𝚚𝚞𝚊𝚝𝚝𝚛𝚘
Isaac era disperato. Non era passato nemmeno un giorno da quando aveva scritto la prima pagina del diario, eppure eccolo di nuovo lì: con la penna stretta nel pugno, a imbrattare furiosamente il foglio d’inchiostro. Aveva deciso di sfogare il nervosismo così. Era certo un modo più sano che prendere a pugni in faccia ogni pupazzo che possedeva.
Sua madre l’aveva pure costretto a staccare prima da lavoro. Quando era agitato, Isaac puliva. Lo faceva in modo maniacale, torturando ogni superficie con litri di candeggina e impedendo a chi gli stava intorno di interromperlo. Sua sorella Isabelle gli aveva ripetuto più volte di fermarsi, che a momenti a furia di strofinare avrebbe fatto un buco sul bancone, ma lui era tornato in sé solamente quando la vera caporale di casa, alias sua madre Akiko, aveva minacciato di fargli pulire ogni singolo sassolino presente in strada. Isaac sapeva che non stava affatto scherzando. Allora si era ammutolito, aveva percorso le scale che portavano all’appartamento al piano di sopra e si era chiuso nella sua stanza.
Nonostante i figli avessero nomi americani, Isaac era in parte giapponese, quindi, fin da piccolo, era stato rigidamente educato a rispettare i desideri dei più grandi. Sua madre si era trasferita nella Grande Mela almeno quarant’anni prima, carica di speranza e progetti per il futuro. Aveva incontrato suo padre, se ne era innamorata. La caffetteria fu il loro grande investimento, la cosa di cui erano più orgogliosi.
Suo fratello Paul fu il primo a nascere. Era un bambino d’oro, perfetto in tutto. Isaac nacque per secondo e passò l’adolescenza a invidiarlo. Poi fu il turno di Isabelle e infine del piccolo George.
Isaac adorava la sua famiglia, eppure c’era qualcosa che continuava a tormentarlo profondamente. Era il fratello minore di quello che era praticamente un Dio e ciò gli aveva causato non pochi problemi. Paul era intelligente, atletico, suonava in una band, era pieno di talento e, soprattutto, era normale. Non vedeva cose strane, non viveva in un mondo a parte, era riuscito a farsi ammettere in un college prestigioso e gli piacevano le ragazze. Isaac non era così. Lui rifiutava le persone, si faceva mille complessi sul suo fisico minuto, vedeva una realtà agli altri invisibile, gli piacevano gli uomini e si era innamorato proprio dell’unico che era veramente intoccabile, fuori dalla sua portata. Un po’ si odiava.
Finito di scrivere, gettò uno sguardo allo specchio intero posto contro la parete. Vedeva sfocato. Si alzò dalla sedia, gli andò incontro. Si era messo gli anfibi, i cargo neri, una maglietta a rete sormontata dalla t-shirt rossa di una band metal. Non aveva mai fatto i buchi alle orecchie, eppure aveva comprato una marea di finti piercing che ora parevano forargli la pelle lungo tutto il lobo destro. Si piaceva eppure, allo stesso tempo, odiava che sembrasse ancora così tanto femminile.
Alcune ciocche di capelli gli ricadevano sulla fronte e prese un elastico per farsi una piccola coda, ricacciandosi indietro la frangia. Ma così pareva ancor di più una “leggiadra fanciulla” e si slegò la chioma con rabbia.
Sospirando, alzò gli occhi dalla sua figura e scrutò la parete. Tra i vari poster di zombie e disegni che aveva fatto lui stesso, sbucava una farfalla morfo blu. Si allungò per sfiorare la cornice con le dita. Il legno era freddo, il vetro ancora di più e ci lasciò su l’impronta.
Gliel’aveva regalata Sebastian. Isaac l’aveva sempre trovata inquietante, eppure non avrebbe mai rifiutato un suo dono. Era perso per quell’uomo e l’aveva addirittura appesa. Sbuffò. Ultimamente non faceva che pensare a lui. Fece un passo indietro. Tornò dal diario.
Accarezzò la copertina di pelle scura. Era ruvida contro le sue dita e si domandò se coccolare un alligatore gli avrebbe dato una sensazione simile. Scuotendo il capo, socchiuse gli occhi, immaginandoselo. Poi si bloccò, scottato. Probabilmente quella non era una cosa che si sarebbe dovuto chiedere. Non era una domanda da “sani di mente”.
