Capitolo 13
Ci sono solo due errori che si possono fare nel cammino verso il vero: non andare fino in fondo e non iniziare.
Buddha
Voleva togliersi il pensiero il prima possibile. Sapeva che era solo un effimero sollievo ma quella mattina non riusciva a pensare a nient'altro che a Jake. Possederlo quella notte era stata una delle sensazioni più belle che avesse provato, averlo per se, sentirlo cedere sotto di lui, sentire una fiducia crescere in lui, che poteva magari iniziare a dargli, almeno per una volta. Una cosa che non aveva mai provato prima per nessuno tranne che per se stesso e solo quando era a cavallo.
Il cielo era coperto per metà da un velo di nuvole biancastre, la primavera ormai inoltrata era soleggiata e abbastanza calda per la zona, ma quel mattino il sole andava e veniva. Affrontare quella lunga mattinata con il sole pieno non sarebbe stato così difficile forse, magari sarebbe stato meno fastidioso, ma sapeva anche che quel giorno più di una cosa che non gli piaceva doveva essere affrontata e quindi si rassegnò. Sul sedile posteriore della Sperber nera che lo stava portando a Melton Mowbray di nuovo in quel mese, era assorto nei suoi pensieri, guardando fuori dal finestrino la campagna inglese che scorreva lenta. Gli occhi verdi e lucidi gli si illuminavano e si scurivano appena quando alcuni alberi riparavano il riverbero del pallido sole mentre la vettura sfrecciava per le strade. I suoi ricci sempre ribelli e scuri, gli ricadevano un po' sulla fronte e quella mattina mentre il suo valletto personale lo stava vestendo per l'incontro che lo attendeva, erano stati accarezzati ancora una volta da quelle mani forti ma delicate, quelle punte delle dita che ormai voleva addosso in continuazione e dalle quali non riusciva a staccarsi. Aveva scelto un completo taupe abbinato ad una camicia bianca con colletto all'italiana, era perfetto come sempre. Impeccabile come solo un giovane Conte Inglese può essere. Gli stivaletti mogano erano stati lucidati con cura, la bombetta dello stesso colore del vestito attendeva accanto a lui sul sedile. Aveva indossato l'anello degli Stafford quel giorno, uno zaffiro piatto e rotondo con la montatura dorata che troneggiava sul suo dito medio della mano destra. Aveva bisogno di sentire su di se qualcosa che lo legava indiscutibilmente alla sua famiglia, gli avrebbe anche dato la giusta motivazione per affrontare la mattinata, anche se lo sentiva freddo quel giorno, estraneo, come se dopo tanto tempo dall'ultima volta che lo aveva indossato si fosse plasmato alla sua mancanza. Alla mano sinistra invece, sempre sul dito medio, vi era un anello d'oro sempre piatto con incisa sopra una H in corsivo. Lo amava, lo aveva sempre portato fin da ragazzino quando ancora gli andava troppo largo. Non si ricordava per che occasione lo avesse ricevuto, ma gli piaceva moltissimo e soprattutto gli piaceva il segreto che conteneva, al suo interno infatti, lungo la circonferenza, c'era un incisione piccolissima che lo faceva sentire al sicuro senza capirne bene il motivo.
Per sempre nel mio cuore.
Si passò le nocche della mano destra sulle labbra piene, per sentire il contatto proprio con quell'anello e il pensiero gli tornò a quella notte, a quanto si era sentito desiderato, a quanto quel valletto insolente dagli occhi più belli che avesse mai visto, lo faceva vacillare ogni volta. Anche se lui provava a sembrare superiore a tutto quello che gli stava succedendo, non credeva di riuscirci, sarebbe stato ogni giorno più difficile sottrarsi a lui, lo sapeva. Era passione certo, probabilmente un capriccio ovvio, come poteva pensare ad altro. Ma c'erano degli sguardi spesso sfuggevoli, dai quali non voleva ritrarsi e che anzi, bramava sempre di più perché voleva capirli, conoscerli, sentirli ancora su di se.
Connor guidava tranquillo e rilassato. Il Signor Foster aveva il giorno libero e così Hanry aveva preferito la presenza allegra e discreta del suo cameriere preferito, che all'occorrenza faceva anche da autista. Sapeva bene che quella mattina non avrebbe potuto portare con se la sua scorta. Doveva rinunciare alla compagnia del Signor Scott, perché non poteva pretendere ancora pazienza da suo padre e soprattutto dal Signor Wood e la Signora Davies, che anche se non avrebbero mai osato dirgli niente a riguardo, sapeva che l'assenza continua di Jake nelle ultime due settimane, o almeno la sua presenza non costante, poteva non essere gradita al personale di servizio, e certo lui non voleva mettere nei guai il suo valletto preferito.
La presenza del biondo comunque lo tranquillizzava. Connor era sempre stato il suo favorito da quando era arrivato e averlo intorno lo rasserenava. L'Irlandese aveva più o meno l'età di Hanry, era spesso di buon umore e non lo trattava come tutti, con fin troppa accondiscendenza e di questo ne era felice. Quando qualche giorno prima lo aveva visto intrufolarsi di nascosto nella stanza di Jake, reggendo il gioco in modo impeccabile, lo aveva non solo ringraziato molte volte, ma lui stesso gli aveva fatto capire che con lui i suoi segreti potevano essere al sicuro.
«Connor cosa ne pensi del Signor Scott?»
Diretto, deciso, senza tanti giri di parole. Voleva sapere, era curioso ma il suo valletto pareva centellinagli le informazioni su di se come se fosse l'ultimo litro d'acqua in mezzo ad un deserto e lui non poteva fare a meno di pensare sempre e soltanto a togliersi la sete, era diventato un chiodo fisso.
«E' una domanda a trabocchetto Signore?»
Hanry sorrise, incrociando lo sguardo azzurro e vivace dell'altro nello specchietto retrovisore, che con un accento Irlandese che faticava ad andarsene anche dopo anni, domandò tranquillo.
«No Connor, niente trabocchetti, sono solo molto curioso di sapere come si comporta il mio valletto. E' gentile con voi? E' rispettoso? Lavora bene?»
Connor non tardò a rispondere, anzi incalzò subito il giovane Conte di Harlaxton.
