Capitolo 9
Non mi importava di trovarmi in mutande con l'asciugamano, ero così felice che sarei corsa da lui. Ovviamente non lo feci, anche Verena era indecisa se abbracciarlo o tirargli uno schiaffo per lo spavento che ci aveva fatto prendere. E poi non sembrava troppo entusiasta della nostra visita, c'era qualcosa che non andava. Ceneri pesanti a parte.
«Certo che sono vivo», affermò come se lo avessi offeso. La sua rabbia lo costrinse a irrigidire i muscoli del corpo.
Ritornai con i piedi per terra, cosa credevo? Non era mica un essere umano. Supposi che per lui questo disastro non sarebbe dovuto sembrare strano. Entra qualcuno, ti distrugge la casa, tu sparisci, ma certo, routine!
«Cos'è successo?», Verena aveva riacquistato il suo autocontrollo, anche lei stava iniziando a parlare come se niente fosse. Solo io continuavo ad essere scioccata?
Mitch sbuffò, esasperato. Poi guardò vicino al caminetto e spalancò gli occhi. «Dov'è?», infine mi fissò e il mio viso prese il colore della porta. «Perché non sei vestita?».
«Lo abbiamo raccolto, credevamo fossi tu», iniziò Verena, quindi mi resi conto che era ancora preoccupata.
«Ce n'era un altro in bagno e... tubature rotte», mi indicai, mentre fissavo per aria, non avevo il coraggio di incontrare il suo sguardo.
«Dove sono?», chiese serio.
«Su quel tavolo», Verena puntò il dito, ma il sacchetto era uno solo. Mi aveva detto di sbarazzarmene! Iniziavo a sentirmi a disagio.
«Bruciale».
«Prima dimmi chi è!».
Verena gli sbarrò la strada, costringendo il ragazzo a parlare.
«Subito dopo aver portato Gwen a casa sono ritornato all'Inferno. Ho parlato con due Demoni di cui mi fidavo, avevo spiegato che l'avevo trovata e che presto sarebbe tutto finito. Ho subito notato che qualcosa non quadrava, come mi avevano accolto, le mie notizie a riguardo. All'inizio non avevo capito, ma al mio ritorno mi avevano seguito. Lavoravano per qualcun altro, non hanno voluto dirmi chi, ma prima che li uccidessi si sono lasciati scappare una frase che mi ha fatto imbestialire. Vogliono ucciderla, ce l'hanno con lei, la Portatrice».
Mitch e Verena mi stavano fissando, avevo cercato di seguire il discorso, ma alcuni dettagli mi erano sfuggiti. Mi sentivo in soggezione, come se avessi omesso una parte importante.
«Come hanno fatto a sapere della sua esistenza?», Verena non aveva cambiato espressione da quando eravamo entrati in casa.
«Non ne ho idea, è questo il punto! Hanno fatto il nome di Gwen! Siamo osservati, non so da quanto, ma ora sanno di lei e quella di oggi sarà la prima di molte visite indesiderate».
Di nuovo gli occhi su di me.
Ora avevo capito, ero io la Portatrice.
Non avevano intenzione di distruggere solo Jane, volevano il pacchetto completo.
«Perché?», mi intromisi.
«Per impedirmi di portarla in vita, mi sembra logico. Ti uccideranno, cosicché la sua anima muoia e rinasca altrove, lontano da me affinché il mio viaggio continui», si avvicinò a me, sentivo il suo calore sulla pelle, nonostante non mi stesse toccando. Era furioso. «Ma non lo permetterò, non voglio passare un altro millennio come il precedente. Quindi tu collaborerai e finché ce ne sarà bisogno resterai viva». Si spostò, dirigendosi verso il tavolo di legno. Con un piccolo gesto dalla sua mano fuoriuscirono delle fiamme che bruciarono il pacchetto. Il fuoco non era tanto alto, ma estremamente preciso. Il tavolo di legno non patì nulla, se non una chiazza nera dove prima c'erano le ceneri.
Mi vennero i brividi e decisi che era il momento di rivestirmi.
