dieci - 𝚒𝚕 𝚛𝚊𝚐𝚗𝚘
un racconto di ottobre
𝚒𝚜𝚊𝚊𝚌 𝚜𝚙𝚒𝚍𝚎𝚛
Non scorderò mai il giorno in cui entrai per la prima volta in quella terrificante casa.
Sebastian è una persona solare: si mostra sorridente, adora gli sport, il surf e suonare la chitarra, è sempre circondato da persone, ha un sacco di ammiratrici e pare spensierato perfino nei momenti peggiori.
Eppure la vita è stata chiaramente troppo dura con lui: si è accanita, l'ha distrutto e calpestato.
Seb però non ha mai mancato di trattarmi con cura. È speciale, altruista. La sua determinazione nell'aiutare il prossimo è la qualità che più apprezzo di lui.
A dire il vero, forse è proprio la sua notevole compassione che mi ha portato a innamorarmi così profondamente, nonostante con il tempo sia diventata una vera maledizione. Non so contare le volte in cui mi sono chiesto se stesse insieme a me perché sono una causa persa o per affetto.
A volte mi ritrovo a essere paranoico.
Comunque la sua è una gentilezza nata, fragilissima, e sono grato di poter far pare della ristretta cerchia a cui permette di avvicinarsi così tanto.
Per questo non mi sarei mai aspettato quella piega degli eventi.
Tornando a quel giorno, al tempo ci conoscevamo da poco più di un mese, ma nonostante questo ero convinto di averlo inquadrato al meglio.
Seb era il mio Seb, dopotutto.
Per questo quando misi piede nella sua stanza, quella volta, mi sentii cedere la terra sotto i piedi.
Si dice che la camera da letto rispecchi la personalità del proprietario, ma forse per Sebastian non è mai valsa questa regola. Oppure - come mi resi conto in quell'istante - non lo conoscevo poi così bene.
Seb in genere era spensierato e tranquillo, ma quell'ambiente lugubre sembrava lo specchio di una sua versione più oscura e intima.
Tre pareti erano dipinte di un blu notte, scurissimo. Su una di queste erano appese tre vecchie chitarre acustiche, un'altra - quella comprata più di recente - giaceva sul letto a due piazze insieme al suo plettro viola.
In quel mare blu erano appiccicate anche delle stelline luminose, le stesse che di solito si mettono accanto ai lettini dei bambini che hanno paura del buio. Mi chiesi se Seb temesse la notte, ma poi mi dissi che era una domanda sciocca: magari semplicemente gli piacevano o risalivano a quando era piccolo.
Sul secondo muro erano appoggiate due tavole da surf: una vecchia e rovinata, di un giallo smorto, l'altra nuova e immacolata, di un azzurro sgargiante; su quest'ultima erano disegnate delle onde e una palma, richiamava un po' il tatuaggio che aveva sul collo.
Stavo impazzendo.
Ero circondato dal suo dolce profumo d'arancia e io ero già cotto marcio di lui, quindi il mio povero cuoricino aveva perso diversi battiti e rischiavo seriamente l'infarto.
Quindi, preso da un bisogno improvviso di respirare, mi mossi verso le grandi vetrate che si affacciavano sulla città. Da qui Seb poteva guardare New York dall'alto ogni volta che voleva. Immaginai quanto fosse scomodo svegliarsi la mattina con il sole in faccia, ma poi notai le tende nere aperte che giacevano ai lati delle finestre. Forse - mi dissi - non era poi così male avere un attico. Certo, se ignori le persone minuscole - come tante formichine operaie - che si muovono agitate sotto ai tuoi piedi ogni volta che osi affacciarti.
Il pavimento era di un legno chiaro e ogni mio passo pareva rimbombare nella stanza, quasi fossi diventato improvvisamente pesante.
Quando mi ritrovai sul grande tappeto peloso, posto poco più lontano dal letto, mi girai per osservare la terza parete.
Mi immobilizzai e persi il piccolo sorrisetto nervoso che avevo in viso.
Farfalle. C'erano farfalle di ogni tipo e forma, con i toraci spillati per premerle contro a dei macabri quadretti. Tutte in ordine, di varia grandezza, mi salutavano con quegli occhi vuoti e vacui.
