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quaranta - 𝚜𝚌𝚑𝚎𝚛𝚖𝚘 𝚗𝚎𝚛𝚘

𝚒𝚜𝚊𝚊𝚌 𝚜𝚙𝚒𝚍𝚎𝚛

Ciao, diario~
Oggi è un giorno felice: il sole splende, gli uccellini cinguettano, ho appena sconfitto il nuovo boss di Cult of the lamb e Sebastian è finalmente mio. (Più o meno).

È stato un viaggio lungo, ma sono riuscito a conquistarlo! Credo? Manda un sacco di segnali contrastanti...

Vabbè, ho deciso di pensare positivo. Quindi ora mancano solamente il matrimonio, una villetta a due piani e qualche figlio. Tanti da formare una squadra di calcio, per la precisione.

Non è un sogno impossibile: possiamo adottare. Anche se ammetto che mi piacerebbe vedere un piccolo Sebby girare per casa... Sarebbe tanto carino con i suoi occhioni blu.

Oddio, forse è un po' presto per fantasticare su queste cose. Cioè ci sono una marea di problemi, primo fra tutti la sua famiglia. Non è che sia molto felice dell'ambiente in cui... Lavora? Il crimine si può definire lavoro? Non credo.

Basta, è inutile pensarci!

Mi concentro sul matrimonio per ora, che è meglio - cit. Quattrocchi.
Sto delirando? Sì. Spero di poter decorare la sala del ricevimento con dei gigli bianchi. I colori chiari stanno così bene su di lui e se me lo immagino immerso in un mare di petali candidi mi viene la pelle d'oca.

Ho deciso che il nero sarà vietato.

Dio, non mi sembra ancora vero! Sono ricambiato, cazzo!
So che non ci avresti scommesso due dollari, anche perché Seb è un tipo complicato, ma giuro che non sto mentendo.

Benché Sebastian sia particolare davvero.

Voglio dire, l'altro giorno si è presentato in caffetteria con una mega-torta al cioccolato con una statuetta di zucchero in cima. Una perfetta mini-replica di mia madre con le braccia alzate, per l'esattezza. A suo dire, voleva farsi perdonare e pare che Akiko abbia accettato le sue scuse più che volentieri visto che da quel momento non ha fatto altro che chiamarlo "genero".

Non importa quanti «Siamo solo amici!» io abbia strillato, perché lei ribatteva sempre: «Certo, siete buoni amici di sicuro!»

Non immagina nemmeno quanto. O sì?

Papà, in tutto questo disagio, si faceva gli affari suoi, ricordandomi solo: «Devi metterti gli occhiali, Zacchino. Oggi abbiamo la promozione sulle bevande: l'hai dimenticato?»

In pratica ha avuto la brillante idea di mettere del colorante artificiale nei drink e, a seconda del colore, si può vincere un piccolo sconto. I clienti sono contenti, mio padre più di loro.

Poi è un vero volpone: l'unico colore che ti fa vincere è il nocciola, ma chi è che vuole la cioccolata marrone quando può averla viola allo stesso prezzo?

E poi l'arcobaleno è instagrammabile, quindi abbiamo la fila fuori. Alla faccia tua, Starbucks!

Anche se in realtà non mi importa molto di questa disputa: quando erediterò il locale diventerà una fumetteria. O un caffè tema manga. Non voglio buttare la mia esperienza come barista fuori dalla finestra.

Sebastian poi ultimamente ci scherza spesso. Dice che "quando le cose si sistemeranno" andremo a dormire ogni sera dopo esserci fatti una bevuta.

Quando gli ho domandato perché, ha risposto solo che l'alcol inibisce i sensi e rende più flessibili in alcune occasioni. Lui e il suo cazzo di sadismo! Ovviamente sono diventato rosso come un peperone e, com'è altrettanto ovvio, mia madre mi ha fissato per un po', ghignando fra sé e sé.

Ma un genitore non interviene in questi casi? Voglio dire, erano palesemente delle avance sessuali!

Forse ora ho capito perché non crede minimamente che siamo solo amici...

Comunque oggi rivedo Linda. Non mi dispiace, anche se dopo l'ultima volta sono un tantinello teso, però comunque non è che abbia di meglio da fare: Sebastian ha detto che è impegnato con suo padre.