Scappai in bagno. Fuoco, ci voleva tanto dirmelo? Magari prima che avessi utilizzato l'acqua. I miei indumenti erano ancora umidi e i deboli raggi del sole non scaldavano abbastanza. In quella casa invece era ritornata la sauna. Se avessi preso il raffreddore avrei maledetto Mitch. Com'era possibile che mi faceva provare sentimenti contrastanti tra loro e allo stesso momento? Non sapevo ancora decifrarli, ma alcuni erano buoni e altri cattivi.
Ritornata in quello che prima era un salotto li sentii confabulare come loro solito. Mitch perennemente arrabbiato, Verena implorante.
«Ti ho detto che ho bisogno di quel libro!», ruggì il Demone.
«Non posso prenderlo, non appartiene a noi!».
«E' custodito nel vostro Regno, non abbiamo scelta!».
Di nuovo i suoi occhi tempesta mi scrutarono.
«E lei verrà con noi».
Dove? Cosa? Perché? Non sapevo cosa dire e se avvicinarmi di più, era abbastanza minaccioso anche a quella distanza.
«No! Come puoi dirlo, è troppo pericoloso», ci pensò Verena a difendermi.
«Abbiamo bisogno della testimonianza dell'umana, gli Arcturians non mi affiderebbero mai un Manufatto di tale importanza».
Non stavo capendo niente, le loro urla mi stavano provocando un forte mal di testa. Mi sentivo debole, non respiravo bene. Avevo paura, volevo che si accorgessero del mio stato, ma le parole non mi uscirono di bocca. Aiuto. Allungai una mano per cercare di avvicinarmi, sentivo il loro brusio e non smettevano di urlarsi contro. Anche la mia vista iniziò ad appannarsi, non volevo che succedesse, non volevo perdere i sensi. Mitch, guardami. Mi sporsi troppo in avanti e il peso del mio corpo mi buttò a terra come un pezzo di legno, davanti a me il nero.
Mi sentii urlare a squarcia gola. Provavo un dolore insopportabile in tutto il corpo e avevo le vertigini. Sembrava stessi cadendo dal più alto dei grattacieli e che il peso dell'atmosfera mi stesse schiacciando. Non riuscivo a respirare.
Poi tutto finì.
Ero esausta, volevo alzarmi da terra, ma non ce la feci. Volevo parlare, ma ancora una volta le parole mi morirono in gola. Cercai di guardare dietro di me, costringendomi a muovere.
Ero paralizzata.
I miei occhi non si muovevano, la mia bocca era ferma.
Sopra di me però c'era qualcosa.
Volava ed era bianco.
Un fantasma?
Aveva lunghi capelli neri, come i miei, volteggiavano nell'aria.
La sua pelle sembrava di porcellana, ma era scheletrica.
Ero morta?
Ma poi quell'essere mi guardò e ripresi ad urlare, non dal dolore, ma dalla paura. Anche se il mio corpo non si muoveva e non trasmetteva emozioni, dentro di me mi stavo agitando per evadere da quell'incubo.
I suoi occhi erano completamente neri, enormi, privi di espressione. Infiniti, come un tunnel oscurato, un pozzo senza fondo. Ipnotizzanti, era impossibile scappare.
Jane era lì.
Jane si era mostrata.
Perché Mitch non stava facendo niente?
Perché nessuno parlava?
Improvvisamente sentii freddo, stavo congelando per l'esattezza.
Avevo perso completamente l'uso del mio corpo.
Il mio cuore, non sentivo più i battiti del cuore.
Il fantasma si stava agitando, di sottofondo udivo le sue risate, ma non percepivo altro. Poi si abbassò, guardandomi un'altra volta e allungò una mano ossuta per toccarmi. Sorrise, mostrandomi i suoi denti aguzzi circondati dalle labbra increspate. Le sue unghie parvero lacerarmi la carne, mentre tornava dentro il mio corpo.
Gridai più forte che potevo e scattai seduta. Questa volta mi sentirono tutti, compresa me stessa ed ero riuscita a rannicchiarmi con le ginocchia al petto. Ero terrorizzata, consapevole di potermi muovere ancora mi dondolavo sul sedere. E piangevo, sfogandomi per tutto quello che avevo passato in una breve, ma intensa frazione di tempo.