«Ah Signore! Il Signor Scott sembra non avere difetti mi creda. E' sempre disponibile con tutti noi, è puntuale, è molto bravo nel gestire i suoi compiti, è attento con lei, se mi permette. Ha un'innata propensione per gestire ogni suo bisogno, sembra quasi che sappia di cosa ha veramente bisogno un giovane Conte.»
«Sì l'ho notato, in effetti, è abbastanza impeccabile.» Hanry tornò a guardare fuori.
«Ed è anche molto gentile, le ragazze del servizio lo adorano, gli sono già affezionate, e il Signor Wood è parecchio contento. La Signora Davies all'inizio aveva delle remore, è vero, ma si sta ricredendo ogni giorno. Sa quanto ci tiene a lei Milord, vuole sempre il meglio e in Scott ha trovato un valido professionista, mi creda.»
Connor sapeva che Hanry aveva un particolare interesse per Jake. Era il suo valletto certo, passavano molte ora insieme, e lo aveva visto probabilmente anche in una fragile intimità che a pochi spettava. Ma dagli sguardi fugaci che aveva notato, alle attenzioni sempre più fisiche che si donavano anche quando nessuno vedeva, aveva capito che forse da parte di entrambi c'era qualcosa che andava ben oltre la sfera professionale. Ma lui chi era per giudicare? Da quando Jake era entrato in quella casa il giovane Conte sembrava rinato in poco tempo e la lucidità con cui affrontava alcune giornate, si rispecchiava automaticamente anche in tutti loro.
Sapeva bene che con l'inizio di Giugno sarebbe tornato Edmund ad Harlaxton e sapeva anche che quando il fratello era nei paraggi, Hanry scompariva. Si eclissava e cercava in ogni modo di non stare per troppo tempo con suo fratello in presenza dei genitori. Ma quella volta era diverso. Quella volta Hanry doveva risultare impeccabile e meritevole agli occhi di Edmund e non solo, perché doveva sposarsi, perché doveva fare progetti con i Wilkinson che non solo avrebbero arricchito entrambe le famiglie, ma avrebbero anche sollevato ancora più in alto il nome degli Stafford. Il giovane Conte avrebbe amministrato le terre in Inghilterra mentre Edmund avrebbe proseguito i suoi affari in Oriente. No, quella volta non poteva fare come il sole quando è coperto dalla stessa ombra della terra e scomparire nell'oscurità. Quella volta doveva esserci ed esserci davvero. Connor sapeva molto bene queste cose perché osservava e ascoltava tanto, forse anche troppo a dire il vero.
Hanry era infatti consapevole di una cosa, e lo stava realizzando solo in quel momento mentre la macchina lo portava placida verso la sua meta. Hanry chiedeva di Jake a Connor e voleva sapere tante cose del castano, perché voleva un ancora. Un ancora a cui potersi aggrappare anche solo per qualche istante senza essere trascinato via dalla marea, senza fluttuare in un vortice di mare in tempesta tra sentimenti e doveri. Gli serviva quell'appiglio saldo che mai aveva avuto ma che forse stava trovando. Un complice che potesse tirarlo fuori da situazioni scomode ogni volta avesse voluto, una persona di fiducia. Forse stava comunque correndo troppo, forse non doveva lasciarsi ingannare o far sì che l'altro gli oscurasse il cervello con i fumi del sesso, ma non poteva farci nulla, sentiva qualcosa, era attratto profondamente da qualcosa in lui e questo non poteva certo nasconderlo.
«Ne sono felice. Mi avete tirato fuori da un bel guaio al pub, devo di nuovo ringraziarti Connor.»
«Si figuri Signore, ho fatto solo il mio dovere.» ma sapeva che non era così.
«Devo ringraziarti invece, per tutto.» e rivolgendo di nuovo lo sguardo allo specchietto, Connor intese subito a cosa si riferiva e annuì.
«Non c'è di che Signore.»
Arrivati alla tenuta dei Wilkinson, Hanry fu accolto per un veloce brunch nel giardino d'inverno che era stato allestito per l'occasione.
Elizabeth Wilkinson si era presentata in un abito color blu di Prussia che male cozzava con quello di Hanry e che non gli donava minimamente poiché i capelli scuri adesso mezzi sciolti su un lato, non facevano certo risaltare i suoi lineamenti e neanche il colore del vestito. Quella ragazza avrebbe avuto bisogno di licenziare la sua cameriera personale, pensò il giovane Conte, che ringraziò se stesso e anche Jake, per riuscire ad azzeccare i colori dei suoi completi.
Il volto ovale e stranamente equino della ragazza, che Hanry trovava bello solo nei suoi amati cavalli, e si era anche chiesto il motivo del perché non lo trovasse attraente su di lei visto che li amava, era arrossato, segno che l'imbarazzo non l'abbandonava mai. L'inconfondibile odore sgradevole che il riccio mal sopportava, era ancora purtroppo persistente nella sua persona, ma doveva resistere. Si diceva che magari una volta sposata gli avrebbe potuto confessare questo segreto e aiutarla a trovare una fragranza più consona alla sua pelle, anche se in quel momento l'unica che gli veniva in mente e tentava disperatamente di ricordare per non fare strane smorfie, era quella dell'intimità del suo valletto. Elizabeth Wilkinson non era stupida, sapeva che un partito come il figlio minore del Conte di Harlaxton, era tanto anche per lei, ma ci provava anche se aveva da subito capito che non sembrava andargli molto a genio anche se lei avrebbe voluto. Non erano molti i giovani aristocratici con il volto e il corpo di Hanry Stafford, forse lui era l'eccezione unica di una sfilza di Lord che conosceva e dai quali non voleva neanche essere presa in considerazione, sapendo di avere lui a disposizione in effetti. Ma sapeva anche che il giovane Stafford aveva i suoi vizi, tutti ne parlavano a Notthingam e anche a Londra. Tutti credevano di averlo visto più volte a festini di dubbio gusto, pub dai quali stare alla larga, o visto parlare con gente poco raccomandabile. Però leggendo il telegramma che aveva ricevuto il giorno precedente in cui esprimeva le sue più care scuse per averla piantata in asso il giorno della battuta di caccia e dove chiedeva di essere ricevuto l'indomani, perché aveva da porgere un invito alla Signorina, la facevano ben sperare. Quindi aveva provato a destare in lui interesse, desiderio, curiosità ma anche quella volta durante il brunch lui non fu catturato dalla sua presenza.