Mi domando cosa voglia da lui quell'uomo. Cioè so che sono parenti, ma una vera figura paterna è amorevole e dolce, lui sembra solo la brutta copia stereotipata di un mafioso.

Spero davvero che non veda mai questo diario.

Che altro c'è?
Oh, sì! Con Cloé tutto bene. Si sta riprendendo, Scarlett la aiuta tanto. Però ogni giorno vuole che le mandi un video dove le faccio vedere che prendo le medicine.

Penso che l'idea che mantenga la mia parola rinforzi anche il suo animo: la fa andare avanti, in qualche modo.

Ingoio le pillole a forza e, ogni volta che ne mando una giù, la sensazione di essere malato e diverso mi pesa enormemente sulle spalle, tanto da togliermi il respiro, ma è un prezzo che accetto se in cambio Cloé non fa cazzate.

E la fatina non c'è più. È da qualche giorno che non la vedo. Un po' mi mancano la sua figura sopra la testa, i commenti acidi e il ghigno costante, però mi sono reso conto di avere i suoi stessi identici pensieri, il che mi fa sentire meno solo.

Immagino fosse vero che lei fosse me. O una parte.

Insomma, è tutto ok.
Ora devo solamente aspettare che Seb molli la sua fidanzata e la mia vita sarà perfetta.

Beh, non è che la perfezione esista davvero.

È̶ u̶n̶ c̶o̶n̶c̶e̶t̶t̶o̶ p̶u̶r̶a̶m̶e̶n̶t̶e̶ a̶s̶t̶r̶a̶t̶t̶o̶ e̶ p̶o̶t̶r̶e̶i̶ p̶a̶r̶l̶a̶r̶n̶e̶ p̶e̶r̶ o̶r̶e̶ e̶ o̶r̶e̶, p̶e̶r̶ò̶
Vabbè, che senso ha fare un trattato di filosofia sull'argomento?

Diciamo che vivrò bene? Sempre che Paul riesca a convincere i miei che New York è la mia città e che non c'è alcun bisogno che mi trasferisca da lui.

Parlando di mio fratello, dalla festa lo trovo distratto. Guarda sempre il cellulare, lo nasconde quando mi avvicino e - non ci credo nemmeno io che sto per scriverlo - arrossisce!

Paul! Fra tutti!

E com'è giusto che sia, Isabel lo prende per il culo: «Finalmente sei arrivato alla pubertà.»

Gli adolescenti di oggi mi fanno paura.

Ora vado.
Firmato, Isaac Non-Foster.

Non appena poso la penna sul tavolino da bar, il mio cellulare si illumina e il volto di Cloé appare sullo schermo.

Una foto in cui sorride, finalmente serena.

Mi ricordo benissimo il giorno in cui l'abbiamo scattata: Scarlett la teneva ferma facendole il solletico e la sua risata, incontrollata e stridula, è stata talmente dolce che non mi sono trattenuto e le ho sorriso a mia volta.

Accetto la videochiamata, stranito che mi abbia telefonato alle due del pomeriggio, perché non lo fa mai, ma comunque abbastanza contento di sentirla.

Dopotutto è diventata importante.

Non appena scorgo il suo viso però, il mio cuore perde un battito e mi passa all'istante il buonumore.

Per fortuna si fa viva immediatamente la stessa adrenalina che mi aveva stimolato alla festa.

Balzo in piedi, la sedia su cui ero seduto si rovescia a terra e, prima che mia madre possa chiedermi che diamine succeda, spaventata da quel tonfo sordo, la intimo di prendere le chiavi della macchina.

Akiko prova a ribattere che non possiamo andarcene così su due piedi, ma poi sbircia sullo schermo e vede in che condizioni si trova la mia amica e, in panico, comunica a mio padre che è un'emergenza e afferra la sua borsa.

Io sono già alla porta.

Cloé mi osserva stanca, due macchie scurissime le incorniciano gli occhi e, respirando piano, tira su con il naso.

«L'ho vista.» mormora e ci metto un secondo a capire che sta parlando di Julia.

Di quella ragazza che un tempo mi appariva come una reginetta campagnola, simpatica e allegra, ma che ormai ha i tratti di una strega affamata di dolore.

Corro verso il parcheggio, con la mamma alle calcagna. Chiamo il suo nome, ma lei continua a delirare, quasi non mi sentisse: «L'ho vista e lei, io...»

Apro la portiera e mi lascio cadere sul sedile del passeggero, teso come una corda di violino, mentre mamma accende il motore.

