Capitolo 12
Ci sono tre cose che non possono essere nascoste a lungo: il sole, la luna e la verità.
Buddha
Sulla carrozza ristorante del treno delle 14 che lo stava riportando a Londra, l'avvocato Bennet stava mangiando una entrecôte al sangue. Sorseggiò un bicchiere di rosso del 1908 che si era concesso per sfizio e guardò fuori dal finestrino il paesaggio che scorreva veloce davanti a lui. Il nervosismo non sembrava essere passato ma i suoi piani per la serata non sarebbero cambiati anzi, adesso ancora di più sentiva il bisogno di quel capriccio che si concedeva di tanto in tanto, sempre con la stessa persona discreta, riservata e bellissima.
Aveva rivisto volentieri Hanry, ma sapeva che il giovane Conte era imprevedibile e certo non si sarebbe aspettato di rischiare la rissa proprio a Birmingham, magari sotto gli occhi di tutti e aveva sorvolato. Il nuovo valletto, che aveva capito benissimo non essere solo quello, perché ormai conosceva Hanry da anni, sembrava saperlo difendere e anche se sapeva che il riccio non ne aveva bisogno, non si era sentito in colpa a lasciarlo in quel modo. Il suo nuovo amante lo avrebbe riportato a casa, perché tutto poteva nascondergli Hanry Stafford, ma non la tensione sessuale che gli riconosceva negli occhi dai tempi di Oxford e da intenditore qual era, aveva capito subito che l'affascinante Signor Scott era molto più di un semplice valletto.
Ma non erano certo affari suoi, li avrebbe rivisti presto perché la situazione alla tenuta di Harlaxton non era delle più rosee tra Edmund che stava per tornare e Hanry che si doveva fidanzare. Alla fine doveva fare il suo lavoro e cercare di essere un avvocato impeccabile e non solo un amico fraterno del giovane Conte, quindi decise che per quel weekend avrebbe pensato solo a sé e ai suoi bisogni che richiamavano insistenti la sua attenzione.
Arrivato a King's Cross, dopo circa quattro ore di viaggio passate tra quotidiani e carrozza bar dove si era concesso solo uno champagne che lo aveva distratto dal lieve fastidio d'impazienza, aveva preso una carrozza che lo avrebbe portato verso Marylebone per raggiungere la sua destinazione a due passi dal Regent Park.
Alle sei di quella sera, al numero 23 di Wimpole Street, lo aspettava qualcuno. Due volte al mese come minimo, da oltre sei mesi ormai, si concedeva quel piacere proibito e insospettabile, a cui non sapeva rinunciare e anzi, che sempre di più gli necessitava. Ormai vedere quella persona solo una volta soltanto e poi fare assolutamente finta di non sapere neanche dove abitasse per le successive due settimane, almeno fino ad un nuovo incontro, gli stava costando davvero tanto. Faceva sempre più fatica a staccarsi e a restare indifferente a quegli occhi di cui bramava l'attenzione e che desiderava solo per se. Ma sapeva che non poteva pretendere, che non era possibile, che quelle quattro mura erano le uniche testimoni di un qualcosa che gli costava ammettere lo aveva assuefatto completamente. Perché da bravo avvocato, lui non voleva avere debolezze, la sua identità era al sicuro e lo sapeva, era reciproco, ma era un vizio che lo rendeva quasi fragile e alla quale non era preparato, ma che ormai era in lui e lo controllava più di quanto avrebbe voluto.
Entrò nell'edificio con il suo completo blu ancora impeccabile nonostante il viaggio, non puzzava più di cavallo, almeno sperava, ma l'odore di sigaro che purtroppo gli si era appiccicato addosso per colpa di un passeggero poco delicato in treno che gli aveva praticamente fumato in faccia per tutto il viaggio, sicuramente si sarebbe sentito, e il suo appuntamento non lo gradiva. Era abituato a cose più esotiche, di solito dal suo narghilè usciva odore di te' nero, zenzero, vaniglia e un sentore deciso di liquirizia. Suonò il campanello e il portiere che sorvegliava il palazzo e i due grandi appartamenti che lo riempivano aprì come sempre discreto, silenzioso, senza fare domande e guardandolo appena in volto accennandogli solo un piccolo «Buonasera Signore.» Dopo avergli lasciato varcare la porta di legno. Accennò anche Logan un saluto e subito salì veloce le scale che lo portavano al piano superiore.