Osservò allora gli occhiali che lo fissavano a lato della tastiera del computer. La montatura rotonda lo riportava ai tempi in cui era talmente tanto fan di un certo maghetto da obbligare sua madre a comprargli ogni gadget sui cui posava lo sguardo. Anche i più stupidi. Una volta si rifiutava di indossare le lenti con fervore, ma appena aveva visto quelle se ne era innamorato all’istante. Prese gli occhiali, se li mise.
Fu in quel momento che, con la coda dell’occhio, notò un movimento fugace. Una scarica di brividi glaciali gli percorse il corpo e, agitatissimo, pregò che non stesse succedendo di nuovo. Perché quell’ombra non lo lasciava in pace? Serrò le palpebre, impaurito. Non voleva vederla, non voleva ascoltarla.
Poi una voce familiare chiamò il suo nome. Isaac sobbalzò. Aprì lentamente un occhio solo, poi arrivò il sollievo.
Il volto di Sebastian sbucò da dietro lo stipite della porta, lo salutò, gli andò incontro. Aveva inciso sulle labbra un sorriso pazzesco. Isaac si strofinò gli occhi. Credeva di sognare, eppure lui era davvero lì.
“Perché Seb deve sempre attentare alla mia incolumità?” pensò Isaac, portandosi una mano al petto per assicurarsi che il cuore gli battesse ancora.
«Wow!» lo squadrò. «Fai sul serio con lei, allora…»
«Sì, mortalmente serio.» mentì. Isaac si chiese per quanto tempo l’avesse osservato, sperò che non fosse per molto. Era curioso, ma non osava chiederglielo.
Sebastian corse con lo sguardo al diario, lo riportò su Isaac: «Stai scrivendo un romanzo?»
«No, le mie memorie!» ribatté teatralmente, facendolo ridacchiare.
Aveva deciso di dirgli una mezza verità: avrebbe evitato di ammettere che praticamente parlava solamente di lui e di quanto lo facesse impazzire. Soprattutto se gli compariva davanti in quel modo: con i capelli arricciati, la camicia nera che gli premeva contro i pettorali e i pantaloni eleganti. Il tatuaggio si intravedeva a malapena sotto il colletto. Isaac arrossì. Sebastian veniva da un romanzo rosa: non c’era altra spiegazione.
«Non sapevo fossi tipo da diari segreti.» sghignazzò. «Non preferisci disegnare?»
Isaac si sentì punto sul vivo. Aveva ragione e non poteva negarlo, però: «Cosa ti fa pensare che non lo stia usando anche per quello?» borbottò, truce, distogliendo lo sguardo.
«Touché.» Sebastian alzò le mani in segno di resa, dopodiché si perse a fissare i poster appesi alle pareti. Quando arrivò alla farfalla, che aveva il posto d’onore sopra lo specchio, non riuscì a trattenere un sorriso.
Isaac intanto lo osservava. Il pensiero che fosse lì con lui, a invadere il suo spazio, non lo agitava per nulla: era già stato a casa sua parecchie volte. Ciò che lo incuriosiva, però, era il suo comportamento: Sebastian si guardava intorno come se fosse appena entrato in un mondo nuovo e dovesse scoprire chissà quale tesoro perduto.
«Perché sei venuto?» gli domandò. Per quanto la sua presenza lo rassicurasse, non avevano programmato nulla per quella sera e Sebastian sapeva che doveva uscire con Julia.
«Venuto?» ripeté Sebastian, ammiccando nella sua direzione e facendolo inevitabilmente arrossire.
«Cosa ci fai qui?» Isaac scandì parola per parola, facendolo ridere. Sebastian aveva un modo insolito di scherzare, tutto qui: continuò a ripeterselo, tentando di convincersi.
«La tua adorata Julia non ti ha detto nulla?» gli rispose, enigmatico, lasciandosi cadere sul letto.
Isaac deglutì, giocherellò con un lembo di maglia, incerto su cosa fare e dire, ma quando Sebastian batté un paio di colpi sulle coperte decise di sedersi al suo fianco, anche se averlo così vicino e su una superficie tanto morbida gli faceva nascere strane fantasie. E si sentì uno schifo. Sebastian aveva già subito abbastanza senza che ci si mettesse anche lui.
