ventitré - 𝚜𝚎𝚗𝚣𝚊 𝚛𝚎𝚜𝚙𝚒𝚛𝚘
tra presente e passato - 𝚙𝚛𝚒𝚖𝚊 𝚍𝚎𝚕 𝚍𝚒𝚜𝚊𝚜𝚝𝚛𝚘
𝚜𝚎𝚋𝚊𝚜𝚝𝚒𝚊𝚗 𝚜𝚑𝚘𝚠
Diventai inquieto nello stesso istante in cui rividi il mio ragno.
O meglio mi trasformai in un mostro.
Ero consapevole che ciò che stavo facendo fosse sbagliato, ma non me ne importava.
I miei pensieri si facevano sempre più contorti e malati, possessivi perfino. E allora cominciai a seguirlo, a ordinare ai miei uomini di raccogliere informazioni su di lui.
Volevo conoscerlo, sapere come aveva vissuto senza di me e, soprattutto, se gli fossi mai mancato.
Quando rimanevamo da soli, Taylor mi avvertiva: mi suggeriva un approccio più normale, meno incasinato.
«Sono certo che andrà bene. Devi solo andare da lui e dirgli chi sei.»
Eppure mi sentivo così insicuro.
Continuavo a chiedermi cosa sarebbe accaduto se avessi fatto la mossa sbagliata e se Spider desiderasse davvero rivedermi.
L'ultima volta che avevo amato così tanto una persona l'avevo persa per sempre, quindi perché stavolta avrei dovuto rischiare?
Comunque conoscevo già quale sarebbe stato il risultato. Un futuro che mi vedeva al suo fianco non esisteva.
La mia collezione di farfalle intanto si faceva più ampia. Erano bellissime, vistose, colorate, possedevano quella meraviglia che a me mancava da tempo.
Sono solo un passatempo, mi dicevo, ma quei macabri quadretti celavano qualcosa di più profondo e viscerale.
Ogni volta che scoprivo qualcosa di Isaac, la mia anima andava in pezzi, quasi la stesse sgretolando lui stesso prendendosene un pezzetto alla volta.
Guarda cosa ti stai perdendo, mi dicevo.
Allora mi sfogavo con degli sconosciuti senza volto e i lividi aumentavano. Mi trattavano come una bambola, però io ero d'accordo. Dovevo solo chiudere gli occhi, credere che fosse lui a sfiorarmi in quel modo, a graffiarmi, a farmi male.
Mio padre non la prese bene.
«Se è così che vuoi essere trattato, almeno fammi guadagnare qualcosa, puttana.»
I miei insetti arrivarono presto a coprire una parete intera.
Isaac aveva un sorriso bellissimo.
Dolce e privo di sarcasmo. Non era lo stesso bambino che ricordavo, ma questa versione mi piaceva infinitamente di più. Forse perché i suoi occhi tristi mi ricordavano un po' me stesso.
Potevo ancora solo osservarlo da lontano, ma spesso mi ritrovavo a fantasticare di averlo fra le mie braccia.
Fu in quel periodo che, navigando su internet, mi imbattei nel video di un entomologo che si stava accanendo sul cadavere di una povera tarantola. Il suo scopo era conservarla all'apice della sua bellezza. Per sempre.
Questo signore aveva un sito dove vendeva i suoi capolavori e, prima di pensarci davvero, la acquistai. Quel ragno pareva un elemento estraneo nella mia collezione, ma il cuore mi sussultò in petto quando realizzai quanto mi piacesse quella nota stonata in quel mare d'ali colorate.
Poi arrivò quel giorno.
Mentre cercavo riparo dalla pioggia, telefono alla mano, notai una storia sul profilo del mio amato Spider.
La aprii. Avrei riconosciuto quel negozio di bignè tra mille, tanto era appariscente la sua entrata rosa confetto. Aveva mangiato lì e probabilmente si sarebbe diretto verso la fermata dell'autobus più vicina. Sapevo che non guidava, che aveva fallito l'esame di guida un paio di settimane prima per poi pubblicare un video sfogo su Tik Tok.