La porta a destra in cima al secondo pianerottolo era riservata alla Signora Dubois, una famosa poetessa di origini Francesi mezza spiritista che si era fatta un nome tra i salotti dell'alta Borghesia Inglese e che era molto intima con la Principessa Vittoria, si diceva, anche se Logan non aveva mai creduto a quella storiella. Tutti erano amici di qualche componente della famiglia reale in quella città e bisognava sempre avere il beneficio del dubbio quando si entrava in certi argomenti, ma non erano problemi suoi, lui non aveva mai incontrato quella donna e neanche gli interessava. Lui quel pianerottolo cercava di attraversarlo sempre il più velocemente possibile, dalla prima volta in cui c'era stato, perché il desiderio e la riservatezza gli facevano salire l'adrenalina alle stelle e la serotonina gli entrava in circolo non appena sentiva odore forte d'incenso davanti alla porta che avrebbe varcato a momenti, quindi no, non gli interessava del portiere o della Signora Dubois, poteva anche esserci il Re in quella stanza, tanto lui avrebbe comunque continuato a scegliere sempre l'altra porta.
Bussò tre volte come sempre e un flebile assenso si fece strada dall'altra parte in lontananza, finalmente poté aprire la porta e richiudersela velocemente alle spalle.
L'odore dell'appartamento era deciso e ricordava il cardamomo quel giorno. L'avvocato Bennet non si sarebbe mai avvicinato a quel tipo di odori, aromi e profumi se non avesse trovato in quella persona una sua droga personale che ormai gli aveva interdetto il cervello. La cucina Indiana non gli era mai particolarmente piaciuta ma da qualche mese aveva decisamente cambiato idea, anche se non era certo la cucina che gli interessava dell'India. L'appartamento comprendeva una grande sala principale decorata in stile Liberty molto delicata ma con con un carattere deciso sui toni del burro e dell'ocra, dove un salottino elegante faceva da accoglienza, poi un'altra piccola stanza che fungeva da cucina abbastanza grande e a cui era collegata anche una modesta sala da pranzo, che veniva usata di rado, aveva dei servizi per gli ospiti. Infine c'erano due camere da letto ampie con bagno privato, che affacciavano sulla strada larga ma sempre abbastanza silenziosa, merito del quartiere alto borghese che aveva la discrezione come regola ferrea. Una governante, che aveva visto forse una volta perché in presenza del padrone di casa compariva solo se chiamata, manteneva la cura dell'appartamento e svolgeva insieme al portiere, tutto quello che il Signore e la Signora dello stesso pianerottolo volevano. Sempre con una certa privacy comunque, con una discrezione che poche volte Logan aveva visto in case borghesi come quelle, compresa la sua, ma che doveva ammettere gli piaceva molto e forse anche lui voleva adottare quell'abitudine. Niente valletti, niente cameriere superflue, solo una governante, un portiere e un cuoco. Si respirava un'aria bohemien in quel palazzo e il mistero che circondava i suoi abitanti, così particolari e unici, gli piaceva, aveva notato, come poche cose nella vita.
«Ha fatto attendere il suo Brandy avvocato Bennet.»
Una voce sensuale e flessuosa, bassa e dall'accento Indiano ma che non risultava ammaccare comunque un perfetto inglese, arrivò alle orecchie di Logan che entrando nel salotto trovò sul divano arabescato sui toni del pesca, una figura in penombra circondata da fumo bianco che usciva da un grande narghilè posizionato sul tavolino da fumo davanti a lui. La luce pallida e flebile di quel pomeriggio si vedeva appena dalle pesanti tende che coprivano le grandi finestre dell'ambiente, ma lui poteva benissimo distinguere chi lo stava ammonendo facendogli intendere che era in ritardo.
«Non credo di essere in ritardo.» Mise in chiaro Logan, togliendosi intanto la bombetta per poggiarla poi su una poltrona davanti al divanetto, dove il suo ospite, con le gambe accavallate, tirava dal bocchino all'estremità del lungo tubo decorato di blu del narghilè e creava lento dei cerchi mentre ispirava il fumo alla liquirizia e menta. L'avvocato si avvicinò poi ad una vetrinetta aperta e si versò del Brandy da una bottiglia di cristallo intarsiata, in un bicchiere liscio ma dal fondo spesso e pesante, senza chiedere, senza aspettare, come se quel gesto fosse ormai un rituale di benvenuto tra loro.
«Invece temo di doverle dire che è in ritardo di ben quindici minuti, e che questo potrebbe non andare bene per la natura del nostro incontro.»
Logan sorrise sentendo quelle parole e scuotendo appena la testa, si portò alle labbra il cristallo trasparente, prendendo una lunga sorsata di liquido ambrato che certamente era di ottima qualità, ma era anche molto forte.
L'uomo sul divano si alzò e la sua figura snella e longilinea sembrò fluttuare sinuosa verso l'avvocato che lo stava fissando, senza però rispondergli.
