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Capitolo 17


Vivi per quello che il domani ha da offrirti, e non per quello che ieri ti ha tolto.

Proverbio Tibetano

«Dicono che sia inaffondabile! Dovevo vederlo assolutamente.»

«Sei voluto venire fin qui dall'Inghilterra per vedere il varo di una nave?»
«Non di una nave Jake, del Titanic. Non è una nave qualsiasi.»«Rimane comunque una nave, sempre se con tutto quel ferro galleggi.»
Hanry rise e sospirò insieme, continuando a camminare lungo la banchina del porto con Jake al suo fianco, le mani in tasca e l'aria tranquilla, il mattino già inoltrato era terso e poco ventoso.
«Lo scafo è di acciaio, è il più ricco e lussuoso mai costruito. Ha tantissimi ponti esterni, può ospitare più di duemila persone, ti rendi conto? E sai che c'è? Parte per New York il prossimo Aprile.»«Mi stai dicendo che ti piacerebbe salire su quella barca?»
«Beh perché no? E non è una barca, è un transatlantico per l'amor di Dio Jake!»
«Quindi non è neanche più una nave ora?»
Hanry lo ignorò, sapeva che stava facendo di tutto per innervosirlo ma lui quel mattino non ci sarebbe cascato. No, per nulla al mondo. Avevano trascorso una notte troppo magica per rovinarla con litigi mattutini. Ma quel sorrisetto furbo del suo amante certe volte lo mandava fuori di testa, anzi per dirla tutta ce lo mandava sempre. La verità, era che per farglielo sparire dalla faccia avrebbe solo voluto baciarglielo via, ma non poteva.
«Non sono mai stato su una nave così in effetti.»
«Ma una traversata così è lunghissima Hanry, ti annoieresti.»
«Non se tu venissi con me.!»
Il sorriso tutto fossette che Hanry gli regalò in quel momento, lo fece così felice che in quell'istante avrebbe potuto accettare di tutto, anche accompagnarlo in capo al mondo. Ma poi si rabbuiò ancora pensando ad un Hanry sposato e con la fede al dito, che deve per forza inventarsi scuse per poter viaggiare con il suo valletto, che tra le altre cose magari tra qualche settimana non sarebbe neanche più stato tale. Sospirò guadagnandosi un'occhiataccia dall'altro.
«Non vorresti salirci?»
«Non lo so, l'idea dell'America non mi dispiace in effetti, ma il giovane Conte di Harlaxton sarà sposato per il prossimo Aprile.»Hanry sorrise di nuovo «Non sarà un problema.»
Lui la faceva facile certo. Che problema c'era, bastava mentire, mentire e ancora mentire. Come avrebbe fatto tutta la vita o forse no. Magari quando quel capriccio gli fosse passato sarebbe tornato ad essere lo stronzo di sempre e tutti i bei discorsi sul valore e l'essere importanti sarebbero bruciati dissolvendosi in un secondo.«Adesso non voglio pensarci però. Ci godiamo la giornata senza parlare della mia futura moglie per favore?»
Jake a quegli occhi aveva capito di non poter più resistere, quindi si ritrovo' ad annuire e a regalargli un altro sorriso, sotto la coppola in tweed antracite che indossava in abbinamento al suo completo per la giornata del varo. Hanry sapeva che lui aveva i suoi segreti, certo, come non poteva essere altrimenti? Ma il fatto principale era che nessuno lo aveva mai fatto sentire come faceva Jake, nessuno mai al mondo ci era riuscito in così poco tempo, e tutti quei segreti che rimanevano nascosti gli sembravano un giusto compromesso per poterlo almeno vivere un po'. In due mesi, forse aveva capito più cose Jake di Hanry che Lady Stafford in una vita intera. Semplicemente perché Jake lo ascoltava, lo osservava, lo accettava, lo capiva e probabilmente, il dividere quel tremendo segreto, un altro in effetti, che però li accomunava, lo rendeva tanto uguale a lui da riuscire a condividerne un pezzo di esistenza. Sicuramente un pezzo di quotidianità e di essenza. Dopo la loro passeggiata mattutina giunsero al cantiere navale della Harland & Wolff nel quartiere di Queen's Island dove il nuovissimo Transatlantico Inglese RMS Titanic li aspettava più imponente che mai, ma ancora in fase di costruzione. Quella nave, vantava la migliore tecnologia navale che si potesse immaginare e Hanry nel vederlo quasi si emozionò. Ancora con la bocca semi aperta nel contemplare l'immensità della struttura che era davanti a loro, nel suo completo beige con coppola abbinata, camicia azzurra con colletto all'italiana e scarponcini scuri, Hanry passò il biglietto con l'invito a Jake, che lo esaminò curioso. Aveva voluto così, gli aveva detto fin dall'inizio che sarebbero andati in Irlanda da amici e non da Conte e valletto, quindi gli inviti erano semplici, non riservati e l'abbigliamento richiesto poteva essere informale. Jake stava indossando il suo completo grigio scuro e aveva optato per una semplice camicia bianca, azzardando solo delle bretelle sotto la giacca così da poterla tenere anche sbottonata. Ringraziò mentalmente Hanry per quella scelta, non avrebbe voluto assistere a quell'evento in livrea a code, proprio no. Presero posto tra la folla che era accorsa per lo spettacolo. Era ormai l'ora del pranzo ma a nessuno sembrava importare, c'erano tantissime persone, donne in abito da giorno con i loro cappelli in tinta, uomini dai buffi baffi a manubrio nei loro smoking eleganti, ragazzini curiosi che si sporgevano dalle balaustre sulla banchina, per cercare di avere una visuale migliore sullo spettacolo. E poi ovviamente, il Titanic, che era davvero maestoso e immenso, Jake dovette poi ammettere che ne fu affascinato, come non poteva. Mentre la cerimonia iniziò però, lui si soffermò sul volto dell'uomo accanto a se. Hanry ancora incredulo continuava a dargli piccole gomitate per richiamare la sua attenzione e indicargli cose.
«Ti rendi conto che sarà alto almeno cinquanta metri?»
Era in estasi, era completamente rapito, forse pensò Jake tra sé, il giovane Conte oltre ai cavalli aveva trovato un'altra passione magari.
«Sarei proprio curioso di vedere com'è dentro sai?»
Continuava a parlare, parlare, parlare senza fermarsi e quell'entusiasmo era così contagioso da ammaliare ancora una volta il castano. Perché Hanry era davvero così, quando ti coinvolgeva nelle sue cose, nelle sue passioni, dava il cento per cento e non ti ricordavi più se quella era una cosa solo che piaceva a lui o se invece in realtà piaceva anche a te, perché ti trasmetteva tutto quello che provava, riusciva a renderti partecipe di un'esperienza che lui stesso stava vivendo. Un po' come quando erano uno dentro l'altro, lo sentivi quel contatto, fin dentro le ossa, ti scorreva dentro e riuscivi a sentire quello che provava lui, perché lui semplicemente te lo sapeva raccontare con gli occhi, te lo trasmetteva dalla pelle, dal respiro, dall'anima. Jake riuscì un attimo a fermare i suoi pensieri. Gli sembrò di riscuotersi da un sogno e cadere nuovamente vittima della sua realtà. Lui era lì con Hanry, quello'uomo che avrebbe dovuto odiare con tutto se stesso solo perché parte di una famiglia che gli aveva portato via la sua. Un'epifania improvvisa e dolorosa, ma era sempre e sempre oscurata da qualcos'altro di più dolce. Un groppo alla gola gli arrivò insistente e lo stomaco fece una capriola su se stesso, quasi gli vennero le vertigini, gli sembrò che le gambe non lo reggessero più. Ogni volta che lo sfiorava, lui sentiva quella sensazione di impotenza, quello strano malessere che ti prende quando ti rendi conto che la lontananza da quella persona sarebbe il male più grande che tu possa sopportare in quel momento. Jake ne aveva sentito tanto di male in vita sua, il suo cuore aveva sanguinato per troppo tempo, ma con Hanry, invece di gridare vendetta, sembrava guarire, le ferite invece di allargarsi parevano risarcire. Quella sensazione, le gambe molli, il groppo in gola, erano tutti segni di un'unica cosa, a cui però non voleva davvero credere, già da un po' in realtà. Una volta saliti sull'automobile Hanry era così emozionato che non la smetteva più di parlare, e Jake di annuire. Si erano fatti portare in centro a Belfast, dove il White Tavern, un famoso pub della zona, gli aveva riservato un tavolo per il pranzo, ovviamente su richiesta del Conte.
«Non posso credere che la bottiglia non si sia rotta.»
«Non credo che porti molto bene, no?»
«Porta molta sfortuna in effetti, caspita ma l'hai vista la faccia dell'officiante? Ah secondo me sarebbe voluto scappare!»
Presero posto al loro tavolo di lato al grande caminetto acceso, il legno scuro rendeva l'atmosfera molto accogliente e un odore di pasticcio di carne e patate bollite arrivava dalla cucina. Si tolsero i cappelli e mentre aspettavano il loro pasto sorseggiando una birra scura, parlavano come vecchi amici.
«C'è stato anche l'incidente dell'incendio, Hanry non credo che la tua idea di andare a New York con quella nave sia da prendere in considerazione.»
«Oh andiamo! Sono dicerie, non sarai mica superstizioso?»
«Non superstizioso, ma credo che sia meglio non rischiare.»
«Quella nave è inaffondabile Jake.»
«Tutte le navi possono affondare Milord.»
Hanry sbuffò ancora divertito dal fatto che l'altro si preoccupasse per il suo viaggio da sogno che già sembrava quasi aver programmato. Hanry lo stava osservando, come sempre, e si convinse ancora che guardare alla luce del sole quegli occhi del colore dell'oceano, era una tra le cose che preferiva fare da qualche tempo.
«Quindi possiamo ufficializzare che forse anche la nautica adesso è diventata una delle tue tante passioni?»
Una cameriera gentile e carina dai capelli biondi li interruppe per portare i loro piatti. Sorrise ad entrambi, ma ad Hanry non sfuggì il fatto che quegli occhi esitarono più del dovuto sull'uomo di fronte a lui, che sicuramente accortosi anche lui dello sguardo, gli sorrise di rimando da perfetto gentiluomo qual era. Hanry sapeva di avere un carattere difficile, certo, era palese a tutti, ma una cosa lo rendeva ancora più insopportabile e lo sapeva bene, la gelosia. Così mentre la cameriera si stava allontanando e Jake iniziò a prendere le sue posate per mangiare, Hanry non poté resistere.«Una delle mie tante passioni sì.»
Jake deglutì e sgranò appena gli occhi vedendo Hanry che senza alcuna vergogna si passava la lingua sulle labbra e poi se le mordeva guardandolo fisso negli occhi, mentre da sotto il tavolo sentì chiaramente una delle sue mani che gli salivano dal ginocchio al cavallo dei pantaloni. Cosa stava facendo? Perché voleva provocargli un'erezione proprio lì in quella Taverna? Perché gli stava infliggendo quella pena?