«No. Non mi ha nemmeno scritto.» confessò infine, asciugandosi i palmi sudati sui pantaloni.
«E tu ti sei fatto comunque bello per lei.» borbottò Sebastian, facendo poi schioccare la lingua contro il palato.
Isaac si sentì andare a fuoco. Sapeva che non lo intendeva in senso romantico, però aveva appena ammesso che lo trovava di bell’aspetto. Una vittoria era una vittoria.
«Magari ti ha dato picche e tu nemmeno te ne sei accorto.» continuò Sebastian e sbuffò, ancora infastidito.
A Isaac non sarebbe affatto dispiaciuto in realtà. Immaginò di passare la serata con Sebastian, di tenergli la mano fino al mattino seguente. Non osava andare oltre. Se l’avesse fatto, poi quelle fantasie perverse non gli avrebbero dato pace e l’avrebbe sognato ogni dannata notte, stretto nelle sue braccia.
«Terra chiama Zack.» Sebastian gli sventolò una mano davanti alla faccia, quando si rese conto che Isaac non lo stava nemmeno più ascoltando. Lo vide arrossire, muovere nervosamente le dita come se volesse agguantare qualcosa. E gli si chiuse lo stomaco. «Sei davvero così preso da quella stronza?» socchiuse le palpebre.
Isaac strabuzzò gli occhi. Riportò lo sguardo su Sebastian: pareva sul punto di una crisi di nervi e continuava a sventolargli la mano davanti al muso.
«Sei tu quello preso da qualcuno qui.» sussurrò, aggrottando le sopracciglia. D’istinto gli afferrò il polso, per farlo smettere, e una scarica elettrica gli mozzò il fiato.
Il polso di Sebastian era talmente grosso che Isaac non riusciva a toccarsi la punta delle dita nemmeno se stringeva la presa. Quella era una sorpresa. Erano entrambi uomini, eppure lui era così gracile al suo confronto… e per la prima volta trovò quella differenza rassicurante. Se Sebastian l’avesse visto come una donna, forse avrebbe avuto una mezza possibilità.
Isaac avrebbe davvero voluto toccarlo ogni giorno. Osservare quelle iridi celesti per settimane. Baciarlo per mesi. Accarezzarlo per anni. Spingerlo sul letto e renderlo suo per sempre.
Strabuzzò gli occhi, fece per allontanarsi, ma stavolta fu Sebastian ad aggrapparsi al suo piccolo polso. Isaac deglutì. Sebastian non accennava a muoversi e Isaac credette sul serio di star per andare in iperventilazione.
Sebastian si sentiva ipnotizzato. Avvertiva chiaramente il cuore agitato dell’amico battere furiosamente sotto il suo pollice. Se premeva più a fondo, scavando nella dolce, dolcissima pelle chiara del polso, Isaac tremava contro le sue dita.
Era bello percepire qualcosa di così vivido. Sembrava il battito d’ali di una farfalla appena nata: un volo inesperto, zoppicante e magnifico.
«Non mi hai ancora detto cosa fai qui.» gli ricordò Isaac. La voce gli si era terribilmente abbassata. Era troppo roca, troppo nervosa. Il cuore di Sebastian perse un battito. Mollò subito la presa, distolse lo sguardo. Isaac riusciva a essere tremendamente virile a volte.
«È un doppio-appuntamento.» rivelò infine. Evitò di aggiungere che era stata una sua idea, che il pensiero di lasciarlo solo con Julia lo aveva tormentato e non aveva proprio resistito. Isaac si sentì morire. Sarebbe stato costretto a vederlo flirtare con Chloé tutta la sera?
«Pensavo rimanessi a casa.» ribatté.
«Chloé mi ha chiamato un’oretta fa, Julia è tipo la sua migliore amica. Pensava che sarebbe stato divertente.» si giustificò ripetendo, con tono quasi robotico, la scusa che si era preparato.
«E tu le sei corso dietro come un bravo cagnolino.» Isaac si morse la lingua. Non sapeva da dove gli fosse uscito quel veleno.
«Stai insinuando qualcosa?» gli chiese Sebastian, inclinando il capo. Si avvicinò talmente tanto al suo viso, che Isaac per un attimo credette davvero che stesse accadendo tutto nella sua testa, eppure percepiva chiaramente la sua presenza: il fiato bollente che gli soffiava sulle labbra con forza, lo sguardo ammaliante.
