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Capitolo 10


Non c'è nulla di nobile nell'essere superiore a un altro uomo. La vera nobiltà sta nell'essere superiore alla persona che eravamo fino a ieri.

Proverbio Indù

Era tutto completamente sbagliato. Sbagliato e davvero stupido, ma come aveva potuto fare una cosa come quella? Come aveva potuto spingersi così oltre? Un bacio era azzardato e contro ogni limite che si era prefissato. Si era incolpato di aver ceduto anche se gli era piaciuto terribilmente, ma il sesso, no quello non lo aveva previsto, no davvero. Ma era successo e contro ogni suo volere più remoto aveva come sempre ascoltato la cosa che mai lo aveva tradito, mai o almeno quasi mai. Il suo istinto.

Era stato molto difficile svegliarsi quella mattina, non ricordava che ore fossero quando Hanry era uscito dalla camera ma doveva essere piana notte anche perché non potevano neanche lontanamente rischiare di essere visti da qualcuno quindi non era stato proprio semplice essere furtivi. Avevano percorso insieme mezzo corridoio, avevano svoltato in cucina e solo in fondo alle scale che portavano al piano superiore si erano permessi di dividersi non prima di essersi baciati di nuovo, in un sorriso, stupidi incoscienti. Per di più Hanry aveva dimenticato Guerra e Pace da Jake, non aveva ben capito perché lo avesse portato con se la sera prima, forse la sua intenzione era quella di andare in biblioteca dopo essere passato a scusarsi con lui, o forse semplicemente tenere in mano il libro lo confortava, se lo portava un po' ovunque invero, e Jake sapeva bene quale sensazione straordinaria fosse quella di potersi aggrappare a delle pagine se queste raccontavano storie incredibili. Tornando in camera il valletto aveva aperto il volume con le dita ancora tremanti per l'adrenalina e l'incoscienza del gesto appena fatto, per la consapevolezza del sesso e delle ore che avevano passato insieme. Sfogliando qualche pagina di quel libro così ben rilegato, aveva trovato angoli piegati e alcune pagine addirittura piegate a metà in verticale su loro stesse, come a voler sottolineare che quei passaggi gli erano particolarmente piaciuti e che magari un giorno avrebbe riletto ripensando alla prima volta che gli erano entrati nel cuore.

„L'amore? Che cos'è l'amore- L'amore è d'ostacolo alla morte. L'amore è vita. Capisco solo quello che amo. Tutto è, tutto esiste soltanto perché io amo. Tutto è tenuto in vita dall'amore.

Sorrise dolcemente mentre leggeva quei passi che tanto gli erano piaciuti quando aveva conosciuto per la prima volta Tolstoj. Quelle sensazioni che quella sera li avevano cullati dolcemente, erano invece ormai da tempo sopite in lui. Quei baci, quelle carezze, il sapore forte e deciso di un altro uomo, quasi muschiato ma allo stesso tempo delicato. Quei tocchi leggeri e quella delicatezza nella virilità estrema con cui Hanry riusciva a convivere in una sola persona, quegli occhi, quelle richieste. Da troppo Jake si era privato di tutto quello e da tanto lo voleva ancora disperatamente. Il modo in cui Hanry con una timidezza che non gli avrebbe mai riconosciuto addosso in altre situazioni, gli richiedeva attenzioni e cercava di dargliele, i consensi muti fatti di gemiti e sussurri, lo avevano portato al limite, tanto oltre da scordarsi perché era lì. Ma il giovane Conte gli faceva un effetto davvero strano, lo sentiva, lo voleva, era come un profumo irresistibile come la calda voglia di mettere i piedi sotto la sabbia bianca e limpida, sai che ti scotterai ma il piacere e il conforto insieme a quella sensazione di pelle d'oca e solletico che convivono in una cosa sola sono talmente appaganti da non poterne fare a meno. Non sapeva perché, magari il perché non c'era nemmeno ma lo sentiva, ancora un'altra volta istinto, sempre lui.
Per fortuna il suo orologio biologico si era ormai abituato ad attivarsi più o meno alle quattro e quaranta del mattino, ora in cui anche quel giorno aveva aperto gli occhi. Avrebbe dovuto cambiare le lenzuola ma non ne aveva la forza in quel momento. Si era addormentato con ancora il mālā addosso, la sensazione appagante di braccia che lo stringevano dopo parecchio tempo e un sapore nuovo sulla lingua che non riuscivano ad abbandonarlo. Aveva riposto il mālā nella sua scatolina di legno chiaro a forma di cupola che teneva sul comò, si era preparato come sempre, lavato, sbarbato, aveva indossato il completo impeccabile ed era uscito per la colazione.

Connor gli aveva rivolto un sorriso strano quando lo aveva salutato augurandogli il buongiorno come ogni mattina, e la sua pacca sulla spalla era sembrata fin troppo soddisfatta, ma aveva lasciato cadere ogni possibile curiosità, meglio non chiedere in quel momento. Si era messo al lavoro per le sei e aveva pensato di iniziare a sistemare gli stivali di Hanry che dovevano essere lucidati per quel giorno. Non sapeva se sarebbe voluto uscire a cavallo, ma meglio portarsi avanti con il lavoro. Mentre seduto nella piccola stanza apposita vicino alla cucina che però aveva sempre la porta aperta nel caso il giovane Conte lo avesse chiamato nella sua stanza, si perse inevitabilmente nei pensieri, di nuovo.