«Ginny!», Verena mi abbracciò, era piacevole. Non era calda quanto Mitch, ma il contatto mi stabilizzò almeno per poter parlare.
«C-c-cosa... è-è...?».
«Shh, non parlare», mi cullò, cercando di calmarmi. Ma io volevo sapere, tutto. Ero come intrappolata dentro me stessa, senza le capacità vitali, non me ne sarei stata zitta anche in quel momento.
«J-jane, p-perché...».
«Lo sa, dannazione».
Mitch era rimasto in piedi, aveva le braccia incrociate ed era di spalle. «Sa che vogliono ucciderti. Qualcuno le ha fatto un incantesimo ed è venuta a negoziare».
«Cosa?», dissi a bassa voce, mentre Verena mi stringeva di più.
«La tua vita per la sua liberazione».
«Facciamolo... liberala e poi uccidila», lentamente mi sentivo meglio, come se lo shock iniziale fosse passato via. «A scuola Verena mi ha detto che...», venni interrotta.
«Non è così semplice!», Mitch si girò e notai subito che il suo volto si era leggermente deformato. Ed era bordeaux. Sussultai, non mi aspettavo una cosa del genere. Non mi sarei mai aspettata tutto ciò che successe dopo il trasferimento, per essere chiari. «Perché mantenga la sua promessa io dovrei regnare di nuovo con lei».
Avevo paura a chiederlo. «Hai accettato?».
Non stava rispondendo, la cosa mi turbò. Guardai Verena in cerca di risposte e il suo sguardo era basso.
«Sul serio?», strillai. Certo, come se fossero affari miei. Lo erano dal momento che vivevano sulla Terra, del resto non avrebbe dovuto importarmi niente.
«No!», decise di rispondermi Mitch.
«Ti stava uccidendo», la voce di Verena era più delicata. «Se l'incantesimo non fosse finito saresti rimasta a lungo senza anima e non ce l'avresti fatta».
Ricordavo il freddo e il mio cuore che rallentava.
«Cosa facciamo?».
«Restiamo al piano originale», ordinò Mitch.
Alzai un sopracciglio, come se avessi potuto ascoltarlo. Ero impegnata a morire cerebralmente.
«Andremo dagli Arcturians e recupereremo il libro», lo sguardo che lanciò a Verena non permetteva obiezioni.
«Cosa c'è in questo libro?», e chi erano gli Arcturians? Ma la prima domanda era più importante.
«Insieme ad altre mille maledizioni, in questo Manufatto è anche riportata la collocazione dei due Elementi che sono stati usati durante il rituale di Jane, il Pugnale e lo Scrigno. Non sono oggetti comuni, con il Pugnale è stata prelevata la sua anima, questo elemento ha il potere di incanalare l'energia e iniettarla ovunque si voglia. Lo Scrigno, invece, serve come protezione. Se sigillato, l'oggetto al suo interno non può essere toccato, motivo per il quale nessun altro lo ha mai utilizzato da quando è andato perduto».
«Lo avete perso?».
Il Demone sbuffò. «No, è stato voluto così, per evitare che io faccia gesti avventati».
«Ma hai intenzione di farlo comunque», osservai. Avrei voluto alzarmi dal pavimento, ma ormai non c'erano più sedute utilizzabili e se fossi rimasta in piedi sarei caduta per lo stress. «E una volta che avrete gli elementi?».
«Si fa un bel viaggio all'Inferno, io ho l'accesso alle segrete di mio padre, dove ora giace il corpo imprigionato di Jane. Lo si prende e si estrae la sua anima da te per incanalarla in lei. Dopo di che...».
«La si distrugge», concluse Verena.
Non capivo esattamente quali fossero i sentimenti di Mitchell, non ero convinta avesse davvero voglia di ucciderla. Ma era solo una piccola parte di me a pensarlo, l'altra, maggiore, voleva fidarsi di lui e sacrificare il mio corpo per lui. Giusto quei pochi minuti di iniezione divina, poi avrei vissuto una vita normale. Proprio quello era il pensiero che mi faceva andare avanti, continuare a soffrire così ancora per poco, per poi avere tutta la vita libera davanti a me. Niente più scatti feroci, niente più incubi, niente più minacce da me stessa. Avremmo potuto farcela, in qualche modo.
