𝚣𝚎𝚛𝚘
Giugno
"Dio esiste e mi odia."
Sebastian ne era convinto. Non ricordava di preciso quando fosse giunto a quella conclusione, ma era certo che fosse l'assoluta verità. Doveva essere così per forza, altrimenti avrebbe cominciato a detestarsi sul serio.
Se non fosse esistita alcuna divinità capricciosa, allora sarebbe stato costretto a incolpare se stesso per le perdite che aveva subito nel corso degli anni e non era minimamente pronto a venire a patti con quella possibilità. In cuor suo, desiderava davvero che esistesse un Dio e che lo odiasse.
In realtà già si disprezzava.
Credeva di essere un avido bastardo, di aver divorato con ingordigia gli unici doni che gli erano stati concessi e che quindi si meritava l'inferno che stava vivendo. Quelle mani che lo toccavano senza sosta, privandolo del respiro. Quegli schifosi che sbavavano al pensiero di possederlo, che gli avevano strappato l'innocenza.
Rimpiangeva ogni singolo istante della sua vita. Se fosse stato docile come un agnellino fin dal principio, forse gli avrebbero almeno concesso di esistere senza soffrire troppo, ma ora era lì: nel luogo del loro primo incontro e ancora non avvertiva nulla. Avrebbe tanto voluto tornare indietro nel tempo e pregare quella ragazza di non lasciarlo, ma ovviamente era impossibile.
Sebastian sapeva che Dio amava separare le cose, catalogarle. Probabilmente lo aveva già etichettato come demone e di certo non gli avrebbe concesso alcun miracolo. Nemmeno il più piccolo. Per questo perfino sua madre lo aveva abbandonato, dandolo in pasto a un mostro, prima ancora che potesse abituarsi all'affetto di una persona.
E Dio doveva odiarlo per davvero. Se ne stava in cielo, godendo della sofferenza umana come la più sadica delle creature, e probabilmente stava ridendo di lui.
A Sebastian, che a malapena esisteva, non era mai stato concesso nemmeno di amare. Tutti quelli per cui aveva provato affetto, gli avevano presto voltato le spalle.
"Perché sono io l'unico che continua a perdere?" se l'era chiesto parecchie volte. "Perché non hanno ancora inventato qualcosa per stordirsi del tutto, per cancellarsi la memoria?"
Avrebbe solamente voluto dimenticare com'era provare gioia, almeno non gli sarebbe mancato così tanto essere felice.
Il cielo quella sera era sereno, in completo contrasto con il suo animo tempestoso. Riusciva a vedere chiaramente le stelle, ad avvertire la freschezza della brezza estiva sulla pelle. E rimaneva con lo sguardo alzato, a scrutare la luna. A chiedersi quando la sua farfalla sarebbe venuta finalmente a prenderlo.
«Signore.»
Quella maledetta parola ogni volta era come una secchiata di acqua gelida. Sebastian si voltò lentamente.
I suoi uomini gli fecero un cenno del capo e lui capì immediatamente che era arrivato il momento, che suo padre lo stava cercando. Nessuno lo chiamava mai per nome in quella casa. Nemmeno Taylor, che in quel momento si trovava fra quegli uomini in divisa scura, osava pronunciarlo, se non quando rimanevano soli. Ironico che quello fosse l'unico lascito di sua madre: un nome e una persona. Taylor era stato praticamente comprato. "Adottato" magari era il termine corretto, ma il suo ruolo rimaneva quello di tenerlo d'occhio e di intrattenerlo per non farlo impazzire del tutto. In pratica un babysitter che lo teneva buono. O un guinzaglio per cani.
Sebastian sorpassò il gruppo senza spiccicare parola. La sola cosa che percepiva era il suono scricchiolante della sabbia sotto il peso dei passi. E lo impensieriva. Odiava quando c'era troppo silenzio. Lo nauseava sapere di essere solo. E l'aria di mare gli dava il mal di testa, esattamente come il rumore di quelle onde che si infrangevano sugli scogli. Ancora e ancora.
