Capitolo 16
Se ti prendi cura dei minuti, non dovrai preoccuparti degli anni.
Proverbio Tibetano
Jake si chiese ancora una volta perché avesse accettato, perché ancora una volta anche dopo essere stato umiliato e ferito aveva accettato di accompagnare Hanry. Nel suo cuore lo sapeva bene il motivo, lo sapeva e ne era spaventato perché quel piccolo sentimento che stava nascendo di nascosto, silenzioso e infimo, poteva mettere in discussione tutto. Tutta la sua storia e quella che sarebbe venuta dopo, tutta la sua dignità, la sua volontà, quella di suo fratello, il buon nome della sua famiglia e anche la sua rivincita. Aveva accettato perché non poteva dirgli di no certo, ma poteva anche non accettare il fatto che stavano andando in Irlanda non come il giovane Conte di Harlaxton e il suo valletto, ma come Jake e Hanry. Due amici che si davano pochi anni di età e che volevano semplicemente fare un lungo weekend fuori porta, per distrarsi dalle lunghe giornate londinesi. Due ragazzi alto borghesi che cercavano svago in una città che non fosse la loro. Ma non l'aveva fatto. Sapeva bene quali erano le intenzioni di Hanry. Lui voleva sicuramente riparare alla sua arroganza infinita certo, voleva fuggire dagli agi e i doveri della sua posizione per un effimera parentesi vacanziera, ma avrebbe voluto anche sesso, tanto sesso, e Jake quello non era in grado di negarglielo. Proprio no. Perché il bisogno di quel corpo che si era plasmato con il suo e dal quale aveva preso sospiri, gemiti e urla di piacere, gli piaceva talmente tanto da esserne quasi ormai assuefatto. E sapeva anche che la stessa cosa valeva per l'altro. Non solo perché sentiva davvero che quel corpo si piegava a suo piacimento a carezze di piacere e ansimi nascosti ma anche perché Jake aveva fatto il grosso, enorme e madornale errore, di abbandonarsi a lui. Hanry non aveva mai posseduto nessuno lo sentiva, solo lui si era concesso al giovane Conte e quel controllo, quel contatto, quel modo di concedersi, sapeva che poteva dare alla testa e creare un'assuefazione tale da non resistere più. Così adesso era confuso in effetti. Era lì ormai e certo non si sarebbe tirato indietro, non lo aveva mai fatto in vita sua e non lo avrebbe fatto adesso. Ma un timore dolce sentiva che gli si affacciava dentro, e quel timore aveva la dolcezza degli occhi verdi di un ragazzo che oltre all'insicurezza e alla paura aveva anche una bruciante voglia di valere, per se stesso e a gli occhi di chi gli diceva cosa doveva fare e che posto poteva o non poteva avere nel mondo. La brezza marina che gli entrava fresca nelle narici, sapeva di salmastro e vento. Gli entrava nei polmoni, calmandogli il respiro e facendolo inspirare forte. Erano già le quattro del pomeriggio ed erano saliti da più di mezz'ora sul traghetto per Belfast. Non sapeva bene il motivo della loro visita in quella città, in automobile avevano parlato per lo più del loro incontro della notte prima e Hanry si era scusato com'era prevedibile, anche troppo, della reazione poco felice che aveva avuto nei suoi confronti. Ma Jake lo aveva rassicurato che per lui era tutto a posto. Era abituato, vista la sua posizione, ad essere trattato in un certo modo e purtroppo anche a non aspettarsi nulla di più da persone del rango del riccio, ma Hanry pareva seriamente dispiaciuto e lui sapeva bene che lo era davvero, così aveva acconsentito a tutta quella follia.
«Vuoi svelarmi il motivo della nostra visita in Irlanda?»
«Non so se voglio dirtelo!»
Hanry era ritornato dalla toilette e adesso si era sporto sul parapetto vicino a lui sorridendogli. Indossavano completi informali, come quando erano andati a Birmingham e Jake non aveva ben compreso ne quanti giorni sarebbero stati via, ne perché uno come Hanry non aveva voluto che qualcuno lo accompagnasse e non avesse portato tutti i suoi vestiti con sé, ma anzi, quella mattina si era solo fatto aiutare a preparare un paio di valige e niente altro, in realtà comprendeva bene il motivo ma avrebbe volentieri voluto sentirselo dire proprio da lui.
«Tieniti i tuoi segreti allora.» replicò mantenendo lo sguardo sull'acqua e non scomponendosi ma anzi, mantenendo il suo sorriso sul volto.
«Così non è per nulla divertente Jake! Se ti arrendi subito non vale.»
«No, davvero non voglio saperlo, penso di volermi godere la sorpresa.»
Hanry si voltò stupito verso l'uomo al suo fianco. Jake lo sorprendeva in modi che non credeva possibili e ora, mentre il mare intorno a loro scorreva placido, improvvisamente anche lui si sentì quasi leggero. Perché per quei giorni avrebbero lasciato alle spalle il Conte e il valletto, per essere soltanto loro.