«E quando vorreste partire?».
«E' necessaria la tua presenza per questa missione, ma spero per te che sia il prima possibile».
Non che avessi tanti impegni, cioè nessuno, ma avevo comunque una famiglia. Non sarei potuta scappare di casa senza dare abbastanza spiegazioni per poi tornare chissà quando. Guardai Verena, in cerca di aiuto. Era brava a capirmi, speravo mi desse sostegno.
Infatti i suoi occhi si illuminarono. «Ci sono le vacanze di autunno!», squittì.
E' vero, me ne stavo dimenticando. Le Herbstferien duravano sempre due settimane e sarebbero iniziate tra cinque giorni, il 4 di ottobre. Quindi avrei dovuto restare così tanto lontano da casa.
«Perfetto», concordò Mitch senza troppa enfasi.
Mi alzai di scatto, per obiettare. «Non ti aspetterai che i miei genitori mi lascino affrontare questo viaggio!».
«Stupida umana, non devi rivelare a nessuno questa missione», Mitch mi puntò il dito contro. Era impazzito? Ovvio che non avrei rivelato niente, quale sano di mente mi avrebbe creduta? A volte questa sua mancata fiducia mi faceva rattristire. Infuriare, meglio.
«Non mi stavo riferendo a quello!», stavo iniziando ad alzare la voce, tutte quelle emozioni contrastanti e l'essere quasi morta per l'ennesima volta erano un vero toccasana per la mia sanità mentale. Avrei dovuto calmarmi o sarei crollata. Feci dei respiri profondi, pensando più lucidamente a una soluzione, piuttosto che creare altri problemi.
«Abbiamo bisogno di Max», Verena ruppe il silenzio. Io la guardai esterrefatta.
Quel ragazzo era un mistero, da quando lo avevo incontrato la prima volta non mi era mai piaciuto. Non capivo cosa c'entrasse in tutto ciò e i suoi modi di fare erano più inquietanti che benevoli.
«Approvo», dichiarò Mitch.
Guardai anche lui. Si mostrava serio, cupo, immerso nei suoi pensieri, ma una strana sensazione mi diceva che si sentiva debole, con altri occhi mi appariva desolato, confuso. Il motivo per cui riuscivo a capirlo avrebbe potuto essere proprio la causa dei nostri problemi, Jane. Tra noi si era creato un equilibrio e ciò mi permetteva di leggerlo come nessun altro poteva. Ed era straziante. Mi sentivo in colpa per averlo reso instabile, come se fosse stata davvero causa mia. Mi sentivo in dovere di aiutarlo, come per pagare un debito nei suoi confronti durato centinaia di anni. E lo capivo con solo uno sguardo, quando mi guardava sembrava volesse chiedermi il mondo, i suoi occhi mi supplicavano di aiutarlo. Ma questo è ciò che vedeva la mia anima, perché quel ragazzo affascinante avrebbe mosso da solo mari e monti per ottenere quello che voleva e se avesse voluto dire scaricarmi lo avrebbe fatto.
«Lo chiamo», Verena estrasse il suo telefono e pigiò un tasto solo. Poi si allontanò dal disastroso salotto e attese.
Perché ogni volta il moro doveva essere nei paraggi? Non mi era per niente simpatico. Nascondeva qualcosa, ma ancora non avevo capito se avevo il permesso di parlarne o no. Mi aveva detto di non dirlo a nessuno, ma non aveva specificato se Mitch e Verena fossero compresi oppure no. Ma dai, se per queste questioni avevano bisogno di lui era ovvio che sapessero. E poi da quando mi serviva il permesso di qualcuno per parlare?
Mi ero decisa, avrei chiesto qualche informazione in più. Avrei preferito Verena, ma proprio in quel momento era al telefono.
Mi avvicinai cautamente a Mitch e valutai cosa chiedergli.
«Che ruolo ha Max in questa storia?».
Mi guardò come se avessi avuto due teste.
«Ho il diritto di sapere», continuai.
Sbuffò, scrollò le spalle e poi si decise a rispondere.
«E' la mia spalla più fedele, l'unico di cui mi fida ciecamente. L'unico che è rimasto dopo la nostra partenza».