Ma almeno cercò di non darlo a vedere.
«Elizabeth, vorrei invitarti alla tenuta per metà Giugno, si terrà un piccolo ricevimento per mio fratello Edmund che torna da uno dei suoi lunghi viaggi, e mi piacerebbe che tu ci fossi.»
La signorina a quelle parole avvampò, posando sul tavolinetto basso davanti a lei vicino alla sedia imbottita sulla quale era seduta, una tartina al salmone. Guardò Hanry che davanti a lei, seduto con le gambe accavallate sorseggiava del tè Earl Grey con una grazia mai vista, e gli notò un sorriso all'angolo destro della bocca, mentre avvicinava la tazzina bianca di ceramica decorata con fiori blu.
«Certamente ne sarei felice.» arrossì ancora ma continuò.
«Vostro fratello è molto impegnato ho sentito, voi avete il desiderio di seguirlo nei suoi affari?»
Elizabeth cercava di instaurare conversazioni innocenti, davvero, ma il fatto era che purtroppo non volendo premeva sempre sui punti sbagliati, a quel punto Hanry s'innervosiva e non poteva celarlo. Così arricciando il naso più del solito e tirandosi indietro i ricci che gli stavano ricadendo sul volto, posò la tazzina da tè, si alzò con riguardo, gli si avvicinò, gli fece uno dei suoi baciamano più languidi di sempre e guardandola negli occhi gli rispose.
«Vi manderò un telegramma con la data del ricevimento, se volete scusarmi temo di dover andare.»
«Ve ne andate di già?»
La ragazza si alzò goffamente ancora senza respiro per aver guardato dentro a quegli occhi verdi mai visti prima, e mentre lui allontanandosi da lei si sistemò la giacca sul davanti, non guardandola neanche più negli occhi, gli rispose.
«Temo di sì, ho delle faccende importanti da sbrigare.»
Importanti, aveva usato la parola importanti di proposito, non urgenti, ma importanti. Come se creare un certo legame, seppur fittizio, con la sua futura moglie non fosse importante, come se fosse una cosa che poteva benissimo tralasciare ad un'altra volta o ad un altro momento, magari ad un'altra vita.
«Allora aspetto un telegramma.»
e mentre Hanry era già sulla soglia pronto per uscire dal giardino d'inverno e dirigersi a passo svelto lungo il cortile per salire di nuovo in macchina, gli rivolse un ultimo sguardo.
«E' quello che ho detto. Arrivederci Elizabeth.» Sorridendogli, se ne andò, lasciando lei di nuovo lì, di nuovo sola, nuovamente interdetta e paonazza, ma questa volta di frustrazione.
***
Jake era irrequieto. Non riusciva a capacitarsi come fosse successo quello che era effettivamente successo la notte prima. Come aveva potuto cedere così? Un conto era possedere qualcuno, andarci a letto, divertirsi, un conto per lui era il farsi possedere in quel modo, guardandosi in faccia, godendo all'unisono del piacere profondo che poteva darti un amante. Aveva avuto alcuni uomini certo, ma quasi mai lasciava che lo prendessero e se succedeva in momenti di estrema fragilità che non riusciva a controllare, lo faceva senza neanche guardarli in faccia. Perché quello che voleva era solo sesso, dolore, ebrezza e possibilmente un orgasmo. Quindi si era stupito di se stesso e di aver ceduto. Ma lo aveva realizzato solo quando, stanco e ancora sudato, si era alzato da quelle lenzuola calde che avrebbero accolto Hanry ancora fino al mattino, e mentre si rivestiva aveva improvvisamente ripreso lucidità. Solo un'altra persona nella sua vita aveva avuto modo di poterlo avere in quel modo, solo una persona che però adesso non c'era più e che lui voleva dimenticare ad ogni costo, perché ricordarla gli faceva troppo male. Ma era stato spontaneo e per come era fatto lui, una cosa simile era davvero rara, forse non per il giovane Conte però. Non si era ancora reso conto quanto potere avesse su di lui. Non a livello lavorativo, certo, ma esercitava su di lui un influenza così forte che anche lui stesso si stupiva, anzi era incredulo. Era incredibilmente assuefatto da lui, lo voleva, lo desiderava, lo avrebbe accompagnato ovunque e avrebbe fatto tutto quello che gli avesse chiesto. Si odiava. Quanto si odiava per questo. Perché tutto poteva succedergli in quella vita, in quella sua missione, tranne che provare quelle strane sensazioni per il figlio minore del Conte Stafford. Ma non poteva controllarlo. Non ne era capace, non poteva nasconderlo, non a se stesso e soprattutto, sapeva che avrebbe fatto di nuovo quell'errore se l'altro lo avesse voluto; quella stessa notte, tra due notti, nascosti da qualche parte nella tenuta o in qualche città vicina, sapeva che quella non sarebbe stata l'ultima volta anche se lo aveva pensato. Anche se lo avrebbe davvero, davvero tanto voluto, perché così sarebbe stato tutto quanto più facile e molto meno doloroso.
«Signor Scott, buon pomeriggio! Mi permette due parole?»
La Signora Davies, impeccabile come sempre nel suo vestito scuro, con la chatelaine in bella mostra e i capelli perfettamente raccolti in un morbido chignon di intrecci scuri, striati solo in alcuni punti di bianco, richiamò la sua attenzione all'improvviso.
«Certamente Signora Davies.»
Quella donna era molto austera, sempre seria e dedita al lavoro come nessun altro, ma era anche molto gentile e Jake per sua fortuna, gli andava a genio, o almeno così pareva. Smise di lucidare l'ultimo paio di scarponcini che aveva in programma di riporre poi per la stagione invernale e seguì la Signora Davies nel cortile sul retro.