Sebastian sapeva di star forzando la mano, che Isaac non era abituato a farsi toccare in quel modo, eppure non resisté oltre. Lentamente, appoggiò il mento sulla spalla del povero Isaac, che lo osservava con occhi spalancati. Sebastian sorrise, facendo pressione. Isaac fu costretto a conficcarsi le unghie nelle ginocchia per non fare nulla di stupido. Era già arrossito talmente tanto da ricordare un peperone e stava sudando, sentiva caldo.
«Allora?» insisté Sebastian, alzando una mano per giocherellare con la frangetta dell’amico.
«Solamente che sei un cagnaccio al guinzaglio.» sputò fuori Isaac, cacciando indietro almeno un litro di saliva. Gli afferrò nuovamente il polso, lo allontanò dal viso e lo lasciò subito dopo, tirando fuori la lingua per sfotterlo. Sebastian scosse la testa, divertito. Nessuno dei due osò spostarsi di un millimetro.
«Vuoi mettermene uno tu?» scherzò e quella domanda improvvisa fu un duro colpo per Isaac. Perché per un secondo desiderò davvero legarlo alla tastiera del letto.
«R-rosa va bene?»
«Sì, lo abbino ai capelli.» sorrise.
Isaac capì che sarebbe stato meglio troncare quella conversazione, altrimenti avrebbe cominciato a inserire sottotesti e significati che non esistevano neppure. Si alzò in piedi di scatto. Sebastian sbarrò gli occhi, confuso, ma si rilassò l’istante dopo, abbandonandosi contro un cuscino. I cambiamenti repentini di Isaac non lo impensierivano, sapeva com’era fatto e lo avrebbe accettato. Anche se il contatto fisico già gli mancava e quindi, avendo intuito l’antipatia che Isaac nutriva nei confronti di Chloé, decise di provocarlo. Giusto un pochino.
«Sai, avrei voluto chiedere a Chloé di diventare la mia ragazza, ma non posso con voi due in mezzo.» sospirò, drammatico. Serrò le palpebre, poi socchiuse un occhio per osservare la sua reazione.
Sperò di sentirlo ridacchiare nervosamente o - perché no? – perfino di vederlo infastidito. Isaac non si arrabbiava spesso, sarebbe stata una novità. E il pensiero di poter leggere un velo di gelosia in quello sguardo penetrante… gli piaceva. L’amico però fece una smorfia. Incrociò le braccia al petto. Gli parve triste. Non era quello a cui Sebastian stava puntando e la saliva gli andò di traverso.
D’altro canto, Isaac si sentì un tantino in colpa. Pensò di essere di troppo. Forse Sebastian non detestava davvero Julia, magari voleva solamente stare con la donna che amava senza nessun ostacolo in mezzo e forse quei due non erano in buoni rapporti per quella ragione. E adesso ci si metteva anche lui a sbarrargli la strada, con quel doppio-appuntamento...
“Sono davvero un pessimo amico.” concluse, stringendo la presa. Quasi si scavò nelle carni, eppure quel dolore non lo impensieriva affatto.
Fece un profondo respiro, sapendo già che avrebbe rimpianto da morire le sue stesse parole: «A un certo punto porterò Julia da qualche parte, così potrai dichiararti.» lo disse tutto d’un fiato per non poterselo rimangiare.
“Porca paletta! L’ho detto!”
Isaac non poteva credere di avergli appena proposto una cosa simile! Si mosse, palesemente agitato, si morse l’interno della guancia come a punirsi, eppure no, ancora non se ne pentiva. Aveva visto l’espressione di Sebastian, gli era sembrato orribilmente triste e si era spaventato. L’ultima cosa che voleva era vederlo in quello stato pietoso. Isaac sapeva quanto poteva essere straziante sentirsi impotenti, avere la sicurezza che nulla andrà come si desidera: non voleva che Sebastian provasse la stessa cosa. Non per colpa sua almeno.
«Non mi ringrazi?» provò a buttarla sul ridere, ma qualcosa non andava e Isaac lo capì immediatamente.
Sebastian lo osservava, dubbioso. Sembrava che non si aspettasse affatto quella proposta, anzi pareva che addirittura la odiasse terribilmente. Il suo sguardo si era tramutato in un incendio, puro e vivo, e il cuore di Isaac, nonostante tutto, cominciò a fremere.