«Viene dall'Inferno anche lui?».
Mitch annuì in silenzio.
Perché non me lo aveva detto prima? E soprattutto perché lui voleva parlarmi o affidarmi cose in privato?
«Anche Verena è rimasta con te, questo non conta?», preferivo lei a Max, decisamente.
«Lei non è come noi».
Come l'aveva chiamata? «Voi due siete Demoni e lei è Pleade?».
«Pleiadiana», mi corresse con superiorità.
Oh, accidenti.
«Max non è un Demone, ma uno Stregone Vampiro».
Non credevo esistessero certe creature. Se non me lo avesse detto Mitch in persona, con quello sguardo grigio e quell'espressione autoritaria, avrei sicuramente creduto si fosse trattato di uno scherzo.
«Vuoi dire... che ha... i canini lunghi e beve... sangue umano?», chiesi molto indecisa, mimando con le dita i denti ai lati della bocca. Da come lo avevo descritto sembrava un tricheco. Se tutti i presunti mostri dei film horror fossero stati reali ci sarebbe stata anche la probabilità dell'esistenza dei lupi mannari o zombie. E io odiavo gli zombie.
«Certo che no, la vostra visione umana ha dei limiti che impediscono alla gente comune di percepire il sovrannaturale».
Avrebbe dovuto essere un'offesa, ma la trovai irrilevante, continuavo a non capire.
«Asporta energia vitale dagli esseri viventi», concluse, osservando la mia espressione spaesata.
«Oh», capii.
«In più conosce la magia, pratica diffusa nel nostro Mondo».
Sì, lo avevo visto, Mitch aveva disintegrato un sacchetto di cenere con il potere delle sue mani.
«Ho capito».
Verena tornò, impaziente.
«Avrebbe dovuto essere già qui».
Ipotizzai per via della supervelocità dei vampiri o una cosa simile. Se non altro avrei potuto stare tranquilla, il mio sangue sarebbe rimasto nelle mie vene, anche per quanto riguardava Jane.
«Strano».
Mitch andò fuori dalla porta. Io e Verena lo seguimmo.
«E' possibile che ci siano altri Demoni?», si chiese.
«Assolutamente no», una quarta voce spuntò dal nulla e tutti e tre guardammo per aria, a destra e a sinistra.
Successivamente Max precipitò da un albero, atterrando in piedi come un gatto davanti a noi, ma così furtivamente da farmi urlare.
Salutò gli altri con un sorriso, ma poi si focalizzò su di me con insistenza, tornando serio. Credevo mi stesse squadrando dalla testa ai piedi, ma era difficile dirlo dato i suoi occhiali da sole, anche quando il tempo era nuvoloso.
I vampiri odiano la luce del sole, pensai. Sì, ma la luce era coperta. E poi non avrebbe dovuto prendere fuoco durante il giorno?
Improvvisamente scoppiò a ridere, sempre puntando verso di me. Ecco un'altra cosa che non avevo considerato, la telepatia. Leggeva davvero nella mente.
«Scusate il ritardo», finalmente distolse lo sguardo, cercando qualcosa nella tasca della sua felpa. «Ho dovuto recuperare questa».
Estrasse il ciondolo viola che mi aveva regalato.
Il ciondolo viola che era a casa mia, dentro la mia trousse.
Spalancai gli occhi e corsi a prenderlo.
«Sei stato nel mio bagno!», ero sconvolta. «Come sei entrato? Chi ti ha dato il permesso?», i vampiri non potevano entrare in casa di altri senza essere invitati. Ma i miei genitori erano in casa.
«Non ho fatto niente di male, rilassati».
«Non dire a me di rilassarmi!».
Max sbuffò, scuotendo la testa.
«Che cos'è quello?», domandò Mitchell.
«Se Gwen l'avesse indossata probabilmente ci saremmo risparmiati tre uomini malridotti e una proiezione di Jane in meno».
Che cosa voleva dire?
Non mi aveva mai spiegato come funzionasse davvero e io non gli avevo dato importanza. Anzi, me n'ero quasi dimenticata.
«Dammelo», ordinò Mitch allungando una mano.