«Crede di volermi far attendere ancora oltre?» gli chiese quello per poi trovarglisi faccia a faccia. Logan lo guardò negli occhi e gli riconobbe dentro un desiderio familiare, che doveva sicuramente essere lo specchio del suo, anzi ne era certo. Prima di farlo avvicinare del tutto però finì d'un sorso il suo Brandy e poggiando velocemente il bicchiere su un piccolo tavolinetto di fianco alla vetrina, fece un passo verso l'uomo davanti a lui e lo baciò con passione, stringendolo a se.
La sensazione era quella di sete, sete che doveva essere placata il prima possibile, un bisogno impellente che non poteva richiedere altre attese o esitazioni.
«Ti sono mancato?» chiese poi l'uomo dai capelli corvini.
«E io?» ribatté l'avvocato, baciandolo ancora.
«Forse.» gli rispose in tono ancora più misterioso di quello che il suo aspetto poteva far trapelare.
Si staccarono di mala voglia e il padrone di casa prendendolo per una mano e voltandosi gli fece un cenno del capo come a fargli intendere si seguirlo anche se l'altro conosceva benissimo la strada.
Il moro indossava un completo morbido completamente in seta lucida bordeaux, il pantalone era largo e le sue gambe magre e toniche si perdevano all'interno del tessuto impalpabile. La casacca che indossava sopra era incrociata sul davanti e fermata su un fianco con un lungo nastro dello stesso colore del completo, tranne che per dei disegni dorati che gli esaltavano la vita fine, era talmente scollata da mostrare anche quasi tutto il petto dove al collo pendeva un mālā dalle palline di legno scure e un piccolo pennacchio di fili sui toni del blu. Ai piedi aveva delle strane pantofole di velluto sempre rosse scure. I suoi capelli erano nerissimi, lisci e sempre perfettamente puliti e profumati, li lasciava sciolti su un lato della testa fino quasi al mento, lasciando l'altra parte quasi sempre scoperta mettendo in mostra la rasatura sottostante che gli affilava ancora di più i lineamenti del viso. Gli zigomi alti, quel filo di barba incolta ma non invadente, le labbra appena più scure che risaltavano sulla pelle olivastra, l'orecchino a cerchio piccolo e dorato che portava su un solo lobo, la fronte alta e quegli occhi d'ambra scura, avevano già fatto perdere la testa all'avvocato Bennet, più di qualsiasi altra donna avesse mai fatto in quegli anni, anche se gli costava molto ammetterlo. Ma non mentre era lì, quando entrava in quel piccolo mondo privato che quello si era creato a Marylebone, le barriere e le inibizioni si abbassavano e c'erano soltanto lui e Kiran.
Entrati nella grande camera da letto, Logan si accorse che come sempre il moro non aveva lasciato nulla al caso. Aveva imparato tanto su di lui in quegli ultimi mesi, anche se si erano visti si e no una dozzina di volte non di più, ma potevano permettersi in quelle ore, una calma apparente che difficilmente trovavano in altri luoghi, e che poteva durare anche tutta una notte o tutto un giorno intero. Lì dentro erano solo loro e non il famoso avvocato Bennet che tutti volevano o uno dei Funzionari Stranieri del Commercio Orientale, solo loro, con i loro vizi, le loro voglie, le loro fantasie proibite.
Le candele accese in tutta la stanza, bianche e grandi, erano più di un centinaio ne era sicuro e le fiammelle traballavano in una danza suadente facendo risaltare ancora di più i lucidi e chiari tessuti che ricoprivano il grande letto al centro della stanza. Non poggiava a nessuna parete, era messo proprio al centro di essa, così che ci si potesse girare intorno come si voleva, una tradizione che Kiran aveva portato con sé dal luogo in cui era nato. Sospeso su di esso c'era un grande lucernario tondo da cui scendevano quattro drappi di tessuto leggerissimo e fine quasi impalpabile del colore dei lamponi maturi, che ricadevano ai quattro lati del letto, così da avere un effetto di riparo, come una piccola alcova nascosta. Per terra, c'erano ovunque tappeti e cuscini di ogni dimensione e colore, dal turchese, al blu, al pervinca al viola, al bordeaux. Le tende dell'immensa vetrata che di giorno illuminava l'ambiente, erano tirate e l'oscurità era vinta solo dalle candele anche se bellissime lampade ad olio a tre braccia erano poste sui quattro lati della stanza che odorava d'incenso dolce. Su un grosso comò nel lato più scuro di tutta la stanza, Logan sapeva che riposava in una grande teca un animaletto che faceva spesso compagnia a Kiran e il quale divideva il letto con lui spesso e volentieri, ma che non aveva mai ancora avuto il coraggio di toccare anche se l'altro ci aveva provato più volte. Non gli faceva paura, né ribrezzo, semplicemente non era ancora pronto.