Akiko ha chiamato prontamente il numero di emergenza, però la fanno rimanere un attimo in linea e comincio a innervosirmi. L'attesa dura un secondo, solo un battito di ciglia. Pare un secolo.

«Cloé quanto tempo è passato?» le domando, tentando di rimanere calmo anche se non ci riesco. Mi tremano le mani e sto sudando freddo.

Lei sembra confusa. Conta sulle dita i minuti trascorsi, poi si ricorda che può vedere l'ora sul telefono e mi dice di aspettare.

«Non lo sooo...» conclude, tenendosi la testa con il palmo aperto, che poi diventa un pugno.  Abbassa il capo. Sussurra qualcosa, sibila. Quasi si strappa alcune ciocche di capelli. Quando la chiamo di nuovo, torna a guardarmi con una nota rabbiosa nello sguardo.
«Sebastian è uno stronzo!» tuona.

«Cloé, dimmi che è successo.» la prego, ma i suoi singhiozzi riempiono l'abitacolo e non riesce a spiccicare parola. Si sente solo la mamma che spiega all'operatrice la situazione.

Intanto io guardo Cloé, inorridito da ciò che le ha fatto Julia.

Il sangue le cola sui gomiti, le sporca i vestiti e le guance. Per fortuna sembrano ferite lievi, però sta avendo un crollo emotivo e la cosa potrebbe finire veramente male.

«Cloé, va tutto bene...» provo a rassicurarla ancora e lei annuisce piano, non convinta.

Prova a levarsi i capelli dal viso e, facendolo, espone alla telecamera i tagli, che ora si marchiano a fuoco nella mia memoria.

Avverto un brivido corrermi lungo la spina dorsale quando realizzo che, quelle linee bianche che tanto temevo, sono davvero diventate porpora. Scarlatte come coralli.

Akiko parla con la signora dell'ambulanza, questa le dice che dobbiamo rimanere in contatto con Cloé e assicurarci che non faccia nulla di brutto.

Deglutisco, le dico che sto arrivando, mentre mamma detta all'incaricata l'indirizzo di Cloé. Menomale che quelle due hanno legato: facilita le cose.

«Come sta?» mi chiede la mamma, ma non le rispondo perché pongo la stessa domanda a Cloé, che si limita a fare spallucce.

«Ci sono tante luci...» bisbiglia.

«Siamo quasi arrivati, tesoro!» sbotta Akiko e d'un tratto accelera, fregandosene delle possibili multe. Il traffico di New York però ci inghiotte.

«Cazzo, no!» sbotto, dando un pugno al cruscotto, e la mamma sobbalza. Non faccio caso al livido che mi si sta già formando sulle nocche, sono troppo impegnato a tenere Cloé sveglia.

Ma lei non dice più una parola.

Non la sento nemmeno emettere un sospiro. E il braccio le si sta abbassando lentamente, quasi stesse perdendo la forza di tenere su il cellulare.

Mentre sto per perdere le speranze e le lacrime mi pizzicano gli occhi, percepisco dei tonfi e un campanello: qualcuno sta bussando alla porta di Cloé.

Il cuore mi batte, feroce.

Lei però non risponde, ha perso la sua vivace energia.

Quegli occhi splendidamente vispi stanno diventando di vetro e la sua pelle sempre più pallida, come quella di una bambola di porcellana.

Allora, disperato, prendo fiato e poi urlo fino a spezzarmi la voce: «Sfondala! Entra! Cazzo, fai presto! Sbrigati! Entra! Ti prego, en-»

Un colpo di pistola mi mozza il respiro, stroncando la frase a metà, che mi rimane ferma sul palato. Dei passi pesanti e poi il viso di Seb fa capolino dal cellulare. Con lui c'è Taylor, ma il telefono scivola via dalle mani di Cloé prima che riesca a vedere altro.

Sento solo le loro voci, mentre osservo il soffitto bianco panna del bagno di Cloé.

«Merda!» sbotta Sebastian.

«Prendi le garze!» lo intima Taylor. Poi dei rumori.
«Abbiamo dei panni puliti?»

Altri colpi, un frastuono che si intensifica.

«L'ambulanza arriva!?»

Infine la batteria di Cloé cede del tutto e ciò che mi rimane di quella maledetta chiamata è un vuoto al petto.

E uno schermo completamente nero.

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