Mi si chiuse lo stomaco.
«Questo...» mormorai, poi mi resi conto che non erano disposte a casaccio. Parevano incorniciare una tarantola nera, posta in mezzo a quelle ali quasi volessero glorificarla.
Sebastian ridacchiò. Si diresse verso la libreria in faggio, accanto alle tavole, e ne tirò fuori un grande volume.
«Mi fanno tutti la stessa domanda appena vengono qui: perché?»
«Te la faccio anch'io.» stetti al gioco, nonostante avvertissi un po' di agitazione mentre mi sedevo accanto a lui.
Le lenzuola bordeaux sembravano volermi inghiottire in un sol boccone e mi ritrovai gocciolante di sudore. Non nego che percepissi anche un po' di speranza mista ad anticipazione: mi avrebbe permesso di spingerlo tra quelle coperte scure?
«La conosci la fiaba del ragno e della farfalla, Zack?» quella domanda fortunamente mi distolse dai miei pensieri perversi.
Scossi la testa. Il titolo mi era stranamente familiare, eppure non riuscivo a ricondurlo a nessuna storia in particolare.
Seb aprì allora il librone, facendomi vedere un'illustrazione. Una tarantola scura era intenta a tessere la sua ragnatela, tuttavia questa non pareva riuscire a catturare alcun insetto. Al contrario, i fili bianchi si estendevano fino ai lati della pagina, costruendo muri di velluto bianco e formando un abozzatissimo castello medievale.
«C'era una volta un ragno.» lessi insieme a lui. Ci bloccammo. Io arrossii, Seb sorrise. Gli feci cenno di andare avanti, mi assecondò a condizione che gli concedessi di stendere il braccio lungo le mie spalle.
«Fai pure...» sussurrai imbarazzato. Stranamente non nutrivo alcun timore nei suoi confronti, l'unica paura che provavo era verso me stesso: sarei stato in grado di non cedere alla tentazione di baciarlo?
Le sue carezze erano dolci come lo zucchero, mi sfiorava con la stessa delicatezza con cui voltava pagina.
Trovavo piuttosto bizzarro quanto mi sentissi a mio agio con lui. Riusciva a infrangere ogni regola che mi aveva accompagnato durante gli ultimi vent'anni della mia vita - e lo faceva con una facilità disarmante.
Il calore del suo corpo mi rassicurava, adoravo già quel tepore. Allora non sapevo che ne sarei diventato addirittura dipendente.
Comunque sia, non avrei dovuto stupirmi: Sebastian era stato un'eccezione fin dal primo momento.
«Nessuno lo amava, tanto era brutto e cupo. Solo un pazzo avrebbe voluto essere suo amico.» continuò Seb con tono teatrale, facendomi ridere. Mi riprese dandomi un piccolo pizzicotto sul braccio, io gli feci una pernacchia. I nostri erano gesti del tutto infantili, ma sapevamo che potevamo permetterceli solamente quando eravamo insieme.
«Un giorno però una farfalla si fermò a parlare con lui. Gli volò sopra la testa, facendo ben attenzione a non farsi acchiappare.»
«"Posso avere un po' della tua tela?" gli chiese.»
Accarezzai la pagina ingiallita del racconto, chiedendomi quante volte lui l'avesse sfiorata.
«"No." disse il ragno. "Sono un brutto mostro e pure stupido. Perché vorresti venirmi vicino?."»
Seb chiuse la mano in un pugno, me lo avvicinò al muso a mo' di microfono.
«"Nessun mostro potrebbe creare qualcosa di così tanto meraviglioso." insistì lei.» sorrisi, leggendo quella mangiata di righe mentre gli respiravo sulla pelle. La sua espressione si ammorbidì.
Questa fiaba non è poi così male.
Lo pensai, fino a quando Sebastian non voltò pagina.
presente - 𝚒𝚜𝚊𝚊𝚌 𝚜𝚙𝚒𝚍𝚎𝚛
"Ricordi che accadde dopo?" mi chiede la fatina, mentre Seb mi trascina nell'ascensore e io tento inutilmente di non dare significati strani ai suoi gesti.
Il ragno si innamora.
