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lost battalion of platonic conversationalists

Quando Lucretia raggiunse finalmente l'edificio dedicato agli studi storiografici, la ragazza dovette accasciarsi brevemente contro il muro nel tentativo di riprendere fiato. Gli studenti continuavano a sciamare intorno a lei, perlopiù ignorandola; qualche viso conosciuto accennò un timido saluto prima di lasciarsi trascinare in avanti dalla marea umana.

Ansimando in modo appena più contenuto, si sistemò una ciocca disordinata di capelli biondi dietro l'orecchio mentre controllava l'ora: trattenne a fatica un verso indignato quando vide che era largamente in anticipo.

«Avrei potuto prendermela comoda» sbottò recuperando la borsa dal pavimento e sistemandosela sulla spalla con rabbia.

Fu in quel momento che la sentì: come in un sogno, la melodia che la sera prima aveva sentito mescolarsi ai ritmi frenetici della festa studentesca ora la raggiunse mentre si dirigeva, piuttosto alterata, verso l'aula di storia moderna.

Mordendosi il labbro inferiore, Lucretia si bloccò in mezzo al corridoio ormai deserto, lasciandosi avvolgere dalle note famigliari di Voiles di Debussy; come dotate di vita propria, le sue gambe la trascinarono lentamente verso la classe vuota da cui scivolava fuori la musica, apparentemente così fuori posto negli ambienti moderni di quell'ala del college.

Lucretia si avvicinò alla porta socchiusa, spiando all'interno attraverso il vetro: c'era qualcuno disteso su uno dei banchi, una mano sollevata che tracciava arabeschi nell'aria seguendo il ritmo armonioso del brano di Debussy. La ragazza lanciò una breve occhiata all'orologio, la sua coscienza che, da qualche parte nei recessi della sua mente, insisteva perché facesse dietro front e si affrettasse a raggiungere l'aula.

Ho ancora venti minuti, pensò, gli occhi che saettavano tra la figura all'interno della stanza e lo schermo del cellulare, posso concedermi una distrazione, no?

Attraversata da un improvviso moto di coraggio, spinse con delicatezza la porta e scivolò all'interno dell'aula.

Quando sentì il suono attutito della porta che veniva richiusa alle spalle della ragazza, Harry Styles si tirò su a sedere sul banco: stringeva in una mano quella che aveva tutta l'aria di essere una canna, e Lucretia notò solo allora le finestre spalancate perché il fumo potesse uscire liberamente. Si costrinse ad ignorarlo.

Sulla cattedra altrimenti sgombra, la ragazza individuò quello che doveva essere il cellulare di Harry: era da lì che si sprigionava la melodia che l'aveva spinta ad entrare.

«Debussy?» domandò Lucretia con un sorriso incerto, appoggiandosi con la schiena contro la porta ed accennando al telefono abbandonato sulla cattedra. Si sentiva ancora la testa leggera per la corsa, ed era certa che le sue guance fossero in fiamme.

Sul viso di Harry Styles si dipinse un profondo sorriso, velato di malizia: «Finalmente, un'oasi in questa terra desolata» mormorò, prendendo un ultimo tiro dalla canna prima di allungarsi a spegnerla sul davanzale della finestra, infilandosi poi il mozzicone nella tasca della camicia.

La ragazza avanzò di un passo, improvvisamente esitante: maledisse la sua impulsività per averla spinta a ritrovarsi da sola con qualcuno di cui conosceva a malapena il nome, e tutto per il semplice fatto che si era lasciata trascinare dall'emozione di sentire un brano a lei così famigliare. Immobile a pochi passi dal ragazzo, si interrogò per decidere la sua prossima mossa.

Harry si aggrappò al bordo del banco, sporgendosi in avanti, seguendola con sguardo curioso ed il sorriso sornione ancora disegnato sulle labbra: Lucretia sentì le guance tingersi di una sfumatura ancora più profonda di scarlatto, mentre cercava invano una frase sensata per scusarsi e voltare i tacchi il più rapidamente possibile.

Qualcuno molto in alto dovette infine provare pietà per lei, perché mentre si tormentava il labbro inferiore nel tentativo di formulare un commiato sensato, qualcuno spalancò con fragore la porta, facendola sobbalzare: quattro ragazzi piombarono rumorosamente all'interno dell'aula, soffocando la dolcezza di Debussy con risate sguaiate.

Lucretia tornò ad appiattirsi contro una parete, nel tentativo di farsi il più piccola possibile mentre i quattro salutavano allegramente Harry e lo costringevano a scendere dal banco, blaterando ininterrottamente di una riunione di vitale importanza per cui lui sembrava essere in tremendo ritardo. Mentre erano intenti a ridere per qualcosa che uno dei cinque aveva raccontato, un ragazzo dai capelli biondi si accorse finalmente di Lucretia che tentava di scivolare verso la porta ed in direzione della lezione di storia moderna a cui mancavano ora una manciata scarsa di minuti.

