pensieri tanto era forte l'ansia che lo assaliva e il rumore del cuore che non riusciva a rallentare i battiti cardiaci. Aveva presenziato all'arrivo poi aveva incrociato Hanry per poco durante il cambio di abito serale e poi aveva di nuovo aspettato che salisse per la notte. Non si era potuto trattenere, Hanry voleva chiacchierare ma non poteva, Edmund aveva la stanza troppo vicina alla sua per rischiare in quel modo. Così Jake era sceso in camera e si era cambiato per poi mettersi seduto sul letto a pensare. A cosa doveva pensare? Al fatto che tra pochi giorni tutto quello sarebbe cambiato? Che non ci sarebbe stato più nessun Signor Scott? Che avrebbe rischiato la vita? Che avrebbe perso tutto? Che avrebbe perso Hanry?

Era stanco, esausto, voleva solo piangere e poter tornare indietro nel tempo per non innamorarsi, per non dover soffrire, per rinunciare ad essere felice, per odiarsi. Sentì bussare flebilmente, un solo tocco, e andò subito ad aprire. Hanry con un sorriso appena accennato entrò piano e si chiuse la porta alle spalle, senza dire una parola si avvicinò a Jake che con il petto nudo e i suoi buffi pantaloni larghi, proprio come la prima volta che si erano incontrati in quella camera, ora gli dava le spalle e aveva la testa china.

«J che succede?»

Hanry con un cipiglio preoccupato mise una mano su una spalla del castano che subito l'afferrò e la strinse. Il riccio sentì quanto la sua pelle sempre così liscia e profumata, con quel colore incredibilmente perfetto, fosse calda, rovente sotto il suo palmo.

«Scusami, non...non è niente.»

E Jake voltò la testa per far collidere le loro labbra da sopra la sua spalla, Harry poi prese a baciargli il collo e a stringerlo ancora facendo aderire petto e schiena.

«Che succede Jake? Sono venuto per farmi consolare e ti trovo così?»

«Hai ragione, non è nulla...solo...»

Jake abbassò nuovamente la testa. Hanry andò davanti a lui e con un gesto che fece sembrare lui il maggiore tra i due per qualche attimo, gli sollevò il volto con le dita delicate. Ma non si aspettava di vedere quello, non da lui, non dal suo risoluto e volitivo uomo. Perché vederlo così, immerso in una fragilità che gli aveva solo appena mostrato in barlumi di delicatezza, lo fece vacillare. Vide solo lacrime.

Jake aveva gli occhi liquidi, il suo blu era completamente immerso, stava annegando. Aveva delle profonde occhiaie del quale forse la sera prima non si era accorto davvero. La sua bocca era tirata in un sorriso forzato, i capelli arruffati lo facevano sembrare stanco, confuso, preoccupato. Ma più di ogni altra cosa, Hanry gli vide negli occhi una disperazione che non aveva mai visto in nessun altro prima, non in quel modo.

«J...»

Hanry lo chiamò piano, quasi avesse paura di rompere gli argini di quella diga che erano i suoi occhi in quel momento.

Gli mise una mano su una guancia e Jake col viso ne seguì la carezza chiudendo gli occhi e facendo sfuggire calde lacrime al suo controllo. Il volto contrito in una smorfia di dolore, il petto squassato da un sospiro che si trasformò in singhiozzo e fece poi scendere altre lacrime. Hanry era immobile non sapeva cosa dire, Che cosa era successo a Jake e perché stava piangendo?

Jake ancora con gli occhi chiusi, avvicinò una mano alla sua che era ancora sulla guancia e da lì la spostò sulla sua bocca così che ne poté baciare il palmo mentre ancora un altro singhiozzo smorzato gli uscì dalla gola e con esso altre lacrime. Hanry non capiva, come poteva?

Jake prese un profondo respiro e aprendo gli occhi finalmente, cercando di stendere il viso per tranquillizzarsi, baciò la punta delle dita di Hanry guardandolo negli occhi tristi che sembrava avergli attaccato, come se si potessero contagiare con i soli sentimenti.

Poi sorrise e prendendo il volto del giovane Conte tra le mani, lo baciò.

Hanry rimase sbigottito.

«Scusami Hanry, non so cosa mi sia preso, sono solo stanco.»

«J...tu...»

«Scusami davvero, non avrei mai voluto mi vedessi così.»

Hanry gli prese le mani tra le sue.

«Jake io non posso risolvere tutto, ma ti prometto che...»

«No.»

Lo fece tacere, baciandolo ancora.