La campanella risuonò incredibilmente presto quel mattino, presto per gli orari del giovane Conte, alle nove richiedeva già la presenza del valletto.

Il castano tirandosi ancora una volta indietro il ciuffo più lungo dei capelli e stringendo la mascella più del dovuto in un chiaro segno di agitazione che colse alla sprovvista anche lui, si diresse esitante ai piani di sopra, bussò alla camera ed entrò piano ed educato come sempre.

Le tende erano chiuse, non c'era traccia di luce tranne che una piccola candela accesa accanto al letto, la camera era abbastanza ordinata segno che da quando era stata rassettata Hanry non aveva avuto colpi di testa, neanche quella sera prima di raggiungere Jake ai piani bassi. Nell'aria il profumo ormai inconfondibile del giovane Conte permeava la stanza. Non avrebbe mai creduto che quell'odore così dolce ma delicato, che gli sembrava ogni giorno di più Sambuco, contrastasse tanto con il suo sapore più intimo, ma a Jake gli era piaciuto da impazzire e ne avrebbe voluto ancora e ancora senza doversi fermare mai. Un brivido gli corse lungo la schiena fino al collo, ma si ricompose e tornò serio, professionale.

«Buongiorno Milord.» lievemente Jake si chiuse la porta alle spalle, non sentì risposta.

Si avvicinò alle tende per cercare di aprirle ma non ne ebbe il tempo.

«Ti sento ancora dentro di me.»

Una flebile voce arrivò alle orecchie del liscio che si voltò subito, lasciando perdere le tende, per il momento. Sorrise nell'ombra opaca del mattino, ma non rispose, restò un attimo immobile per capire se l'affermazione di Hanry aveva una continuazione o invece richiedeva una qualche risposta, anche se non avrebbe saputo cosa dirgli in quel momento. La sua voce roca e quella frase detta così sensualmente e all'improvviso tra le coperte scure, lo avevano fatto eccitare immediatamente.

«Forse voglio provare anche il tuo sapore.»

Jake era completamente immobile perché davvero non sapeva che cosa doveva fare. Con dita appena tremanti ma preso da un vortice irresistibile di istinto primordiale, decise di avvicinarsi piano al letto dal lato della finestra e illuminato dalla candela vide quella che fino ad un attimo fa era solo una sagoma coperta da un groviglio di lenzuola di seta. Riconobbe Hanry e quella cosa gli ricordò tantissimo il loro primo incontro. Era appena sollevato sui gomiti naturalmente sensuale e sfacciato, il petto scoperto, i ricci scompigliati che gli ricadevano scomposti sulla fronte fino alle orecchie, la pelle nivea e candida, quelle labbra appena socchiuse e lucide che continuava a mordicchiare, quegli occhi puntati senza vergogna e pudore nei suoi che lo stavano ammirando sbalorditi anche senza volerlo, senza rendersene conto.

«L'aspettano per la colazione Milord.» Jake ancora posato e dritto ma con le guance appena arrossate senza che se ne fosse reso minimamente conto, stava in piedi fermo e con le mani incrociate dietro la schiena, come si conveniva alla sua posizione, anzi fece quasi un piccolo inchino in effetti, mantenendo una calma che sapeva di avere ma che gli stava sfuggendo di mano. Maledizione! Sapeva che sarebbe impazzito di quel passo, adesso sì che le cose si facevano difficili.

«Credo che mi serva prima un'altra cosa.»

Jake tornò a fissarlo incredulo, non credeva avesse osato tanto, ma Hanry pareva totalmente a suo agio e sereno. Mentre lo fissava si mordeva il labbro inferiore sorridendo, era irresistibile, sapeva di esserlo, e sapeva anche che per il liscio dirgli di no era difficile, non solo per la sua ovvia posizione ma anche perché la notte scorsa probabilmente si era lasciato scappare un ti voglio di troppo.

Hanry con un movimento veloce, prendendo l'iniziativa proprio come aveva fatto Jake la sera prima, si sollevò dal letto e inginocchiandosi completamente nudo sul bordo di esso, si trovò con il viso di fronte a quello del valletto. Adesso i loro respiri erano di nuovo uniti e sembravano richiamarsi all'unisono. Nessuno dei due si sporse verso l'altro, non si toccavano, ma il calore dei loro corpi era palpabile anche se Jake aveva ancora tutti i vestiti addosso.

«Henry non credo di riuscire a fermarmi se inizio.»

Jake con tutto il coraggio che aveva affermò il suo stato mentale. Non poteva dire di no a quel corpo, a quelle labbra a quel profumo a quelle sensazioni, erano troppo eccitanti e talmente inebrianti che lo facevano sospirare solo pensandoci. Il fatto poi che lui per troppo tempo se ne fosse privato non era certo un punto che giocava a suo favore.

«In questo caso meglio che inizi io e vediamo cosa succede.»

Si avventò sulla bocca del castano, che ricambiò subito il bacio stringendogli il viso con le mani che poi face scendere sui fianchi morbidi e caldi del riccio, sembrava non aspettare altro anche se non lo sapeva. Hanry era caldo, la pelle d'oca era sublime sotto le dita e Jake la sentiva salire su fino al collo dove affondò la bocca per baciarlo ancora. Sentiva già la sua erezione gonfia e quella nuda di Hanry ormai stava strusciando con foga contro la sua coscia, frizionando sul tessuto scuro.