L'aria era fresca ma calda, Maggio ormai era giunto al termine e la bella stagione aveva rasserenato gli animi, almeno così sembrava. Connor, tornato da un paio d'ore dalla sua missione a Melton Mowbray, era intento con il Signor Foster a pulire le tre automobili del Conte e gli fece un cenno con la mano libera dallo strofinaccio, per salutarlo, una volta fuori. La Signora Davies s'incamminò per qualche metro, sembrava quasi volersi allontanare da orecchie indiscrete. Jake ebbe un sussulto. Era stato molto attento, sempre furtivo, sempre assolutamente silenzioso in quelle notti al suo rientro, ma forse, pensò, la Signora lo aveva sentito e...
«Come si trova con noi Signor Scott? Ormai sono più di due mesi pieni che è in servizio qui, mi chiedevo se la sua mansione l'aggrada.»
Per fortuna non era quello che credeva, o almeno sperava, con lei mai nulla era certo. La Davies lo osservò seria, ma dietro quel muro di austerità sembrava esserci della dolcezza. Si tranquillizzò.
«Moltissimo Signora, sono contento, davvero e in confronto ai primi giorni beh...»
La Davies sorrise e lo guardò dritto negli occhi.
«In confronto ai primi giorni direi che avete fatto passi da gigante, non trova?»
Jake rispose al sorriso ma era confuso, non capiva che piega stava prendendo la conversazione. La governante probabilmente se ne accorse perché aggiunse subito dopo.
«Voglio dire, il primo giorno il Signorino non voleva neanche che toccasse la sua roba, adesso si fa accompagnare persino agli eventi mondani, qualcosa deve averlo colpito in lei.»
La donna sorrise ancora, ancora ricambiata dal castano, che in divisa impeccabile come sempre, si aggiustò la giacca sul davanti e per non tenere le mani ferme, le mise dietro la schiena continuando poi a seguire la Signora nella loro piccola passeggiata.
«Devo ammettere che non è stato facile, ma è molto piacevole sapere che il mio lavoro può andare anche oltre i semplici doveri di un valletto.»
Si fermò un solo secondo e guardò la Davies che a sua volta lo stava guardando muta. Doveva recuperare il discorso, non sapeva cosa stava dicendo e se era quello che lei voleva sentire soprattutto.
«Sono lusingato che il Signorino mi voglia con sé se posso essergli utile, ecco.»
Ma la frase si concluse subito, perché la governante lo aveva afferrato per un braccio con delicatezza ma con presa salda e si era fermata facendolo voltare. I lineamenti di quella donna erano davvero dolci quando sorrideva e Jake si era chiesto più di una volta come fosse per una signora della sua età, rinunciare a tutto per servire una famiglia che non fosse la sua, dedicare tutta la vita ad altri. Lui stesso aveva avuto governanti e persone al suo servizio, ma quando si era ritrovato in quel ruolo mai come in quel momento ci aveva pensato. Ravi per lui era sempre stata come una madre, quindi non se lo era mai chiesto prima.
«Non deve smettere Signor Scott!»
Alla Signora Davies sembrarono inumidirsi gli occhi, la guardò ancora con attenzione. Una folata di vento fece scendere un ciuffo di capelli sulla fronte del valletto e la donna continuò ad incrociare il suo sguardo sicura delle parole che gli stava rivolgendo.
«Non deve demordere. Il Signorino ha un carattere difficile, terribilmente viziato e scontroso molto spesso, ma ha un grande cuore mi creda.»
Jake ascoltava senza fiatare.
«Ha avuto tanti momenti dolorosi da affrontare, e forse tanti altri lo aspettano, ma lei non deve cedere. Non so cosa è successo, ma da quando c'è lei non si è più messo nei guai come prima.»
Jake era assorto e recepiva in silenzio tutto quello che la governante aveva da dirgli.
«Sono settimane che non torna ubriaco da un pub o che non si caccia in risse con gente poco raccomandabile, da quando è tornato da Oxford. Eppure queste erano le serate che gli piacevano, solo queste.»
Il valletto avrebbe voluto raccontare l'episodio del Black Deer e di Birmingham ma sorvolò.
«Hanry è terribilmente frustrato per la situazione con Edmund e con la Signorina Wilkinson, ma noi ci teniamo tanto a lui.»
La governante sembrava quasi commossa, proprio come il Signor Wood quando aveva implorato Jake di andare a prendere Hanry a Notthingam. Si vedeva quanto tenessero a lui, si percepiva che in mancanza di tante carezze da Milady, Hanry forse da piccolo le aveva avute dalla Signora Davies. Si capiva quanto il Signor Wood lo aveva visto crescere e diventare un giovane uomo. Tutti parlavano di lui come il giovane Conte bisbetico certo, come biasimarli, ma il personale di servizio di quella casa, aveva anche una parola buona per lui, sempre. Connor compreso.
«Mi dica che proverà ancora a tenerlo d'occhio, a fare il possibile perché non si cacci in situazioni spregevoli.»
«Certo Signora Davies, farò il possibile.»
Lei lo guardò con occhi lucidi, poi tolse la mano dal suo braccio che forse non si accorse di aver tenuto stretto per tutto quel tempo.
«Grazie Signor Scott, so che lo farà. Non sa quanto piacere mi ha fatto vederla accompagnarlo a cavallo, è una cosa che non ha mai permesso a nessuno, lei deve ritenersi fortunato. Non fa avvicinare nessuno ai suoi cavalli, mai.» La donna sorrise e lui di rimando, mentre s'incamminarono ancora.
«E' stato un piacere, era tanto che non montavo ma con il suo aiuto Signora, avevo anche una divisa perfetta.» Era contento di quello scambio di pensieri. Non lo avrebbe mai creduto ma i suoi colleghi lì ad Harlaxton lo stavano piacevolmente sorprendendo.
«Lei montava spesso prima?»
«Ogni tanto, quando potevo nei miei giorni liberi.» Tagliò corto rimanendo sul vago e mentendo ancora un'altra volta spudoratamente.
«Bene, bene! Spero che avrete occasione di entrare ancora di più in confidenza, vedrà che il Signorino si abituerà sempre di più a lei, lo sta portando su una buona strada.»
Non sa quanto, Signora Davies! Gli sarebbe piaciuto risponderle, ma naturalmente annuì e basta.