«Che...che stai facendo?»

«Niente, assolutamente niente.»

Ma Hanry non smetteva di accarezzarlo, così Jake sentendosi avvampare, mise una mano sotto al tavolo e gli fermò i movimenti.

«Smettila ti prego...»

Hanry lo guardava così intensamente che i suoi occhi di assenzio tornarono a farsi vivi senza preavviso, mandandolo in confusione.

«Perché dovrei?»

«Perché altrimenti non rispondo di me.»

«Magari è quello che voglio.»

«Magari siamo in una Taverna e ci arresterebbero.»

«Ho visto come ti guardava...»

«Hanry...»

La mano di Jake era ancora salda a fermargli i movimenti, ma le dita calde del riccio ancora accarezzavano un pezzo di tessuto grigio vicino al suo inguine, mettendo ancora di più a dura prova l'autocontrollo del castano.

«Ti piace quando ti guardano?»

«Hanry...»

«Rispondimi.»

«Credo che tu sappia quale sono le mie preferenze.»

Le voci erano diventate sussurri, si guardavano così intensamente che pareva volessero tuffarsi l'uno negli occhi dell'altro. Il calore in quel metro quadro di tavolo stava diventando insopportabile e non era colpa del piatto caldo colmo di prelibatezze che volevano mangiare.

«Rispondimi J...»

«Mi piace sì.»

«Lei ti piaceva?»

«Hanry...»

«Rispondimi.»

Come poteva non farlo? Non aveva il tono serio che certe volte usava, ma era comunque autoritario nel chiedere. Lo ammaliava, Jake si sentiva completamente indifeso quando lo guardava in quel modo e lo sentiva in quel modo.

Non aveva alcuna barriera a proteggerlo e l'onda di piacere, mista a passione e lussuria che stava inondando tutto, era troppo forte per essere fermata. Quello scambio di posizioni che arrivava senza che loro se ne accorgessero, quella versatilità che li accomunava nel voler dare e avere alla stessa misura, li rendeva schiavi di tutte le sensazioni possibili, e quando Hanry diventava improvvisamente deciso, Jake rischiava d'impazzire.

«Era molto carina...»

Il giovane Conte sorrise, ma di un sorriso beffardo, storto, geloso, un po' nascosto, ma che gli mostrò i denti bianchi che brillavano a contatto con quelle labbra rosse che aveva fin ora morso con insistenza. Jake avvampò ancora, dannata lingua tra le labbra.