Le rispondo, ma ho la mente troppo intossicata da quest'uomo così capriccioso per captare altri messaggi.
Sebastian pretende che mi concentri su di lui, vuole la mia attenzione e se la prende, mi reclama richiamandomi con gentilezza. Sfiora il mio corpo con cura, lo venera passandoci sopra le dita, mi studia lanciandomi sguardi ammalianti e soprattutto mi accarezza con estrema delicatezza. La schiena, il braccio, il polso, perfino il collo. I suoi sono movimenti veloci, calcolati al millimetro, quasi avesse pianificato per mesi interi esattamente cosa farmi, dove colpire e con quale pressione e forza.
E mentre correvamo tra la folla realizzavo che: Mi desidera davvero.
A me.
Non abbiamo fatto altro che tenerci per mano lungo la strada, evitando le rumorose auto con i loro stridenti clacson, fuggendo dai mormorii delle persone che popolavano i grandi marciapiedi articolati e ignorando ogni campanello d'allarme che ci suggeriva che la nostra era un'idea del tutto malsana.
So che è stupido stare a rimuginarci troppo, vista la pazzia che stiamo combinare, ma non riesco a non nutrire un po' di speranza.
Sono abbastanza certo che non si comporti allo stesso modo con tutti i suoi partner, questo non mi rende la sua eccezione? L'unico che tocca in questo modo?
Seb preme velocemente il bottone dell'ultimo piano - il suo - poi si volta verso di me. Mi stringe il palmo, ancora serrato al suo, quasi volesse assicurarmi di essere lucido e consapevole.
Sospiro quando si avvicina abbastanza da posarmi un tenero bacio sulla fronte, poi senza alcun preavviso mi pizzica il naso e ride giocoso della mia smorfia imbarazzata.
E le gambe mi cominciano presto a tremare non appena noto quel piccolo cambio nel suo sorriso. Non è quello amichevole, che mi rivolge di solito, rassicurante e dolce. Stavolta è diverso: è incantevole, brutalmente incatenante. Mi sento creta modellabile nelle mani di un artigiano.
«Vieni più vicino.» mi molla, fa un passo in direzione della parete. Sta giocando con la mia sanità mentale, vuole che lo insegua. Ovviamente gli sono subito dietro e - in un impeto di inaspettato coraggio - porto le mani ai suoi fianchi. Lui si blocca, siamo così appiccicati che è impossibile che non abbia sentito la mia lunghezza però, a giudicare dal suo respiro accelerato, dubito che gli dispiaccia.
In un attimo, gira su se stesso, si volta, mi fissa come se volesse divorarmi intero. Questa visione celestiale è praticamente un headshot.
«Vuoi il comando, Zacchino?» domanda allontanandosi di un altro passo, per finire ridosso al muro.
Ah.
Mi sta praticamente ordinando di peccare con lui e la cosa pazzesca è che mi piace da matti. Non sono mai stato un tipo troppo religioso, ma è così che mi immagino la tentazione: Sebastian, lo stesso ragazzo che si metterebbe una gonna per aiutare una sconosciuta, con quello sguardo lussurioso e vivo, che mi aspetta all'entrata dell'Inferno.
Mi fa cenno di andare da lui, allargando le braccia per farmi spazio e io...
"Il ragno si innamora." mi fa eco la fata.
"Si innamora così tanto da volerla monopolizzare."
...mi lascio finalmente andare facendo un passo verso il mio bel demonio. Lo faccio piano, intimorito, ma qualcuno sembra aver fretta perché mi afferra per il polso e mi lascia ricadere sul suo petto.
Alzo lo sguardo, preparandomi a insultarlo perché mi ha fatto venire un colpo, però mi blocco. Ora sta socchiudendo gli occhi e mi invita a baciarlo.
«Se vuoi il comando, a me sta bene.» mormora.
«Qualsiasi cosa tu voglia, dimmelo e lo avrai.»
"Quindi il ragno inizia tessere e tessere..."
Mi allungo verso di lui, artigliandogli la maglia con le dita, tanto forte da graffiargli la pelle. Afferro tutto il mio coraggio e gli schiocco un bacio a fior di labbra, ma questo ormai non basta davvero più a nessuno dei due. Ci siamo già sfogati, adesso desideriamo ben altro.