Logan si avventò nuovamente sulle labbra carnose del moro e iniziò poi a mordergli il collo e la mascella, facendolo gemere appena, mentre ancora in piedi l'altro cercava di togliergli giacca e camicia, per arrivare ad accarezzargli il petto muscoloso che tanto aveva bramato nelle ultime settimane.
«Com'erano i cavalli?»
«Non così interessanti.»
Logan non voleva farlo parlare, non era quella la sua intenzione e si era accorto non appena lo aveva baciato di quanto quelle labbra gli fossero mancate.
Kiran era ormai a petto nudo, solo la sua lunga collana sacra pendeva perfetta dal suo collo, l'altro aveva ormai la camicia completamente sganciata e si tolse velocemente le scarpe in movimenti sconnessi aiutandosi con una mano, mentre con l'altra, non voleva lasciare una natica del moro che aveva arpionato mentre gli lasciava baci umidi sul torace. Quella pelle olivastra odorava degli stessi bastoncini che adesso ardevano nell'incensiera su uno dei tavolini in cui erano appoggiate le lampade spente, una nota di miele, una di cardamomo e forse una di sandalo ma che sentiva più lontana. In quella stanza e intorno a loro fluttuava del fumo bianco e denso, ma era delicato, non opprimente, poteva cullarti e darti alla testa. Logan sollevò appena il suo amante dai glutei facendolo stendere di schiena sul letto, e mettendoglisi subito tra le gambe, senza troppe attese inutili.
«Sai di sigaro.»
«Un passeggero poco gentile.» e intanto lo baciava ancora, mordicchiandogli le labbra e accarezzandogli i fianchi, per poi iniziare piano a tirare giù i pantaloni di morbida seta che rivelarono fin ora celata, un'eccitazione che sentiva sfregargli sull'addome.
«Oh, povero avvocato! Non ha protestato?»
Kiran era eccitato e parlare non era la cosa che più gli piaceva durante quei momenti, ma sapeva che punti colpire se voleva scatenare l'avvocato, in fondo a quello piaceva parlare anche troppo. Si ritrovò così completamente nudo in un attimo e Logan trascinandolo fino al bordo del letto con facilità, gli si mise tra le gambe questa volta inginocchiandosi per far combaciare il viso con la sua parte più intima. Prima di rispondere si inumidì le labbra al pensiero che tutto quello che vedeva poteva essere suo in pochi istanti e le mani fini e delicate di Kiran che già gli accarezzavano i capelli castani perfettamente ordinati più lunghi sopra e rasati ai lati, come richiedeva la moda del tempo, lo fecero tremare d'eccitazione ancora di più, donandogli una scossa al basso ventre.
«Non volevo risultare autoritario.» disse Logan, mentre in un solo movimento prese quello che voleva in un unico gesto che fece inarcare la schiena e gemere sgranando gli occhi il moro.
«Mi piace quando lo sei...»
«Vuoi che lo sia?» Logan si staccò appena e Kiran lo guardò dall'alto, con gli occhi lucidissimi di passione. Era bellissimo, con il ciuffo di capelli scompigliati da un lato, l'orecchino che s'illuminava alla luce delle candele e le labbra schiuse in un gemito silenzioso.
«Sì...» era un assenso flebile, ma l'avvocato lo sentì, e adesso completamente nudo anche lui, tornò ad occuparsi dell'eccitazione dell'altro, dedicandosi completamente a lui. Gli piaceva il sesso rude con Logan, era sempre autoritario e gli dava piccoli ordini che lo facevano eccitare come non mai, la sua figura e il sapere che lo faceva eccitare a sua volta ubbidendogli in quel modo, lo mandavano in estasi.
«Dovrai essere bravo per me.»
«Lo farò...»
Logan si alzò e si avventò ancora sulle sue labbra. Poi l'avvocato, dopo essersi rimesso in piedi fece quanto gli era stato chiesto, impartì ordini.
«In ginocchio sul letto, appoggia le mani sul materasso.» mentre si staccarono con uno schiocco di labbra umide, Kiran guardò gli occhi di Logan, di un colore così indefinito da sembrare allo stesso tempo cioccolato fuso e fuoco vivo, quello gli sorrise beffardo mostrando denti bianchissimi immersi in quell'accenno di barba scura che già gli aveva graffiato l'interno coscia, ma dal quale si sarebbe fatto fare ben altro.