“Che si sia arrabbiato? Ho sbagliato? Ma non è quello che si suppone gli amici debbano fare in questi casi? Perché è così carino?” si chiese, tentando inutilmente di calmarsi. Sapeva che non doveva fare certi pensieri sul suo conto, che era sbagliato, che Sebastian probabilmente l’avrebbe detestato, ma non riusciva a fermarsi. E l’immagine di Sebastian, nudo sotto le sue coperte e con i polsi legati, aveva già preso forma. Era così vivida.
«Vuoi-» Sebastian si morse le labbra, meditando sulle parole che avrebbe dovuto usare. Se si fosse fatto prendere dall’istinto, andando per “buona la prima” probabilmente avrebbe dato di matto. L’idea di lasciare Isaac, il suo dolce e fragile Isaac, nelle mani di quella viperaccia non gli piaceva per niente.
«Dimmi.» lo incoraggiò Isaac, vedendolo in difficoltà. Gli sorrise, cercò il suo sguardo. Stava tentando di farlo sentire a proprio agio, di fargli capire che era lì per ascoltarlo, ma quell’espressione tanto bella agitò Sebastian ancora di più.
Balzò in piedi e, d’un tratto, gli parse addirittura offeso: «Vuoi lasciarmi per stare da solo con Julia!?» tuonò.
Isaac deglutì. Gli occhi di Sebastian si erano incupiti, lo guardava torvo, nero di rabbia, e diverse ciocche di capelli, ora scompigliati, gli scivolarono sulle guance, derubandolo di metà del suo bel viso. La mascella invece era serrata in una lugubre linea sottile. Una vena pulsante gli colorava il collo massiccio. E Sebastian aveva incurvato le spalle in avanti, i palmi rimanevano chiusi e rigidissimi. Era l’ira fatta persona.
A Isaac quell'aspetto piacque all’istante. Raramente Sebastian si lasciava andare in quel modo, anzi non l’aveva mai visto tanto infastidito. Finalmente aveva buttato giù uno dei muri che si era costruito intorno.
«Non è quello che vuoi?» ribatté Isaac, andandogli vicino. Forse era un pensiero masochista, ma desiderava terribilmente sapere cosa gli avrebbe fatto. Come lo avrebbe toccato questa volta.
«No!» esclamò immediatamente Sebastian, facendo il broncio. Isaac lo trovò adorabile.
«Pensavo volessi dichiararti.» continuò, provocandolo.
«Infatti lo voglio.» Sebastian deglutì. In realtà ormai non sapeva nemmeno quello che stava dicendo. Non aveva più il controllo della situazione e le cose gli stavano sfuggendo di mano. Si sentiva a disagio. Non aveva mai visto Isaac tanto intraprendente. L’aveva spiazzato.
E poi accadde un miracolo: Isaac lo approcciò timidamente, sfiorandogli la mano sinistra, le nocche appuntite. E Sebastian si ritrovò a boccheggiare, alla ricerca di ossigeno. Tentò di convincersi che non l’avesse fatto di proposito, ma quando i loro occhi si incrociarono di nuovo, il suo cuore prese a correre violentemente. Isaac l’aveva a malapena accarezzato ed era durato poco più di un secondo, ma si ritrovò già ingordo di lui, del suo tocco.
Posò lo sguardo su quelle labbra delicate, così femminili.
Non voleva assaggiarlo, ma divorarlo per intero.
«Se è quello che vuoi, vi lascerò soli.» sussurrò Isaac.
Sebastian fece cenno di no con la testa. «Non farlo.» borbottò, la voce grave. «Rimani con me.»
«Oh… e perché?» sghignazzò l’altro, cercando di stemperare la tensione. «Mi sei diventato timido?»
«Forse…»
Isaac strabuzzò gli occhi. Non si aspettava quella risposta, quel tono. Arrossì vistosamente, facendo un passo indietro, scottato. E Sebastian si mosse di conseguenza, tentando di toccarlo ancora, ma si bloccò subito quando notò il nervosismo dell’amico. Sobbalzò, quasi si fosse appena risvegliato da un sogno. Che diavolo gli stava prendendo?
