Capitolo 14
Mi sentii avvolgere completamente in qualcosa di caldo, con un buon odore, sebbene non particolarmente morbido. Quando riaprii gli occhi notai che Max mi stava abbracciando e sorrideva. Ci misi più del dovuto a realizzare la situazione e mi levai subito, come se avessi preso una scossa. Nel frattempo con un soffio rumoroso si chiuse il Portale alle mie spalle, dopo che Mitch e Verena furono oltrepassati. Ritornai di fianco a quest'ultima e mi guardai intorno.
La fredda e buia serata di Leinburg era completamente sparita. Quello era certo, ma non altrettanto dove mi trovassi. Non si vedeva niente, letteralmente. Eravamo sommersi da una fitta nebbia calda, che ci avvolgeva stretti, non permettendoci di vedere oltre. Non riuscivo neanche a vedermi le caviglie. La mia espressione chiedeva spiegazioni, feci girare lo sguardo su ognuno di loro in cerca di risposte.
«Benvenuta all'Inferno», Max spalancò le braccia, gesto assai inquietante, in quanto la nebbia si spostò con l'aria e le nascose.
Restai sconcertata. «Non mi sarei mai aspettata... questo», commentai. Sentivo la perplessità aumentare non ricevendo altro tipo di risposte. Com'era possibile? Mitch aveva spiegato, più o meno, come l'ideologia umana fosse sbagliata, ma quello era il nulla, il vuoto più totale.
«Ma se non hai ancora visto niente?», Max fu l'unico che si mise a sghignazzare, evidentemente questo fatto faceva ridere solo a lui. Poi indietreggiò verso di noi e guardò dritto avanti a sé. Protese le mani e un vortice d'aria ne uscì fuori, in direzione della nebbia e la fece spostare bruscamente, scoprendo qualcosa di interessante.
Come se si fosse alzato un sipario ora vedevo più chiaramente dove mi trovassi e avrei preferito non saperlo. A pochi passi da noi il terreno era roccioso, enormi massi grigi come il cielo delineavano un percorso. Tra le rocce oscillava un ponte di legno, per niente rassicurante, il quale portava ad altre numerose rocce possenti. Ancora non mi era permesso vedere l'origine dell'intera struttura, sembrava senza fondo. Altro particolare che mi fece contorcere le viscere dalla paura. «Do-dobbiamo andare di lì?», indicai, titubante.
«Sì,», rispose Verena, con fin troppa calma, «è l'unico passaggio per varcare le Terre dei Pleiadiani. O meglio, il più sicuro».
In quanto sicurezza avrei avuto da ridire parecchio, ma loro erano Demoni, giusto? «Tanto voleremo, no?», chiesi, cercando di rilassarmi. Verena mi sorrise dolcemente e negò con la testa. Ah. La domanda sorse spontanea. «Perché?».
Mitchell superò tutti, avvicinandosi pericolosamente al ponte. «Questo viene chiamato Ponte Ineludibile, significa che non si può evitare, ma tutti possono superarlo. Se l'incantesimo che lo copre ritiene che un individuo non è idoneo, lo scaraventa giù per questa nebbia e non farà mai più ritorno. Perciò, si è costretti a camminarci sopra e a non avere brutte intenzioni».
«Ma siete pazzi!», esclamai forte. «Stiamo conducendo una creatura che vi vorrebbe tutti morti e secondo voi quel Ponte non se ne accorgerà scaraventandomi giù nell'oblio!?».
«Ce l'hai la collana, vero?», Max parve allarmato e mi controllò il collo.
«Brutto stupido, non potevi teletrasportarci già dall'altra parte?», ma l'intelligenza dov'era finita? Lo sapevano che sarebbe andata a finire così, non avrebbero potuto arrivarci prima?
«Ehi, calmati adesso», Max mi prese per le braccia, ma lo cacciai via. Gli occhiali da sole gli scesero lungo il naso e mi immobilizzai sui suoi occhi bianchi. «Non avrei potuto farlo, è una Legge, per un breve tragitto bisogna seguire queste regole e la mia magia non funziona. E' il limitare dei miei poteri, almeno fino a destinazione». Il suo tono era rassicurante e pacato. «Devi fidarti», in qualche modo riuscì a convincermi, ero molto sicura che ce l'avrei fatta.
E non avevo più paura.
Annuii in silenzio e guardai Mitch che stava già iniziando a camminare sulla struttura oscillante. Il ponte non sopportò il peso del Demone per qualche passo, tremando e costringendolo ad avanzare cauto. Ma poi si immobilizzò e lui, con estrema sicurezza, lo percorse come se fosse stato il viale di casa sua.
«Verena», la incitò lo Stregone, ma lei si era già avviata con il sorriso. Successe la stessa cosa, il ponte tremò solo inizialmente, per poi stabilizzarsi. Nonostante le sue décolleté vertiginose, la ragazza non si fece problemi e raggiunse Mitch. «Tocca a te».
Guardai Max e feci un respiro profondo. Era facile, avevo visto come funzionava e nessuno mi sarebbe corso dietro. Se anche fossi stata più lenta sicuramente non ne avrebbero fatto un dramma, dopotutto io ero la più preziosa del gruppo in quel caso. La mia sicurezza era tutto. Con questo spirito afferrai prima una corda che legava il ponte tipo corrimano, poi appoggiai un piede sul legno. Oscillava già, ma era normale. Aggiunsi l'altro e cercai di stare in equilibrio aggrappandomi all'altra corda. Un altro respiro profondo e mi mossi, mani e piedi contemporaneamente, un pezzo per volta. Mitch e Verena erano già dall'altra parte che mi guardavano, mi concentrai su di loro per evitare di incontrare il vuoto, anche se con quella nebbia non si vedeva niente. Un passo dopo l'altro, oscillazione dopo oscillazione, in cui non esitavo a mollare la presa, ero quasi a metà strada. Da lì a poco si sarebbe stabilizzato anche per me e non avrei più dovuto continuare a passo di lumaca.