Allora noleggiai un monopattino per non perdere l'occasione che mi era capitata fra le mani. Intanto mi chiedevo come avrei potuto approcciarlo, che scusa mi sarei dovuto inventare: ogni volta che mi ritrovavo a un passo da lui finivo per tirarmi indietro, però sentivo che quello sarebbe stato il mio giorno fortunato.
Non volevo più essere solo uno spettatore della sua vita. Quella situazione era diventata difficile da sopportare. Mi stava stretta, scomoda, desideravo qualcosa di più.
Il mio era puro egoismo e ne ero consapevole, però non mi importava. Spider era speciale e desideravo solamente che diventasse mio.
Quando arrivai, vidi un uomo parlare con lui. Era tanto sciatto e scortese da chiedergli cose personali senza neppure conoscerlo e anche palesemente fatto di qualche sostanza. Mi dissi che poteva essere pericoloso, quindi intervenni.
Con mio grande stupore, fu proprio Zack ad aggrapparsi a quell'incontro "fortunato", iniziando a tempestarmi di domande. Mi chiese il mio profilo social. Ovviamente gli diedi quello principale. Se avesse saputo che l'avevo stalkerato per mesi mi avrebbe mandato al diavolo.
Il mio entusiasmo durò poco però. Eravamo sull'autobus e, durante la corsa, c'eravamo messi a guardare le foto che avevo scattato in spiaggia. Cogliendo la palla al balzo, gli feci una battuta alludendo a ciò che avevamo passato a Coney Island.
«Come vedi, Richie Rich ha imparato a surfare.» ridacchiai, ricordandomi di quando mi aveva puntato il dito contro, dicendomi che non sarei mai stato in grado di fare quelle favolose acrobazie.
Isaac mi guardò interrogativamente.
«Richie Rich?» ripeté, stranito, e allora realizzai.
Avvertii come un vuoto, per un attimo il mio cervello andò in tilt.
Si era dimenticato di me. Quella consapevolezza mi ruppe il cuore e, mentre lui scorreva fra i miei scatti, con quel suo meraviglioso sorriso sulle labbra, io mi sentii corrodere le viscere.
Decisi che mi sarei dovuto vendicare. Sapevo di piacergli almeno un pochino, da come arrossiva ogni volta che mi avvicinavo al suo viso. Non mi bastava però, volevo che perdesse completamente il senno per me.
Infine sarei stato io ad abbandonarlo.
Ma più il tempo passava, più mi affezionavo alla sua spensieratezza, al suo broncio, al suo modo di fare e... Al nuovo Isaac che avevo di fronte.
«Zack, tua madre mi ha detto di dirti di mettere in ordine e- ma che!? È scoppiata una bomba atomica qui!?»
«Dio, inizi a parlare come lei.»
«Togli i piedacci dal copriletto e fammi posto.»
«Ti ricordo che questa è la mia stanza, Seb.»
«E io che stanotte dormo qui.»
«Cosa? Non ne sapevo niente.»
«Te lo sto dicendo ora infatti.»
Mi sentivo a casa. Pensavo di aver trovato un posto da poter chiamare mio. Era stato Zack a darmi tutto questo, a farmi sentire finalmente accettato. Non mi giudicava, curava ogni mio taglio senza domandare come me li procurassi.
Adoravo come mi toccava, gli sguardi che lanciava alle mie ferite, come si mordeva le labbra osservando la mia pelle nuda.
«Seb, sei un vero-»
«Un vero?»
«Cretino.»
«Stai arrossendo, Zacchino?»
«Non chiamarmi così!»
«Va bene, va bene. Queste sono mutande usate?»
«Non toccarle!»
«Imbarazzato?»
«Sì! Direi di sì!»
«Ma dai, sono solo io.»
«Appunto- Cazzo, ma perché ti presenti sempre senza preavviso?»