La sistemazione che Hanry aveva scelto lo sorprese in modo positivo, forse più di quanto avrebbe poi fatto il vero motivo per il quale erano in quella città.
Un grande palazzo in pieno stile Liberty, fatto di marmo bianco, ma elegante e accogliente, che si affacciava proprio sull'oceano, li avrebbe ospitati nell'attico all'ultimo piano. Ma la cosa che davvero sorprese Jake, non fu tanto il fatto della scelta del palazzo, quanto il fatto che non fosse un albergo e quindi non avesse personale di servizio, o almeno non quanto Hanry era solito averne a disposizione.
C'erano solo un portiere e un concierge che li accolsero al piano terra, dove poi presero le scale che li portò all'ultimo piano. Non parevano molto sorpresi del fatto che due uomini dividessero un appartamento e fu subito chiaro il perché. La cameriera li attendeva al piano attico, che altri non era se non un appartamento davvero elegante e molto grande che aveva due camere da letto separate, ecco perché non servivano spiegazioni, informandoli che il servizio in camera era garantito solo all'ora di cena, ma che i Signori, avrebbero dovuto comunicarlo la mattina se volevano usufruirne. L'appartamento era molto luminoso, grandi finestre davano sul davanti dell'edificio, e si vedeva bene l'aria lungo mare di Belfast. Al contrario di quello che si aspettava Jake, l'odore che sentivano era solo quello del mare e non quello del porto, per fortuna.
Il grande salotto era ampio e dotato di ogni comfort, c'erano una vetrinetta con alcolici di vario genere, un divano molto grande dall'aria comoda rivestito di stoffa ocra come le poltrone adiacenti e una piccola scrivania condivisa che faceva da scrittoio con carta intestata e cancelleria a loro disposizione. I mobili di legno chiaro davano un'aria luminosa alla sala e i fiori profumati che adornavano ogni angolo assicuravano una dolcezza palpabile all'ambiente. Le due camere erano vicine e i servizi erano naturalmente dentro di essi. Entrambe avevano grandi finestre luminose, ma una delle due aveva anche la vista migliore sul mare.
«Come farà senza la sua servitù Milord?»
Jake provocando, gli scoccò un'occhiata divertita non appena la cameriera se ne fu andata.
Questo, con i capelli ancora mezzi scompigliati dal vento del traghetto, si voltò a guardarlo e sorrise serio. Jake era convinto avrebbe risposto, magari con una delle sue frasi all'arsenico, ma non fu così. Rimase zitto.
Jake gli lesse nello sguardo però un imbarazzo fine. Non sapeva davvero se uno come lui potesse arrossire in effetti, ma sembrava proprio lo stesse facendo. Il giovane Conte Stafford, probabilmente rare volte si era trovato in situazioni come quella. Certo aveva frequentato Oxford, aveva visto ambienti poco convenzionali nei peggiori pub di Birmingham, e magari aveva avuto qualche avventura in qualche albergo cinque stelle, ma forse, quella situazione così intima e poco soggetta al suo controllo di Conte, non l'aveva mai vissuta e Jake giurò di aver visto un bagliore di leggero imbarazzo nelle sue limpide iridi smeraldo. L'esperienza di Jake questa volta vinceva sicuramente e quindi, perché non sfruttarla? Voleva divertirsi.
«Vuoi bere qualcosa?»
Il sole stava tramontando, la luce splendida che illuminava la baia, entrava prepotente dalle finestre, rischiarando l'ambiente di arancione e rosa, che si fondevano in modo perfetto con il mobilio e la tappezzeria ocra e zafferano. Avvicinandosi al bar che avevano a disposizione, intravide qualcosa che forse avrebbe fatto al caso loro, per smorzare una tensione palpabile, dopo giorni in cui non si erano neanche minimamente sfiorati se non per ovvie ragioni. Hanry che ancora guardava fuori dalle vetrate era irradiato dalla luce del tramonto che lento scendeva nel mare, regalandogli una vista mozzafiato.
«Hanry?»
«Mmh, scusa mi ero distratto, dimmi.»
«Vuoi bere qualcosa?»
Sì, era imbarazzato. Il giovane Conte di Harlaxton per una volta in vita sua era in difficoltà e lui non poteva credere ai suoi occhi. Aveva mantenuto sempre quell'atteggiamento spavaldo fino a che non erano attraccati, poi improvvisamente, la faccenda per lui forse si era fatta più strana del solito o più strana di quello che probabilmente aveva previsto e si era ammutolito.
«Vuoi uscire a cena?»
Jake si avvicinò al riccio con in mano due mezzi bicchieri, Gin e Ginger Ale per Hanry e Whisky per sé, porgendoglielo tranquillo.
«Certo, sì certo usciamo.»
Hanry piano piano sembrava riscuotersi dal suo stato di smarrimento e mentre guardava l'altro che bellissimo e tranquillo di fronte a lui prendeva un sorso dal suo bicchiere ambrato, sospirò forte.
«Perché mi sento così Jake?»