Ma d'un tratto sentii uno scossone e dal legno uscì una luce bianca che tentava di avvolgermi. Urlai, nel tentativo di muovermi, ma era ritornata la paura e stavo andando nel panico. Il ponte era come impazzito, creava delle vere e proprie onde dall'inizio alla fine. Le mani mi bruciarono da quanto strinsi le corde. «Aiuto!», gridai.
Mitch e Verena si lanciarono verso di me, ma una barriera invisibile impedì loro di proseguire. Mitchell, furente, iniziò a battere i pugni contro, ma era indistruttibile. Voltai la testa in direzione di Max e stava cercando di salire sul ponte, ma era come se avesse preso vita e fosse impossibile salirci sopra. «Cosa succede?», gridai di nuovo.
«Ci hai messo troppo tempo, il sigillo nella collana ha oscurato per un po' la tua vera natura, ma non così a lungo da permetterti di passare completamente!», lo Stregone cercava in tutti i modi di raggiungermi, diceva frasi che non capivo, ma dalle sue mani non usciva niente. Mitch era ancora bloccato dall'altra parte e io non osavo muovermi.
Improvvisamente sentii come una spinta dal basso, probabilmente dalla stessa luce bianca, e voleva scaraventarmi in aria. Ci riuscì, ma non azzardai a staccarmi dalle corde. Si era creato come un uragano di energia attorno al mio corpo, sospeso in aria e a testa in giù. «Max!», strillai, non avrei potuto resistere ancora a lungo e le dita erano un fascio di dolore pungente.
Non resistetti più e con un'ultima scossa fui costretta a lasciare la presa e ad essere sollevata oltre il percorso.
Sentii urlare più volte il mio nome, che si confuse poi tra i miei lamenti. Non vedevo più niente, la nebbia aveva preso il mio corpo, non sapevo dov'ero, né in che direzione stavo andando, era tutto così ovattato.
Scontrai contro qualcosa di duro che mi fece molto male, probabilmente una delle rocce, segno che stavo calando sempre di più.
Poi le mie gambe si appoggiarono a qualcosa di resistente e l'aria nei polmoni divenne meno caotica.
Non stavo più volando, ero quasi dritta, ferma.
Il mio cuore era ancora in preda a spasmi convulsivi e di colpo scoppiai a piangere.
«Shh, va tutto bene, sei salva».
Riconobbi la voce e sussultai. «Max, dove sei?», tastai con forza la coltre nebbia tutt'intorno e poi lo trovai.
«Qui... ehi, piano con le mani in faccia!», con le sue mani diradò ancora l'aria e misi a fuoco la situazione. Ero atterrata dove prima c'erano Mitch e Verena, lei in ginocchio davanti a me, Max mi aveva tra le braccia, segno che mi aveva salvata.
«Come hai fatto?».
«Super riflessi da Vampiro», lo disse come se fosse stata una sciocchezza, io mi vedevo già morta entro l'inizio del percorso.
Cercai di alzarmi, barcollando pesantemente, insicura delle mie capacità. «Dov'è Mitch?», mi girai, appoggiandomi su un masso e quando lo vidi non credei ai miei occhi. Era lì, in piedi, rigido, bianco come un cencio con un'espressione che mai mi sarei immaginata di vedere sul suo volto: il panico. Aveva occhi e bocca spalancati, il che suscitò la stessa reazione da parte mia. Un secondo dopo mi sentii stringere fortemente da lui, mentre sospirava sui miei capelli. Quel gesto fu peggio del volo che feci, quel gesto fece scomparire seriamente la gravità e un senso di mancamento mi pervase, facendomi svenire contro il suo petto.
«Ginny!», si allarmò lui, guardandomi e allontanandosi un po' per farmi respirare.
Avevo troppo caldo e le gambe fatte di gelatina, ma mi ripresi. «Sto bene», il mio cuore continuò a battere. «Solo, troppe emozioni in poco tempo», mi sentivo morire dalla felicità, sebbene ciò che avessi appena passato fu tutt'altro che un'esperienza felice. Ma quell'abbraccio, quella dimostrazione di affetto, aveva superato di gran lunga il mio viaggio nel vuoto e mostrava quanto Mitch tenesse davvero a me. Era stato così spontaneo ed era davvero preoccupato. Niente a che vedere con la reazione del mese scorso, a casa sua. Avrebbe potuto farlo per qualsiasi motivo, il principale che Jane era salva, ovviamente, ma conoscendolo si sarebbe risparmiato tutta quella scena. Sì, la pensavo così, lo aveva fatto per me, non per lei. E ne avevo conferma, persino Max e Verena erano stati muti e pietrificati. Io e Mitch non smettevamo di guardarci, aspettando come un'altra mossa, tra l'imbarazzo e l'incredulità.
«Proseguiamo?», si decise a chiedere poi Max, dato che nessuno dava segni di vita.
«Sì, ovvio», Mitch ritornò ad essere se stesso e iniziò ad avviarsi oltre.
Mi sentii toccare una spalla e sussultai, ma era solo Verena che mi incitava a proseguire. Mi sistemò delicatamente i capelli, spettinati in chissà quale modo e poi mi superò. Max invece aspettò finché non mi fossi decisa a camminare, prendendo così il ruolo di chiudi fila.