Kiran ubbidì veloce, trovandosi quattro zampe sul letto. Logan mettendosi anche lui in ginocchio dietro di lui, gli accarezzò lentamente la schiena bollente e umida poi spostandosi di poco lateralmente gli toccò i fianchi, le spalle, e gli fece voltare il viso su un lato delicatamente. Guardandolo negli occhi gli chiese di fare ciò che desiderava e da lì a poco fu accontentato. Kiran gemeva e incitava con i fianchi il suo amante che non perse tempo e iniziò a muoversi. Voleva sentirlo dentro di lui, voleva che l'avvocato ogni volta che usciva da quella casa avesse il suo odore addosso, voleva che si masturbasse pensandolo, voleva che risentisse il suo sapore anche dopo giorni e giorni che era stato suo. Si piacevano, si volevano, si fondevano insieme e avevano imparato di più l'uno dell'altro, in quella relazione fatta di gemiti, ansimi, imprecazioni e desideri nascosti, che in tutte le relazioni di coppia che avevano mai intrapreso. Erano sesso, erano passione, erano segreti e perversioni. Kiran non si sarebbe mai fatto fare quello che permetteva a Logan, mai, e Logan gli aveva confidato più di una volta che mettere le dita dentro di lui per poi sentirlo gemere mentre lo possedeva davvero erano cose che non avrebbe mai e poi mai fatto con nessun altro se non con lui, che gli piaceva proprio per quello, perché era proibito, perché era un vizio al quale non sapeva resistere e dal quale voleva sempre tornare. Ma c'era anche di più, alla fine. Nessuno dei due avrebbe mai ammesso, che tranne un paio di altre scopate occasionali, rigorosamente con donne di facili costumi, nessuno dei due era mai più stato a letto con qualcun altro che non fossero loro due. E questo voleva pur significare qualcosa.
Kiran gemeva, prendeva e godeva di tutto quello che Logan gli stava dando. Lo sentiva così bene dentro di se che gli girava quasi la testa.
Logan non voleva più uscire da quel corpo e mentre lo penetrava e sentiva come musica i suoi ansimi che lo reclamavano, in quella stanza diventata ardente come fiamme dell'inferno, si rendeva conto sempre di più che non poteva rinunciare a tutto quello. Avrebbe voluto farlo venire ancora e ancora e ancora all'infinito, in un ciclo continuo di orgasmi, gemiti e sospiri.
Rimasero a letto nudi e sudati mentre la sera calava e nessuno dei due aveva intenzione di muoversi da quella posizione. Avevano usato i servizi, si erano ricomposti appena, per poi ancora nudi ed eccitati, mettersi stretti sul grande letto al centro della stanza.
«Quando devi ripartire?» Logan era appoggiato con la schiena alla bassa spalliera del letto, stringeva Kiran che gli si era accoccolato sul petto e giocherellava con la leggera peluria che nasceva su di esso.
«Non adesso, passerà un po' prima che torni in India, adesso servo qui.»
Logan sapeva che il moro ricopriva un importante ruolo per il commercio di stoffe tra India e Inghilterra e sapeva anche che uno dei suoi maggiori clienti era Edmund Stafford, erano molto legati professionalmente, ma non erano mai entrati così precisamente nell'argomento da sapere molto altro, quindi lui chiedeva vago, per sapere quando poteva rivederlo.
«Tu rimani in città?» Kiran aveva la voce quasi presa dal sonno, avere Logan lì con lui che lo faceva sentire così voluto e desiderato, lo rilassava sempre e si chiedeva spesso, perché non concedesse all'avvocato di andare a casa sua più di due volte al mese in effetti. Ma lui era così, profondamente discreto e riservato, tranne che nel sesso, e molto silenzioso in certi casi, forse anche troppo.
«Sì, per un po' sì, ma poi dovrò tornare ad Harlaxton per alcuni affari.»
L'Indiano sapeva che Logan aveva contatti privati con gli Stafford e forse anche lui sapeva dei suoi, ma entrambi non volevano parlare di lavoro, non volevano che opinioni pubbliche, differenze sociali, pettegolezzi e chiacchiere, rovinassero il rapporto idilliaco che avevano creato. Quindi chiedevano senza chiedere davvero, supponevano senza essere certi di nulla, azzardavano senza avere conferme, ma gli andava bene così.
L'avvocato aveva visto di sfuggita Kiran più di una volta a Bank in centro mentre camminava a fianco a molti signori in tight, andando per banche o uffici legali, tranne che nel suo, e aveva sempre dovuto mantenere la calma per non andargli incontro e fare finta di nulla magari solo per salutarlo, solo per sapere se la sua voce fosse così bella anche fuori da quelle quattro mura, ma non aveva mai osato. Lo osservava però, sempre impeccabile nel suo completo pantaloni stretti chiari e casacca lunga fino al ginocchio, che una volta era blu scura e un'altra arancione, tipica della sua terra d'origine, con il turbante in testa che gli nascondeva i capelli ma gli faceva risaltare i lineamenti spigolosi che adorava, lo guardava assorto e rapito. Ma non poteva fare altro.