Alcuni bambini se ne stavano seduti a qualche metro da loro. Li osservavano, giocando con degli stupidi bastoncini. La spiaggia pareva il loro personale regno e quelle improvvise risate, così serene, colpirono Sebastian in pieno stomaco. Si fermò e per un attimo ebbe l'impulso di tornare indietro e gettarsi in mare. Morire.
Invidiava quei mocciosi. Lui aveva appena vent'anni e già il cuore putrido, viscido. Il suo mondo non conosceva pace e si era tinto di nero inchiostro tempo addietro, quando lei l'aveva lasciato. Ormai non sopportava nulla, non gli piaceva niente. Forse si sarebbe sparato un colpo di pistola quella sera. Riprese la sua marcia, sentendosi ancora apatico, spento.
"Perché sono così?" si chiese.
Almeno in apparenza, aveva tutto. Quella notte ad affiancarlo vi erano quattro uomini pronti a farsi calpestare a ogni suo capriccio, una macchina sportiva parcheggiata in strada ad aspettarlo e tre donne, una più bella dell'altra, a struggersi solamente per un suo sguardo. Indossava vestiti di marca, aveva più soldi di quanti gliene servissero davvero e poteva anelare a un futuro tutto sommato accettabile. Ma non riusciva a essere felice. Anzi, non poteva esserlo.
Una goccia d'acqua all'improvviso gli scivolò sulla guancia e Sebastian alzò lo sguardo, intontito. Stavano comparendo le prime nuvole tempestose e gli tornarono in mente quegli occhi ardenti. E il suo nome.
"Spider..."
Scosse la testa. Doveva sbrigarsi. Era uscito con la decappottabile e una copia del libro lo attendeva dentro l'auto. Non poteva rischiare di inzupparlo. L'aveva comprato giusto quella mattina. Come ogni primo del mese, puntualissimo.
Sospirò. Era patetico quanti volumi della stessa storia avesse acquistato e messo da parte, digitali o cartacei, quanti ne avesse lasciati nascosti in giro solo per essere sicuro di avere qualcosa a cui aggrapparsi. E doveva essere pazzo per essere tanto ossessionato da quella stupidissima favola.
Affrettò il passo. Arrivò all'auto. Una testolina bionda spuntò dal sedile del passeggero. E Sebastian aprì la portiera della spider per farla scendere, rendendosi conto solamente in quel momento che perfino il modello della sua macchina non era affatto casuale. Si morse il labbro con forza. Odiò essersene accorto.
"La farò cambiare." si disse.
Ce l'aveva da appena una settimana, ma era inutilmente appariscente con quella carrozzeria gialla. L'aveva comprata perché inconsciamente gli aveva ricordato il dolce suono del suo nome, però doveva darci un taglio. Non sarebbe mai tornata da lui.
Con questi pensieri, Sebastian ignorò la donna che lo stava accogliendo con un sorrisone a trentadue denti, incorniciato da carnose labbra a canotto, sporche di rossetto e vino rosso. Si allungò invece per recuperare il libro, finito sotto i suoi luridi tacchi a spillo. La fulminò con lo sguardo, quando notò che gli aveva rovinato un angolo. E lei si alzò, lesta come una lepre, quasi l'avesse punta con degli aghi. Scese dalla macchina, sorpassandolo senza dire nulla. Sapeva di essere stata bocciata.
Sebastian allora si tolse la giacca, lanciandola, svelto, a uno dei suoi subordinati. Tirò poi su le maniche della camicia e cercò di allontanare gli istinti omicidi grattandosi la nuca.
Altre gocce di pioggia scesero fra i suoi capelli, cominciando a infastidirlo.
Tre dei suoi uomini presero posto nell'auto scura alle spalle della spider, ma Taylor rimase con lui e gli chiese se fosse in vena di guidare. Sebastian annuì, prendendo le chiavi che gli stava porgendo. E una seconda donna gli fu subito a fianco.