Fortunatamente il successivo pezzo di strada era solo un sentiero, sempre immerso tra le rocce. Notai che la nube grigia man mano andava dissolvendosi. Il cielo non cambiava mai, restava indaco, senza nessuno spiraglio di luce, nessuna nuvola, ma alla fine non eravamo più sulla Terra. L'atmosfera che percepii era simile alla desolazione, ma inteso come senso buono. Era una solitudine pacifica, quieta, addirittura confortante.
«Come lei», Max mi bisbigliò all'orecchio, ma non mi spaventò, mi ero tranquillizzata notevolmente. Intendeva dire Verena.
«Lei vive qui?», sussurrai.
«Tra poco vedrai».
Intanto, il terreno composto principalmente da lastre di pietra cambiò. Iniziai da subito a notare dei ciuffi d'erba gialli, come a significare fossero secchi, bruciati, tra i massi, ma non ci diedi peso. Invece, notai per la prima volta la terra. Era arida, si vedeva che non pioveva mai, eppure l'erba continuava a crescere e a farsi sempre più numerosa, finché non ci trovammo davanti a un prato, vasto.
Max sventolò le sue mani e per un breve istante apparvero delle fiamme. «Sì, mi sono tornati i poteri», dichiarò divertito.
«Spera non ci servano», Mitch, fermatosi per un momento, attese che tutti e tre fossimo al suo fianco.
Ora l'orizzonte era limpido, senza illuminazione dal cielo, ma comunque luminoso. L'ambiente era riarso, eppure circondato da questa erba giallastra. E a pochi metri da noi, al centro di quel luogo solitario, c'era una sola roccia, più piccola e compatta, quasi normale. Ci incamminammo e passo dopo passo riuscii a mettere a fuoco ciò che era inciso sopra, con il colore oro. Era il solito simbolo, una coppa con sopra una X e sotto una V, il mio tatuaggio, l'incisione sulla collana, il simbolo di Satana. Mitch toccò il sasso e la terra sotto i miei piedi iniziò a tremare.
«Adesso che succede?», Verena mi afferrò, prima che avessi potuto cadere, la sua stabilità con quelle scarpe mi faceva imbestialire. Sembrava che l'unica fatta di budino fossi io, mentre gli altri al massimo sballottavano di un poco.
«Magia», rispose Max. Indicò davanti a me e io prestai attenzione, anche se era alquanto complicato con un terremoto del genere. Ma ancora mi sorprendevo per certe cose, ma dai. Prima davanti a noi non c'era niente e poi, con uno squarcio perfetto, qualcosa da sotto terra si stava innalzando. Non capivo cosa fosse, all'inizio vedevo solo delle statue, erano come gargoyle, appostate ai lati di questa cosa bianca. Poi spuntò un'insegna, sempre incisa su pietra bianca, e poi, ciò che assomigliava a un palazzo, raggiunse livelli altissimi. Ci volle qualche secondo in più prima che le colonne che sorreggevano l'arcata principale si stabilizzassero. Le scosse finirono e lasciarono tutto illeso, come se quell'edificio fosse sempre stato lì. Verena mi rimise in piedi correttamente e andò avanti.
«Questo cos'è?», la domanda uscì dalla mia bocca senza permesso. Sapevo cos'era, solo non capivo tutta questa segretezza.
«La biblioteca», riferì Verena, «questo è il luogo più importante di tutto questo Regno. E' gestito dagli Arcturians e non tutti possono accedervi».
Come mi era stato detto prima. Gli indesiderati non erano trattati come ospiti, bensì come nemici, e in qualche modo tutta l'energia che governava lì lo percepiva e li eliminava definitivamente.
Un po' tragico.
«Cosa mi succederà questa volta, se non supero il test?», insomma, dovevo solo ritirare un libro e avevo già rischiato di morire due volte. Infondo non erano pericolosi i Demoni, quanto le protezioni.
«Lo hai già superato», spiegò Mitch, «Se tu avessi continuato a non vedere niente anche dopo la pressione sul sigillo non avresti potuto varcare il velo».
«Il terremoto», rispose Max a una domanda che non avevo ancora fatto e che riguardava il velo. Quindi il palazzo era sempre stato lì, ma era invisibile. Lo Stregone non approvò tutto ciò che pensai, ma quasi, aprendo la mano e ruotando il polso a destra e a sinistra.
Guardai l'enorme biblioteca, era liscia come il marmo, bianco, ma con venature dorate. Avevo visto bene i gargoyle, in fila sul cornicione più alto. E ora riuscii anche a leggere la scritta riportata sopra l'arco. Immortales facit scientiam, sed possit occidere.
«La conoscenza rende immortali», tradusse Max.
«Ma può uccidere», conclusi io. E sapevo che non era una metafora, ma sarei potuta morire davvero.
Sotto l'arco sorretto da due colonne c'era un portone, dello stesso materiale.
«Andiamo», Mitch era impaziente di entrare.
Anche io ero stanca di aspettare, volevo che quell'esperienza finisse subito per poter tornare a casa sana. Avevo già rischiato troppo e non ero molto incline al sacrificio.
Avanzammo e fu Verena a spingere la maniglia. «Qualunque cosa tu veda, non impazzire», mi avvertì e poi spalancò la porta.
Il concetto di dare di matto non era ancora ben chiaro, ma a quel punto della storia avrei potuto dire di star andando abbastanza bene, no? Quante persone avrebbero avuto l'opportunità di capovolgere il loro mondo e finire in ciò che la società ha sempre inculcato come leggende? O miti, o religioni.