Staccarsi era difficile, Jake scese giù con le mani fino ai glutei sodi del giovane Conte, procurandogli un piccolo gemito che gli fece approfondire di più il bacio umido fatto di lingua e denti quando le sue dita accarezzarono il solco che le divideva. Hanry era eccitato all'inverosimile, sentiva il suo membro pulsare e ancora Jake non aveva fatto niente, ma la sensazione di averlo avuto dentro di lui , il modo in cui lo aveva preso con una delicatezza unica ma allo stesso tempo con un'irruenza di cui sentiva di avere bisogno, gli facevano tremare le gambe al solo pensiero. Con un gesto veloce staccandosi da Jake, lo trascinò sul letto. Il valletto si sentiva accaldato e anche imbarazzato, era una situazione davvero strana, ma in fondo che poteva farci? Era così assurdo però pensare che poteva, se solo avesse voluto osare, esercitare così tanto controllo su di lui. Non solo lo eccitava tantissimo ma lo faceva anche sentire più vicino al suo obiettivo, anche se in quel momento con le mani del giovane Conte dappertutto sul suo corpo, non era sicuro proprio di nulla, solo del fatto che sarebbe potuto anche venire da un momento all'altro se solo avesse abbassato lo sguardo per concedersi la visione di quel copro completamente nudo baciato solo dalla luce lontana di una candela. Voleva abbandonarsi a lui, istinto. Ancora e ancora istinto.

La bocca di Hanry improvvisamente bollente sulla sua erezione, era qualcosa di indescrivibile. Aveva aperto la patta dei pantaloni e sganciato le bretelle così velocemente che se ne era appena reso conto, adesso la sua camicia e il suo panciotto perfettamente stirati erano mezzi sbottonati fino al petto e i pantaloni erano calati fino a metà coscia. Hanry faceva il suo lavoro così bene e con così tanta dedizione che Jake abbassando lo sguardo credette di impazzire. Era tutto perfetto, il suo corpo nudo e impegnato nei movimenti che contraeva le spalle aiutandosi con una mano per accompagnare la bocca, quelle labbra così gonfie e umide che sapevano di lui, avrebbe voluto baciarle in quel momento, subito. L'altra mano che vedeva chiaramente darsi sollievo da solo, facendo coincidere le stoccate che dava a se stesso con quelle che riusciva a donare a Jake. Era impegnato, perso, gli occhi iniziarono quasi a sfarfallare e mentre si dedicava a lui gemeva perché sembrava volerne di più. E più gemeva più Jake impazziva perché le vibrazioni e il suono sublime che Hanry faceva gli arrivavano come scosse in tutto il corpo.

Non poteva più resistere, aveva già messo le mani in quella cascata di ricci scuri e spettinati e glieli tirava appena ma voleva ancora di più, non sapeva più controllare il bisogno di quel profumo così forte e dolce e di quel corpo così snello ma muscoloso, delicato ma assolutamente ardente e smodato così senza vergogna tirò Hanry a sé fermandolo prima da una spalla.

«Aspetta, Hanry vieni qui!» e con un gemito roco che non sembrava neanche il suo, fece sollevare la testa al giovane Conte che ormai era una visione completamente devastante.

Con gesti sicuri lo fece avvicinare a sé con le gambe rivolte verso il suo petto e lo fece mettere di fianco così che entrambi fossero nella stessa posizione ma inversa. Hanry senza pensarci un solo secondo come se fosse completamente a suo agio in quella posizione tanto perversa, riprese da dove era rimasto, mentre si muoveva vicino a lui sulle lenzuola aggrovigliate e faceva combaciare il suo basso ventre con la faccia del castano, ricominciò a donargli piacere. Jake fece lo stesso, contemporaneamente ad Hanry, non poteva resistere più voleva sentirlo. All'unisono accecati dal piacere intenso e proibito di un qualcosa di inaspettato e diverso, si assaggiavano a vicenda e si spingevano oltre ogni immaginazione, pudore o convenzione. Hanry non aveva mai provato un piacere come quello, dare piacere mentre lo si riceveva, era fuori da ogni sua fantasia più recondita, ma ogni sua perversione più nascosta ma lo stava adorando. Allargò di più le gambe, Jake ormai era completamente immerso nel suo odore tenendogli i glutei così forte che era sicuro avrebbe lasciato dei segni. Hanry era così bello che lo faceva eccitare ancor di più vederlo in quel modo, sentirlo in quel modo. E dopo qualche altro istante di profondo godimento immersi tra quelle gambe e quel sapore, non ce la fecero più. Entrambi si liberarono uno nelle mani dell'altro con gemiti forti e gutturali, profondi e rochi che avevano i movimenti convulsi dei loro fianchi che sembravano muoversi all'unisono e il calore forte di un fuoco che è appena stato alimentato e non ha alcune intenzione di affievolirsi. Stravolti e stanchi si abbandonarono sul letto ancora più sfatto di prima respirando affannosamente, sfiorandosi ancora entrambi sulle cosce mezze sporche di loro sorridendo appagati.

«Cristo Santo Jake è stato...»

«Non credo che c'entri lui ma...»

Hanry si lasciò andare ad una risata cristallina e spontanea che fece sollevare Jake sui gomiti tanto era la voglia di vederlo sorridente, nudo e mezzo sporco di lui su quel letto, le fossette sulle guance in bella mostra gli donavano un'aria quasi infantile ma il giovane Conte quella fanciullezza l'aveva persa e lo sapeva, senza però perdere la spontaneità, e questo a Jake piaceva tanto.