«Hanry io...»

«Era carina, quindi ti piaceva?»

«Hanry smettila davvero...»

«Perché sennò?»

«Perché sennò la situazione diventa difficile da gestire.»

«Tu lo sai che io sono ingestibile.»

«Me ne stai dando un'ennesima prova concreta sì.»

«Quindi?»

«Quindi cosa?»

«Quindi che vuoi fare?»

«Non dovevamo pranzare e chiacchierare?»

«Oh Jake...tu hai fame?»

Continuavano ancora a guardarsi insistentemente negli occhi, i battiti cardiaci accelerati dai doppi sensi e dalle immagini che certe parole formavano nelle loro menti.

«Non lo so più in effetti...»

«Io ho fame, ma non di questo.»

Jake deglutì ancora.

«Cosa vuoi fare?»

«Tornare all'appartamento.»

«E...»

«E...»

«Hanry...»

«Jake...»

«E...»

«E possederti finché non ti scorderai di quella cameriera carina, che ne dici?»

Si ritrovarono all'appartamento senza sapere bene con quale scusa se n'erano andati, lasciando i soldi sul tavolo e una mancia alla cameriera, se la meritava alla fine. Presero una carrozza che trovarono lì davanti, ma che comunque li portò abbastanza veloce alla loro meta. Non si sfiorarono neanche per un secondo e neanche si guardarono in faccia durante il tragitto, mai, perché sapevano che ogni parola o ogni gesto in quel precario momento di autocontrollo, poteva far detonare tutto in un istante.

Una volta varcata la soglia dell'appartamento, Hanry si avventò sulla bocca di Jake che adesso con le spalle bloccate alla porta, subiva un attacco previsto che però era più forte di quanto avrebbe mai immaginato.

Nella stanza luminosa, con la finestra aperta sul porto che probabilmente la governante aveva lasciato spalancata per far circolare l'aria, si sentivano i rumori della strada e dei gabbiani, in lontananza il flusso delle onde che s'infrangeva sugli scogli. Le mani di Hanry erano ai lati del suo volto e le labbra vagavano sulle altre, riconoscendone i contorni e riappropriandosi di quel sapore che gli mancava ogni volta che non potava averlo. L'adrenalina che avevano accumulato nei minuti di viaggio, stava esplodendo e Jake con le spalle alla porta, bloccato ora con una gamba del riccio tra le sue che spingeva sul cavallo dei pantaloni, aveva già iniziato a vagare sotto la giacca e la camicia azzurra dell'altro, così da arrivare a sentirgli la pelle bollente e appena umida sotto il tessuto, facendolo sospirare.

«Cosa avevi detto?»

«Che cosa?»

Cercò di parlare, ma Hanry non gli faceva prendere fiato e lo baciava in continuazione, con impeto, con denti e labbra e saliva e sapore di lui. Avevano già l'affanno prima di spogliarsi e Hanry avvicinando il bacino a quello dell'altro, sentì che le loro erezioni erano già ben formate.

«Alla Taverna, che avevi detto?»

«Ho detto tante cose J.»

Poi Hanry lo guardò ancora negli occhi, come se quello fosse da sempre stato il loro posto preferito dove tornare sempre, come se fosse rifugio.

E preso alla sprovvista da un battito più forte del suo cuore, Hanry voltò Jake di schiena in un gesto veloce e inaspettato che fece sussultare l'altro, che adesso poggiava la fronte alla porta sospirando, mentre le mani di Hanry gli circondavano il busto accarezzandolo.

«Che hai detto che volevi farmi?»

Jake lo chiese per poi tirare la testa indietro poggiandola sulla spalla del riccio che tornò ancora a baciarlo, mentre gli sbottonava intanto la camicia bianca.

«Voglio farti tante cose Jake.»

Glielo sussurrò sulle labbra, mentre si sentì accarezzare il membro da sopra i pantaloni segno che Jake con le mani non più appoggiate alla porta, ora voleva partecipare attivamente a quel gioco.

«Ad esempio?»

Continuarono ancora a baciarsi, le labbra completamente rosse, Jake aveva ormai la camicia completamente sbottonata e Hanry iniziò ad accarezzargli il petto in modo più languido, calmo, con le sue dita fini e decise.

«Voglio marchiarti il petto, così ti ricorderai di me anche quando sarai solo.»

«Poi...»

Intanto Jake aveva sbottonato agilmente e con maestria i pantaloni di Hanry e stava ormai accarezzando il riccio dall'intimo, Hanry sospirò ancora e anche lui scese a sbottonargli i pantaloni.

«Voglio leccare il tuo sapore...»

«Poi?»

Hanry aveva appena preso l'erezione di Jake tra le mani e aveva iniziato ad accarezzarlo provocando in lui un primo gemito.

«Voglio sentirti gemere...» Jake si voltò veloce, gli prese il viso tra le mani e lo baciò con foga, come se quelle parole appena dette avessero scatenato in lui qualcosa di ancora più forte. Condusse Hanry fino al grande divano che era al centro della stanza. Si spogliarono completamente ad una velocità mai vista, mentre Jake invitò ancora Hanry a parlare.

«Continua Milord...»

«Voglio vederti sotto di me...»

«Poi...»

«Voglio farti assaggiare il tuo sapore...»

«Poi...»

Completamente nudi con gli occhi colmi di lussuria e sentimenti, si guardarono un attimo per poi tornare a toccarsi e baciarsi nel centro della stanza con i vestiti sparpagliati ovunque sul pavimento.

«Voglio averti per me...»

«Vuoi avermi?»

«Voglio sentirti intorno a me...»

«Vuoi avermi?»

«Ti voglio Jake.»

«Io sono qui.»

«Voglio essere dentro di te...»

«Allora prendimi...»

Hanry fece sedere Jake sul divano e gli si mise tra le gambe in ginocchio prendendogli l'erezione in bocca con una velocità tale che Jake imprecò tanto era eccitato e sensibile solo all'idea di avere di nuovo Hanry dentro di sé. Un'altra volta. Forse una tra le tante, non poteva certo saperlo, gli faceva male anche solo pensarlo. Perché sapeva di non dovere ma non poteva più nascondere l'evidenza e il desiderio.

Hanry sentiva già il sapore di Jake tra le sue labbra, affondava giù fino al suo inguine usando la lingua nel modo in cui faceva Jake che tanto lo faceva impazzire.

«Hanry...»

«Non devi parlare adesso...»

«Devi solo sbrigarti...»

«Vediamo cosa posso fare...»

Gli occhi di Jake erano lucidi e pieni di piacere, Hanry era sicuro fossero lo specchio dei suoi.