La scena che mi si presentò davanti una volta entrati fu molto sopravvalutata. Forse ero io che mi sarei aspettata chissà che cosa, ma tutti lo avevano detto sin dall'inizio. Era una biblioteca, una semplice, classica, enorme, assolutamente stracolma di libri in ogni centimetro, maestosa libreria. Sembrava fosse costruita direttamente con i libri che possedeva, in quanto erano loro a caratterizzare le arcate, i pilastri, il soffitto, le travi. L'intera architettura era formata da manuali, nessun tipo di materiale edificabile. Perciò erano indefiniti, migliaia o di più. Si potevano classificare circa cinque stanze, non delimitate, ma con spazi aperti. Al di fuori il palazzo non sembrava così grande, ma ora mi sentivo così piccola.
«Come facciamo a trovarlo?», il mio tono leggermente basso trasmetteva fin troppa disperazione. Come avremmo potuto identificare il libro giusto in mezzo a una costruzione del genere? Non avrei avuto speranze, ecco perché Mitch voleva sbrigarsi, avremmo passato chissà quanto tempo lì dentro e io non ne potevo già più.
«Ciò che ci serve non è tra questi», quella era la cosa più carina e premiante che il Demone avesse mai detto dall'inizio della settimana. «E' personalmente custodito dagli Arcturians, residenti in questa biblioteca».
Guardai intorno con maggiore attenzione, non era affatto un posto adatto per abitarci. Non c'erano nient'altro che libri e tutto si limitava a quello. E il pavimento di marmo bianco non era il massimo su cui vivere. Nessuna finestra, nessun spazio per soggiornare, e c'era silenzio.
Strabuzzai gli occhi.
Qualcosa si mosse, in alto, troppo in alto. Avevo visto una scia argentea, sembrava un fantasma. Strinsi la mano a Verena, avevo i brividi su tutto il corpo. «Co-cos'era?», sussurrai.
«Non impazzire», mi rassicurò lei.
Si riferiva a quello dunque, stavo diventando scema, avevo le visioni. Probabilmente me l'ero solo immaginata.
«Fulgormane».
Una voce lieve e dispersiva parlò, creando un leggero eco. Mi spaventai, non mi piaceva. E poi che cosa aveva detto?
«Sì», rispose Verena. Stava guardando un punto preciso, in alto, dove mi era parso di vedere la scia.
«Gratissima».
Ci aveva dato il benvenuto, ma con chi stava parlando?
Improvvisamente la scia argentea che avevo visto piombò davanti ai nostri occhi e lottai contro me stessa per non gridare e correre via. Era come un fantasma! Aveva un lungo abito bianco, la sua pelle era di porcellana e i capelli argentati. Era una donna, ma era viva, insomma, si poteva benissimo toccare, non era trasparente. Dietro di sé aveva un bagliore quasi accecante man mano che calava giù verso di noi. La sua schiena irradiava quei fasci di luce che mancavano in cielo. E poi mi accorsi che erano ali. Pallide, bianche, soffici ali. La donna, atterrata davanti a noi, fece una riverenza davanti a Mitch e lui annuì. Poi ci superò e sparì oltre la porta senza il minimo rumore.
«Aspetta», cercai di ragionare, «lei era una Pleiadiana?», guardai Verena, che sorrise. Anche lei era della stessa specie, eppure mi sembrava così diversa.
«Immagina se gli umani mi avessero vista in quello stato, quale reazione avrei mai suscitato?», aveva ragione, tutti loro si erano travestiti e adattati alle usanze terrene.
«Però anche tu sei così?», non lo avrei mai pensato. La maschera che indossava tutti i giorni era completamente l'opposto, forse solo il suo carattere e la sua dolcezza rispecchiavano i comportamenti degli... stavo per dire... «Siete Angeli!», esclamai.
Verena corrugò la fronte. «No, gli Angeli vivono nelle Sephirot».
E noi eravamo all'Inferno.
«E' lontano da qui?».
«Decisamente, sono un Piano dell'Astrale».
Non avevo idea di cosa fosse, però esisteva e non c'entrava niente con tutto ciò.
«La lezione di geografia è finita, ora muoviamoci». Mitchell camminò verso il centro della stanza, non capivo dove volesse andare, non c'era niente. Ma avevo appreso che lì niente era come sembrava e avevo paura di eventuali sorprese. Superò due arcate, finendo così nella terza stanza. Sembrava un tunnel di libri. Guardò in alto, dove il soffitto formava una cupola. Ai nostri piedi c'era lo stesso simbolo di prima e i ragazzi si misero in cerchio attorno ad esso, prendendosi per mano. Strinsi la mia con quella di Verena e di Max, ma avevo Mitch davanti che mi fissava circospetto. Non seppi decifrare cosa gli stesse passando per la mente, sicuramente il desiderio di non fallire.
«Licet autem Concilium convocare?», Max di sottofondo scandì bene le parole e avevo capito che stava chiedendo il permesso per parlare con loro.
Ancora non stava succedendo niente.
Il contatto visivo tra me e Mitch non cessava ed era l'unico modo per tenermi tranquilla. I suoi occhi celesti trasmettevano ciò che avevo bisogno in quel momento, stabilità. Sarebbe andato tutto bene, ci sarebbe stato lui con me.
«Licet autem Concilium convocare?», ripeté Max, più forte. Erano sordi? Impegnati? Stavano parlando al telefono? Perché non ci degnavano? «Occupati, direi», sorrise.
«Che cosa devono mai fare adesso?».