Il valletto non capì subito, ma poi comprese e sorrise ma rimase zitto, forse non era ancora arrivato il momento di divertirsi.
«Perché ti guardo e poi mi sento uno schifo?»
«Credo si chiami senso di colpa, succede quando ferisci le persone e poi te ne penti.»
Touchè.
«Ti chiedo scusa io...»
Jake si avvicinò vedendo il riccio in difficoltà, in quel momento gli sembrò fragile e piccolo sotto quella luce magnifica, con quei ricci scuri e le labbra piene ed imbronciate. Non c'era nulla dell'arroganza e della sicurezza che lo contraddistinguevano, ma anzi, forse quello sguardo glielo aveva rivolto solo un'altra volta, ed era stata quella in cui poi si erano toccati per la prima volta.
«Ehi...Hanry, guardami.» Gli tirò su il mento con due dita, fini e delicate, poi inumidendosi le labbra che già sentiva bisognose di quelle che stava inevitabilmente fissando, continuò a parlare.
«Ti ho già detto che accetto le tue scuse, ora non pensarci più.»
«Sono uno stronzo, sono stato uno stronzo arrogante per tutta la mia vita.» Sospirò ancora rabbuiandosi appena un po' ma cedendo al tocco del liscio «E' che io cerco di attaccare per primo, così da sentire meno male se mi feriscono.»
Jake sapeva perfettamente che era probabilmente in quel modo, che doveva essere proprio vera quella cosa perché anche lui tendeva a farlo, ma sentirglielo ammettere era una vittoria che non avrebbe mai creduto possibile.
Harry si ritrasse sospirando di nuovo, ma Jake lo prese per mano, tirandolo di nuovo a sé.
«So cosa intendi e sì sei davvero uno stronzo arrogante.»
Hanry lo fissò serio, poi vedendolo sorridere, sorrise anche lui.
«Ma capisco la tua situazione, più di quanto tu possa credere, davvero.»
«Come lo sai?»
Hanry poi prese ancora un sorso del liquido chiaro dentro il suo bicchiere con ghiaccio.
«Non essere apprezzato dalle persone che amiamo non è semplice, ma tu cerchi comunque di andare avanti a modo tuo, quindi hai coraggio.»
«Mio padre dice il contrario, dice che non avrò mai le palle per amministrare nulla, che non valgo niente.»
«Lo so cosa dice tuo padre, l'ho sentito. Ma posso dirti una cosa?»
Quella confidenza che stava per uscire dalle labbra del liscio, forse avrebbe avuto una valenza per Hanry che in quel momento Jake non avrebbe mai compreso a fondo, o forse sì. Avrebbe avuto un valore davvero importante. Si stava esponendo ancora una volta, ma sapeva di non poterlo lasciare così, spezzato per i sensi di colpa, incapace di non sentirsi in grado di fare qualcosa, confuso, così semplicemente le parole gli uscirono di bocca.
«Tu vali molto di più di quello che vuole far credere tuo padre Hanry, sei un uomo intelligente, spigliato, sei una persona con una personalità precisa e definita tanto da essere unica. La tua sola mancanza è quella di non avere affetto da chi in realtà avrebbe dovuto dartene da sempre.»
Jake sapeva di stare osando, non sapeva quale poteva essere la reazione del giovane Conte, ma continuò perché un Hanry che in quel momento pareva avere sedici anni e lo guardava imbambolato come se di fronte a sé ci fosse il suo mentore, non lo faceva resistere.
«Puoi prendere le tue decisioni, puoi essere chi vuoi essere anche senza tuo padre.»
«Mio fratello mi odia, non so neanche come fare per riuscire a rivederlo quando tornerà.»
Jake perse un battito a sentir parlare di Edmund e sapeva anche che quando lui si fosse presentato alla Tenuta, lui forse non ci sarebbe potuto essere al fianco del riccio, ma sorvolò.
«Sei molto più di quello che dice tuo padre, vali tanto quanto tuo fratello, anzi io sono sicuro che tu vali anche di più.»
Gli costò molto fare quell'affermazione ma le parole non potè controllarle. Il viso di Hanry quasi s'illuminò, Jake non poteva giudicare più di tanto il fratello di Hanry perché effettivamente secondo lui non lo aveva mai conosciuto, ma poteva stillare in lui il dubbio della fedeltà a quella famiglia, o almeno poteva provarci.
«Mio padre vede solo lui, non mi ha mai trattato allo stesso modo, mai. Certe volte penso che per lui l'avermi cresciuto dandomi quello che aveva dato a Edmund sia stato uno spreco di tempo e denaro, perché non l'ho mai reso fiero in effetti, e non so neanche se m'importi davvero o no a questi punti.»
Un altro sguardo mesto, il valletto posò il bicchiere di vetro sul tavolino alto accanto ad una delle poltrone, poi prese quello di Hanry e fece lo stesso, l'altro non parlò ma rimase zitto a guardargli i gesti sicuri. Poi gli si avvicinò e gli prese entrambe le mani.