«No certo che no, c'entri solo tu!»

Anche Jake allora rise forte. Hanry non lo aveva mai sentito o visto ridere in quel modo, Jake di solito sorrideva non rideva mai, non si scomponeva mai, non esagerava, si nascondeva perché non poteva mostrarsi ma in quel momento pareva che vivessero un'altra vita, una in cui non erano loro ma altri, altri loro in un altro modo e tempo.

Il valletto comunque subito dopo cercò in qualche modo di ricomporsi mal riuscendoci, l'orgasmo, la situazione, tutto quello che era accaduto, non sembravano avere senso ma pareva che fossero diventati due calamite opposte.

«Hanry ti aspettano per la colazione»

«Oh al Diavolo! Non ci vado»

Dopo che Jake si fu rivestito come meglio poteva, alzandosi dal letto contro voglia, si stava abbottonando il panciotto scuro e sollevò gli occhi su un Hanry ancora nudo che non sembrava avere la minima intenzione di coprirsi, stava lì al centro del letto ancora con gli occhi liquidi dal piacere.

«Per favore da bravo, fammi fare il mio lavoro e fatti vestire, così poi..»

«Io voglio che tu mi svesti Jake, non il contrario!»

Quell'affermazione fece sorridere ancora il valletto che si sporse di nuovo sul letto dove l'altro adesso si era tirato su seduto.

Gli prese il mento tra le dita e con un gesto che sapeva di quotidianità gli sfiorò le labbra con le sue, non seppe proprio resistere.

«Chissà magari più tardi...»

Oh accidenti! Ma perché faceva così? Perché continuava ancora a sabotarsi da solo? Perché non riusciva a dire no e anzi continuava a provocarlo? Stupido, stupido Thompson! Se lo ripeteva nella sua mente, ma quegli occhi...quegli occhi potevano spostare intere montagne e chi era lui per non abbandonarsi al divertimento e alla spensieratezza almeno per un po'? Far finta almeno per qualche istante di non soffrire, di non provare rabbia, rancore e collera?

«Ho voglia di cavalcare in effetti.»

«Hanry io non intendevo...»

»Sta zitto per favore, fai il tuo lavoro, vestimi e aspettami alle scuderie alle 11,30 in completo da equitazione. Un no come risposta non è contemplato.» sorrideva.

«Come desidera Milord.»

Probabilmente un no in quel momento neanche glielo avrebbe detto.

Hanry alla fine si era presentato a colazione in un completo tartan sui toni del verde, camicia bianca e panciotto dello stesso colore. Non aveva neanche perso più di tanto tempo a sistemarsi i capelli in effetti e fece la sua entrata trionfale in salone con un sorriso spavaldo sulla faccia. Come gli sarebbe piaciuto avvicinarsi a sua madre, guardarla negli occhi e capire se avesse notato un profumo particolare provenire dalla sua pelle, il profumo di un uomo, il profumo forte di un umore che lui aveva assaggiato pochi minuti prima, l'odore penetrante di delicata virilità e passione. La faccia di lei accorgendosi di ciò sarebbe stata impagabile. Con quel pensiero in testa e la sensazione ancora di Jake così buono nella sua bocca, si avvicinò al tavolo sorridendo e facendo finta di grattarsi il naso per non cadere nella traiettoria visiva di suo padre che lo avrebbe ammonito sicuramente. Il sapore che aveva sulla lingua era così appagante che non avrebbe voluto lavarlo via con il tè, ma era fin troppo essersi presentato mezzo sconvolto e alle dieci di mattina, non voleva rincarare il malcontento dei suoi genitori.

«Le ultime notizie Wood?»

Dopo averlo salutato come sempre il Signor Wood elencò a grandi linee quello che era successo d'importante nel mondo, con una solennità non necessaria ma quasi comica che fece ancora sorridere Hanry.

Appena ebbe finito, il padre che stava sorseggiando l'ennesimo caffè scuro, sollevò la testa da alcune lettere che aveva sul tavolo. Sua madre, stava in silenzio contemplando il figlio con sguardo quasi rassegnato, come si guarda una causa persa o una cosa particolarmente fastidiosa come qualcuno che si gratta via una crosta concentrato non curante del fastidio che potrebbe provocare negli altri. Mai che una volta gli potesse dare l'importanza che un figlio pretende da una madre, lei era così, per Milady Colombine Stafford non c'era che apparenza e aristocrazia.

«E' arrivata una lettera di Edmund, sarà qui i primi di Giugno, daremo un ricevimento questo è certo.» il tono sempre posato del Conte faceva innervosire enormemente Hanry che intanto stava mangiando una macedonia fresca perché lo stomaco ormai gli si era chiuso entrando in sala.

Il tè era caldo, Connor glielo versò con un flebile «Si figuri Milord.», dopo il suo grazie che il biondo aveva intuito non essere solo per il tè di quella mattina, ma forse nascondeva ben altro e solo lui poteva capire.

«Domani dovrai andare da Lady Elizabeth ad invitarla ufficialmente, così ti scuserai anche del tuo pessimo comportamento dell'altro giorno.»

Il Conte Stafford con un tono baritono e quasi più alto del solito senza guardare il figlio, sentenziò il suo volere.

«Domani non ci sarò padre, ho un incontro con il mio avvocato.»