«Stai zitta».
Mitch stava iniziando a cambiare colore degli occhi, ma la colpa non era mia, erano loro che non rispondevano. Quanto avrei voluto fargli la linguaccia.
«Licet autem Concilium convocare?».
Sembrava tutto uguale, poi il simbolo si illuminò. Di nuovo una luce bianca accecante ci risucchiò e io sentii un vuoto allo stomaco peggio di quando si prende l'aereo. Non mi piaceva.
Riaprii gli occhi, ma non li avevo mai chiusi. Tutt'intorno era buio, la luce, l'atmosfera di beatitudine, era tutto sparito. Sarei andata nel panico, se non fosse stato per il contatto con Verena e Max, che stava diventando imbarazzante. «Dove siamo?», sussurrai.
Immediatamente si accese una luce, come se si fosse trattato di una lampadina sfocata. Poi un'altra e una terza ancora. Erano tutte vicine, verso la mia sinistra. Lentamente crescevano di intensità, finché il buio non esisté più.
Erano tre uomini a emanare quella luminosità, splendevano di luce propria, come le stelle. Era difficile pensare diversamente, non c'era nient'altro a parte loro. Erano in piedi, tutti e tre con lunghe tuniche bianche, che toccavano il pavimento, e portavano un cappuccio basso fino alle labbra. Si vedevano solo i lunghi capelli argentei e la barba, della stessa misura. Le loro braccia erano piegate e messe l'una nella manica dell'altra.
Verena si riprese la sua mano e io levai la mia da quella di Max.
«Quid vos hic?», sembrava avessero parlato tutti e tre in coro, la loro voce era potente e mi rimbombava in testa.
Ero troppo spaventata.
«Parlate in tedesco, la ragazza non vi capisce», ordinò Mitch, come se quei tre fossero stati i fruttivendoli della Piazza Mercato e non gli Arcturians tanto discussi. Ah, ma lui era uno dei sette figli di Satana, quindi chi se ne importava, giusto? Iniziavo ad avere problemi di autocontrollo, l'isteria che cercavo di contenere sarebbe saltata fuori da un momento all'altro. Dovevo tenere la bocca chiusa.
«Quintogenito», ubbidirono i tre uomini, ma comunicando sempre in coro e con voce spettrale, «sembrava solo ieri l'inizio della tua fuga».
Solo ieri, Mitch aveva raccontato che vagavano per la Terra da chissà quante centinaia di anni! Che strano modo di percepire il tempo. Max mi strattonò.
«Evita di fare battute, possono leggerti nella mente», sibilò a denti stretti. Ecco, non avrei voluto saperlo. Ora il mio cervello era un groviglio di pensieri e frasi senza senso. Mi stavano guardando? A me sembrava di sì. Ma avevano il cappuccio, come facevano? Max mi strattonò di nuovo.
Scusa. Non lo facevo apposta.
«Sapete perché sono qui», rispose Mitch a tono.
Certo che lo sapevano, allora perché non crederci e darci il libro, dai, coraggio, avrei voluto andare a casa. Ginny! Mi rimproverai da sola.
«Non avrai mai quel manufatto».
Perfetto, mai una gioia.
«Perché no? Lei è qui!», e mi indicò, «Lo sentite anche voi e io devo fermarla».
«Non sono queste le tue vere intenzioni», i tre Arcturians divennero d'un tratto meno inquietanti rispetto alla loro frase. Come?
«Sì, invece!», Mitch si stava arrabbiando, percepivo il calore che aumentava tutt'intorno.
«Menti».
Intervenne Max. «Forse una volta era così, ma ora sa quali sono i rischi se la Sacerdotessa non venisse uccisa».
«Excidiusrector, sei stato tu a convincere il tuo Re».
«Sì».
Come lo aveva chiamato?
«Vediamo le tue ragioni», forse mi ero solo immaginata la cosa, ma sembravano arrabbiati.
«Sono cambiate».
«Menti», sentenziarono anche per lui.
Si erano ammutoliti entrambi, perché non mi stava piacendo neanche un po'? E poi, cosa avevano in mente, perché le loro idee risuonavano sbagliate rispetto alle parole che mi avevano detto, che cosa nascondevano?
«Vi prego, le loro intenzioni sono pure», Verena era la più pacata tra i due, non si era alterata per niente.
«Non quanto le tue, Fulgormane», di nuovo quei nomi strani. «La tua presenza si è rivelata utile per il suo scopo, ma invano. Il tuo Re non ha intenzione di rispettare l'accordo».
«Questo non è vero!», tuonò Mitchell.
«Menti», lo liquidarono di nuovo.
Il Demone stava trattenendo la sua rabbia con notevole sforzo, sembrava volesse esplodere da un momento all'altro.
«Se così fosse l'umana sarebbe già morta», lo difese Max.
Ehi, calmiamoci qui, eh.
«No, non avrebbe sprecato secoli di servitù fine a se stessa per perderla di nuovo. Il Re ha bisogno della sua Regina».
Sbagliavo o si stavano prendendo gioco di lui?
«L'umana morirà in ogni caso», aggiunsero poi.
Mi si gelò il sangue nelle vene. «Cosa?», parlai, incredula.
«Per mezzo dell'amore il suo corpo giacerà», recitarono come se fosse una poesia. «E' questo il suo destino, così come la Sacerdotessa deve scontare la sua maledizione».
«No, io non lo permetterò!», stava succedendo qualcosa al corpo di Mitch, era in procinto di scoppiare in una bufera di collera e fiamme. Non lo avevo mai visto così, mi allontanai.