«Non devi risolvere nulla, sono solo stanco e...è stata una giornata lunga...io...»

La stanza poco illuminata faceva sembrare le loro ombre ancora più scure, la candela che lenta si consumava sul cassettone, era l'unica testimone di quei gesti delicati.

Hanry gli prese una mano e lo fece stendere a letto, lui si tolse la vestaglia rimanendo con i pantaloni a righe del pigiama e si stese accanto a lui, in quel letto che li aveva sentiti sospirare per la prima volta. Si abbracciarono.

«Lo so che non stai così solo per quello.»

Jake sgranò gli occhi ma Hanry non poté vederlo, era incastrato tra la sua spalla e il suo viso, mentre lo stringeva.

«Lo so che vuoi dirmi qualcosa, ma va bene così.»

«Hanry io...»

«No J, lo so, davvero...»

Alla fine Jake si staccò da quell'abbraccio dal quale non avrebbe mai voluto sottrarsi, ma doveva vedere il suo verde magnifico quella notte o non avrebbe resistito. Tenendolo ancora stretto a se, fece collidere ancora le loro bocche e poi iniziando ad accarezzargli i ricci scuri e guardandolo negli occhi, glielo disse.

«Hanry, io ti amo.»

«Anche io ti amo.»

«Vorrei dirti tante cose.»

I suoi occhi si riempirono di nuovo di liquido trasparente e questa volta anche quelli di Hanry lo fecero. Il suo verde si allagò un attimo, diventando un lago di montagna chiaro e limpido.

«Lo so.»

«Un giorno vorrai ascoltarle?»

«Forse.»

«Forse.»

Ripetè ma senza rancore. Senza dolore, quel forse era una speranza.

Si baciarono ancora, si sorrisero lasciando libere le gocce cadere dai loro occhi. Si baciarono per sentirsi vicini, per scambiarsi sentimenti, per curarsi angosce e paure.

«Per ora mi basta il tuo forse.»

Disse poi Jake prima di stringerlo ancora di più a se, decidendo di farlo suo anche quella notte che forse più di tutte apriva le porte ad un altro giorno difficile, ancora più di quello trascorso.

Perché Jake di una cosa era sicuro in quella vita di bugie, che il sentimento che provava per quell'uomo era più forte di tutto, anche della vendetta e doveva provare a viverlo, anche rischiando tutto il resto.


***


La domenica mattina iniziò con il sole. La tenuta era stata pulita meticolosamente nei giorni precedenti all'arrivo di Edmund e nelle grandi stanze decorate da broccati e lampadari in cristallo, si respirava la familiare freschezza dell'estate appena cominciata. Il personale aveva indossato le divise in modo perfetto come sempre, erano tutti attenti ad ogni esigenza dei loro ospiti. Il Signor Patel era stato sistemato nella stanza rossa che dava sul giardino laterale, Edmund aveva la sua stanza all'ultimo piano della tenuta come sempre. Dirigendosi nella sala da pranzo dove veniva servita la maestosa colazione mattutina per tutti gli ospiti, Hanry rimase sorpreso quando Edmund dopo qualche minuto di solita indifferenza, gli chieste si cavalcare con lui. Sapeva che odiava i cavalli e odiava ancora di più cavalcare senza dover dare la caccia a qualcosa, quindi all'inizio rimase sbigottito poi però accettò, lo sguardo del padre non prevedeva repliche di alcun genere, figuriamoci rifiuti, era costretto ad acconsentire.

Così dopo che ebbe finito la colazione e chiesto a Jake di preparare l'occorrente, si fece coraggio.

Edmund non pareva a suo agio con la divisa da equitazione, non era più abituato e il riccio gli vedeva una gelosia nello sguardo che gli era familiare. Hanry sapeva che avrebbe voluto cavalcare uno dei suoi preziosi cavalli, perché gli aveva già visto in volto l'espressione bramosa di avere sotto di sé una di quelle splendide creature, ma lui insisté con lo stalliere perché preparasse Rufus per suo fratello.

Era uno stallone bianco, purosangue, ed era sempre stato il cavallo di Edmund, ma lui non c'era mai, così ogni tanto lo montava Milord, oppure spesso pascolava tranquillo per la tenuta.

Era robusto e grosso, Hanry sapeva che Edmund cavalcava solo con il suo frustino alla mano e sapeva anche che né Eighteen, né Kindness, né tanto meno Golden ora che si era ristabilito, erano abituati ad un simile trattamento, quindi non voleva rischiare e la sorte peggiore era toccata al povero Rufus.