Jake mentre era seduto fino al limite del divano aveva le gambe aperte e accoglieva le attenzioni del riccio, chiuse gli occhi per perdersi nel piacere assoluto che stava provando. Si sarebbe fatto fare tutto da quelle mani, da quelle dita, da quella bocca.

Il giovane Conte era in un estasi totale, non poteva credere a tutto quello, Jake si donava a lui proprio come lui faceva con il castano. C'era una reciproca voglia di appartenersi che mai aveva creduto possibile potesse esistere. Quella sensazione era ciò che di più bello poteva desiderare. Si sentiva voluto, capito, desiderato, da un uomo bellissimo, intelligente, sveglio, garbato, come poteva rinunciare a lui? Come avrebbe potuto pensare di godere in quel modo tra le braccia di qualcun altro o altra che non fosse Jake? Come si faceva l'amore in modo diverso da quello?

Spingeva e cercava di farlo godere di ogni carezza, ogni attimo che voleva regalargli, voleva appartenergli per quanto gli avrebbe concesso.

Sentiva i suoi sospiri e sapere di essere lui a provocarglieli, mandava il riccio fuori di testa, erano sensazioni inimmaginabili.

«Voglio sentirti Jake...»

«Così rischio di venire solo con le tue dita...»

«Chi ha detto che non voglio che tu lo faccia?»

Jake sgranò appena gli occhi, abbandonandosi poi di nuovo alle attenzioni di Hanry che lo stava totalmente facendo andare in estasi.

Le sue dita colpirono dove dovevano più volte e alla fine, preso dal troppo piacere, non resisté oltre e Jake si lasciò andare davanti a lui. Guardandosi ancora adoranti negli occhi, ripresero a baciarsi con foga e Jake iniziò a prendersi cura di Harry che adesso aveva bisogno di attenzioni.

Si stesero entrambi sul divano, l'uno tra le braccia dell'altro. Continuando a baciarsi, a toccarsi ogni angolo di pelle per sentirsi ancora e ancora. Jake agganciò una gamba al fianco caldo dell'altro continuando a guardarlo, stesi su un divano ocra che accoglieva appena entrambi, gli sussurrò i suoi desideri.

«Adesso dovresti darmi quello che mi spetta...»

«Non ti devo niente in effetti.»

Sorrisero.

«Oh io credo di sì.»

Si baciarono ancora e con un movimento rapido Hanry spinse dentro il castano che aggrappandoglisi alle spalle lo accolse dentro di se. Rallentarono i movimenti sconnessi della passione sfrenata per abbandonarsi a gemiti di piacere che racchiudevano sentimenti appena nati. La pelle a sfregarsi insieme, le mani a cercarsi in ogni istante, tenendosi, stringendosi, accarezzandosi. I baci parlavano per loro, i gemiti sconvolgevano quella poco lucidità che ormai gli era rimasta trasportandoli in un mondo tutto loro fatto di segreti e speranze vane ma anche di possibilità.

«Nessuno mi ha mai fatto sentire così...»

Hanry senza vergogna, cercò di fermarle quelle parole ma non ci riuscì. I capelli umidi, le fronti sudate, i corpi caldi che trattenevano i loro cuori gonfi di gioie comuni, la pelle d'oca a contornare margini che loro stavano cercando di nascondere provando a fondersi insieme.

Jake lo baciò ancora mentre Hanry spingeva dentro di lui donandogli se stesso e prendendo quello che l'altro poteva dargli, gemevano all'unisono accecati dal piacere.

«Potrei essere quel qualcuno?»

Hanry sentendo quelle parole, iniziò a spingere ancora e sempre più in profondità aiutato da Jake che si aggrappava a lui e riusciva ad assecondare le spinte poderose che voleva e sentiva.

«Lo sei già...»

«Anche tu...»

Dopo poche altre spinte, affannati, sorridenti e stanchi, si addormentarono alla luce di un flebile pomeriggio arancione, non c'era bisogno di dire altro.

Jake sognò l'India. Da tanto non la rivedeva nei suoi sogni e invece quel pomeriggio, dopo gli orgasmi e le sensazioni provate, la presenza di Hanry che sentiva calda accanto a se accoccolata nel suo abbraccio, la vide. Ma rivide l'incendio, c'era tanto fuoco ovunque, la villa bruciava e lui sentiva ancora l'odore acre del fumo che gli risaliva alle narici, ma anche il profumo forte e che amava del curry piccante e del sandalo. Poi nel sogno si sentì afferrare una mano, riuscì a voltarsi, non aveva paura, si sentiva stranamente tranquillo, come quando sai perfettamente come andrà a finire un libro che ti è piaciuto e vuoi semplicemente rileggerlo per perdertici di nuovo dentro. Il fuoco divampava ma lui non ne aveva timore, bruciava tutto ma accanto a sé c'era Hanry che gli stringeva la mano. La sentiva quella stretta, salda, vera. Ma non ne aveva timore, non gli sembrava una cosa strana che anche lui fosse lì a guardare inerme la sua villa di Jaipur che bruciava, poi ad un tratto si accorse che qualcosa nell'odore che sentiva era cambiato. Il profumo della sua città Rosa era svanito, sentiva odore di erba tagliata, di scuderie, di terra smossa. Non era la villa che bruciava ora, ma era Harlaxton Manor. Jake però voltandosi, vedeva che Hanry era ancora lì e continuava a tenergli la mano sorridendo.

Era sereno, proprio come si sentiva anche lui, i suoi occhi brillavano e semplicemente lo guardava mentre la sua Tenuta bruciava tra fiamme rosse e calde di un fuoco infinito.

***

Quando si svegliarono con il bisogno di riprendersi dal sonno, decisero di lavarsi. Erano nella vasca da bagno, Jake si era appoggiato per primo alla ceramica bianca e fredda e tra le sue gambe aveva accolto Hanry che ora con la schiena gli si appoggiava al petto. Fumavano, entrambi cullati dall'acqua calda che ormai si stava intiepidendo sempre più. Era quasi sera e avevano in mente di uscire per godersi una lunga cena, poiché il pranzo era piacevolmente saltato.

«Penso che non vorrei sposarmi e vorrei che tutto questo non sia così dannatamente difficile da affrontare.»

Le sue parole arrivarono come un macigno alle orecchie di Jake, gli sentì vibrare il busto mentre le diceva, sentì anche aspirare il fumo dalla sigaretta quasi affranto da quello che aveva detto.

«Come facevi a sapere che te lo avrei chiesto?»

«Perché a volte lo fai, così te l'ho detto prima che tu lo chiedessi.»

«Pensi di conoscermi già?»

«Penso che vorrei conoscerti di più invece.»

Rimasero in silenzio, Hanry prese ad accarezzare un braccio del castano, in modo quasi svogliato, tranquillo.