«I traditori verranno puniti», continuavano a recitare gli Arcturians. «E l'equilibrio verrà risanato».
Cazzo, suonava come una profezia! Loro avevano il potere di crearne una? Potevano prevedere il futuro?
Verena afferrò le spalle di Mitch e lo costrinse a guardarla negli occhi. Lui stava ringhiando e il suo volto stava manifestando un'espressione di odio puro, rabbia ed era maledettamente terrificante.
«Non avrete mai quel manufatto».
Come, prego? Adesso mi stavo arrabbiando io. Schioccai le dita, sventolando la mano in direzione degli Arcturians. «Ehi, io non ho rischiato la mia intera esistenza per vivere l'Inferno sulla Terra!», no, avrei dovuto stare zitta o questi mi avrebbero fritta.
«Tu hai l'onore di portare a termine questo compito, sei stata scelta come Portatrice».
«Oh, ma guarda, sono lusingata!», dissi con sarcasmo.
«Ginny, che stai facendo?», Verena era occupata a tenere a cuccia Mitch e le sarebbe toccato farlo anche con me.
«Lasciala fare, sarà divertente», Max voleva utilizzarmi come arma segreta, mentre Mitch era abbastanza impegnato a non trasformarsi in chissà che cosa. Sicuramente una scenata del genere me l'avrebbe fatta pagare.
«Sappiamo cosa ti ha spinto qui», giustamente avevano sbirciato anche nella mia mente.
«Bene, così non devo sprecare fiato per raccontarlo. Io non voglio averla un secondo di più dentro il mio corpo!».
«Sei libera di morire», con impassibilità venni liquidata così. Max e Verena mi guardarono stupefatti, era un chiaro segnale che non sarei dovuta andare oltre.
«Mi offro io di ucciderla!», cosa avevo appena detto? «Se nessuno di loro ha intenzione di rispettare la promessa lo farò io, così siamo tutti sicuri che quella là morirà», incrociai le braccia.
Ginny, hai mai ucciso qualcuno?
«Qualora le cose non dovessero seguire il loro tracciato, l'Esiliata stessa procurerà la morte di entrambe».
Non avevo capito niente, chi era l'esiliata? Perché gli Arcturians dovevano usare termini strani e non dire le cose chiaramente?
«Impossibile», Mitch venne recuperato dai meandri della sua ira e riuscì ad esprimersi senza esplodere.
«Entrambe?», Max si fece avanti, fin troppo preoccupato. «Lei e la Sacerdotessa o la Sacerdotessa e l'Esiliata?».
«Entrambe».
Io? Io stavo andando nel panico e basta.
«Un motivo in più per ucciderla!», Max furente mi indicò. Lo guardai allibita. «Non tu, Jane».
Gli Arcturians si misero a ridere, ma era una risata fredda, spenta, mi fece venire la pelle d'oca. «Per mezzo dell'amore il suo corpo giacerà, è questo il suo destino, così come la Sacerdotessa deve scontare la sua maledizione. I traditori verranno puniti e l'equilibrio verrà risanato», continuavano a ripetere questa frase come un disco rotto, appena finivano ricominciavano, in un loop infinito e a me stava scoppiando la testa. Le loro voci mi rimbombavano e non sapevo più cosa fare.
Volevano le prove dell'esistenza di Jane in me? Volevano vedere il pericolo che quel mostro creava? Benissimo. Come avevo fatto già a Leinburg mi strappai la collana, ma questa volta nessuno provò a fermarmi. Tutti stavamo aspettando quel momento.
«Bene, bene, bene», mi sentii dire. Non notai particolare differenza rispetto a prima, ero semplicemente molto più sicura di me. La mia postura si raddrizzò, lo sguardo diventò intimidatorio. «Mi siete mancati, dove sono gli altri? Avrei tanto voluto salutarli».
«Igitur maledictus sis procul», avevano accentuato il loro odio nei miei confronti, ma parlando in latino e avevo capito perfettamente.
«Sicut in loco isto», risposi a tono. Suonava come una minaccia. Avrei maledetto quella Legione, se avessi avuto l'occasione.
«I tuoi poteri sono ridotti», si difesero e io a quel punto emisi un ringhio basso.
«Ho sentito», cercai di calmarmi, «che il mio amato ha intenzione di riportarmi in vita».
«Per ucciderti», intervenne Max e io lo guardai con tale disprezzo da poterlo fulminare sul posto.
«Io e lui abbiamo fatto un patto, non ricordi?», gli feci notare, squadrandolo dall'alto verso il basso.
«Che ho rifiutato!», Mitchell fece dei passi verso di me e io riuscii a percepire tutta la sua passione.
«Certo, a causa dell'umana», ragionai a bassa voce. «Ma c'è a chi non importa niente di lei».
«Ora basta!», con un fascio di luce oro, Max mi fece volare in aria a una decina di metri da dov'ero. Caddi per terra e immediatamente mi raggiunse, strozzandomi. «Non azzardarti».
Ma io iniziai a ridere.
Lo Stregone urlò, con la coda dell'occhio vidi Verena tendere le sue dita verso di noi e, con molta fatica, la presa dal mio collo iniziò a cedere e Max fu spinto indietro.
«Ricordati che è Gwen!», gli urlò.
«Io ascenderò di nuovo!», mi rialzai da terra, sapevo di non avere nessun potere, ma provai lo stesso a lanciare la mia energia al di fuori del mio corpo. Qualunque cosa fosse uscita, venne bloccata dall'intervento degli Arcturians.