«Mio padre mi diceva sempre che spesso il sangue non conta.»
Hanry lo guardò perplesso, pareva non capire.
Jake sorrise, perdendosi un po' nel ricordo e riuscendo a distinguere nello stesso momento nel suo stomaco, una sensazione che lo fece tremare, come di tante farfalle che si muovevano all'unisono, quasi gli mancò il respiro, poi riprese.
«Mi diceva che non sempre quello che vogliono per noi i genitori o quello che siamo per loro, è giusto. Noi dobbiamo essere, fare e sentirci chi vogliamo. Figli, fratelli, amici, se si ha consapevolezza di quello che possiamo essere e del nostro valore, nel bene o nel male, il sangue non conta. Due persone possono essere anche padre e figlio, ma se per te quello che sta facendo tuo padre non è giusto, non dovresti appoggiarlo. Se tu vuoi seguire un'altra strada Hanry, dovresti provare a farlo.»
«Io non mi sento legato a mio fratello.»
L'altro sorrise, perché sperava in quelle parole.
«E allora non diventare come lui.»
Jake gli mise una mano su una guancia, calda e comprensiva. Hanry si abbandonò a quel tocco.
Tante cose pensava di dirgli, ma non quelle. Come aveva potuto citare le parole di suo padre in quel momento, il padre che proprio la famiglia di Hanry aveva ucciso. Come poteva concedergli la saggezza di sua madre Ravi proprio in quel contesto, mentre pensava anche un po' a suo fratello Kiran e alle cose che gli aveva nascosto solo il giorno precedente per tutelare se stesso. Si odiava un po', si odiava tanto forse, ma sentiva che Hanry in quel preciso istante aveva bisogno solo di sentirsi dire la cosa giusta, da lui. Nessuno gliel'aveva mai detta, ne era certo, neanche il Russo che aveva tanto amato e che poi lo aveva abbandonato per le sue idee rivoluzionarie spezzandogli il cuore in mille pezzi. Era certo di essere l'unico che poteva parlargli in quel modo, rischiando tutto, sì rischiando ogni cosa, ma allo stesso tempo osando. Ma sapeva anche che Hanry arrivati a quel punto di quella bizzarra relazione fatta di sesso e confidenze strane, parole non dette e frasi sussurrate, non lo avrebbe tradito, perché in quel momento lui era diventato l'unica vera ancora che lo teneva a galla in quel mare di squali.
«Sai alla fine quello che sembra di più un Conte in questa stanza sei tu Jake.»
Il liscio sorrise e gli posò un flebile bacio sulla bocca, che voleva tanto riassaporare dopo la loro piccola separazione. Hanry non sapeva quanto quelle parole fossero vere in realtà, ma Jake continuò a baciarlo e lui si aggrappò con entrambe le mani alla sua giacca, mentre ora l'altro gli teneva il viso premendogli i palmi sulle guance, mentre approfondiva il loro bacio.
«Mi sai leggere dentro come mai nessuno è riuscito a fare.» Hanry glielo sospirò sulle labbra, in un sussurro flebile che però Jake zittì ancora con la lingua che ora calda e ammaliante, lo assaggiava ancora e più in profondità.
«Io non...»
«Sssh ora basta, lascia che mi prenda cura di te.» Jake in un sussurro più forte del suo, riprese il bacio che il riccio aveva interrotto ancora per dire altro. Ma in quel momento non voleva sentire più nulla, più nulla che non fossero i gemiti di piacere di Hanry provocati solo e soltanto da lui.
Si spogliarono lentamente cercandosi le bocche e rincorrendosi i sospiri. Erano arrivati in una delle due camere da letto, velocemente, inciampando sui loro stessi piedi e non ponendo resistenza alcuna alle loro intenzioni. Dalla grande finestra della camera da quel lato dell'appartamento, le tende bianche appena tirate lasciavano intravedere il centro della città che piano piano si stava preparando alla sera. Completamente nudi, si ritrovarono uno sopra all'altro. Jake dopo aver lasciato una scia di baci umidi e caldi, sui capezzoli già turgidi di Hanry, lo trascinò da sotto le gambe fino al bordo del letto, dove inginocchiandosi di fronte a lui, iniziò a prendersene cura. Hanry lo guardava dall'alto, tenendogli una mano dentro i capelli fini e castani, così morbidi e setosi che il riccio non poteva fare a meno di sentir scorrere tra le dita. Gli tremavano le gambe e ringraziò mentalmente Jake per averlo fatto stare seduto o altrimenti non avrebbe resistito a tutte quelle attenzioni insieme, non in quella situazione. Con le mani il liscio gli percorreva ogni centimetro di quelle cosce muscolose e snelle, risultato delle tante ore di equitazione, così belle e chiare da far invidia a qualsiasi ragazza avesse mai visto. Gli passò le mani sull'addome piatto, e tracciò il segno della peluria accennata che dall'ombelico scendeva fino al basso ventre. Inspirò forte l'odore muschiato che Hanry aveva tra le gambe, gli faceva girare la testa tanto era buono e tanto gli era mancato. Poi sulla punta della lingua sentì un sapore astro e deciso, un gemito più forte di Hanry gli fece capire che stava godendo davvero della sua bocca che lo avvolgeva con un ritmo incredibile, mandando ancora di più in estasi Jake.