«Mi fa piacere Signora, faccio quello che posso, davvero.»
Con un cenno veloce, la Signora gli sorrise nuovamente e così fecero per tornare indietro, discreti e silenziosi, verso la porta sul retro.
«Ah, prima che mi dimentichi Signor Scott!»
La donna sembrava essersi risvegliata dalla loro chiacchierata confidenziale ed essere tornata la precisa governante di casa Stafford.
«Mi dica Signora.»
«Quasi dimenticavo il vero motivo della nostra conversazione...stasera a cena, ci sarà l'amministratore Brown con il Conte, Milady e il Signorino, per parlare di alcune questioni della tenuta.»
Jake annuì serio.
«Le chiedo la cortesia di assistere alla cena, in veste di Maggiordomo.»
Il castano ebbe un sussulto.
«Il Signor Wood purtroppo oggi è indisposto e temo che non riuscirà ad esserci. La prego Signor Scott se potesse togliermi dall'impiccio, solo per questa sera. Presenzierà solo per vedere che tutto sia apposto.»
Il valletto era confuso, non aveva mai fatto le veci del Maggiordomo e non era sicuro di riuscire, ma non poteva rifiutare, e poi sapere cosa avessero di importante da dirsi in quella cena così speciale, lo incuriosiva non poco. Così rispose con una semplice frase.
«Mi dovrà trovare una livrea all'altezza della serata temo.» Sorrise alla donna che di fianco a lui, gli rivolse uno sguardo di ringraziamento che non aveva mai visto.
«Sapevo di poter contare su di lei Signor Scott.»
***
Il colletto gli stringeva, la cravatta era insopportabile e il panciotto lo faceva sudare. Non era sicuro di poter arrivare a sera in quel completo ma la livrea da Maggiordomo che la Signora Davies gli aveva trovato, linda e pulita per quella cena, era davvero bellissima doveva ammetterlo. Il problema era che non ci si sentiva minimamente a suo agio. Era abituato ormai a quella vita certo, ma presenziare ad una cena voleva dire controllare che ogni cosa fosse al suo posto, anche se stessi, e riuscire a farlo mentre Hanry lo fissava in continuazione con uno sguardo poco velato, come se volesse letteralmente spogliarlo in sala da pranzo, non era il massimo per il suo autocontrollo.
La livrea nera con le lunghe code e i bottoni dorati, lo faceva sembrare un vero Maggiordomo con i contro fiocchi e sapere che quella divisa suscitava quel tipo di reazione nelle persone gli piaceva non poco, dopo tutto il suo ego non doveva sparire insieme al suo titolo nobiliare no?
Anche Milady non appena varcò la soglia dovette cercare di richiudere la bocca rimasta appena aperta nel vederlo così elegante, impettito, ordinato e davvero bellissimo. Jake era una visione per gli occhi e lei non poteva certo negarlo, un così giovane valletto, con quegli occhi così belli e chiari e i lineamenti taglienti e affusolati, non passava certo inosservato. Milady aveva notato lo straordinario portamento e le buone maniere impeccabili di Jake, quasi come se avesse ad un certo punto desiderato di volerlo per se al posto della Signora Miles, ma poi si era riscossa dai pensieri ed entrata nella stanza aveva solo commentato.
«Complimenti Signor Scott, devo ammettere che la livrea le dona molto.»
Lui come un perfetto gentiluomo naturalmente aveva fatto un mezzo inchino e facendogli strada al suo posto scostandole la sedia per farla accomodare, di fronte ad un Hanry completamente ammutolito, aveva risposto semplicemente.
«La ringrazio Milady, ma nulla può battere la sua eleganza, se mi permette.»
Dannato valletto insolente! Hanry tirò su un angolo della bocca e distolse lo sguardo, solo per schiarirsi la voce e chiedere poi...
«Signor Scott, potrebbe versarmi del vino? Lo gradirei molto.» Tornò nuovamente a fissarlo, bramando le sue attenzioni come acqua nel deserto, ancora una volta. La serata era continuata così con loro due che si guardavano e cercavano contemporaneamente cercando di non farlo, cosa quasi impossibile.
Hanry era tornato in tempo per il tè delle cinque e aveva sbrigato alcune faccende con il padre nel suo ufficio, era terribilmente nervoso e scostante e sapeva che gli sarebbe servita la presenza di Jake per affrontare la serata con i genitori e l'amministratore Brown, ma non aveva messo in conto quel cambio di programma. Una volta arrivato in camera infatti, dopo aver chiamato Jake, sperava di vederselo arrivare come ogni sera in tutta la sua bellezza, con un sorriso beffardo sul volto, ma invece no. Dalla porta uscì Michael. Hanry ringraziò se stesso per non essersi già spogliato anche se avrebbe davvero tanto voluto farlo e ascoltando le spiegazioni del cameriere che si era improvvisato valletto per la serata, sotto indicazioni specifiche di Jake, si era preparato e ancora più nervoso era sceso al piano di sotto. Incrociare poi lo sguardo del suo valletto in quel completo e vedere sua madre così eccitata nel notarlo tanto affascinante, gli avevano fatto andare il sangue al cervello troppo velocemente e una sorta di gelosia era nata in lui.
Sentendo quella sensazione alla bocca dello stomaco, che gli formicolava, non poté fare a meno di domandarsi se anche Jake quella mattina, sapendo che lo stava preparando per andare dalla Wilkinson, l'avesse sentita. Forse anche lui sentiva una velata gelosia? Forse era così che ci si sentiva a tenere a qualcuno?
Per Ilya aveva provato amore certo ma per poco perché poi la rabbia, la delusione e la frustrazione avevano preso il sopravvento, non aveva avuto tempo per la gelosia, ma adesso era diverso. Il desiderio bruciante che provava per quell'uomo che così improvvisamente era entrato nella sua vita e gliela stava decisamente sconvolgendo, era tanto forte quanto spaventoso. Era solo desiderio si ripeteva, era solo passione si diceva, ma forse non era del tutto vero.