Loro erano così, un segreto, e tale dovevano rimanere.
«Mi racconti di quando sei venuto in Inghilterra?» L'indiano rise a quella richiesta che non era la prima volta che si sentiva rivolgere.
Si sollevò su e scoccandogli un bacio a stampo sulle labbra piene rispose.
«Perché sei così curioso?»
«Perché no?» anche Logan rise, mentre l'altro completamente nudo tranne che per il suo mālā scuro che gli pendeva ancora dal collo con i fili blu che gli sfioravano l'ombelico, si alzava dal letto senza vergogna e si dirigeva verso un angolo della stanza, dove teneva quello che stava cercando. Aprì un cassetto del comò di mogano scuro, lento, mentre l'altro lo guardava ancora godendo di quella vista incredibile che il moro gli stava regalando. La sua figura era alta più o meno quanto lui, era magro e definito, la sua pelle era perfetta, ma aveva qualche cicatrice di tanto in tanto in qualche angolo del corpo, che gli donava una nota ancora più misteriosa, l'avvocato avrebbe voluto sapere dove se le fosse procurate. Se lo guardava in quel modo e si concentrava, poteva ancora sentire la morbidezza di quella pelle sotto le sue mani e voleva averlo di nuovo in quell'istante senza esitare oltre.
Kiran dal cassetto estrasse un porta sigarette d'argento decorato, ne prese una completamente bianca e appoggiò al filtro un piccolo bocchino corto, che sapeva essenziale per il suo amante che non voleva poggiare le labbra direttamente al filtro, mai, piccole manie che lo eccitavano. Poi accendendola, sempre in piedi nell'ombra e facendo illuminare una parte del suo volto dal cerino che aveva appena preso fuoco, aspirò un primo tiro, per poi voltarsi in tutta la sua bellezza, dirigendosi verso di lui, porgendogli la sigaretta per farlo fumare.
Erano piccoli gesti che il castano adorava, e si chiedeva come poteva fare a meno di lui, se sembrava conoscere ogni cosa o desiderio che avesse per la testa?
«In India erano successe parecchie cose alla mia famiglia, quindi ho deciso semplicemente di venire qui, non c'è molto da raccontare in effetti. Mio padre aveva contatti con persone facoltose e allora non ho avuto dubbi sulla mia meta.»
Poi si era diretto scalzo e ancora nudo completamente a suo agio, alla teca in penombra, che adesso aveva una luce ad olio accesa vicina. Sapeva che Esh non poteva stare troppo tempo al freddo, non gli faceva bene. Prese il serpente degli alberi delicatamente come sempre, con le mani fini ed esperte e se lo portò alle labbra sfiorandogli un bacio sulla testolina squamosa per poi accarezzarlo piano, mentre quello gli si avvolgeva intorno alla mano docile.
Logan fumava tranquillo, guardando quella scena che stranamente lo ipnotizzava. Kiran poi si mise vicino alla finestra e scostò appena la tenda per guardare fuori la notte ormai scesa.
«Tu hai qualcuno qui? Voglio dire, un parente, qualcuno?»
«Mi stai chiedendo se la mia famiglia è qui?»
Logan aspirò ancora dal bocchino e si tirò appena su poggiandosi alla bassa testiera, per mettersi più comodo.
«Non volevo essere troppo diretto.» Si giustificò.
«Quando mai non lo sei?»
Risero entrambi. L'accento particolare di Kiran lo ammaliava e lui avrebbe voluto svegliarsi ogni mattina con quella voce nelle orecchie, mentre il moro avrebbe voluto avere sempre in quel letto il castano nudo, proprio in quel modo mentre si godeva le sue sigarette con il bocchino e beveva quell'orribile Brandy che aveva acquistato solo per lui e che solo per lui ne sopportava il sapore sulle labbra, purché dopo fosse cancellato via da altro.
«Ho un fratello, le basti questo per oggi avvocato. Non le dirò altro per stasera.» Kiran soffriva a pensare all'India e gli costava tanto sforzo parlare di se, ma con lui cedeva e stranamente non si faceva prendere dalla rabbia, quella rabbia potente che nascondeva dentro e che spesso esplodeva ma sempre quando nessuno poteva vederlo, forse solo quel parente di cui parlava prima.
«Kiran io voglio conoscerti.»
«Non erano questi i nostri patti Logan.»