«Sei così bello Hanry.»
Il giovane Conte sembrò arrossire. Jake non poteva credere che il cambiamento che Hanry stava compiendo fosse anche, in parte, opera sua, ma lo sapeva e avere questo strano controllo su di lui lo eccitava all'inverosimile e in tutti i sensi possibili.
Jake spinse leggermente in basso il riccio dalla pancia, così che lui capendo si abbassò ad appoggiarsi sui gomiti. Tirò la testa all'indietro quando vide Jake mettersi due dita in bocca, e sospirò perché sapeva benissimo che cosa significava.
«J sbrigati, non ce la faccio più...»
Hanry era bisognoso. Non aveva mai avuto così tanta voglia di fare sesso con la stessa persona per così tante volte. Ma con Jake era completamente diverso. Gli sembrava di fare sesso anche con il pensiero. Ogni cosa che lui voleva, Jake gliela dava, sembrava sempre capire di cosa avesse bisogno e non solo per lavoro, ma in generale e soprattutto durante i loro incontri clandestini avvenuti tanto spesso in camera sua ad Harlaxton. Jake faceva sesso anche con i suoi sentimenti, glieli leggeva addosso e li prendeva per poi stravolgerli e ridarglieli più usati e stropicciati di prima ma pieni di vita, rinati e rinvigoriti. Hanry si abbandonò alle dita del liscio che lo penetrarono mentre anche l'altra mano continuò a dargli piacere. Sollevò una gamba su una spalla di Jake che capendo subito di quanto il suo amante avesse bisogno di lui, spinse ancora più in profondità e continuando a mordicchiargli appena l'interno coscia facendolo gridare appena, per poi tornare ad assaggiarlo.
«Mi vuoi?»
«Sì, ti prego...»
Jake lasciò un ultimo sospiro sull'erezione di Hanry che gemette e poi si arrampicò su di lui, portandolo su con sé fino a metà letto.
Blu e verde ad incontrarsi. Questa volta, c'era una nuova fiducia tra loro, c'era una nuova complicità una nuova scintilla. Non smettevano di toccarsi, di sfiorarsi, di assaggiarsi, pelle contro pelle, petto contro petto, i loro odori insieme a formarne uno solo unico e inimitabile.
«Mi vuoi?»
Chiese nuovamente Jake, che già si faceva strada in lui che ora reclamava le sue labbra e tirando le gambe a sé gli lasciava più spazio per possederlo.
«Tanto.» lo affermò con lussuria, con desiderio, Jake ebbe un sussultò d'eccitazione e non poté attendere oltre. Entrò in lui con una spinta decisa e forte. Hanry gridò, ma Jake fu subito sulle sue labbra.
«Ansima per me, voglio sentirti.»
Hanry mentre gli mordeva le labbra e lo guardava con occhi lucidi tra piacere e dolore, fece sì con la testa, per poi iniziare a gemere in contemporanea con i movimenti e le spinte sempre più poderose di Jake.
«Sei così bello per me vero?»
«Solo per te.»
Jake intanto spingeva e si guardava scomparire in Hanry che gli regalava gemiti profondi e rochi ad ogni spinta vigorosa. Hanry era in uno stato di estasi celestiale, le sensazioni che lo assalivano erano tante, e ce n'era una che sentiva in profondità nel suo stomaco che forse appena contrastava quella più fisica e bruciante che sentiva al suo basso ventre. L'aveva già respinta una volta, l'aveva fatta tacere in molte occasioni, ma ora sembrava voler uscire, insistente e tenace contro lo stomaco e il cuore.
Gli occhi di Hanry si riempirono di lacrime, sopraffatto dalle emozioni di quella giornata che non era ancora finita. Jake improvvisamente si fermò, credendo di avergli fatto male.
«Hanry scusa io...»
«No, no ti prego non ti fermare...»
«Sei sicuro io...»
«Ti prego, ti voglio.»
Jake non capì sul momento, avrebbe capito dopo, qualche tempo dopo forse. Così ancora ammaliato dal suo corpo che lo accoglieva così bene e che si faceva possedere, sentì ancora Hanry gemere il suo nome e dirgli che lo voleva.
Hanry gemeva e si apriva ancora, Jake gli guardava il corpo e sentiva che erano vicini. Ancora altre spinte, poi Hanry tirò la testa indietro roteando appena gli occhi, il momento perfetto era arrivato.
«Harry vieni per me...»
Quelle parole, quella frase, Hanry se la sognava di notte e il suo corpo ogni volta reagiva, così mentre Jake dava le ultime spinte profonde, Hanry con un gemito più forte degli altri si lasciò andare liberandosi tra le mani di Jake e sul suo ventre, tremando forte, scosso da brividi di eccitazione.