Hanry lo disse guardando come sempre oltre le enormi porte a vetro che occupavano tutta una parete della grande sala in cui erano e portò distratto la porcellana finemente decorata e bordata d'oro alle labbra. Non riusciva quasi mai a guardare suo padre in viso, non ci riusciva.

«Oh l'avvocato! Addirittura pensi di poter contraddire tuo padre con l'ennesima scusa di recarti a Birmingham da quel tuo amico che ha appena finito gli studi?» Lady Stafford si era intromessa come poche volte accadeva nella conversazione, ma il ritardo del figlio, sommato alla sua noncuranza nei comportamenti degli ultimi giorni, gli aveva scatenato un moto di fastidio dentro che non poteva più contenere anche se la conversazione l'aveva iniziata suo marito.

«Madre, il Signor Bennet non è una scusa per recarmi a Birmingham, e sì, è decisamente un avvocato e con i fiocchi oserei dire!» prese un altro sorso di tè vedendo la madre che non riusciva più a contenersi dalla rabbia, il padre ancora immobile, ma sapeva che sarebbe sbottato da un momento all'altro, per l'ennesima volta.

«Ho un importante affare da concludere in quelle zone e devo recarmi lì dal mattino, prenderò una delle automobili padre, se permettete.»

Hanry avrebbe benissimo potuto prendere un'automobile senza chiedere ma lo fece comunque, provò ad essere educato. Arduo compito con quei due.

«Hanry non posso credere che ancora una volta ti ostini a fare di testa tua. Devi andare dai Wilkinson in giornata e porgere le tue scuse a quella ragazza!»

«Padre un giorno di differenza non cambierà la situazione, le scriverò per dirle di aspettarmi dopo domani. Non vi deluderò ancora, ma devo prima risolvere una questione d'affari.»

Volle provare la strategia della delusione, la fiducia che per suo padre era la cosa più importante in quel momento visto che suo fratello stava per tornare era una questione essenziale, quasi d'onore e così la tirò in ballo. Hanry doveva assolutamente andare a saldare il conto con gli allibratori il giorno successivo e doveva vedere il suo amico e avvocato di fiducia Logan Bennet per questioni urgenti. Naturalmente si sarebbe fatto accompagnare dal suo valletto, quello era scontato. Doveva prima di tutto risolvere quella cosa, non voleva più avere quei tipi alle calcagna. E chissà magari avrebbe comprato anche un altro stallone purosangue, tanto per far incazzare ancora di più suo padre.

Non poteva sviare la faccenda con la Wilkinson, no purtroppo, ma poteva rimandarla, anche perché prima dell'arrivo di suo fratello si sarebbe dovuto assentare qualche giorno e doveva tenere calmi gli animi di Milord e Milady finché avesse potuto.

Sua madre dopo la sua affermazione fece un gridolino indignato, suo padre sospirò rassegnato. Hanry posò la tazza vuota sul piattino di porcellana bianco e oro davanti a lui e fece per alzarsi.

«Con permesso.» si agganciò la giacca una volta in piedi e si diresse verso la porta.

«Hanry!»

Fu richiamato dal padre.

«Non devi tirare troppo la corda con me lo sai, la delusione non si recupera facilmente.»

Erano parole chiare e decise, fredde come lame di coltelli, sapeva cosa significavano. Il Conte era stato chiaro anche qualche mese prima nel suo ufficio quando nel bel mezzo di una discussione avuta perché Hanry aveva azzardato una parola in più contro di lui, si era visto arrivare uno schiaffo molto forte in piano volto che lo aveva fatto ammutolire, nonché convivere per almeno una settimana con un bel labbro spaccato che aprendosi ogni volta che provava a ridere gli lasciava il sapore ferroso di sangue sulla lingua. Con l'ammonimento che gli Stafford non potevano essere mai sopraffatti in alcun modo e che si faceva sempre e soltanto quello che decidevano e volevano loro, senza nessuna eccezione, dovette tacere. Sapeva bene cosa intendesse il padre con quell'affermazione.

Si voltò di nuovo guardandolo negli occhi questa volta e in lui non vide un briciolo di affetto, né un po' di comprensione, né un minimo barlume di speranza o voglia di instaurare anche un piccolissimo rapporto con il figlio minore. Lo guardava glaciale, senza emozioni sotto i baffi bianchi e ben curati, con quella spavalderia che lui si riconosceva addosso ma che vedeva solo come un vezzo e un capriccio e non perché se la sentisse davvero dentro come una virtù da elogiare, cosa che forse invece Milord avrebbe voluto.

«Certo Padre, lo so.» e annuendo di nuovo con un piccolo cenno del capo uscì dalla sala, irritato, arrabbiato, deluso e parecchio incazzato.

Ma quel giorno avrebbe avuto quello che voleva, quel giorno sperava di togliersi di dosso la rabbia almeno per qualche ora, non doveva far altro che andare a prendere il suo premio.

***

Jake si sentiva imbarazzato stretto nei pantaloni attillati che gli segnavano non poco il cavallo sul davanti e i glutei sodi in bella mostra non lasciavano molto spazio all'immaginazione mentre si dirigeva verso le scuderie. Sembrava impacciato in quella divisa perché era da tempo che non montava e se lo faceva non con quell'abbigliamento, ormai da anni in vero. Ma l'imbarazzo era anche dovuto alla strana situazione. Il valletto di un Conte non lo accompagnava nelle scampagnate a cavallo, non lo accompagnava neanche alle battute di caccia o in altri luoghi di svago, ma se il giovane Conte decideva così nessuno si sarebbe stranito o avrebbe detto il contrario. Per quello la Signora Davies una volta che lo aveva rivisto comparire un po' frastornato giù nel downstairs quella mattina poco dopo le dieci, gli aveva gentilmente chiesto quali fossero i programmi del giovane Conte ed era rimasta piacevolmente sorpresa da quella notizia, ma non scioccata quanto la Signorina Miles.