«Penso che tu debba fare i conti con la tua realtà Hanry.»

«Lo penso anche io.»

«Posso capire quanto possa essere dura ma devi farlo.»

«Lo sai vero che appena torniamo dovremmo affrontare tante cose?»

«Tu sei un Conte Hanry, devi sempre affrontare cose.»

«Non la mia famiglia tutta insieme.»

«Devo ammettere che quello è un grande ostacolo sì.»

Ancora silenzio, ancora sospiri. Spensero entrambi le sigarette ormai finite nel posacenere di cristallo che avevano appoggiato sul bordo più largo della vasca.

«Possiamo rimanere qui?»

Hanry lo chiese quasi come un bambino innocente che la mattina chiede alla bambinaia di dormire ancora per qualche minuto.

Si sollevarono dalla vasca e fecero per uscire.

«Credo che verrebbero a cercarti.»

«Io invece credo che non si accorgerebbero neanche che sono partito.»

«Tua madre no di certo...»

Risero all'unisono, coprendosi con degli asciugamani mentre poi ricominciarono a baciarsi. Sgocciolando sul tappeto del bagno, incuranti del vapore, del vento fresco che stava entrando dalla finestra, e dei loro piedi che si sfioravano le punte sul tappeto per terra.

«Forse qualcuno se ne accorgerebbe però!»

«Chi Jake? Forse la Signora Davies? Almeno lei, Santa donna...»

«No Hanry, intendevo Eighteen.»

«Mi manca Eighteen.»

Jake lo baciò sul naso e con un adorabile sorriso si staccò poi da lui per andare verso la sua camera.

«Sai anche chi?»

Si affacciò poi due secondi dopo di nuovo al bagno, Hanry era di fronte allo specchio con già lo spazzolino in mano.

«Chi?»

«Ma come chi? La tua cavalla preferita...»

«Kindness?»

«No! Assolutamente no! Ormai Kind è mia dovresti saperlo!»

«Come l'hai chiamata? Scordatelo J, non farti strane idee, non posso darti anche la mia cavalla...»

«Oh giusto, mi dai già tutto tu.»

«Sei davvero simpatico sai?»

Risero ancora, Jake appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate, mentre Hanry stava prendendo la sua pasta dentifricia mentre faceva delle buffe smorfie.

«Comunque intendevo qualcun'altra...»

«Chi?»

Hanry iniziò a spazzolare i denti.

«La tua futura moglie...»

«Idiota!»

E mentre Hanry gli lanciò un asciugamano, senza ovviamente prenderlo, Jake corse via regalandogli però la sua risata cristallina.

Non avendo portato con loro abiti formali o smoking, si dovettero accontentare dell'ennesima taverna della città. Vicino al Municipio avevano trovato un ristorante alla mano con cucina tipica Irlandese che serviva cervo arrosto e altri piatti che non vedevano l'ora di assaggiare. Nessuno li conosceva, potevano essere chiunque in quella grande sala dalla luce soffusa e le decorazioni in stile liberty, un brivido di eccitazione li attraversava entrambi perché sapevano che quella piccola libertà di quei pochi giorni che si erano concessi, non sarebbe durata, ma assaporare una parte di vita che non gli apparteneva gli dava una scarica di adrenalina.

Jake poco prima in camera sua, mentre si stava preparando lasciando che Hanry facesse lo stesso nella camera a fianco, anche se gli sembrava proprio strano non doverlo aiutare, si era di nuovo inflitto la condanna della colpa. Avevano scherzato, riso, erano stati bene, avevano fatto del bellissimo sesso come sempre, ma c'era stato anche qualcos'altro. Jake per la seconda volta si era lasciato andare ad Hanry e voleva piangere. Perché non riusciva a rifiutare? Perché quell'uomo lo guariva invece di ferirlo? Perché riusciva a stare bene solo avendolo vicino? Perché tutte quelle domande gli vorticavano nella mente così veloci da fargli girare la testa e fargli salire la nausea? Stava ancora facendo tutto quello che non avrebbe dovuto fare, stava dicendo ad Hanry tutto quello che non avrebbe dovuto dire, stava provando tutto quello che non avrebbe dovuto provare. Ma il suo cuore era scosso da emozioni. Finalmente dopo tanti anni di buio, colpevolezza, pena, afflizione, il suo cuore sembrava essere tornato vivo e libero di battere. Era tutto tremendamente sbagliato, tutto così dannatamente pericoloso e ingiusto, perché doveva ancora una volta infliggersi la pena dei sentimenti, se sapeva benissimo che anche lui lo avrebbe abbandonato? Perché aveva dovuto cominciare qualcosa che non sarebbe stato in grado di concludere se non nel peggiore dei modi possibili? Perché pur sapendo di non avere nessun futuro con Hanry gli chiedeva di essere il suo qualcuno mentendo, mentendo e ancora mentendo, per tenere ancora e ancora per se segreti che non potevano essere rivelati? Perché doveva fare del male a quella persona che non desiderava altro che essere importante per almeno qualcuno che lo comprendesse?

Jake le sapeva già tutte le risposte a queste domande. Tirò su col naso, si asciugò una lacrima solitaria che era appena sfuggita al suo controllo, poi sospirando si guardò allo specchio lungo e stretto che copriva un angolo della camera e mettendosi giacca e cappello, scrutò il riflesso di un uomo che ormai era irrimediabilmente fregato.

Ordinarono cervo e verdure in casseruola, il vino rosso venne servito dopo qualche minuto e nell'attesa entrambi fumarono sorseggiando Vermont e Ginger Ale con ghiaccio.

Hanry era impeccabile come sempre anche se i vestiti formali gli donavano più che mai, nella sua figura anche quel completo bordeaux in tweed gli faceva risaltare gli occhi d'assenzio e gli dava un'aria aristocratica. La camicia bianca dal colletto botton down lungo gli faceva risaltare le linee della mascella, i capelli lasciati completamente spettinati sembravano ancora più ricci del solito e gli si formavano dei veri boccoli anche se corti, sulla nuca. Non aveva indossato la cravatta ma le bretelle, vezzo che aveva deliberatamente preso dal suo valletto, il quale sembrava guardarlo con occhi famelici, mentre tirava dal filtro bianco con le labbra rosee e umide, che poi rilasciarono una nuvola di fumo denso.

«Se continui a fissarmi così temo che salteremo anche la cena.»

Hanry senza ormai nessuna vergogna nel rivolgersi a Jake, lo guardò ancora intensamente e prese anche lui un tiro. Il suo amante indossava il completo ruggine che aveva all'ippodromo di Birmingham con il quale lo aveva preso senza poche pretese nella rimessa delle selle, in quelle stalle immense, e ricordarsi proprio quel momento certo non aiutava.