«Buona cavalcata Signore.»

«Grazie Scott, ci vediamo dopo.»

Hanry fece un occhiolino nascosto sotto il cap a Jake che lo aveva accompagnato fino alle scuderie, dove lo aveva finito di preparare e poi per sua disgrazia era rimasto solo con quello stronzo del valletto di Edmund, che era un viscido uomo corpulento di mezza età, più simile ad un mercenario che ad un valletto, poi erano tornati verso la tenuta. Jake sperava che Hanry si facesse valere da solo con quel bastardo, ci sperava davvero.

«Come fanno a piacerti tanto queste bestie non lo capirò mai.»

Edmund con degli aderenti pantaloni bianchi e una blusa rossa, aveva già preso le redini e stava allontanandosi dalla scuderia, seguito dal fratello che con Kindness poco più indietro, lo raggiunse subito dopo nella sua impeccabile uniforme bianca e blu scura.

«Forse mi piacciono addirittura di più delle persone in effetti.» Fu la risposta repentina che gli dette.

Cavalcarono fino al lago, in una corsa forsennata Edmund dette il meglio di sé concentrando rabbia e frustrazione sul povero stallone che lo portava. Continuava a frustarlo per farlo cavalcare più veloce perché non avrebbe mai accettato che suo fratello lo sorpassasse. Così Hanry, che non poteva sopportare la vista dell'animale che veniva maltrattato in quel modo, rallentò l'andatura dopo pochi minuti così da dare tregua a Rufus e risparmiarsi la vista delle ferite che gli si aprivano su un fianco. Dopo poco, proseguirono al trotto. Edmund non era più abituato a cavalcare e Hanry non voleva dargli del filo da torcere proprio il primo giorno che era tornato, anche se l'odio verso quell'uomo non lo frenava molto, ma l'amore per i suoi cavalli sì.

«Come mai il tuo stupido valletto ti segue ovunque? Chi è una serva? Forse la tua serva?»

Hanry si sentì ribollire di rabbia per quell'affermazione, ma mantenne la calma stringendo le redini e mettendosi di fianco al fratello che aveva appena portato Rufus al passo. La prima cosa che gli era venuta in mente di dire al fratello minore che non vedeva da quasi un anno, era stata infierire sulla sua sessualità, ancora una volta da quando aveva iniziato il college ad Oxford e si era detto entusiasta degli alloggi e del suo compagno di stanza. Hanry era tornato dopo il primo trimestre in quell'ambiente, felice ed euforico, anche se sapeva essere un privilegiato li dentro, perché figlio di un Conte, era comunque contento di fare quell'esperienza, di dividere le giornate con i colleghi e la stanza nel dormitorio con un suo compagno. Ma a quanto pareva non si poteva essere entusiasti di dormire con un uomo anche solo nella stessa stanza secondo suo fratello, e così dopo qualche altro mese, proprio a lui erano giunte le voci su Ilya e suo fratello minore che sembravano più intimi del solito, un giovane Conte, con un rivoluzionario Russo, com'era possibile? Da lì Edmund aveva infierito su Hanry anche con suo padre al quale aveva raccontato tutto e così via, le voci erano cresciute, l'imbarazzo sembrava aver colpito tutta la famiglia e Hanry era stato additato a vita. Lo chiamava sodomita da anni ormai e Hanry lo sapeva bene. Neanche l'effettivo fidanzamento con Elizabeth a quanto sembrava pareva averlo convinto del contrario.

«E' solo il mio valletto Edmund, è in gamba, sa fare il suo lavoro.»

«Sì. Certo.»

«Edmund mi sposo tra qualche mese, fammi la cortesia di tenere per te queste maledette voci da pub, mi hanno stancato.»

Edmund sorrise e fece schioccare la lingua in un moto di dissenso. Hanry era serio, la mascella contratta per l'enorme autocontrollo, e le cosce strette a Kindness per mantenere i nervi saldi e non sputargli addosso tutto quello che avrebbe voluto.

«Fino a un paio di mesi fa, mio caro fratellino, non saresti stato degno del matrimonio a quanto so.»

Si voltò verso il maggiore che lo guardò sorridendo ancora, con un aria così presuntuosa da farti venire voglia di prenderlo a schiaffi.

«Risse nei pub di Birmingham, giochi d'azzardo, serate ambigue che mi disgustano al solo pensiero. Non sei degno della tua posizione, non ti hanno ancora insegnato nulla Hanry, è ora di crescere.»

«Le persone cambiano lo sai?»