Jake sapeva che quella donna conosceva ogni pensiero più nascosto di Milady, certo era la sua cameriera personale e anche volendo la sua unica confidente quando ad Harlaxton non c'erano ospiti, e sapeva anche che Milady non lo tollerava più di tanto. Aveva saputo questo da Connor, naturalmente, che lo aveva saputo dal Signor Murray, il valletto di Milord, a cui lo aveva confidato la Signorina Miles. Ma lui cosa poteva farci? Era sempre impeccabile, puntuale, preciso, gentile, tutto il personale di servizio lo adorava, Signor Wood compreso anche se non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto minacce. Per giunta, tutti conoscevano la delicata situazione del giovane Conte, un giovane uomo un po' scapestrato che ne combinava di cotte e di crude solo per il gusto di mettere in imbarazzo il buon nome della sua famiglia che non gli donava nulla in cambio tranne che soldi, titolo e arroganza.

Era un miracolo in effetti a detta della Signora Davies che Jake dopo più di un mese fosse ancora lì e ancor più un miracolo il fatto che Hanry richiedesse la sua presenza così insistentemente ed assiduamente soprattutto negli ultimi giorni. Ma le congetture non erano fatte per lei, una donna che aveva dedicato anima e corpo a quella casa e a quella famiglia, vedeva in quelli come Jake dei ragazzi da dover quasi guidare nel mestiere e se necessario proteggere.

Per questo quella mattina vedendolo in difficoltà, gli aveva fatto cenno di seguirlo e lo aveva portato nella stanza del guardaroba con annessa lavanderia del personale. Aveva tirato fuori una bella tenuta da equitazione vecchia di qualche anno ma in uno stato assolutamente perfetto con pantalone stretto nero, camicia bianca con colletto Diplomatico e una meravigliosa giacca frac sempre nera, con bottoni bronzati sul davanti. Gli aveva fatto indossare tutto senza troppe domande, poi chiedendogli se i suoi stivali che sapeva possedere sarebbero andati bene per quella mattina, e ricevendo una risposta affermativa da Jake, lo aveva lasciato uscire non prima di avergli sistemato la giacca sul davanti, guardandolo quasi con un sorriso beffardo, come se fosse soddisfatta del suo lavoro.

«Non si metta nei guai Signor Scott.»

A Jake era parso di vedere un minuscolo occhiolino giungere all'occhio destro della Signora Davies mentre era sulla porta sul retro che lo accompagnava con lo sguardo oltre il cortile, ma non volle crederci e rispose solo cordialmente, sorridendo.

«Certamente Signora Davies, non mancherò di ascoltarla.»

Certo come no.

Aveva raggiunto le scuderie come gli era stato detto camminando guardandosi intorno con un leggero ma persistente imbarazzo, aveva preso uno dei cap da equitazione dalla grande sala all'entrata dell'edificio storico in pietra e legno che sorgeva maestoso in fondo ad un lato del giardino principale appena era arrivato, ed era uscito in attesa del giovane Conte. Lo stalliere però a quanto poteva vedere sembrava aver già ricevuto ordini precisi da qualcuno, perché Eighteen era fuori già sellato e pronto in tutta la sua maestosità e al suo fianco un altro stallone purosangue dal manto più rossiccio sembrava attendere con nervosismo.

«Lui è Kindness!»

Hanry uscì da uno dei box esterni che costeggiavano la staccionata e dove lo stalliere stava sistemando le staffe a Eighteen. Era bellissimo, splendido come sempre e così sensuale nella tenuta scura da equitazione molto simile alla sua, tranne che per i candidi pantaloni bianchi e con un tocco più raffinato naturalmente, che a Jake mancò quasi il respiro. Il sole gli illuminava i ricci color cioccolato facendogli vedere ogni onda, la pelle candida alla luce sembrava splendere, le cosce lunghe e magre al punto giusto strizzate dentro il tessuto dei pantaloni sembravano non finire più, e Jake dovette concentrarsi per non guardargli il davanti che lasciava poco spazio all'immaginazione senza restare fermo immobile a fissarlo. Gli occhi di Hanry erano ancora bassi, ma sapeva che se li avesse scorti un attimo avrebbe trovato quel rassicurante verde che era diventato passione ogni volta che si erano sfiorati, diventando liquido come assenzio, trasformandosi in assuefazione come lo era il piacere, e lui aveva avuto l'onore d'incontrarlo e perdercisi dentro per qualche istante.

«Ma non si fidi, non è molto gentile, vero Kindness?»

Jake lo stava ancora osservando, mentre il giovane Conte si avvicinava all'animale dal manto rosso e lo accarezzava sul muso con una tenerezza che forse ancora non aveva visto davvero. Ma rimase in silenzio, non volle rompere quell'idillio perfetto tra piccoli nitriti e impercettibili rumori di rassicurazione, così flebili da sembrare irreali.

Quello insieme ai libri aveva capito essere il suo piccolo mondo personale che si era costruito tra quelle quattro mura d'oro così grandi e magnifiche ma che lo lasciavano sempre estremamente solo. Rovinare quell'idillio sarebbe stato un peccato.