Jake quindi sorrise per poi prendere un sorso dal suo bicchiere.

«Dobbiamo anche mangiare lo sai?»

«Perdiamo un sacco di tempo per mangiare lo sai?»

«Il piacere forse aumenterà.»

Hanry si ammutolì e anzi, quasi arrossì, distogliendo lo sguardo da quel blu così profondo che ormai aveva imparato essere una delle sue cose preferite. Hanry aveva una fidanzata ufficiale, era futuro Conte anche se non primogenito, a lui spettava occuparsi della tenuta di famiglia e forse chissà, anche di un'altra tenuta ma che non voleva assolutamente. Era arrogante, presuntuoso, viziato, borioso certe volte, aveva un carattere molto difficile e scostante, non tollerava molte persone. Ma Hanry era anche fragile e sapeva benissimo di esserlo, per quello era così scontroso e si nascondeva dietro una sfrontatezza che in realtà non gli apparteneva. Hanry era tante cose, ma in quel momento sarebbe voluto solo esserne una. Il centro del mondo dell'uomo davanti a se. Perché ormai da giorni sapeva che l'irrimediabile era accaduto, Hanry sapeva perfettamente che tutto era cambiato fuori e dentro di sé. Sentiva che quello che aveva provato per Ilya era qualcosa di nuovo, strano e destabilizzante, ma sapeva che quello che sentiva adesso lo rendeva così sicuro e consapevole dell'uomo che voleva essere da averne quasi timore. Lui sapeva bene chi sarebbe dovuto essere e diventare, ma accanto a Jake, fuori e dentro di lui, tra le sue braccia, sulla sua bocca, nella sue parole, lui ritrovava la vera essenza di sé, senza rendersene conto. Era l'unica persona che mai lo aveva fatto sentire in quel modo, che mai gli aveva dato fiducia, sentiva di poter essere importante, dopo tanti anni ad inseguire quell'unica cosa. Lui si sentiva come al primo posto in qualcosa, al primo posto per qualcuno. Era terribilmente spaventato, gli tremavano le mani, ma privarsi di tutto quello gli sembrava così sbagliato da non volerci neanche pensare. Cosa avrebbe fatto, non si sarebbe più sposato? Sarebbe scappato con un valletto in un'altra città? Oppure avrebbe vissuto nell'ennesima menzogna? Avrebbe tradito sua moglie per anni, continuando ad avere una storia clandestina con Jake? No, certo che no. Lui non poteva pensare che il suo epilogo fosse quello di avere un amante per il resto dei suoi giorni, non sapeva cosa avrebbe fatto, no. Ma Jake in una cosa aveva ragione, forse l'attesa era un qualcosa che potevano rendere indimenticabile. Forse quei pochi giorni di spensieratezza che gli erano concessi potevano essere il loro modo di prendersi del tempo e capire. Forse lui voleva prendersi del tempo e capire. Capire perché mai Jake lo faceva sentire in quel modo e com'era stato possibile permetterglielo.

«Credo di non aver mai mangiato un cervo così buono.»

«Davvero sublime, sì.»

La serata scorreva lenta e serena, come la sera prima tornarono all'appartamento passeggiando per le strade di Belfast. La temperatura era piacevolmente fresca e il vento aveva per qualche ora cessato di sferzare le coste Irlandesi.

«Che cosa avresti voluto studiare Jake?»

Certo, ovvio che Hanry fosse curioso e chiedesse. Se fossero stati due normali amici dell'aristocrazia Inglese, avrebbero sicuramente fatto discorsi su facoltà universitarie, sale da tè, cerimonie di rappresentanza, passioni come gli scacchi, il cricket o i cavalli, si sarebbero magari scambiati idee politiche sulla monarchia e sui movimenti dei territori ad Est. Ma Jake per Hanry, era solo il Signor Scott, un valletto, e per dirla tutta, forse a malapena sapeva da che parte dell'Inghilterra venisse. Hanry in effetti non se lo era mai chiesto, non ci pensava neppure, forse era annebbiato dal sentimento e alla ragione neanche ci pensava, ma Jake sì, perché in quel momento, avrebbe tanto, ma tanto voluto dirgli la verità, ma non poteva farlo.

«Forse Letteratura, non lo so, mi è sempre piaciuta, credo che sì se avessi potuto studiare avrei scelto quello.»

Non voleva mentire, non ancora, non ce la faceva più, ma Hanry chiedeva e lui voleva disperatamente cambiare discorso. Andarono avanti per qualche minuto chiedendosi qualche curiosità e lasciando in sospeso domande alle quali non volevano rispondere davvero. Avvicinandosi in qualche momento, cercavano di trattenersi dallo sfiorarsi le mani, ma la forza d'attrazione che li voleva avvicinare inevitabilmente era così potente che più di una volta dovettero allontanarsi sulla via di casa.

«Quando l'hai capito?»

«Che cosa?»

«Che eri attratto dagli uomini.»

Ed eccolo lì, Maji, il suo volto bellissimo che lo guardava mentre lo osservava leggere, quegli occhi neri che lo tranquillizzavano nelle notti insonni, quell'odore di sandalo che però se ci pensava si trasformava subito in odore di fumo acre. Perdersi in quel pensiero era inevitabile ma non faceva più male. Era come ricordare un bel sogno, era strano, non lo aveva mai percepito così. Hanry sapeva che Jake aveva i suoi segreti, glielo aveva esplicitamente detto, e lui neanche avrebbe potuto mai rivelarglieli, ma per questa risposta volle essere sincero.

«Avrò avuto più o meno dodici anni, era un ragazzo più grande di me di qualche anno, all'epoca stavamo in campagna e lui badava agli animali.»

«Quindi un contadino?»

«Qualcosa del genere sì.»

«Non hai provato vergogna?»

«All'inizio, ma poi mio fratello mi ha fatto vedere tutto da un'altra prospettiva.»

Hanry si fermò sul posto.

«Aspetta, aspetta, aspetta...hai un fratello?»

Jake sorrise sincero, anche se la sincerità non c'entrava nulla, era solo sinceramente divertito dalla reazione di Hanry.

«Sì, ma è lontano.»

Ripresero a camminare.

«E andate d'accordo?»

«Oh sì, moltissimo!»

«E lui com'è? Insomma è affascinante?»

«Mi trovi affascinante?»

«No, cioè sì, ma ti ho chiesto se lo è lui.»

«Oh grazie Milord, anche lei è tremendamente affascinante...»

Jake aveva voglia di baciarlo, per farlo tacere e anche perché guardarlo e averlo così vicino per tutto il giorno stava davvero mettendo a dura prova il suo autocontrollo, si sporse per prendergli una mano, ma un rumore di automobile che si avvicinava li fece subito allontanare fermandogli desiderio e intenzione.