Comunque vedere sua madre così emozionata da lui per la prima volta dopo mesi, lo mandò su tutte le furie così cercò ogni modo per attirare l'attenzione del nuovo Maggiordomo su di sé. Riuscendoci. Jake boccheggiava, ogni volta che Hanry lo guardava era come immergersi ancora e ancora dentro quel liquido verde che sapeva di assensio e artemisia. Quel liquido che poteva donare lievi allucinazioni e giramenti di testa, gli ricordava gli occhi di Hanry, perché il giovane Conte stava diventando sempre di più un vizio profondo e lui ormai sapeva di esserne assuefatto.
Mantenne la calma e la compostezza che si addicevano al suo ruolo e a fine cena si ritrovò anche ad ascoltare la conversazione tra il Conte e il suo amministratore, ma solo perché aveva sentito un nome che ben conosceva, purtroppo.
«Nessuno vuole quella dimora, ma è un peccato lasciarla marcire. I Thompson erano una famiglia estremamente ricca, forse tra i più ricchi d'Inghilterra.»
Il Conte Stafford stava chiacchierando concitato con il Signor Brown mentre Hanry sorseggiava ancora vino come se nulla fosse, poco concentrato sulla discussione, al contrario di Jake.
«Perché non comprarla voi? Voglio dire, è una villa maestosa, potrebbe essere adatta ad un suo erede no?» Il signor Brown insisteva con il Conte, ma questo er perplesso e aggiunse.
«Hanry tu conosci la tenuta dei Thompson a Castle Howard?»
Jake era di spalle al cassettone in mogano dietro il Conte e stava cercando inutilmente di far cessare il tremore che gli stava squassando il corpo dal profondo. Ma non ci riusciva. Sentire quelle parole, sentire il suo nome in quella casa, sentire che parlavano delle sue cose come se già gli appartenessero, era peggio di una doccia gelata. Il cuore gli si era fermato nel petto, ne era sicuro non lo sentiva più, e sembrò che ogni forza fisica se ne fosse andata in un istante, facendolo quasi barcollare, così tanto che Connor gli si affiancò per capire se fosse tutto a posto.
«Jake ti senti bene?» sussurrò il ragazzo biondo quasi facendo finta di nulla.
«Sì..sì Connor sto..sto bene non preoccuparti.» Cercò di riprendersi.
«Sei molto pallido, sei sicuro?»
Jake si strinse una mano sul cuore perché gli stava facendo male da morire il petto e strizzando gli occhi cercò di riprendersi velocemente.
«Certo, non...non preoccuparti...va tutto bene, finiamo il nostro lavoro.»
«Hanry mi senti?» Il giovane Conte si riscosse alle parole del padre, si era voltato per capire cosa stesse succedendo a Jake che pareva tremare, impercettibilmente ma tremava, come se si stesse sentendo male, ma poi distolse lo sguardo e tornò su quello del padre.
«Sì padre, sì ho sentito. No non conosco quella tenuta ma ho sentito dei Thompson. So che avevano molte ricchezze nelle vecchie Colonie Orientali, so che erano estremamente ricchi sì.»
«Ricchi è dire poco Milord.» Intervenne il Signor Brown che ancora stava sorseggiando vino quasi estasiato da quella cena così elegante.
«I Thompson avevano il controllo di gran parte del commercio di tessuti dall'India, avevano praticamente un Impero, ma purtroppo tutto è andato in rovina. Alla morte del Conte e dell'incidente dell'incendio alla loro tenuta in Oriente, si sono perse tutte le tracce della famiglia che si era creato là e soprattutto del suo unico erede maschio.»
«Edmund ha assistito al matrimonio del Conte Thompson con un Indiana, ci pensate? Perfino il Mahraja era presente.» Spiegò il Conte Stafford, divertito dal racconto esotico che si stava sviluppando.
Jake non riusciva a tenersi in piedi, una strana debolezza lo aveva preso, non si aspettava di dover affrontare tanto, ma doveva farcela. Doveva ad ogni costo resistere per cercare di raggiungere i suoi obiettivi. Così si morse il labbro inferiore fortissimo e tornò nella sua posizione di attesa, dritto con le mani dietro la schiena, impeccabile e impettito, come un Maggiordomo doveva apparire.
«Oh sì certo, ma dopo fu tutto perduto. Il figlio non si trovò più, morto dicono in molti e nessuno a mai reclamato le sue ricchezze che così sono passate direttamente alla società che gestisce tutt'ora i commerci.» concluse il Signor Brown.
«Società con a capo mio fratello.» Hanry quasi con stizza prese un ultimo sorso di vino, per poi voltarsi verso Jake che era a due passi da lì per chiederne ancora. Cercò il suo sguardo, ma questa volta non lo trovò. Jake era vuoto.
«Società che ci sta portando tanto Hanry, e adesso anche tu dovresti fare la tua parte. Se prendiamo Castle Howard, potresti gestirla tu insieme ad Harlaxton e subentreresti con Edmund nella gestione del patrimonio.»
«Non voglio fare a gara con Edmund a chi gestisce meglio ricchezze non nostre padre.»
Jake non si aspettava una frase del genere dal giovane Conte, riuscì solo in quell'istante a deglutire bile però e riprese fiato, per poi tornare in apnea.
«Se le compriamo legalmente saranno nostre.»
Jake strinse talmente forte i denti che pensò di spezzarseli.
«Certo è possibile. Era rimasto solo lo zio dell'erede Thopson, che custodiva la tenuta, anche lui morto in circostanze poco chiare in effetti.» intervenne ancora il Signor Brown.
Jake sentiva di non riuscire più a respirare, ma non poteva cedere, non adesso, non in quel momento, doveva resistere, come faceva da anni, come gli avevano insegnato a fare, come sapeva di dover fare.
«Padre non posso, non posso prendere ciò che non è mio di diritto.»
«Non te lo sto chiedendo Hanry.» il Conte sembrò innervosirsi.
«Dobbiamo cercare di portare il nome degli Stafford più in alto che possiamo, potrebbe essere la vera occasione che attendevamo. Dopo aver guadagnato la fetta più grossa del commercio tuo fratello ha assunto altro potere e con questa stangata finale potremmo avere più del settanta per cento della compagnia, potrebbe diventare nostra a tutti gli effetti.»