"...perfezionando la sua tela..."
Sappiamo entrambi che è tremendamente sbagliato, che lui non mi ama e che c'è una ragazza meravigliosa che lo sta aspettando, però non possiamo più fermarci. Stiamo perdendo il controllo. Insieme. E mi tiene incatenato a lui in un modo meravigliosamente malsano, reclamando ogni singola particella del mio corpo per farla sua.
"...diventa avaro..."
Seb mi cinge i fianchi mentre l'ascensore sale, incurante del fatto che quelle porte potrebbero aprirsi da un momento all'altro, facendo entrare occhi e bocche indiscrete. Ce ne stiamo altamente fregando della telecamera di sicurezza che ci osserva e giudica. Lasciamo perdere il mondo.
Tutto ciò che conta siamo io e lui e questo istante.
"...la farfalla si perde nel bosco..."
La sua lingua si fa presto strada fra le mie labbra: si sfoga, mi esplora, forte e implacabile, quasi volesse possedermi.
Timidamente seguo il suo esempio e mi faccio largo nella sua bocca. Lui sembra aver fretta, non riesco a stare al suo passo, mi ritrovo a boccheggiare in cerca di ossigeno.
I suoi canini sono talmente appuntiti che per un secondo temo che mi taglino, ma tutte le mie paure vengono spazzate via quando mi morde per davvero. Lo fa lentamente ed è un bruciore così piacevole che mi manda fuori di testa, un contatto velocissimo e inaspettato.
Si allontana appena per studiare la mia reazione, ma non glielo permetto perché ne sono già drogato e voglio di più.
Pretendo di più.
Lo bacio ancora, con più foga del necessario e la sua presa diventa ferrea, bisognosa.
Gli accarezzo le guance, avvertendo la leggera peluria del viso scorrermi tra le dita, e lui accelera il ritmo di quella danza. Mi costringo a indietreggiare, a darci un po' d'aria, però Seb non me lo concede e cammina con me. Mi sbatte prepotentemente contro una parete, sobbalziamo quando ce ne rendiamo conto. Eppure continuiamo.
"...il ragno la cerca..."
Come un bambino capriccioso, si impunta, insistendo sulla mia lingua, stuzzicandomi. Gli schiocchi dei nostri baci, che rimbombano nell'abitacolo, sono l'unica cosa che accompagna i nostri respiri affannati.
La testa mi si svuota, il cuore mi diventa tamburo e risuona in petto, ho le mani sudate e mi sento svenire quando Seb si allontana dalle mie labbra. Mi prende in braccio, io mi costringo ad aggrapparmi alle sue natiche con le gambe, per non capitolare al suolo. Lui sorride, volteggiando per mettersi in trappola.
Ora sono in alto, lo supero di diversi centimetri e lui è imprigionato tra me e il muro. Ho le mani ancorate alle sue possenti spalle da principe, lo stomaco sottosopra.
Mi ha dato davvero il comando. Sbatto un palmo contro l'abitacolo. Il frastuono lo prende in contropiede. Spalanca le palpebre, mi fissa sorpreso. Adoro questa sensazione. Quasi senza accorgermene faccio scivolare la mano lungo la gelida parete, fino alla sua chioma e la tiro piano, respirando a fatica. Non credo che riuscirò a contenermi oltre.
"...la trova e si dispera..."
Seb inclina la testa, fissa la macchia violacea che mi colora il collo, la sfiora con la lingua. Mi sta provocando.
«Ah...» sussurra baciandomi la gola, lambendola come se ne fosse già dipendente.
«Se fossi stato una ragazza, ci avrei provato con te fin da subito e pure di brutto.» ridacchia.
«Disse quello che mi sta toccando il culo da almeno un quarto d'ora.» ribatto, facendogli notare l'assurdità della situazione.
«E poi anche se il mio viso è così, non significa che sia una ragazza.» dichiaro orgogliosamente, maledendomi per avergli permesso di arrivare fino a questo punto.
«Oh credimi, lo so bene.» assottiglia le palpebre, lo sguardo si fa furbo.