Contemporaneamente allungarono il loro braccio destro verso di me e mi sentii completamente soffocata in una morsa stretta, apparentemente invisibile. Mi lamentai e cercai di divincolarmi, senza successo.
Così facendo potei notare la pelle delle loro mani, era blu.
«Amore... mi stanno facendo male», singhiozzai, strizzando gli occhi. «Non permettere di nuovo che mi portino via».
Quando gli riaprii vidi Verena che immobilizzava sia Mitch che Max. L'espressione del Demone assomigliava alla sofferenza, mentre lo Stregone era indecifrabile sotto gli occhiali scuri.
«Curioso».
Gli Arcturians parlarono e allentarono la stretta.
«Perché?», chiese Verena.
«Vediamo un ricordo nella testa della ragazza che non le appartiene», iniziarono a dire, ma in quel momento non stavo pensando a niente, volevo solo ucciderli tutti e liberarmi di me stessa. «Il Traditore e l'Esiliata rapiranno la Portatrice».
«Chi sono!?», Mitch uscì dal controllo di Verena e assunse di nuovo quell'espressione malvagia.
«Uccideremo la Sacerdotessa prima che questo possa accadere, nulla è scritto!», come reazione a quelle parole di Max io ringhiai di nuovo, ma questa volta assomigliava a un latrato. Riuscii a scalciare, ma non potei fare di più, ero ancora trattenuta.
«Ma a che prezzo», notarono gli Arcturians.
«Rispondetemi!», ribadii Mitchell.
«Conosci già la risposta, dentro di te».
Il Demone fece uno sbuffo sonoro e mi parve una pentola a pressione. Stava rischiando di scoppiare un'altra volta e non sarebbe stato piacevole. Invece sorrisi, perché non aspettavo altro.
«Liberami e non le farò più del male», supplicai. In realtà era un trucco per apparire indifesa.
«Ma tu non puoi più ferirla», Verena sollevò la collana da terra, con tutte le botte che aveva preso quell'oggetto era indistruttibile. Feci roteare gli occhi, disgustata.
«Se la fermassimo non creerebbe più nessun problema per chiunque», concluse Max e provai un fastidio travolgente.
«Il vostro cuore umano è debole», sentenziarono gli Arcturians.
«Non dovremmo più essere umani», sbraitò Mitch, che stava già iniziando una sorta di trasformazione in cattiveria pura.
«Altri problemi verranno alla luce».
Ah, che palle, così drammatici e pessimisti. «Vi farebbe bene uscire un po'», sputai.
La loro presa divenne più solida in pochissimo tempo e mi mancò il respiro, giusto il necessario per urlare.
Mitch fece due scatti in avanti, ma venne bloccato da Verena. Quella stupida Immortale, non mi era mai piaciuta la sua influenza sulla mia Fiamma.
«Deve vivere la sua condanna eterna», dissero i tre uomini nei mie confronti. Avevo perso il conto di quante vite ero riuscita a rovinare, dopo un po' non era più divertente. Almeno fino a questa, dove finalmente i miei eroi mi avevano trovata.
«Esiste una cauzione?», cantilenai, «Parler?».
«La morte».
«Lo farò», decise Mitch.
«No, non riusciresti», lo provocai.
«Io sì però», fece Max.
«Certo, ogni scusa è buona per sbarazzarsi di me», davvero ridicolo.
«Anche io», mi rinfacciò Verena.
«Che bello, abbiamo i Tre Moschettieri. Indovinate chi ha posseduto Milady», a fatica con un dito mi indicai.
«Non ne posso più di te», Verena a passo spedito mi venne in contro, mi sarei aspettata un atto di violenza e sorrisi, invece mi allacciò la collana.
«Grazie», la vidi ammiccare agli Arcturians e subito mi prese in braccio, mentre venivo liberata. «Ho male ovunque».
«Presto sarà tutto finito», mi rassicurò, posandomi a terra.
«Tutto okay?», s'informò Max, accanto a me. Annuii più volte, mentre nella mia testa lo perdonai per il gesto di prima.
«Curioso», esclamarono ancora i tre uomini, «le intenzioni sono cambiate ancora».
Tutto ciò non aveva senso, i Demoni non avevano nessuna debolezza, se Mitch non avesse voluto uccidere Jane, perché mentirmi e scatenare tutta questa confusione? Io mi fidavo di loro.
«Ne sei sicura?», si rivolsero a me.
«Sì, mi fido di loro», ripetei, cosicché avessero potuto sentirmi anche gli altri.
«Vediamo molto di più».
Guardai per terra, le mie guance erano rosse da un bel po' di tempo per via del caldo.
«Irrilevante», tossii.
Verena appoggiò una mano sulla mia spalla. Le feci cenno che stavo bene.
«Ora possiamo avere quel libro?», osò Max.
«No».
«Perché?», ci lamentammo tutti insieme.
«Ciò che spinge i vostri desideri sono strettamente connessi all'umana, una volta che questi si sarà separata i vostri princìpi cederanno», non sapevo se essere felice perché anche i Demoni avessero un cuore o incazzarmi perché raccontavano stronzate.
«Nessuno lo può sapere», li sfidò Verena.
Ma loro erano gli Arcturians, se non lo avessero saputo loro dunque sarebbe stata tutta una bufala enorme.
«Il futuro è inesistente anche per noi», spiegarono, «ma le nostre supposizione sono le più veritiere».
«C'è un modo per farvi cambiare idea?», Verena utilizzò tutto il suo comportamento assertivo e servile che aveva per formulare la domanda, non si notava per niente la disperazione nelle parole.
«L'accettazione delle conseguenze».