«Sa montare non è vero Scott?» Hanry mentre indossava il cap, fece segno allo stalliere di andarsene e lasciarli soli.

«Me la cavo Signore.»

Sempre molto reverenziale e professionale Jake rispose e con gesti sicuri indossò anche lui il cap.

Hanry gli sorrise alzando la testa e guardandolo, inchiodando gli occhi ai suoi e sorridendo malizioso. Jake non interruppe lo sguardo, sapeva provocare se ci si metteva e voleva farlo arrivati a quel punto. Il verde di Hanry era come ricordava, limpido, splendente, curioso e affamato. Il giovane Conte con agilità si issò su Eighteen, si guardò intorno per assicurarsi di essere solo e poi aggiunse.

«Vediamo se con me basterà un "me la cavo"»

Detto quello si allontanò di poco dal punto in cui si trovavano dando gambe ad Eighteen che subito si mosse diligente sotto il suo comando, una cosa che Jake aveva capito amava avere quasi sempre, la situazione sotto controllo.

Dopo anni di dressage e gare alle Royal Mews, Jake sapeva più che bene cavalcare, era quasi un professionista a sedici anni, ma era da tempo che non montava in quelle situazioni così formali. Si fece coraggio e si avvicinò al purosangue, lo salutò con movimenti dolci prima sul collo poi su un fianco, sistemò le briglie espirando tutto l'odore di pelle mista a crine e sudore, poi con agilità salì su con tutta la facilità del mondo come se lo avesse fatto il giorno prima, Kindness sembrò non protestare, buon inizio. Gli ci volle un attimo per riabituarsi a tutte quelle azioni che in lui facevano riaffiorare brutti e bei ricordi ma poi raggiunse il giovane Conte al trotto.

Hanry vedendosi avvicinare da Jake così virile e bellissimo in quelle vesti, non sapeva più se scendere da cavallo e andare in camera da letto con una qualche scusa, o cercare di contenersi e pensare ad altro. Optò per la seconda, voleva scoprire di più di quel giovane uomo e sperava di riuscirci. Prima di palesare la sua presenza al box, alla scuderia aveva osservato il valletto, la curva della schiena perfettamente incavata che gli faceva risaltare il fondoschiena fasciato dai pantaloni scuri e il portamento quasi aristocratico che lo incuriosiva così tanto, lo avevano sicuramente catturato. Ma il giovane Conte vide anche altro, i movimenti decisi con cui aveva preso il cap per poi guardare il numero della sua misura all'interno come se lo avesse fatto mille volte, l'esitazione nell'afferrare il frustino senza sapere bene se prenderlo o no, posandolo subito dopo, i movimenti decisi con cui aveva spostato le briglie a Kindness e con cui aveva stabilito un contatto con l'animale. Jake sapeva cavalcare, eccome se lo sapeva fare, ad Hanry quello non poteva sfuggire, non a lui, non con i suoi cavalli. Quindi vedendolo sicuro ed estremamente elegante trottare verso di lui in una postura perfetta e dritta mantenendo il peso sulle sue cosce toniche e tenendo i talloni appena spinti in basso, non poté fare a meno di sorridergli ancora, e fu ricambiato.

«Eccome se lo sai fare...»

Jake sentendo quell'affermazione sorrise di nuovo scuotendo appena la testa e lo seguì al galoppo.

Kindness era proprio un bel esemplare, veloce, forte, agile, nervoso e robusto, era scattante e assolutamente svelto ai comandi. Era un purosangue unico e Jake forse si era invaghito di lui o forse di qualcun altro?

***

Appena tornati alle scuderie giusto in tempo per l'ora del tè, che entrambi sapevano non avrebbero consumato né l'uno in biblioteca né l'altro in cucina, Hanry si era avventato sulle labbra di Jake. Avevano appena rimesso i cavalli ai box, una volta rientrati alla tenuta sarebbero tornati gli stallieri a sistemarli e liberarli di sella e morso, ma in quel momento erano completamente soli e nella più completa privacy.

«Se arriva qualcuno?»

«Basta che non fai troppo rumore e nessuno arriverà, siamo soli, sanno che non devono disturbarmi qui.»

Hanry era deciso a spogliare Jake alla velocità della luce, ma Jake non riusciva più a contenersi quindi iniziò per primo a spogliarlo mentre ancora dovevano infilarsi in un box, e in uno scontro di lingua, denti, bacini che si incontravano per cercare una qualche frizione, gambe che si muovevano e braccia che provavano a sganciarsi le camice all'unisono, caddero rovinosamente per terra, per fortuna su fieno pulito dentro ad un box nell'angolo più nascosto della scuderia.

«Cazzo Hanry, perché sono così stretti?»

«Sono pantaloni da equitazione Jake che ti aspettavi?»

Il valletto stava armeggiando con l'apertura sul davanti ma senza riuscirsi, non ricordava che fossero così complicati da togliere e in realtà neanche da mettere visto il tempo che ci aveva impiegato qualche ora prima.

«Aspetta!»

Hanry lo bloccò mentre era sotto di lui ormai quasi disteso in una groviglio di capelli arruffati e fieno che gli si incastrava tra i ricci ribelli.

«Che c'è, cosa, cosa?»

Jake parve allarmato, dopotutto la situazione non si era fatta per niente consona né per il galateo né per la sua posizione quindi si tirò su completamente in piedi.