«E poi non serve ricordarmelo, ti ho sempre visto come un maschio.» mi rassicura.
«Allora perché-»
«Tu sei diverso.» mi interrompe, accarezzandomi amorevolmente il sedere, per poi tirarmi una pacca che mi mozza il fiato.
«Sono diverso perché puoi prendermi in giro?» lo accuso dandogli un pugnetto sul braccio. Lui ridacchia.
«Nah, è solo che non avrei mai pensato che mi venisse duro con un altro uomo.» ammette senza alcuna vergogna.
«Ma con te ci sono riuscito.» mi prende per mano e - per un secondo - penso che me la stia per appoggiare sul suo pacco, come nel più becero racconto di serie z.
Sebastian però è un principe azzurro, un gentiluomo, e non fa mai ciò che ci si aspetta quindi se la porta alla bocca, premendo le labbra sulle nocche. E mi bacia, mentre l'ascensore finalmente si apre.
«Cos'è? Sei in cerca di complimenti?» chiedo e so di essere vistosamente arrossito.
«Forse.» ghigna.
La sua voce roca mi rimbomba per tutto il corpo, quasi fosse la vibrazione di una chitarra elettrica e me l'avesse trasmessa attraverso la pelle. È una melodia che sa quasi di casa.
È assurdo che ci siamo incontrati poco tempo fa. Mi sembra di conoscerlo da sempre. Mi chino sul suo viso, lui pensa che stia per baciarlo e schiude le labbra, pronto ad accogliermi.
Ma voglio almeno fargliela un po' pagare per avermi fatto penare così a lungo, quindi evito la sua bocca all'ultimo secondo.
«Isa-»
«Good boy.» mormoro tirandogli una ciocca di capelli per avvicinarmi al suo orecchio.
"...la farfalla viene uccisa nel modo più cruento..."
Sebastian non dice una parola. Immagino che non abbia gradito la mia presa di posizione, quindi mi rimetto dritto pensando di aver fatto un casino ma, quando incrocio i suoi occhi ciò che vedo riflesso nelle sue iridi celesti è puro desiderio.
Mi mette giù l'attimo dopo, mi incoraggia a seguirlo prendendomi per mano. E io mi faccio condurre fuori senza opporre alcuna resistenza. Attraversiamo il corridoio correndo, di fretta, sorridendo come bambini.
Incrociamo lo sguardo di un paio di persone, prima di arrivare di fronte alla porta di casa.
Probabilmente ci hanno preso per pazzi e magari qualcuno di loro avrà pensato che fossimo una coppia - questo pensiero mi fa tremare il cuore.
Non riesco a far a meno di provare felicità, una gioia matta e incontrollata, nonostante l'enorme cazzata che stiamo per commettere.
Sebastian si tasta le tasche, in modo frenetico, cercando le chiavi e - quando finalmente le trova - mi lancia uno sguardo dispettoso.
«Lo stiamo davvero per fare, eh?» mi domanda.
Annuisco, avvertendo una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
«Hai dei ripensamenti?»
«Ti sembra che ce li abbia?» mi chiede, abbassando gli occhi sui suoi pantaloni. E lo capisco, perché è da prima che ho un'erezione che mi preme nei jeans. Vorrei solo levarmeli e sfogarmi in qualche modo, perché comincia a far male. Pulsa, desiderosa di essere toccata.
«No...» sussurro. Eppure so che c'è qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto ciò: Sebastian conduce un certo tipo di vita, ma non per questo posso approfittarmene. Anche perché so bene a cosa sta rinunciando.
«Cloé-»
«Dimenticala.» mi interrompe bruscamente.
«Ci siamo solo tu e io.» borbotta infilando le chiavi nella toppa. Dal tono sembra ferito ma subito dopo, quando apre e mi fa cenno di entrare, riacquista il suo sorriso giocoso.
"...quindi il ragno, in un impeto di rabbia e miseria, spinto dall'angoscia..."
«Il resto non conta.» mi dice entrando con una falcata.
La sua voce è tanto dolce che mi precipito immediatamente da lui, sbattendo la porta alle mie spalle. E lo bacio, ancora e ancora, chiudendo il mondo fuori.
"...si fa tarantola e divora ogni cosa."
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