Max aprì le braccia, sembrava contento.
«Ovvero?», iniziò Verena, ma venne scavalcata da Mitch.
«Sì».
Ma che razza di Sovrano era se non ascoltava nemmeno i patteggiamenti prima di accettare?
«Ad ognuno di voi verrà tolto qualcosa, poteri, immortalità, Legione, libertà, conoscenza», ci avevano squadrati tutti, anche se avevano i cappucci addosso ed erano rimasti fermi nella loro vecchia posizione. «E per punizione dell'errore che state per commettere, questa vita per voi sarà l'ultima e la sconterete da umani».
Forse stavamo sottovalutando la gravità della situazione. Io alla fine avrei vissuto normalmente, ero l'unica a non rimetterci nulla. Questo significava che tutti avrebbero perso le loro caratteristiche demoniache, Max avrebbe perso i suoi poteri, Verena le sue capacità angeliche e Mitch... lui avrebbe perso il posto da Re, per sempre.
«Siete sicuri?», avrei potuto tenere la collana a vita e per la prossima reincarnazione inviarla con un pacco postale chissà dove. Se veramente ci fosse stata la possibilità di fallimento, ciò che si sarebbe rischiato per loro era davvero troppo.
«Noi non falliremo», sentenziò Max e Mitch ribadii il suo concetto affermativo. Verena stava ancora ponderando la sua scelta.
Si stava creando ancora quel silenzio imbarazzante, possibile che la vendetta stesse superando la ragione?
«Va bene», scelse lei.
«Va bene», ripetei alzando e abbassando le spalle. Era una scelta loro alla fine, non avrei potuto fermarli in nessun modo e, io non ci avrei perso niente.
«Così sia», la voce degli Arcturians aumentò di volume e un effetto ottico mi fece credere che una folata di vento si fosse alzata. Lì, in mezzo al nulla, con un caldo bestiale.
Il vento però continuava e si era raggruppato davanti a noi, girando velocemente in un groviglio simile a un tornado. All'inizio ringraziai per l'aria fresca, ma poi esagerò e se Verena non si fosse piazzata davanti a me avrei avuto paura di volare via.
Si stava condensando qualcosa all'interno del tornado.
Quando la materia fu completa uscì fuori in superficie e venne mostrata come un libro. Era molto largo, tre volte una normale enciclopedia, ma decisamente sottile. Non conteneva tantissime pagine e si vedeva che erano molto spesse e consumate. La copertina era di legno bianco, forse mi ricordava una betulla.
«Finalmente», sussurrò Mitchell.
Così era quello il famoso manufatto.
«Et Fulgormane adducet hic artificium».
Verena avrebbe dovuto restituirlo, una volta finito.
Mitch lo prese e dopo il contatto il vento cessò.
Avrei voluto dire qualcosa di vittorioso, ma d'un tratto gli Arcturians sparirono, così come la loro luce. Il pavimento sotto i nostri piedi mancò e precipitammo così nel vuoto. Neanche il tempo di realizzarlo o di afferrare il braccio di qualcuno, che già ci ritrovammo nella terza stanza della libreria.
«Complimenti, interessante, ora voglio tornare a casa».
Tutti e tre furono molto d'accordo con me e ci catapultammo al di fuori del palazzo.
Avevo ancora tante cose da dire, tante domande da fare. Non mi erano chiari parecchi concetti, ma in quel momento la mia mente non riusciva a riordinare i pensieri. Prima avrei dovuto tornare a casa, calmarmi, probabilmente ubriacarmi e poi ragionare.
Che io non sapessi effettivamente ogni particolare della storia era normale, nel mio piccolo avrei dovuto sempre fare una cosa sola, sopravvivere. Ma arrivati a questo punto non volevo altri segreti, magari importanti, magari che riguardavano un mio futuro rapimento. Così, solo per dirne uno.
Stavamo ritornando al Ponte della Morte, o Ineludibile, come lo chiamavano loro. Mitch teneva quel libro sotto il braccio, con entrambe le mani e avevo paura lo bruciasse. Dopo tutto era legno e lui era in crisi.
Grazie al cazzo che era in crisi, aveva appena rinunciato al suo trono, al suo essere, a ciò che sapeva fare, alle sue ali!, se non fosse riuscito nel suo intento. Già, ma l'alternativa qual era? Nessuna.
La nebbia grigia si faceva sempre più fitta. Avevo ancora timore di ripercorrere quel ponte, era l'ultimo ostacolo che mi separava dalla salvezza terrena.
«Tranquilla, sarà diverso», mi fece notare Max, spostando la nube dalla visuale.
«Diverso nel senso che non rischierò di morire?», ipotizzai con ironia.
«Diverso nel senso che possiamo correre».
Stavamo già correndo, più o meno, io sembravo uno struzzo che saltellava, ma era colpa dei tacchi. Per fortuna il terreno era piatto e senza dune. E con lo stesso andamento, uno dietro l'altro percorremmo il ponte ed esso era stranamente immobile, come se avesse capito che stavamo andando via. Ovvio, avevamo fatto la strada al contrario. Arrivammo salvi su quella che era la roccia iniziale.
«Tu inducis nos in Leinburg», Max creò un portale come quello che avevo visto prima, denso, alto e largo. I colori tra quello e la nebbia erano simili, ma si distingueva dalla lucentezza, quasi solare. Lo Stregone entrò per primo, a quel punto mi lanciai io, ché non avevo più paura e sapevo cosa mi sarei ritrovata. Il bosco notturno, come lo avevamo lasciato.
Invece, quando riaprii gli occhi, era giorno.
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