«Le persone non cambiano Hanry, le persone vanno dove soffia il vento.»

«Aaah e tu fratello allora perché non sei rimasto dove soffiava il vento?»

«Stammi bene a sentire...»

Edmund si sporse sul cavallo frenando anche quello di Hanry e tenendogli ferme le briglie così da avere il volto davanti al suo e fargli ascoltare bene mentre ancora una volta lo feriva.

«Tu dovrai obbedirmi da ora in avanti.»

«Ah sì, e chi lo dice? Nostro padre?»

Hanry gli riprese le redini di mano con uno strattone, ma non si mosse doveva affrontarlo, si ricompose un attimo e poi tornò a guardarlo. Edmund aveva il volto rosso di rabbia.

«Tu dovrai sposare quell'insulsa donna ci siamo capiti? Dovrai gestire la tenuta e Castel Howard che stiamo per comprare...»

«Non la voglio quella proprietà, è dei Thompson se loro...»

«Sono morti, morti è chiaro? Sono morti non ce n'è rimasto neanche uno di quella sporca famiglia che ha avuto il coraggio di mescolarsi con quella gente...»

«Quella gente che ti fa andare aventi Edmund.»

Hanry gli urlò quasi in faccia, scioccato da tutto quello che gli stava dicendo e decisamente arrabbiato.

«Ora devi ascoltarmi! Basta! Amministrerai le tenute, ti sposerai e dovrai rendere conto solo a me, sono stato chiaro?»

«Se qualcuno dovesse rivendicare...»

«Tu dovrai fare come ti dico io Hanry o io alla morte di nostro padre non ti lascerò nulla, nulla neanche un penny e sarai costretto alla carità per anni portandoti sulla coscienza le famiglie della tua adorata servitù e la sorte del tuo schifoso valletto, mi sono spiegato?»

Hanry aveva il cuore in gola, teneva le redini di Kindness ben salde e lo sguardo fisso davanti a se, mentre il fratello lo guardava immobile, minacciando tutta quella povera gente. Non aveva mai pensato che potesse farlo, quella cosa gli spezzò il cuore, perché sapeva che poteva esserne capace.

«Non ho fatto questa vita per vedermi rubare da sotto il naso tutto quell'impero per colpa tua, razza di viziato ingrato.»

«Tu non puoi...» Hanry strinse le redini ancora e contrasse la mascella ma Edmund lo incalzò serio, strattonandolo nuovamente e facendo nitrire i cavalli che iniziavano a sentire un nervosismo che li assaliva.

«Perderai tutto, i tuoi stramaledetti cavalli, i tuoi libri, i tuoi vizi, tutto, posso farlo e tu lo sai che posso farlo. Loro non troveranno mai più uno straccio di lavoro, io li farò incastrare tutti per reati minori e passeranno il resto della loro vita in carcere o mendicando come te, su uno sporco e schifoso marciapiede di Londra, dove sarai costretto a vendere l'unica cosa decente che il Signore Dio ti a concesso, il tuo corpo.»

Edmund con un colpo di frustino fece muovere Rufus che subito partì al galoppo, sotto le sue grinfie spietate.

Il vento si era alzato ma Hanry non riusciva a respirare. Suo fratello aveva in mano tutto, era vero e era ancora più vero che poteva fare tutto quello che gli aveva detto, ne era capace, certo che lo sapeva. Pensare a Jake, alla Signora Davies, al Signor Wood, a Connor, a tutti gli altri, in mezzo ad una strada, senza lavoro, con tutti quegli anni di servizio sprecati, gli stringeva il cuore. Doveva parlare con il suo avvocato, ma per adesso avrebbe dovuto rigare dritto. Doveva farlo. Non aveva alternativa e in più era sconvolto dal fatto che Edmund non avesse neanche un minimo straccio di problema a minacciarlo in quel modo. Suo padre glielo permetteva.

Perché Hanry lo sapeva che Edmund aveva in pugno anche i suoi genitori, lui lo sapeva che anche loro erano soggiogati dall'avidità. Ma forse non gli importava davvero. Lui in fondo, voleva solo essere se stesso anche se non avrebbe mai potuto, voleva essere felice anche se ci avrebbe solo provato e si sarebbe accontentato, ma le cose si stavano complicando non poco, in quel momento, nulla era più come immaginava, ora il problema principale non era Elizabeth o il fatto che Jake sarebbe potuto andare a servizio da un'altra famiglia. Ora il problema era ben più grande e non aveva idea di come risolverlo se non stando al gioco del fratello.

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