«Perché so che da te sono il benvenuto.»
Era così caloroso e bello. Come potevo non diventarne dipendente? Come potevo non stuzzicarlo?
«C'è sempre un macello assurdo qui. Dai, Isaac, alzati. Ti aiuto a mettere a posto.»
«Ma-»
«E non fissarmi il culo quando mi piego.»
«Non ti fisso mica!»
«Certo, come no~»
«Sei insopportabile.»
A un certo punto, smisi completamente di comprare farfalle.
La vendetta a questo punto mi sembrava priva di significato. Quel ragazzo si stava rivelando un ottimo amico e mi piaceva stare con lui. Mi sentivo capito, desiderato, apprezzato. Perfino la sua famiglia mi aveva accolto a braccia spalancate e in poco tempo erano diventati più importanti della mia matrigna e di quello che chiamavo padre.
I miei sentimenti però erano troppo ossessivi, troppo grandi, troppo marci.
Non volevo contaminarlo e feci l'errore di tenermi tutto dentro.
Cloé mi comprendeva e restava al mio fianco in questa crociata verso la distruzione. Eravamo due anime perse, che avevano bisogno di un appiglio per non affogare. Saremmo stati l'uno l'ancora dell'altro in quel mondo nero e avremmo continuato così, se Julia non si fosse messa in mezzo.
Una mattina si presentò alla caffetteria di Isaac, con il suo solito cappello da cowboy e quell'aria da principessa viziata.
Pensavo che fosse venuta per Cloé: era da un po' che mi tormentava sulla mia presunta ragazza, chiedendomi di farmi da parte, quindi ero già pronto al litigio, anche se non volevo coinvolgere Zack.
Elaborai velocemente un piano. L'avrei portata fuori, lì avrebbe potuto vomitarmi addosso il suo odio e io avrei incassato, pensando alla mia ricompensa: un dolce preparato dal mio Isaac, coperto di miele e accompagnato dal suo sorriso.
Quello che non avevo previsto, era che lei mi ignorasse per dirigersi dal mio migliore amico. Non so ancora come abbia scoperto della mia debolezza nei suoi confronti e nemmeno mi interessa, è solo una vipera e allora volevo che si allontanasse velocemente da lui.
Sogghignando malevola, Julia si era fatta avanti chiedendogli il numero.
Al. Mio. Isaac.
Aveva provato a rubarmelo davanti al naso, con quel suo fare seducente, da gatta morta. Ero però convinto che lei non l'avrebbe mai ammaliato, che lui non si sarebbe fatto stregare dal suo incantesimo; o così credevo, prima che Zack cominciasse a darle corda.
Non potevo accettarlo. Sapevo che prima o poi avrebbe trovato qualcuno, ma non volevo fosse lei, né che accadesse così presto.
Lo misi in guardia, più e più volte, ma non mi ascoltava.
Alla fine arrivò il nostro pigiama party. Mi svegliai di soprassalto. Forse fu qualche divinità misericordiosa a farmi alzare durante la notte, perché sarebbe potuta accadere una tragedia se non mi fossi recato in quel bagno. Grazie al cielo, Zack mi aprì subito la porta.
Quello che vidi mi ghiacciò il sangue nelle vene. Probabilmente quella visione infesterà per sempre i miei incubi.
Isaac, bagnato dalla testa ai piedi, mi osservava come un fantasma. Le labbra viola, il lieve tremolio del suo corpo, la sua pelle pallida, le occhiaie che gli contornavano gli occhi: rimarrà tutto marchiato nella mia memoria.
Lanciai uno sguardo al lavandino e realizzai cosa stesse facendo.
«Da piccolo, un'onda mi ha preso in pieno.» mi aveva confidato tempo prima.
«Sono quasi morto affogato.» dopo averlo detto, aveva semplicemente riso. Rideva come se non mi stesse raccontando il momento più doloroso della sua esistenza.