Sebastian la osservò. Avrebbe scommesso cento verdoni che fosse nervosissima. Fino a un momento prima, la donna aspettava solamente la sua occasione, seduta nella macchina nera che accompagnava sempre l'erede della famiglia Show. Anche lei, come la prima, aveva dei meravigliosi capelli dorati e non vedeva l'ora di accontentare ogni voglia di quel giovane.
Sebastian trovava la cosa a dir poco comica: quelle ragazze si rendevano desiderabili in qualsiasi modo, con quegli abiti succinti e il trucco perfetto ma, nonostante fossero passati anni, l'unica cosa che continuava ad attirarlo davvero in una persona era solamente una chioma bionda, lunga e spettinata. E nessuna di quelle brutte copie ne era mai stata all'altezza.
Sebastian aspettò che la ragazza prendesse posto, poi sbatté la portiera con forza. Lei sussultò, si perse a guardare le vene del braccio dell'erede, mentre lui accarezzava, incantato, la copertina del libro.
Il ragno e la farfalla.
Non faceva che rileggere quella storia. Ormai la conosceva alla perfezione e avrebbe potuto persino ripeterla a cantilena. Eppure non riusciva a stancarsene. Magari sperava che il finale cambiasse all'improvviso, per questo continuava ad acquistarne delle copie.
"Perché l'autore è stato così stronzo? Dovrebbe essere una fiaba per bambini!" si domandò Sebastian, forse per la millesima volta.
Il vento ghiacciato gli accarezzò le guance. Notò subito che la ragazza avesse freddo, stretta nel suo abitino da cocktail, tanto striminzito da dare l'idea da strapparsi al primo passo falso, ma ciò non lo turbò minimamente. Fece il giro della decapottabile, ne sfiorò il cofano con le dita. Era congelata, l'aveva parcheggiata almeno tre ore prima.
Arrivato dal lato del conducente, allungò una mano per aprire la portiera e tornare a casa.
Poi un rumore. Le ruote di uno skate, delle risatine smorzate. In un secondo l'intero universo tornò ad avere finalmente senso.
Sebastian alzò lo sguardo e... la vide. Volteggiava sul marciapiede, leggiadra, quella bellissima farfalla. Il mondo rallentò. In un istante quella donna riuscì a privarlo della forza. La pioggia era diventata davvero fastidiosa, eppure Sebastian smise quasi di percepirla. E pure il libro gli scivolò di mano, finendo sull'asfalto con un colpo secco. Ma non gli importava più che si fosse rovinato: il finale che desiderava si stava svolgendo proprio davanti ai suoi occhi.
Quel sorriso spensierato gli era mancato come ossigeno ed era a dir poco angelico, non possedeva nulla dell'ipocrisia che attanagliava la sua cerchia. Taylor si accorse immediatamente che qualcosa non andava: si chinò a raccogliere il volume, poi gli batté un colpo sulla spalla, però Sebastian lo avvertì ovattato, così come la sua voce.
Ormai era incantato. Perso.
Spider, a dispetto del nome, per lui era sempre sempre stata una farfalla: libera di andarsene, di lasciarlo indietro. Non aveva bisogno di una tela a cui rimanere aggrappata per sopravvivere. Non era come lui.
Sebastian si ritrovò ad arrossire, deglutì, boccheggiò. Schiuse le labbra per dire qualcosa. Voleva solo fargli notare la sua presenza, rientrare nella sua vita. Qualcosa però lo fermò. Non si era mai permesso il privilegio di pronunciare quel nome ad alta voce e gli pareva perfino blasfemo disturbare il mondo pacifico di cui quella creatura faceva parte. Anche se avrebbe solamente voluto gridarlo a squarciagola, chiamare quella meraviglia.
E imprigionarla per sempre, così che Dio non potesse mettersi in mezzo.
Una figura la sorpassò all'improvviso. Era velocissima, un fulmine e, di tutta risposta, la farfalla osò un piccolo salto sullo skateboard. Sbagliò, inciampò e si lasciò andare a un risolino vivace mentre quell'affare scivolava via dal suo controllo, andando a capitolare contro un lampione vicino. Si era sbucciata un ginocchio, ma la ferita disturbò più Sebastian che la ragazza.