«Comunque sì, credo sia molto bello.»

«Mi piacerebbe conoscerlo.»

«Oh ti stupirebbe, credo che abbiate in comune più di quanto non sembri dall'apparenza...»

Hanry lo guardò interrogativo.

«Voglio dire, anche lui è piuttosto, come dire...»

«Jake che parola stai cercando per far sì che io non me la prenda?»

Jake arricciò le labbra.

«Vanitoso?»

«Oh e io sarei vanitoso?»

«Lo sei, assolutamente.»

«Oh ma senti che stronzo...»

«E' la verità! Ma mi piaci anche così.»

Si fermarono incrociandosi gli sguardi, l'appartamento a pochi metri da loro li aspettava per un'altra notte che potevano trascorrere l'uno tra le braccia dell'altro lontano da tutti e lontano soprattutto dalle loro vite.

Il vento era leggermente più forte lì sulla baia, i gabbiani non smettevano di fare rumore, ma era un piacevole accompagnamento al rumore delle onde che aveva fatto da colonna sonora per tutto il loro soggiorno lì.

«Ti piace altro di me?»

«Molte cose in effetti...»

«Vorrei saperle.»

«Se entriamo subito potrei anche elencartele tutte...»

Di fretta entrarono ancora una volta imboccarono il cancelletto che divideva l'esterno dall'entrata del palazzo. La notte era tutta loro, la notte era ormai la loro compagna preferita, anche se in quell'isola così bella avevano potuto aversi finalmente alla luce del sole.

Jake si avventò su Hanry una volta entrati nell'appartamento, non si finirono neanche di spogliare, l'eccitazione era troppa e i loro corpi volevano possedersi e unirsi in modo incontrollato tanto che la pelle di entrambi sembrava andare a fuoco tanto era calda. Ancora con le camice addosso, di fretta ma sempre con un'attenzione unica che Jake mai avrebbe perso, entrò in Hanry che sulla poltrona del piccolo salotto lo accolse con un gemito prolungato e roco inarcando appena la schiena.

Jake spinse ancora un po' dentro il riccio che poi gli allacciò le gambe snelle ai fianchi e tirò su il bacino per aiutarlo nelle spinte, mentre questo si appoggiava con un ginocchio alla poltrona e con una gamba si teneva su. Jake poi uscì da Hanry che protestò e in attimo fu trascinato in una delle camere da letto. Si sentì un forte boato provenire da fuori, il tempo stava cambiando.

Hanry era di nuovo steso a letto proprio sul margine di esso e Jake ora come sempre si stava prendendo cura di lui. Continuò il suo lavoro per qualche istante, poi tornò sulla bocca di Hanry e tra le sue gambe, che aprendosi lo accolsero di nuovo.

Jake riprese a spingere, lento, passionale, mantenendo un ritmo costante che fece venire la pelle d'oca all'altro che adesso gemeva.

«Mi fai impazzire Hanry...»

Questo sorrise, continuando ad accoglierlo per poi regalargli la visione di iniziare a masturbarsi da solo, mentre il membro del castano scompariva in lui ancora e ancora.

«Tu fai impazzire me...»

Jake non gli fece finire la frase perché tornò ancora ad impossessarsi delle sue labbra, per morderle, assaggiarle, bagnarle, baciarle come non mai.

Lo stringeva forte dai fianchi e anche se Hanry era sicuro che sarebbero rimasti dei segni, si lasciò trasportare dal piacere, per poi dopo qualche spinta, venire sul suo stomaco sporcando la sua camicia. La sensazione forte di Harry che si stringeva intorno a lui e quella visione, portarono al limite il castano che si riversò dopo poche spinte dentro il corpo del suo amante. Esausti, si buttarono entrambi sul letto e incuranti del disastro che avevano combinato e della camicia di Hanry che sarebbe dovuta sparire prima dell'indomani, si abbracciarono all'unisono ancora baciandosi, prendendosi entrambi il viso tra le mani, respirandosi addosso, mescolandosi ancora sospiri e anime.

La sensazione unica e consapevole di poter dormire insieme in un vero letto, abbracciati, senza dover adempiere a nessun dovere che non fosse quello di abbandonarsi l'uno all'altro, li faceva sentire cullati e tranquilli in quel mattino piovigginoso e grigio che li aveva sorpresi. Non potevano rifugiarsi lì per sempre, non potevano rimanere ancora in quella bolla di sogno che avevano costruito a Belfast. Sarebbero dovuti rientrare, ma si erano concessi ancora un giorno, un altro singolo giorno per poter vivere una vita che neanche nei loro più reconditi sogni potevano immaginare. Dividere la vasca da bagno, consumare la colazione che la governante aveva lasciato fuori dalla porta dell'ingresso come da loro richiesta, ancora in intimo, sul letto di uno dei due, mentre si stuzzicavano a vicenda e sorridevano sereni. Raccontarsi aneddoti di una vita che sembrava lontana e forse non sembrava più neanche la loro. Confidarsi quel poco che Jake poteva, accogliendo però ogni parola del giovane Conte che avrebbe custodito per sé e a cui avrebbe ripensato con nostalgia quando se ne fosse andato. Perché sapeva di doverlo fare e il pensiero già gli procurava un dolore forte all'altezza del cuore.

Ma quel giorno ancora era per loro. Nel pomeriggio il ticchettio della pioggia attraverso le finestre era flebile, il respiro di Hanry ora addormentato sul cuscino lo rilassava e riusciva persino a scacciare la malinconia del ritorno alla normalità. La sua schiena nuda a contatto con il suo petto, il respiro che ormai aveva imparato a far andare allo stesso ritmo del suo che era appena più prolungato e affaticato. Hanry con lui adesso era sincero, non doveva nascondere nulla, al contrario di lui, così che il suo respiro era sempre frenetico e affannato per le innumerevoli fatiche giornaliere e per le innumerevoli bugie, tanto che cercava con i suo mantra di tenere a bada, ma ultimamente mal ci riusciva. Gli accarezzava un braccio affondando ancora un po' il naso tra i suoi capelli cioccolato che sapevano di lui, e avevano quell'odore inconfondibile che gli ricordava sempre il fresco delle conifere e non sapeva bene neanche il perché. Sentì la pelle d'oca crescere sotto le punte delle sue dita e capì che Hanry si era svegliato reagendo piacevolmente alle sue carezze.

«Scusa non volevo svegliarti.»

«Sento il battito del tuo cuore, sembra quasi dentro di me.»