Quello che gli era accaduto era spaventoso e gli aveva lasciato delle macchie indelebili nell'anima, segnandolo per tutta la vita.
E anche quella sera sorrideva. Sorrideva sempre. Continuava a farlo.
Volevo solo spaccare quel maledetto lavabo. O forse tutto il bagno.
Gli domandai cosa stesse facendo, avvertendo il panico prendere possesso del mio corpo, ma Zack non me lo rivelò.
Mi chiedo se abbia mai davvero realizzato il suo tentato suicidio o se la sua mente l'abbia archiviato come normale. Se l'abbia addirittura cancellato.
Mentre dicevo addio alla poca razionalità che mi era rimasta, Isaac si confessò. Dichiarò che era innamorato di qualcuno e che era stato rifiutato, come se fosse la cosa più importante di cui parlare in quel momento. Magari, a modo suo, mi stava spiegando il motivo del suo gesto.
Non volevo davvero credere che fosse preso da qualcun altro, ascoltarlo fu una pugnalata, ma il sollievo che stavo provando in quel momento, nel sapere di essere arrivato in tempo, sovrastava la rabbia.
Gli risposi concentrando la conversazione sulla sua cotta, mentre lo stringevo a me e provavo ad allontanarlo da quel cazzo di lavandino.
Da come ribatteva, capii che Isaac faceva sul serio. Leggevo della determinazione nelle sue parole. Il luccichio nei suoi occhi mi feriva, ma almeno non erano più vuoti e freddi come quando aveva aperto la porta.
E mentre scaldavo il suo fragile corpo, mi dicevo che l'avrei allontanato dal suo amore, da Julia o da chiunque l'avesse catturato.
Nessuno era degno di lui, io ero il solo a poterlo proteggere.
Questi pensieri intrusivi non fecero che aumentare nei giorni seguenti.
Non esisteva nessuno che tenesse a Isaac più di me.
Lui era allo stesso tempo un ragno e una farfalla e mi apparteneva. Era mio e di nessun altro, punto e basta. L'unica stella nell'universo grigio in cui ero costretto a vivere.
Non potevo perderlo, perché stare senza di lui equivaleva a un'esistenza vuota, insignificante, lugubre.
Zack era l'unico regalo che mi era stato concesso in questo mondo merdoso. Mi faceva stringere il cuore solamente guardandomi; mi marchiava come suo senza nemmeno rendersi conto di quanto influenzasse ogni mia scelta.
Ed eravamo destinati a stare insieme, per questo continuavamo a incontrarci nonostante tutto. Per questa ragione non c'eravamo persi. Per questo non potevo dimenticarlo.
Ne ero così convinto...
Potevo finalmente corteggiarlo. Zack doveva diventare mio, così io sarei stato solamente suo, perché quello era il nostro fato, qualcosa di impossibile da evitare.
Mi piaceva pensarla così.
Il mio amore, per quanto ossessivo, dopotutto poteva sbocciare. Ero stato in grado di controllarmi in quel bagno, avevo fatto il bravo per tanto tempo e l'avrei fatto innamorare di me passo dopo passo, nel modo giusto.
Gli avrei mostrato solo il mio lato migliore, gli avrei fatto capire quanto poteva essere bello lasciarsi completamente andare con qualcuno. Lo avrei reso dipendente dal mio corpo, gli avrei concesso di incidermi la pelle, di spingersi più a fondo di chiunque altro.
Questo era ciò che mi passava per la testa, prima di rendermi conto di essermi sbagliato.
Prima che mi strappassero il respiro.
Zack non poteva essere mio. Non ero degno nemmeno del suo sguardo. Tutte le illusioni che mi ero costruito si rivelarono tali nello stesso momento in cui udii la voce di Paul.
Isaac non era di nessuno. Non era un ragno, né una farfalla. Ero stato io a costringerlo in quel ruolo, a idealizzarlo.
E ora lo so, la verità è una soltanto: il mio amore non è mai stato predestinato.
Solamente malato.
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