«Dobbiamo togliere tutto, io così non riesco.» Il riccio poi sbuffò mentre lo guardava dal basso, l'eccitazione negli occhi e il fiato corto. Jake rise, Hanry voleva spogliarsi completamente nelle scuderie di famiglia per fare sesso come se avesse tutta la calma del mondo, assurdo, davvero assurdo.

Ma non stava scherzando, il giovane Conte lo prese dalla giacca e tirandolo di nuovo giù con se iniziò a togliersi gli stivali in un chiaro segno di essere imitato, così entrambi ad una velocità inaudita e non perdendosi di vista, seduti sul pagliericcio fresco, iniziarono a spogliarsi velocemente, prima stivali, poi giacche, poi pantaloni e con sua grande sorpresa Jake vide che ancora una volta Hanry era un passo avanti a lui.

La biancheria intima era qualcosa che non doveva piacergli particolarmente.

«Che aspetti?» disse Hanry che si stava sbottonando piano la camicia bianca.

Jake sorrise ancora scuotendo la testa.

«Va bene, mi sbrigo!»

«Direi che è necessario sì.»

«Aspetta! Non toglierla!»

Hanry non capì subito ma poi intese cosa Jake volesse dire. E mentre anche quello non si sfilava la camicia che chissà per quale ragione voleva ancora indossare seppur sbottonata completamente, si avventò sulle labbra del riccio che era nelle stesse condizioni ma con già molto più fieno tra i capelli.

Il suo sapore lo devastava, quel Sambuco mischiato con il fieno e l'odore ardente di stalla e cavalli, lo fece eccitare all'inverosimile e così quasi completamente nudo e già molto eccitato, fece stendere Hanry sulla schiena e gli si mise tra le gambe, facendosi allacciare quelle meravigliose cosce snelle e lunghe, intorno ai fianchi. Non c'erano più inibizioni, vergogna, imbarazzo. Era un accarezzarsi e volersi molto diverso da quello della sera prima, ma li trovò completamenti pronti a lasciarsi andare. Tante parole erano state dette quella mattina, tanti piccoli tasselli di vita ed esperienza erano scivolate fuori dalle loro bocche mentre passeggiavano lungo il laghetto poco lontano da lì, portando Kindness e Eighteen con loro a briglia. Ma non era il momento delle domande, non ancora, non in quell'istante, adesso bastava il sesso e i loro profumi a mescolarsi e mischiarsi insieme, creandone uno tutto loro.

«Ti voglio con questa addosso.»

«E allora prendimi.»

«Sei stanco di cavalcare?»

Jake osò una frase che Hanry capì al volo e con un sorriso così malandrino e furbo che fece impallidire perfino il valletto che la sapeva lunga riguardo a sguardi astuti, Hanry invertì le posizioni con un colpo di reni aiutato dal castano. Jake completamente alla mercé di Hanry, adesso sentiva il calore del fieno sulla sua schiena attraverso il tessuto leggero e quello del corpo dell'altro su di se. Lo guardava dal basso così estasiato da non poter fare a meno di attirarlo a se e rovinare ancora un po' quelle labbra così aristocratiche e talmente erotiche che lo mandavano fuori di testa.

«Non l'ho mai fatto, non così.»

Hanry lo sussurrò a fior di labbra ma senza alcuna esitazione e vergogna, mentre Jake gli metteva le mani nei capelli e gli accarezzava la nuca.

«Ma voglio provare...»

Il castano non ebbe il tempo di rispondere che Hanry iniziò a mimare con il bacino il movimento che faceva per spronare il suo purosangue. Jake gli fece capire che era proprio quello il modo giusto d'iniziare.

Si guardarono con un rispetto che non pensavano servisse in quel momento, come se la virilità non si misurasse in gesti ma in sensazioni. Harry si fiondò ancora sulle labbra del valletto senza perdere il ritmo senza ripensamento alcuno. Intorno a loro una calma quiete disturbata solo da qualche nitrito, aleggiava piacevole, il caldo iniziava a farsi sentire e la situazione e il fieno certo non aiutavano.

La camicia di Hanry lo seguiva nei movimenti e il suo flebile sfregare sui fianchi di Jake lo faceva impazzire.

Consumarono la loro eccitazione in istanti di puro piacere. La visione che Jake aveva del giovane Conte da quella prospettiva lo lasciava senza fiato. Nudo con solo la candida camicia addosso e il petto completamente esposto per lui che continuava a guardargli ogni centimetro di corpo mentre lo sovrastava donandogli piacere e prendendone altrettanto, lo ammaliava.

Dopo lunghi minuti di godimento, Jake gemette forte un'ultima volta e poi si abbandonò con la testa all'indietro al suono appagato di Hanry che ancora tremante lo sovrastava ma che adesso si era abbandonato sul suo petto. Gli fece voltare la testa e lo baciò con tanto impeto da fargli dimenticare dove si trovassero. Staccandosi si abbandonarono sul pagliericcio con un sospiro appagato.

Ripresero fiato in silenzio, mentre le loro labbra e i loro sapori si mescolavano, ancora tranquilli, soddisfatti, come se non vivessero in quelle vite, come se non avessero dei doveri o delle mansioni. Tutto scompariva in quei momenti, c'erano solo il sesso e loro due, ma forse dentro di loro sapevano che c'era molto di più.

«Sì, sa decisamente cavalcare Signor Scott!»

«Lei molto meglio di me Milord.»

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