Jake non rispose, cosa poteva dire dopo quelle parole? Hanry si voltò tra le sue braccia, intrecciò le gambe alle sue sotto le lenzuola chiare del letto e Jake tenendosi ancora su con un gomito semplicemente lo guardò. Quanto poteva essere bello? Gli occhi verdi che ormai amava, le labbra piene, il naso perfetto, quei ricci scompigliati che lo mandavano fuori di testa, la mascella definita e un accenno di barba appena visibile, ma che doveva essere tolto prima dell'indomani come voleva l'etichetta. Si persero un attimo a guardarsi prima di baciarsi, incuranti di tutto.

«Sarà difficile tornare alla realtà dopo questo.»

Jake voleva che Hanry sapesse tante cose prima di tornare ad essere il Signor Scott, non poteva più mentire, i sentimenti avevano vinto e contro ogni sua promessa a se stesso, si sarebbe contraddetto.

Si sollevò dal letto prima della risposta dell'altro che fece lo stesso e si mise anche lui a gambe incrociate di fronte a Jake che ora aveva abbassato la testa e giocherellava con la mano del riccio che gli aveva avvicinato per accarezzarlo ma che lui aveva intercettato e preso tra le sue mani per tenersela stretta.

«Con me puoi essere tu Jake, non dovrai fingere.»

«Devo sempre fingere Hanry. Questa cosa che c'è tra di noi...»

«E adesso che c'è tra di noi?»

La stessa domanda che appena due giorni prima gli aveva fatto lui, ma alla quale adesso non sapeva rispondere.

«Non lo so...»

Jake aveva la voce quasi rotta, bassissima, parlava ormai sotto voce, non voleva più mentire, non voleva più fingere, era stanco, lui voleva solo essere sincero con Hanry, solo quello. Perché aveva dovuto farlo? Perché si era innamorato di lui?

«Allora te lo dico io.»

Hanry, che in quel momento forse aveva il coraggio necessario ad esternare un sentimento che li logorava entrambi, fece sollevare la testa a Jake con la mano libera e fece collidere i loro sguardi. Esitò un solo istante, un solo momento, sospirò poi deglutì e guardandolo ancora negli occhi, con il rumore della pioggia che ancora rimbombava in quella stanza chiara e calda, continuò.

«Credo di essermi innamorato di te Jake.»

L'altro perse un battito, sentì il cuore esplodergli di una gioia che non provava da anni e che era la cosa più bella che potesse sentire mai in vita sua, smise improvvisamente però di giocare con le dita del riccio. No, non poteva andare così...e invece. Non distolse mai lo sguardo da Hanry che coraggioso, lo guardava ancora mentre glielo diceva. Jake sapeva di avere quasi le lacrime agli occhi, perché era certo fossero lo specchio blu di quelli dell'altro. Non si ricordava più come si respirava, non si ricordava più nulla in quel momento, c'era solo Hanry.

«Non ho paura a dirtelo, perché non ho nulla da perdere, sarà comunque difficile affrontare tutto quindi almeno adesso lo sai.»

Hanry dopo qualche istante di silenzio da parte del castano, abbassò lo sguardo e ritrasse la mano da quelle di Jake che ancora gliela tenevano stretta. Forse non avrebbe dovuto dirglielo, forse era meglio tenersi per sé i sentimenti come sempre, dentro, nascosti, al sicuro.

Jake era immobile, non sapeva neanche più se stava respirando in effetti. Così Hanry sospirò e fece per alzarsi senza dire una parola, sembrava deluso. Ma Jake si sporse appena e lo prese forte per un braccio attirandolo a sé e baciandolo con tutta la forza e la passione che poteva avere in quel momento. Lo bloccò nudo sotto di sé, Hanry non fece resistenza, lo baciò a sua volta, ormai era fatta. Poi Jake staccandosi e guardandolo ancora negli occhi con i nasi che si sfioravano e le labbra che si mischiavano i respiri, finalmente trovò il coraggio che sapeva di avere e parlò, rivelando qualcosa di sé, così sincero e bellissimo che non aveva mai detto a nessuno, ma che adesso non aveva più paura di dire.

«Vuoi sapere quando mi sono innamorato io di te?»

Hanry sgranò appena gli occhi, un sorriso accennato li fece brillare così tanto che sembravano liquidi, ma non parlò, il cuore gli batteva troppo forte anche per formulare una semplice frase, così annuì e basta.

«Quando ho visto come guardavi Eighteen il giorno che siamo andati a cavallo la prima volta insieme. Avevi quello sguardo che a pochi concedi, forse solo a lui in effetti, ma l'ho rivisto su di me pochi giorni dopo, e ho capito.»

Hanry voleva piangere, si sentiva scoppiare il cuore e non riusciva più a stare fermo. Le mani di Jake che gli stringevano le sua ai lati della testa, si sciolsero perché il castano si tirò di nuovo su seduto. Erano affannati, emozionati. Non riuscivano a parlare, forse non erano lucidi.

«Credo di essermi innamorato davvero di te Hanry.»

Il giovane Conte allora non poté più resistere e lo ributtò sul letto avventandosi sulle sue labbra, baciandolo e baciandolo ancora. Il groviglio di braccia, gambe, nervi, muscoli e cuori, tornò ad invadere quel letto sfatto dove si erano appena detti che si amavano senza dirselo davvero. Sembrava tutto così bello e magnifico, erano soli in una nuvola di passione, felicità e sentimenti reciproci, perché non poteva essere tutto così semplice?

«Come possiamo vivere ora?»

«Troveremo il modo.» Rispose Jake che intanto lo accarezzava in ogni parte del corpo e imparava ancora a memoria le sue labbra e i suoi gemiti di piacere mentre spingeva in lui donandogli piacere e vita. Ora tutto era cambiato. Tutto era diverso e lo sarebbe stato davvero. Ora tutto era ancora più complicato, più complesso, più difficile. Ma loro non erano fatti per la vita facile, non loro due che di facile non avevano avuto nulla. Hanry con i sentimenti, Jake con le esperienze. Completamente diversi, opposti, incompatibili, ma in realtà così simili, così uguali, così incredibilmente uniti.

La pioggia scivolava giù per le finestre. Il rumore del mare faceva eco a quello del temporale. Le lacrime di gioia si mescolavano a gemiti sconnessi, i sospiri si mischiavano alle parole sussurrate. I corpi si fondevano, le emozioni di univano, i sentimenti si mostravano.

Adesso tutto sarebbe stato ancora più difficile, ancora più arduo. Ma Jake non poteva mentire, non questa volta, questa volta dire ad Hanry quella verità era stata una liberazione da un macigno che aveva nel cuore da troppo tempo, una delle cose più giuste e vere che avesse mai fatto in vita sua. E se era vero che L'amore non si sceglie, l'amore non si decide, arriva e basta, in che modo lo fa non possiamo saperlo ma quando arriva lo senti dentro di te allora lui lo aveva sentito, e sapeva che era arrivato.

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