Non sapevo come si comportasse giù all'Inferno dove regnava, ma qui non aveva nessun potere e avrebbe dovuto impararlo.
«Per...?», lo incalzai.
«Per vedere di cosa si tratta».
«Per...!», alzai la voce.
Lui non capì.
«La parolina magica», gli suggerì Max. Lo avrei assunto come interprete, se la sua presenza non mi disturbasse per qualche motivo.
«Per favore».
Sembrava lo avessi offeso, meglio, come rivincita alla cecità di noi esseri umani riguardo il paranormale.
Infatti mi strappò lo stesso la collana dalle mani.
Se la girò così tante volte tra le dita che sembrava una trottola. Chissà cosa cercava di fare. Era una palla di vetro sfumata di viola all'interno con lo stesso simbolo che mi perseguitava.
«Percepisco una forza dentro di essa», ragionò Mitch.
«E' molto di più», lo corresse Max, poi tornò a guardare me, credevo. «Ti avevo detto di tenerla sempre con te, è così difficile indossare un gioiello?», stava iniziando a diventare scontroso anche lui.
Roteai gli occhi.
«Solo perché è una ragazza non significa che apprezza le collane, ci hai mai pensato?», lo rimproverò Verena.
«In realtà sì, ho pensato a lungo a che oggetto realizzare e ho valutato che un ciondolo avrebbe fatto al caso suo. Sai quanto tempo ci ho messo? Abbi un po' di rispetto».
«L'avrai fatta in cinque minuti, smettila».
Finalmente qualcuno che prendeva le mie parti.
«Sì, ma lei non lo sa».
«La smettete?».
Mitch stava perdendo la pazienza.
«Max, spiegami il potere di questa collana».
Max riprese l'oggetto dalle mani di Mitch e invece di parlare si avvicinò a me.
«E' molto semplice», aveva intenzione di mettermela. Io chiusi gli occhi e mi irrigidii, avrei preferito farlo da sola. Percepivo una strana sensazione, ma non seppi dire se fosse per il potere del ciondolo o Max. Il ciondolo in sé non mi aveva mai dato problemi.
Il moro invece sì.
«Ginny», mi chiamò Max, «scusami, davvero».
«Per che cos...».
Era stato così veloce e così inaspettato che credevo di averlo sognato. Sentivo un dolore atroce e non riuscii a trattenere le lacrime.
«Sei impazzito!», strillai contro di lui. Mi tastai il naso e stava grondando di sangue. «Perché mi hai dato un pugno, cazzo!».
Verena mi strinse subito fra le sue braccia, per proteggermi.
«Che ti è saltato in mente?», chiese lei.
Sentivo che mi aveva spaccato il naso, quel bastardo. Per una frazione di secondo avevo trattenuto il respiro e la mia mente non riusciva a comprendere il gesto.
Non avrebbe dovuto farlo.
Mi sarei arrabbiata e sarebbe stato peggio per lui.
«Ora io ti...», lo minacciai, guardandolo in faccia. «Io ti...».
C'era qualcosa che non andava.
Non mi sentivo potente, non mi sentivo piena di grinta e di energia. Provavo solo un dolore cane e tutto ciò che volevo era piangere e curarmi. Gli atti violenti nella mia testa erano spariti.
«Cosa volevi dimostrare, il colore del suo sangue?», disse Mitch impassibile. Se fossero stati altri a picchiarmi mi avrebbe difeso con la sua vita, mostrando anche le ali. Dato che lo aveva fatto il suo migliore amico non gli importava.
«La sua reazione», dichiarò Max. «Hai detto che quando l'hai salvata non era in lei, sembrava un'altra persona, violenta, assetata di sangue. Tutto perché qualcuno aveva cercato di infastidirla. Ha cercato di uccidere anche me, al concerto di inizio settembre».
Quelle parole mi riportarono indietro di qualche settimana, quando dovevo semplicemente fingermi una ragazza normale e ambientarmi in questa nuova città. Era tutto così segreto allora, non avevo nessun aiuto a parte me stessa. Finalmente avevo trovato un rimedio al mio problema maggiore, una forma di protezione apparentemente innocua, da portare sempre con me.
Avevo capito, aveva senso. L'energia che aveva percepito Mitch impediva a Jane di prendere possesso del mio corpo.