Jake non riusciva a rimanere lucido. Sentire di come avevano smembrato la sua vita e di come parlavano di dividersela così semplicemente come fosse una torta, non tenendo conto delle persone che c'erano dietro a quella storia, dei sentimenti e delle anime di gente che era morta per denaro, gli faceva salire la bile alla gola e aveva voglia di sputarla fuori, in faccia ai presenti, vomitargliela addosso. Ma doveva mantenere la calma.
«Non voglio padre. Io mi sposerò come mi avete chiesto e cercherò di amministrare Harlaxton Manor nel miglior modo possibile, ma non prenderò ciò che non è mio di diritto. Non adesso. Non voglio ancora competere con mio fratello.»
«Hanry ti proibisco di parlarmi così.» Il Conte stava andando su tutte le furie.
«Padre dico solo che...»
«Basta! Adesso basta!»
Milady che si era distratta da tutto quel chiacchierare di affari che non la riguardavano si spaventò, il Signor Brown fece il gesto di pulirsi la bocca per stare zitto, Hanry fu impietrito sul posto. Jake si voltò verso il Conte ormai paonazzo dall'imbarazzo.
La sala si gelò per un attimo.
«Mi scusi Signor Brown. Ma mio figlio deve capire che ancora la sua parola in questa casa non conta come vorrebbe e certe volte devo insistere perché capisca.»
Hanry guardò ora il padre con sguardo lucido e glaciale.
«Riprenderemo questo discorso dopo che tuo fratello sarà tornato, tu farai quello che ti verrà chiesto, senza obiettare.»
Hanry annuì muto, gli occhi lucidi, il respiro appena affannato. Il Signor Brown si schiarì la gola e il Conte Stafford come se nulla fosse gli rivolse un sorriso cordiale e lo invitò a seguirlo nella stanza da fumo per sigari e brandy che lui accettò di buon grado, Milady si ritirò nelle sue stanze. Hanry rimasto solo a tavola, tornò con gli occhi a Jake che lo guardava con un'espressione indecifrabile in volto. Il giovane Conte non voleva apparire debole, non voleva sembrare un buono a nulla, ma lui sentiva che quello non era giusto. Hanry non voleva le responsabilità che il padre voleva dargli. Lui amava quella vita, adorava avere tutto quello ma sapeva che non avrebbe mai e poi mai potuto competere con suo fratello, neanche nell'affetto dei suoi genitori. Quindi perché prendere anche qualcosa che non era suo? Perché spingersi così oltre? Come potevano parlare di patrimoni perduti e acquisto di dimore come se fossero automobili o cavalli?
Hanry avrebbe già avuto da fare i conti con i Wilkinson per tutta la sua vita, avrebbe dovuto combattere con la sua sessualità per sempre, avrebbe dovuto vivere una vita che non era quella che desiderava davvero, perché anche quello? Perché competere fino allo sfinimento con suo fratello per conquistare l'amore che invece gli spettava di diritto?
Si alzò dalla sedia in modo brusco e mentre Connor che stava sparecchiando la tavola gli sussurrò un flebile «Buonanotte Signore.» che ricambiò educato, se ne andò.
Jake spostandosi sull'altro lato della sala ancora mezzo sconvolto, chiuse la porta che divideva la stanza da fumo da quella per la cena e attese che l'ospite di Milord se ne andasse.
Per la successiva ora e mezza che Jake dovette sorbirsi di discorsi futili sull'aristocrazia Londinese che il Signor Brown aveva intrapreso con il Conte Stafford, non poté fare a meno di recitare i suoi mantra. Doveva calmarsi, doveva assolutamente farlo. Sapeva la verità, conosceva ogni cosa di quelle dinamiche di cui avevano fatto cenno a cena, le aveva vissute in prima persona, ma per arrivare al suo obiettivo, doveva attendere, perché no, no il momento non era ancora arrivato. Ma c'era vicino. A complicare ulteriormente le cose, c'era Hanry. Perché lui non poteva certo sapere che Hanry fosse così, non credeva di dover ricoprire un ruolo così importante in quella casa quando si era fatto assumere spacciandosi per qualcun altro. Perché non aveva pensato di dover salvare quel giovane uomo, perché non aveva creduto di desiderare così tanto qualcuno, soprattutto lui, soprattutto uno Stafford. Ma era successo, trovare addirittura un giovane Conte che non ambisce alla ricchezza dei genitori, ma a cui piace solo la vita comoda, che vorrebbe solo amore, perché lui sapeva che era quello che più bramava dai suoi familiari e magari anche da qualcuno, rendeva le cose ancora più complicate.
Così quando altre due ore dopo, la campanella nel tabellone vicino alle cucine che segnalava la camera di Hanry suonò, Jake ancora in livrea dovette presentarsi alla sua porta per non destare dubbi o domande, esausto e sfinito per il servizio, i sentimenti contrastanti che provava e l'adrenalina che aveva dovuto soffocare per ore che iniziava a circolargli in corpo.
Hanry rimase senza fiato quando lo vide arrivare, due profonde occhiaie gli solcavano il viso, sembrava un fantasma e lui doveva essere il suo specchio preciso, perché il giovane Conte non aveva trattenuto le lacrime e nel buio della sua stanza aveva sfogato urla silenziose e dolore. Quello che aveva davanti non era certo lo stesso uomo che aveva visto impeccabile e bellissimo qualche ora prima, aveva intuito che qualcosa lo avesse turbato durante la cena, doveva solo capire che cosa. Probabilmente era solo la stanchezza, forse Jake era solo stanco, ma voleva averlo ancora per se, voleva essere ancora egoista, di nuovo, ne aveva bisogno.
«Mi sei mancato oggi.»
Hanry fece per avvicinarsi al valletto che si era appena richiuso la porta alle spalle, ma si bloccò quando una mano sul suo petto lo fermò dall'avvicinarsi ulteriormente.
Hanry era confuso, ma ci riprovò.
«Se vuoi faccio io...»
«Non stasera.»
Il riccio non capiva, voleva guardarlo in viso ma Jake gli nascondeva lo sguardo dal suo perché non voleva perdersi nell'assenzio scuro di quella notte sapendo di non potergli resistere, un ciuffo di capelli castani e fini gli ricadeva sulla fronte, celando di più il suo viso. Un volto esausto, deluso e colpevole.