Lui ancora non si mosse. Quella risata musicale lo lasciava senza fiato. L'aveva catturato di nuovo, le era bastato un secondo.
Perché? Come c'era riuscita?
Sebastian si sentì soffocare. Odiava essere così distante da lei. Avrebbe solamente voluto scavalcare la macchina, attraversare la strada, correre sul marciapiede e tenerla stretta fra le braccia. Per l'eternità.
«Signore?» lo chiamò Taylor, preoccupato.
Sebastian tentò di calmarsi, facendo un profondo respiro. Non ci riuscì. Aveva i palmi sudati.
La figura di poco prima tornò indietro per soccorrere la farfalla. Era una ragazzina, giovane ma molto più sicura nei movimenti di quanto non fosse lei e la raggiunse in fretta, fermandosi appena prima di finirle addosso.
«Stai bene?» domandò, porgendole un braccio.
L'altra le rispose con una smorfia divertita, afferrandole la mano per rimettersi in piedi. La pioggia si fece più forte, eppure per Sebastian batteva lenta ed era quasi impercettibile. Sembrava esserci solamente per ricordargli che sì, era sveglio.
Il cuore gli sussultò in petto. Senza rendersene conto, mosse un passo nella sua direzione, andando a sbattere contro la macchina. Imprecò a bassa voce. Si era dimenticato perfino cosa stesse facendo. Tornò a osservare la scena, noncurante di chi aveva intorno. Taylor lo stava fissando senza dire una parola e Sebastian percepiva il suo sguardo addosso, gli stava perforando la pelle, ma non gliene importava. Non riusciva a distogliere gli occhi dalla coppia.
La luce giallognola del lampione illuminava quei tratti dolci, asiatici. Quelle due erano sicuramente parenti, si assomigliavano parecchio, ma Sebastian era convinto che Spider avesse un fratello, non una sorella. Forse erano cugine? Qualcosa del genere? Per lui fu una doccia ghiacciata rendersi conto che c'erano così tante cose che ancora non conosceva sul suo conto.
«È l'ultima volta che salgo su questa trappola mortale!» esclamò all'improvviso la farfalla, scombussolando, per l'ennesima volta, l'esistenza di Sebastian.
Aveva una bella voce. Gli piacque immediatamente. Eppure, a dispetto del suo aspetto androgino, non possedeva nulla di femminile. Era leggermente acuta, ma decisamente virile.
"Un maschio." realizzò Sebastian, sentendosi un idiota. Si erano conosciuti da bambini e probabilmente lei... Lui non lo ricordava affatto. Quella vocina infantile lo aveva tratto in inganno ai tempi, per questo non se ne era reso conto. Per questo non era riuscito a trovarla dopo. Era un uomo, proprio come lui.
Eppure quella nuova scoperta non lo disturbava per niente. Spider era Spider. Ed era lì. "Chissà cosa proverei se pronunciasse il mio nome?" si chiese.
Si portò poi una mano al petto e per la prima volta percepì davvero il battito del suo cuore, impazzito. Si sentì finalmente riprendere fiato. E vivo. Ecco cosa mancava a quelle brutte copie.
«Non è colpa mia se fai schifo!»
«Lo è invece. Sei una pessima insegnante.»
"Ti ho trovato." era l'unica cosa che Sebastian riusciva a metabolizzare in quel momento. E mentre quei due ridevano, fece un passo indietro. Sapeva di non poter irrompere nel suo mondo in quel modo. Non poteva rischiare di perderlo di nuovo. Non ora che poteva recuperare.
Si voltò allora verso Taylor. Il ragazzo aveva già intuito cosa stesse per chiedergli, ma Sebastian glielo ordinò lo stesso: «Voglio un resoconto completo entro domattina.» gli disse, indicando la coppia con un cenno del capo.
Giurò a se stesso che non avrebbe più commesso lo stesso errore. Spider era suo e non l'avrebbe più fatto fuggire.
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