Il moro fu categorico, ma la sua voce era ancora morbida, segno che l'altro avrebbe potuto continuare il discorso. Il moro, si portò ancora vicino al viso il piccolo serpente giallo che con lui aveva affrontato tante peripezie e dicendogli qualcosa in hindi lo riportò poi alla sua teca posandolo di nuovo piano, mentre lui strisciando sinuoso andò ad attorcigliarsi al grosso ramo che aveva a disposizione.
Si avvicinò poi di nuovo al letto e regalò a Logan una delle visioni più belle mai viste, il suo corpo nudo e perfetto che gli si avvicinava.
«Quindi hai un fratello?»
«In questo momento non voglio parlare di mio fratello avvocato Bennet, se non le dispiace, avrei altro in mente.» E salendo sul letto e gattonando verso il suo amante, si fece poi circondare il busto dalle braccia muscolose dell'altro che lo baciò.
«Ed è bello quanto te?»
«Forse di più» Gli sussurrò sorridendo, mentre l'avvocato era nuovamente sopra di lui e lo stava ancora baciando.
«Non è possibile...»
«Oh credimi è possibile, siamo molto diversi in effetti...»
ancora baci, ancora carezze.
«Quando ti sento parlare in hindi mi fai venire strani pensieri, lo sai?»
«Ti piace?» Kiran lo provocò ancora, mordendogli appena un lobo di un orecchio mentre l'altro, ormai tra le sue gambe che ora gli cingevano la vita, muoveva il bacino con una voglia inequivocabile di lui imitando movimenti che bramava diventassero concreti.
«Fallo ancora.»
Kiran rise e Logan perse un battito, erano così, spensierati e bellissimi, senza pensieri opprimenti di vite quotidiane o doveri, quando erano in quella stanza c'erano solo loro due.
«मैं तुम्हें इतना चाहता हूँ»
Lo disse guardandolo negli occhi, con una voce flebile e sicura. Logan si eccitò di più e lo baciò ancora con più trasporto, adorava quando gli diceva quelle poche parole in hindi e anche se non ne conosceva il significato, per lui lo avrebbe volentieri imparato subito.
Ma Kiran come sempre lo stupì e sussurrandolo appena al suo orecchio, mentre il castano ora aveva le labbra incollate al suo collo, gli rivelò il significato di quella piccola frase.
«Ti voglio tanto...»
e furono di nuovo in un mescolarsi di lingue e gemiti, ritrovandosi ancora immersi in quelle lenzuola calde e morbide di seta pura.
***
Jaipur, 2 Luglio 1903
Caro भाई *fratello
Ti scrivo questa mia, mentre sono nel nostro posto preferito sulla collina e guardo la nostra città Rosa illuminarsi all'alba, sai che mi piace svegliarmi presto. La tua ultima lettera mi ha fatto venire voglia di visitare Londra, la fotografia del Big Ben è molto bella ma non credo che renda l'idea della grandezza di quel monumento. L'ho già messa nella stanza dei cuscini così che anche Ravi possa vederla, gli piace tanto e ti pensa. Quella di te e la nonna invece non me l'aspettavo, ma mi ha fatto piacere, lei è così seria. Sei tutto impettito dietro la sua sedia in piedi, ma sembri spaesato, stiamo crescendo tanto e anche io lo vedo nei tuoi occhi quanto poco sei a tuo agio lì, ma quando tornerai tutto ricomincerà come se il tempo si fosse fermato e non fosse mai più trascorso da quando sei partito. Vederti in quella mi ha rassicurato, soprattutto mia madre, che soffre la tua mancanza proprio come soffrirebbe se fossi partito io, sai quanto ti ama.
La vita qui scorre lenta come sempre, nulla sta cambiando, i giorni sono sempre uguali, la pace regna sovrana. Tuo padre mi a portato con se per due volte a Delhi negli ultimi due mesi, vuole che impari anche io quello che c'è da sapere sul commercio di stoffe, e non vedo l'ora di farlo di nuovo. In realtà in pochi mesi ho capito tanto del sistema con cui il Conte porta avanti il suo lavoro qui per tutti noi e mi piace farlo per poterlo rendere fiero, per poter rendere fiero anche te, e riuscire a lavorare al tuo fianco quando tutto quello che sta costruendo sarà tuo. Tra qualche giorno partiamo per Varanasi, verrà anche Ravi con noi, sai da quanto tempo vuole vedere il Gange, e anche se tuo padre non approva la sua decisione di lasciare Jaipur per così tanti giorni, ha accettato, anzi ci accompagnerà lui stesso, non vuole lasciarci soli. Vorrei che ci fossi anche tu, vorrei fare questo viaggio al grande fiume insieme a te, così che tutti e due potremmo bagnarci dell'acqua sacra e diventare parte di essa, ma ti penserò tanto lo prometto.