«Avresti potuto dirmelo al parco quando me l'hai data, grazie tante». Con il naso tappato la mia voce risuonò parecchio strana, come quella di un'ammalata. Era chiaro, tutta la forza di Max e la sua stranezza avevano un significato ben più profondo di qualche mese in palestra. E il mio naso lo risentiva. Non sapevo come farlo smettere, più che fermare il flusso e piegare la testa all'indietro non ne avevo idea.
«Quale parco? Vi siete visti?», s'informò Mitch. Notai una leggera gelosia, ma probabilmente era solo per il fatto che Max non lo avesse avvisato. A quanto pareva prima di fare qualsiasi cosa serviva il consenso di Mitch.
«E c'è di più!», si sentì la mia voce nasale. «Mi ha anche detto di non dirlo a nessuno». Non sapevo dove avessi voluto parare, ma una bella sgridata gli avrebbe fatto bene, dato che nessuno aveva protestato con più di due parole riguardo al pugno e parlavo di Verena.
«Ai tempi non eravamo certi si trattasse di lei, se avessimo iniziato, tutti e tre insieme, a raccontarle le storie del nostro Mondo non si sarebbe fidata, specialmente se non fosse stata la ragazza giusta. E' per questo che l'ho portata allo Spree Park e, mantenendo la più totale segretezza, le ho fatto un regalo, pregandola di indossarlo», raccontò Max per evitare l'ira del suo amico. «Le ho anche chiesto di non farne parola con nessuno, per evitare di far saltare la nostra copertura. Ho sottinteso anche voi, in caso non vi foste ancora esposti e, a quanto pare, ho fatto bene. La collana ce l'ha da più tempo della conoscenza».
«E' stato saggio, ma la prossima volta non celarmi niente».
Mitch e Max si strinsero la mano.
Tutto qua?
Mi aspettavo almeno una scenata, come quelle che lui faceva a me per le minime cose. Sbuffai, mentre la mia faccia continuava ad essere rosso sangue.
«Scusami Gwen, ma le azioni valgono più delle parole», nel dire ciò mi porse un fazzoletto che afferrai subito.
Già, avrebbe potuto spiegarsi invece che ridurmi così. Uomini.
Verena mi aiutò a pulirmi, facendo attenzione a non pigiare troppo forte. Avrebbero dovuto farla santa, era riuscita a stare con loro per chissà quanto tempo senza impazzire e andarsene.
«Verrà con noi?», chiese Max al suo amico.
«Sì, ci serve».
«Se non fosse pronta? Avrà bisogno di un adeguato addestramento, non possiamo permettere che giri senza protezione».
Cos'ero? Un cane?
«Hai ragione e da quanto ho visto non è esperta». Mitch si portò le dita sotto il mento e fissò per terra.
«Non deve succederle niente».
«Io sono ancora qui!», mi intromisi. Che fastidio quando si parlava di me in terza persona in mia presenza. «Secondo, cosa dovrei imparare?».
«Autodifesa», spiegò Verena. «Noi saremo sempre nei paraggi, ma se ti dovesse succedere qualcosa e non sei a portata di mano dovrai difenderti da sola».
«Che problema c'è? Mi tolgo la collana e faccio come al solito».
«No, è importante che tu non la tolga mai. Ci sono persone che farebbero qualsiasi cosa per ucciderti o uccidere lei. La collana ti protegge da lei, ma non da questi Demoni. Devi imparare ad affrontarli con le tue forze, finché non arriveremo noi».
«Ma loro sono come voi, sono potenti e sanno sparare fuoco dalle mani!», mi lamentai.
Max mi guardò. «Non tutti, poi le tecniche di combattimento sono le stesse, ti basterà capire come non essere colpita, a schivare, non importa se tu non li abbatti, l'importante è che tu resti sana».
«Chi me lo insegnerà?».
«Max», decise Mitch.
Sia io che lui lo guardammo.
No.
«Io?», stava pensando la stessa cosa.
«Ti piace molto stare con lei, approfittane per insegnarle qualcosa di utile».
Aveva l'aria di essere una punizione per lui. Il problema è che lo era anche per me.
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