Jake sentendo gli spasmi lo seguì qualche spinta dopo, liberandosi a sua volta dentro di lui inondandolo di piacere e gemiti rochi simili ai suoi.
Rimasero a letto ansimanti, appagati e consci che un nuovo capitolo tra loro poteva aprirsi da quel momento. Nudi e distrutti in un letto a caso in Irlanda, si strinsero l'uno all'altro, facendo scorrere la pelle d'oca sui loro corpi e rimanendo in silenzio per lunghi istanti.
L'unico Pub aperto a quell'ora, era in centro. Si erano fatti chiamare una vettura dal portiere, erano saliti in fretta non rendendosi neanche conto di aver lasciato i cappelli e le giacche a casa. Avevano solo pantaloni scuri, camice bianche, bretelle e due cappotti scuri molto simili per proteggersi dal vento che ancora imperversava su quell'isola anche a primavera inoltrata. Si erano addormentati qualche ora uno tra le braccia dell'altro e mentre Hanry si concedeva di rinfrescarsi in bagno, Jake che ne aveva già usufruito si fece un Ginger Ale con ghiaccio per ingannare l'attesa. Erano affamati a dire il vero, ma ormai erano passate le nove di sera e l'unico Pub che poteva rifocillarli era il White Whale in centro, che a detta del portiere, faceva il miglior Fish and Chips di tutta Belfast.
«Quindi ancora non vuoi dirmi che ci facciamo in Irlanda.»
Hanry mentre si gustava il suo merluzzo fritto con patate, prese prima un lungo sorso di Guinness scura e guardando divertito Jake che a sua volta stava mangiando avidamente il suo stesso piatto, gli fece un sorriso beffardo e rispose.
«Mi pare evidente no? Siamo venuti a fare del sesso e a chiarire alcuni punti della nostra strana relazione.»
«Sssh Hanry, cazzo...Non c'è nessuna relazione.»
«Oh sì che c'è Signor Scott, c'è una relazione sessuale.»
«La smetti di dire sesso...»
Jake parlò a voce bassa, mascherando il riso dietro al suo boccale di Guinness. Hanry sembrava rinvigorito, il giovane Conte di Harlaxton pareva essere tornato, ma era decisamente più simpatico e meno impostato in effetti e questa cosa gli piaceva da morire.
«Non volevi che fosse una sorpresa?»
«Sai come mi chiamavano da piccolo?»
«Come?»
«Scimmietta, il che vuol dire che...»
«Che sei così curioso che faresti di tutto per sapere ogni segreto nascosto di qualcuno, in questo caso i miei.»
«Esatto.»
«Ma non posso dirtelo, mi dispiace, ormai lo vedrai domattina.»
Jake si appoggiò allo schienale della seduta su cui erano e riprese a bere tranquillo, mettendo a tacere la sua smodata curiosità.
«Non sono mai stato in Irlanda.»
«E' una terra affascinante a dire il vero, ma non ci vengo spesso, o colto l'occasione.»
«Hai delle terre anche qui Milord?»
Hanry sorrise di nuovo e si accese poi una sigaretta che Jake gli stava porgendo, dopo che aveva acceso la sua.
Tirò avido e sospirò.
«No niente possedimenti qui, ma in India sì, lì mio fratello ha fatto un Impero, a Jaipur proprio da dove veniva la tua amica della tua strana collana.»
Jake preso alla sprovvista da quel discorso, tossì forte e quasi si soffocò dal fumo e dalla sua stessa saliva che gli era andata di traverso.
Non avrebbe dovuto chiedere, no, proprio no, stupido Jake. Una fitta al cuore gli arrivò rapida appena sentì la parola Jaipur, la sua Jaipur, la sua Città Rosa splendida e che gli mancava tanto da star male, ma che gli provocava anche tanto tanto dolore.
«J tutto bene?»
«Sì...sì ora mi riprendo, scusa...»
Tossendo ancora un po', riprese piano il controllo di sé e un lungo sorso di birra per rinfrescarsi le idee. I capelli già scompigliati ora gli ricadevano sulla fronte e Hanry che gli si era avvicinato per dargli delle pacche sulle spalle e farlo smettere di tossire, lo guardò con occhi lucidi.
«Tutto bene? Sei sicuro?»
Tirò su lo sguardo arrossato e fermo, incontrò i suoi occhi che non gli erano mai sembrati così sinceri e annuì.
«Sì, sì tutto bene.»
«Mi hai fatto spaventare.»
«Il fumo ha solo preso la strada sbagliata, nulla di che, va tutto bene.»
Hanry si rimise al suo posto. La camicia bianca con un paio di bottoni aperti sul davanti, faceva intravedere a Jake le clavicole sporgenti che tanto gli piacevano e prendendo un lungo respiro, continuò ad interagire con il riccio che però si era ammutolito.
«So che non ti piace parlare di tuo fratello.»
«No per niente.» disse stizzito l'altro, ma con uno sguardo malinconico ad ombreggiargli il volto.
«Non dobbiamo farlo, ero solo curioso.»