Il mese scorso abbiamo avuto ospiti dall'Inghilterra, ma tuo padre era furioso dopo il loro incontro nel suo ufficio. Ho ascoltato di nascosto le loro conversazioni e anche se non dovevo, l'ho fatto perché sapevo che tu avresti voluto sapere. Ti prego di non dirlo a tuo padre, so che non lo farai comunque. In molti si vogliono arricchire con i soldi del Conte e queste persone insistevano con lui sul fatto di aprire una società con cui potrebbe dividere i profitti del suo lavoro. Ma tuo padre è stato categorico, non vuole farlo, non vuole tradire e svendere la sua terra, la sua India e neanche la sua proprietà né quella di Jaipur né quella di Howard, così a detto. Ma sono stati molto insistenti e non lo hanno trattato con il dovuto rispetto a mio parere. Lui si fidava di qualcuno di quegli uomini, l'ho capito dal suo volto sconfortato nei giorni successivi, sembrava che lo avessero tradito. Lui vuole solo il tuo bene Jake, solo il bene di suo figlio e della nostra famiglia, riuscirà a tenere il punto lo so.
Per quando tornerai, avrò da raccontarti tante cose mio caro fratello.
Ti sei perso la nascita di Gautami tre settimane fa, è stato bellissimo e anche un po' sconvolgente a dire il vero, ma Ganga è stata bravissima e con l'aiuto di Maji ha partorito senza problemi. Erano tanti anni che non nasceva un cucciolo di elefante alla Villa, e abbiamo fatto una festa. Ha partecipato anche il Conte e insieme a Ravi hanno persino ballato nel grande giardino insieme a tutti gli altri. Lo avevamo decorato con fiaccole ad olio e giunchi di bamboo intrecciati facevano da stuoie per sedersi comodi, avevamo messo dei bei cuscini rossi e gialli tutti intorno e c'erano anche i narghilè che mandavano un odore di curcuma fortissimo in tutto il terreno della Villa. E' stato un giorno emozionante, ma ci sei mancato. Maji non faceva che chiedere di te, ma io sono stato vago, se vorrai sarai tu a raccontagli qualcosa della tua vita in Inghilterra quando tornerai.
Voglio però svelarti un segreto, quando arrivi ci sarà una sorpresa ma prima di questa, mia madre vuole che andiamo da soli al grande tempio sulle montagne, sai quanto ci tiene e dobbiamo farlo, sarà anche un modo per stare tra noi, spero che verrai anche se forse dopo tanto tempo in quegli abiti stretti non sei più abituato a salire una collina rapidamente, sorrido al pensiero.
L'altro giorno invece abbiamo avuto un incontro inaspettato. Una tigre è entrata nel recinto di Mr.T, nessuno si è spiegato com'è potuto succedere, non si vedono tigri qui da anni. Io l'ho sentito nitrire forte dalla Villa e appena sono uscito quella era lì che gli si voleva avventare contro, furba. Mi ha ricordato i commercianti con tuo padre, lui fa la sua vita tranquilla e loro all'improvviso vogliono attaccarlo. Sono bellissime le tigri, ma sai quanto possono essere pericolose e subdole. Ti ricordi quella volta nel Kerala alle piantagioni di tè?
Comunque Mr.T sta bene, Murari e Pran sono riusciti a mandarla via senza che nessuno si facesse male, ma per Ravi è stato un avvertimento di Shiva. Secondo lei il Dio distruttore vuole avvertirci di qualcosa, di un profondo cambiamento che ci porterà a costruire nuove cose, nuove vite dopo la distruzione, ti ricordi che diceva sempre che la distruzione di Shiva non è negativa? E' cambiamento positivo, basta capire quando accettarlo e comprenderlo. Io non so cosa penso, forse era solo una tigre finita troppo oltre la giungla nulla di più. Ma non voglio farti preoccupare, conosci mia madre, sai quanto può essere attaccata a queste cose.
Voglio che mi racconti tutto delle feste a Londra quando torni, di tutte le persone che hai visto. Hai conosciuto qualcuno d'importante oltre alla Principessa Luisa? Come vorrei essere lì con te Jake, mi manchi molto.
Il Conte è riuscito a farci fare una fotografia tutti insieme, io sono quello con il Safa, adesso devo portarlo quando esco con tuo padre, rideresti di me ne sono sicuro, ma a me piace.
Porta nel tuo cuore la nostra amata Jaipur fratello, non dimenticare l'India, non dimenticare il suo profumo, il suo calore, i suoi sorrisi. Noi ti aspettiamo presto.
Tuo fratello Kiran
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