Ritirò la mano, sentendosi un po’ scemo, e si grattò la nuca, obbligandosi a fissare la parete. Se non l’avesse fatto, non sarebbe più riuscito a togliersi quelle labbra dalla testa. Sebastian incrociò le braccia al petto, poi sospirò.
«Non innamorarti di Julia. Promettimelo.» lo pregò infine.
«Che ti prende, Seb? Hai paura che mi rubi?» scherzò Isaac.
«Sì, quindi rimani dove posso vederti.» si bloccò. Gli era scappato. Non voleva dirlo in quel modo, né mostrarsi tanto turbato.
L’ultima cosa che desiderava era spaventarlo, però quella donna, Julia, era davvero pericolosa e doveva proteggerlo, strapparlo dalle sue grinfie. Isaac non sapeva in cosa si stava ficcando e certamente non meritava altri drammi, altre tragedie. Era il ragazzo più buono che avesse mai incontrato e, doveva ammetterlo almeno a se stesso, una parte di lui, chissà quanto grande e importante, lo considerava suo, intoccabile. Perché era la verità: Isaac era il suo più caro amico, il suo confidente, il suo rivale, il suo…
Isaac si sentì bruciare vivo: “Cos’era quello!? Era così fraintendibile, cazzo! Non ho sopportato già abbastanza brutti colpi per oggi? Se non vuole vedermi collassare a terra con il cuore spezzato, è meglio che la pianti ora!” urlava tra sé e sé, tentando di ignorare il formicolio che avvertiva alla bocca dello stomaco.
«Sembri mio padre... Guarda che sono forte, finché non mi tocca posso farcela, sai?» mentì, portandosi una mano al cuore. In realtà non si era mai sentito tanto debole.
Il pensiero che Sebastian sarebbe venuto con loro, per un attimo, gli aveva dato un po’ di coraggio e fatto credere che sarebbe andato tutto per il meglio, ma non poteva mettersi fra lui e Chloé se ciò significava renderlo triste.
«Zack, è già tanto se sopporti me.» sputò fuori Sebastian, cercando di farlo ragionare. «Non devi sforzarti.»
«Non mi sto sforzando.»
«Sicuro?»
«Guarda che lo faccio anche per me.» Il che era vero. Forse vedere Sebastian fidanzato gli avrebbe messo l’anima in pace. Ormai Isaac aveva perso il conto di quante volte si era ripetuto che doveva piantarla, che Sebastian era etero, che non lo vedeva sotto quella luce… era stufo marcio di sentirsi così patetico.
Isaac lanciò un’occhiata all’orologio al muro. Le otto e venti: Julia era in ritardo.
«Che intendi dire?» chiese Sebastian.
«Come faccio a sapere se Julia mi piace, se non ci passo del tempo insieme?» ribatté, prendendo il cellulare.
«Da solo?» fece una smorfia, seccato.
«Da solo.» confermò Isaac.
Trovò un messaggio da parte di un numero sconosciuto: “Ciao, sono Jules. Stasera ci saranno anche Chloé e Sebastian, spero non ti dispiaccia troppo. Scusa se non te l’ho detto prima, è stato deciso all’ultimo secondo. Saremo lì fra poco!”
Gliel’aveva inviato almeno tre minuti prima.
«Ti ha scritto?»
Isaac cacciò fuori un urletto decisamente poco virile, allontanandosi immediatamente da Sebastian. Si portò una mano alla gota, sfiorandosi delicatamente il punto dove lo aveva toccato. Era saltato come un gatto e con quel grido aveva esagerando, se ne rendeva conto, ma non era riuscito davvero a contenersi.
“Stupido Sebastian!”
Se lo era ritrovato guancia contro guancia di colpo, aveva avvertito il suo respiro caldo e... Isaac era rosso di vergogna, stava per andare in ebollizione. Cosa cavolo era appena successo?
«Rilassati, Zack.» ghignò Sebastian. «Sono solo io.»
«S-scusa, sono un po’ teso.» balbettò Isaac in risposta, giocherellando con la maglia.
«Per lei?» lo provocò Sebastian, il tono più aspro di un limone.
«Già.» Isaac gli sorrise angelicamente, ignorando il veleno nascosto in quelle parole, l’imbarazzo, la tensione che si era creata. «S-scendiamo?» propose poi, andando in corridoio senza neanche aspettarlo.
Sapeva che Sebastian lo avrebbe seguito.
E infatti fu così.
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