«Non è colpa tua, hai solo chiesto, ma sai anche la faccenda del viaggiare m'infastidisce.»
«Che vuoi dire?»
Jake sapeva che l'argomento che stavano per affrontare probabilmente gli avrebbe fatto male, ma era masochista e così continuò a voler capire che cosa voleva dirgli, che cosa aveva da raccontargli che cosa voleva condividere con lui di quei sentimenti segreti che stavano venendo a galla, quindi rimase in ascolto.
«Mio padre non mi ha mai mandato più lontano di Oxford. Intendo per tanto tempo. Non sono mai stato mandato a concludere trattative in Asia o in America, non ho mai legato con nessuno che non fosse stato prima scelto da mio padre.»
Jake lo ascoltava in religioso silenzio, la sua vita al contrario era stata molto diversa e quello che era e che voleva essere era anche il frutto di quelle esperienze di vita che aveva vissuto, delle diverse culture che aveva incontrato. Jake era un girovago, Hanry no, ma sembrava volerlo diventare da come i suoi occhi brillavano.
«Ti va di fare due passi?»
Chiese Jake, prima di farlo continuare. Una volta fuori, nella fresca aria Irlandese, si accesero di nuovo una sigaretta e stretti nei loro cappotti scuri mezzi sbottonati, camminarono verso il porto, illuminati in qualche punto della strada da lampioni a olio molto grandi in ferro battuto, che lasciavano fasci di luce aranciata sulla strada.
L'odore forte del vento era piacevole ma penetrante, Jake sorrise al ricordo delle parole di Connor la sera prima «Bastardo che non sei altro, come osi andare nella mia terra senza di me?» avevano poi riso entrambi e salutandosi si erano dati la buona notte.
Hanry camminava lento, mentre pareva soppesare ogni tiro della sua sigaretta tra le dita fini, poi riprese a parlare.
«Forse la sua è mancanza di fiducia, anzi lo è di sicuro, ma mi sarebbe piaciuto viaggiare.»
«Non potrai farlo?»
«Jake mi sposerò.»
Un macigno tra di loro cadde silenzioso. Ovvio che si sarebbe sposato ma lui lo aveva quasi scordato in effetti. Perché come poteva pensare a Hanry tra le braccia di una donna mentre la possedeva, quando era lui stesso ad entrargli dentro così spesso da averlo imparato quasi a memoria e avergli impresso nella carne il suo desiderio? Jake parve riscuotersi da un sogno. Hanry doveva sposarsi, lui avrebbe compiuto quello che doveva, Kiran con lui, poi sarebbe tornato alla sua vita di prima, forse, e tutto sarebbe finito. Non ci sarebbe più stato Hanry, mai più le loro cavalcate con Kindness, mai più il suo sapore sulla lingua, mai più le dolci parole sussurrate, mai più i suoi ricci scuri e le sue cosce morbide, i suoi libri lasciati ovunque e i suoi completi bizzarri, non ci sarebbe più stata l'ora del tè e neanche la campanella a colazione, mai più baci rubati in ogni stanza della tenuta o sveglie alle cinque di mattina per preparargli gli stivaletti che amava vedergli indossare. Jake si trovò di fronte alla cruda realtà che gli piombò addosso dolorosa, ma che non si aspettava minimamente. Perché era accaduto tutto quello? Perché aveva dovuto concedersi a lui? Perché il ricordo di Maji ora non bruciava più così tanto nel suo petto, ma sembrava stesse invece guarendo? Perché?
«Jake?»
Il castano si riscosse, chiamato da Hanry e dalla sua mano che gli strinse la spalla.
«Sì, scusa ero distratto, dicevi?»
Le sue domande avrebbero trovato una risposta in qualche modo, ma non in quel momento.
«Ti ho chiesto, se tu hai viaggiato tanto invece?»
«No, no non molto in realtà.» Tagliò corto per non dovergli ulteriori spiegazioni spiacevoli, che avrebbero implicato troppi puntini da collegare e troppi indizi che poteva scoprire, invece lo incalzò ancora una volta con un'altra domanda, per scoprire ancora un po' cosa il giovane Conte di Harlaxton gli nascondeva.
«Perché non sei mai stato in Russia?»
Hanry si fermò un attimo. Come mai ogni volta Jake sembrava rendergli le cose così difficili? Ad Hanry pareva una disgrazia infinita solo il fatto di doversi sposare e non poter più avere piena libertà con lui, se avesse acconsentito a rimanere suo valletto, figurarsi parlare di Ilya. Non aveva mai parlato a nessuno di Ilya, forse solo una volta aveva accennato qualcosa alla Signora Davies, ma solo perché era in un momento di profonda crisi e debolezza e la sua pena d'amore era proprio agli inizi, credeva in effetti che la donna avesse capito più di quello che c'era da capire in effetti, ma non si era mai più di tanto fatto domande su quello, pazienza.
«E' una cosa difficile da spiegare.»
«Provaci, abbiamo tempo.»