«Ti voglio Jake...»
«Non io...non stasera.»
Si voltò senza dire altro come per andarsene. Hanry in uno slancio di coraggio lo bloccò tirandolo a se per un braccio. Non capiva, perché non lo voleva più? Cosa era successo in così poche ore di lontananza? Perché veniva sempre rifiutato dalle persone a cui si affezionava? Cosa sbagliava? Cosa?
«Guardami Jake!» Disse ancora piano ma deciso, voleva capire.
«Lasciami Hanry.» Il valletto scosse il braccio come per scrollarselo di dosso «Non stasera ho detto.»
Ma lui non gli diede ascolto. Provò a baciarlo girandogli a forza il viso, ma Jake lo spinse via abbastanza forte da farlo indietreggiare. Era stanco, sfinito da tutto e improvvisamente una lucidità che sapeva di aver perso in quelle settimane tornò a galla facendolo sentire uno schifo per quello che stava facendo, per tutto quello che dentro di se stava tradendo.
«Lasciami stare, ti prego Hanry, non stasera.»
Aveva la voce flebile e arrochita dal dispiacere, ma sempre rispettosa, ancora una volta prima il dovere. C'era rabbia ma era sottomessa all'angoscia e Hanry dovette capirlo perché non provò più ad avvicinarsi anche se lo voleva da morire. Il riccio respirava affannosamente, era arrabbiato, ma non si avvicinò più.
«Non puoi dirmi di no, lo sai.»
«Stasera posso.»
«Potrei farti cacciare.»
«Non lo farai.»
«Perché?»
«Non stasera Hanry.»
«Perché?»
«Non stasera.»
Voltandosi aprì la porta della camera e uscì, appoggiandosi poi alla porta di nuovo chiusa alle sue spalle prendendo un respiro profondo, prima di tornare nel downstairs, prima di tornare al posto che spettava al Signor Scott.
***
Residenza Thompson, Londra, 4 Ottobre 1902
Caro भाई , *fratello
Descrivere in questa lettera la mancanza che provo in questo momento dopo aver letto le tue parole è difficile ma ci proverò. Siamo diventati dei giovani uomini e di questo non posso che essere felice. Devo ammettere di aver sorriso alla vista di te con il turbante, ma mi sento fiero e so che rendi fiera anche tua madre e mio padre. Lo sento. Non potrei chiedere di meglio per portare avanti il nome della famiglia che un socio come te.
La vita in Inghilterra scorre troppo veloce, non ti lascia il tempo per pensare, per riflettere, per cercare di sentirne i battiti emozionanti che ti riserva. Certe volte mi sembra di aver vissuto un sogno in India, una parentesi di poche ore invece che di anni intensi e meravigliosi che mi hanno condotto a voi. Voglio tornare Kiran, voglio tornare perché mi mancate e ho bisogno di sentire ancora l'odore forte del curry piccante, di ritrovare i suoni celesti dei mantra sussurrati e di rivedere la nostra città che si tinge di rosa ad ogni sorgere del sole.
La nonna è testarda, come mio padre d'altronde, e vorrebbe che trovassi la mia strada qui, io gli sono grato per tutto quello che mi sta insegnando e per questa opportunità ma non credo di poter rimanere, il mio cuore soffrirebbe. La vita di Londra può essere estremamente affascinante e credimi se ti dico che ti piacerebbe. I ricevimenti sono spesso sopra le righe, le giovani signore dell'alta borghesia qui tendono ad essere abbastanza disinibite quando non ci sono i valletti a sorvegliarle. Proprio l'altro giorno sono stato invitato per un tè, quello che ancora insistono a chiamare così ma ti assicuro che non lo è, al Claridge's un magnifico Hotel in centro, ti piacerebbe sicuramente, ma non so se accetterò l'invito. Le mie storie sulla nostra terra risultano sempre molto interessanti e di vasto interesse, suscitano curiosità, ma certe volte ho come l'impressione di essere più un intrattenitore che un futuro Conte o un ragazzo interessante da conoscere. Le persone qui sono giudicanti, un passo falso e finisci in fondo alle liste degli invitati delle cerimonie ufficiali, un affronto come questo la povera nonna non lo tollererebbe, sai che è già molto anziana, ma il solo pensiero che possa accadere mi fa sorridere. Quanto poco è importante l'essere davvero se stessi e quanto è essenziale l'apparire? Se sei Conte vali tanto a prescindere, se sei senza un titolo invece non sei nessuno. Come posso vivere in un luogo dove tutto quello che costruiamo con tanta fatica è così effimero da non esistere più dopo un solo passo falso?
Certo ci sono anche le cose belle non posso negarlo.
Stare con i cavalli alle Royal Mews mi piace sempre tantissimo, non sai cosa ho imparato a fare con loro, saresti fiero. Questa estate sono stato a Berlino per qualche settimana, una città davvero affascinante ma le temperature non fanno per me anche se ho avuto il piacere di vederla nella calda stagione e ne sono rimasto colpito.
Adesso mi trovo alla residenza a Londra, ma la nonna preferisce sempre stare a Castle Howard, l'aria di campagna gli fa bene e io devo ammettere che mi trovo più a mio agio lì che qui in questo caotico mondo moderno.
Mi manchi tanto Kiran, vorrei tornare ad Howard e averti qui per poterti raccontare tutto e condividere con te quello che mi succede, come ho sempre fatto. Mi consoleresti dalle delusioni, non mi giudicheresti per le mie scelte, potrei raccontarti di quanto ho sofferto e di come certe volte mi sento spezzato in due perché mi manca parlare l'hindi liberamente e mi mancate tutti voi.
Voglio tornare presto e spero di farlo quanto prima. Forse un anno passerà più in fretta con il pensiero di riabbracciarvi.
Non mi dimentico di voi, mai potrebbe accadere. Sei mio fratello da sempre, il sangue per me conta poco. Abbraccia Ravi e digli che la porto sempre con me perché mai mi stacco dal suo mālā che me la ricorda. Stai vicino a mio padre, so che per lui sei come un altro figlio.
Ti abbraccio forte
Tuo fratello Jake
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