Hanry rise, sperando di farlo cedere però non lo faceva e anzi, si sorrisero ancora entrambi.
«Eravamo molto amici ad Oxford te l'ho detto, lui era un anno avanti a me e era così interessante, così misterioso, romantico nei modi che...non lo so era scattato qualcosa tra noi.»
Jake si morse appena le labbra vedendolo perdersi nei ricordi e osservandogli gli occhi ci riconobbe sincerità e una punta di commozione. Era diverso il suo parlare di quella esperienza ora, rispetto a quando lo aveva fatto alla tenuta.
«Lo invitai ad Harlaxton per passare un periodo in sua compagnia, ovviamente mio padre andò su tutte le furie, figurarsi portare un Russo in casa sua!» sorrisero entrambi.
«Mi piaceva tanto Ilya. Ma avevo già capito che in lui c'era la scintilla della rivoluzione. Lui e i suoi dannati occhi nocciola, erano fuoco dentro il freddo inverno Russo nella mia immaginazione. Lui non poteva darmi quello che io cercavo, e anche se mi ha fatto passare momenti molto belli, e mi ha donato Guerra e Pace, io anche quella volta non ero la cosa più importante.»
Rallentò con le parole alla fine del discorso, all'inizio era incalzante poi rendendosi conto di star esternando dei sentimenti nascosti in fondo al suo cuore, rallentò come per fermare il fiume in piena che però non smise di scorrere.
Jake rimase ad osservarlo mentre nel frattempo erano arrivati sul lungo porto a poche centinaia di metri dal palazzo che ospitava il loro lussuoso appartamento. Il rumore della risacca e dei gabbiani era piacevole e l'aria ancora più pungente.
Jake si strinse nel cappotto e prese di nuovo un'altra sigaretta tanto per tenere le mani occupate, perché avrebbe voluto baciare Hanry in quel momento, con quegli occhi così verdi e scuri che lo guardavano, le guance arrossate e il volto quasi scarno, ma non poteva certo farlo lì, li avrebbero arrestati come minimo, anche se lui desiderava tanto portargli via il ricordo del Russo ed imprimergli il suo.
«Tu sei importante Hanry.»
Attese una risposta dal riccio, intanto questo si avvicinò deciso a sfilargli la sigaretta dalle labbra e poi guardandosi intorno prima, per controllare che non ci fosse nessuno, se la mise in bocca e strinse una mano del castano. Jake sussultò appena colto alla sprovvista da quel gesto.
«Tu dici?»
«Ne sono sicuro.» Fece una silenziosa pausa. «Per la Wilkinson sicuramente!»
Scoppiarono entrambi a ridere sciogliendo le loro mani, Hanry gli fu grato di avergli smorzato la tensione che sentiva nelle ossa, poi finendo la sigaretta, tornò di nuovo serio e Jake lo seguì.
«Non lo sono mai stato, per nessuno credo, ma vorrei esserlo un giorno.»
«Tu forse credi di non esserlo per nessuno, ma magari è perché ancora non lo sai.»
Jake fermati, non dire altro, fermati! Il suo cervello gli chiedeva a gran voce di tacere, ma il suo cuore, quello forse voleva solo esplodere lì in quel momento su quel marciapiede di Belfast in una serata Irlandese, grondando desiderio e voglia di rivelarsi, solo per non dover più vedere gli occhi di Hanry con quel velo di tristezza che li ricoprivano.
«Voglio crederti Jake Scott, stasera mi sembri sincero.»
L'altro sorrise.
«Lo sono.»
«No che non lo sei, tu nascondi tante cose, ma tieniti pure i tuoi segreti, forse un giorno magari me li dirai.»
Jake sussultò ancora una volta a quell'affermazione, ma sorrise beffardo per mascherare la verità dell'imbarazzo.
«Stasera vorresti essere importante per qualcuno?»
Hanry alzò lo sguardo verso di lui che gli si era avvicinato ancora. Sorrise mostrando le sue fossette ai lati del viso.
«Sì vorrei.»
Jake gli si avvicinò, il riccio indietreggiò, erano esposti su una strada non potevano fare stupidaggini, ma poi Hanry trovando la balaustra che dava sul mare non poté più scansarsi oltre e rimase immobile e serio. Jake gli si avvicinò ad un orecchio e sussurrando parlò.
«Potresti esserlo per me questa notte.»
Mentre si possedevano al sicuro tra le mura di quell'appartamento nessuno dei due parlò. Si sentivano solo il rumore del mare, il vento, le onde, i gabbiani in lontananza, i loro ansimi, i loro gemiti profondi e prolungati, la loro pelle che sfregava sulle lenzuola bianche e pulite dell'altra stanza ancora immacolata che dava sul mare. Le loro mani collidevano tra loro a tenersi, a stringersi, si sentivano mormorii che erano solo sospiri ma sembravano invece volersi dire di più in muti sussurri. Perché le parole quella notte erano superflue. Ogni cosa tranne loro sembrava inessenziale in quella chiara notte Irlandese. D'importante c'erano solo loro due.
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