Le rivolse un cenno di saluto, tentando di attirare la sua attenzione, accompagnato da un sorriso a trentadue denti mentre si staccava dal gruppo vociante: dopo i primi attimi di confusione, Lucretia riconobbe uno dei suoi compagni al corso avanzato di algebra. Si sentì immediatamente sollevata nel riconoscere una faccia amica, e ricambiò il gesto con un sorriso appena imbarazzato.

«Hey, Evans, giusto? Lucretia...?» l'apostrofò il ragazzo, fermandosi a pochi passi da lei e continuando a sorridere. Lucretia annuì.

«E tu invece sei...»

«Niall!» gridò uno del gruppo, che –dopo aver recuperato il cellulare abbandonato sulla cattedra- si era ormai trasferito in corridoio e si stava allontanando nella direzione da cui Lucretia era arrivata. Con loro scemavano le ultime note di Debussy e si spezzava l'incanto che sembrava aver stregato Lucretia nell'ultimo quarto d'ora.

Sospirando, Niall si infilò le mani in tasca. «Perdonami, il dovere mi chiama: abbiamo una rivoluzione da progettare» aggiunse con un occhiolino prima di farsi strada fuori dall'aula e raggiungere di corsa gli amici.

La ragazza scoppiò a ridere a quel saluto inconsueto, e lo seguì brevemente con lo sguardo prima di recuperare la borsa e mettersi a correre nella direzione opposta.

***

Quello che Lucretia non riusciva a sopportare del corso di algebra era la totale mancanza di entusiasmo della professoressa Reid, costretta in quell'aula in qualità di supplente da quando Mrs Eriksen era andata in maternità. Mancavano pochi minuti alla fine delle due ore di lezione e Ms Reid aveva rinunciato già da tempo a tentare di mantenere l'ordine, preferendo dedicarsi alla lettura di un tomo rilegato in pelle che aveva estratto dalla sua borsa una mezz'ora prima.

Lucretia sospirò, strofinandosi gli occhi prima di controllare per l'ennesima volta l'orologio appeso affianco alla lavagna: ancora cinque minuti e sarebbe potuta finalmente correre a pranzo.

Si guardò intorno di soppiatto, ignorando i problemi di analisi che avrebbe dovuto risolvere, e constatò nuovamente che non c'era traccia di Niall; il ragazzo non si era presentato all'inizio della lezione, e nemmeno durante il quarto d'ora di pausa, concesso da una professoressa Reid sull'orlo di una crisi di nervi.

Benché si rifiutasse di ammetterlo perfino a sé stessa, la frase di commiato rivoltale da Niall poche ore prima si agitava ancora in fondo alla sua mente, fomentando la sua curiosità. Mordicchiando l'estremità della matita, alzò ancora una volta gli occhi all'orologio, ripromettendosi di parlare con Harley quanto prima: qualcosa dentro di lei le diceva che l'amica dovesse sapere qualcosa a proposito 

Quando finalmente la professoressa li congedò con un gesto annoiato, Lucretia corse fuori dalla classe e lungo le scale come mai prima di allora, ansiosa di arrivare in mensa il prima possibile.

Facendosi largo tra la folla vociante di studenti, la ragazza riuscì ad individuare Harley, intenta a discutere animatamente con un gruppo di ragazzi del suo corso. Tenendola d'occhio Lucretia si affrettò a comprare qualcosa da mangiare al banco, premurandosi di sorridere ad Angela, la donna che serviva il pranzo tutti i giorni, ed affrettandosi poi a raggiungere l'amica. Si sedette pesantemente al suo fianco, facendola sobbalzare: presa com'era dal cellulare non si era accorta del suo arrivo.

«Cosa volevano i tuoi compari di biologia?» esordì Lucretia accennando col capo al gruppo di ragazzi che fino a pochi attimi prima stava conversando con Harley, e che si era ora seduto qualche tavolo più in là, continuando a discutere.

Harley sbuffò, bloccando il telefono ed infilandoselo in tasca con un gesto stizzito.

«Cercano di addossarmi la colpa per l'hard disk che hanno fritto, perdendo metà del nostro progetto di fine corso» sbottò passandosi una mano sugli occhi e rubando un pomodorino dall'insalata dell'amica; lo masticò lentamente, con sguardo rassegnato, prima di sbuffare pesantemente ed abbandonare la testa sul tavolo.

«Perché sono toccati proprio a me quei tre deficienti» mugugnò sbattendo ritmicamente la fronte contro la superficie di plastica; Lucretia la fermò con un sospiro.

«Non ha senso tormentarsi per qualcosa che non hai fatto... E poi» continuò con un sorriso furbo, «scommetto che tu avevi fatto almeno tre backup diversi in previsione di una simile catastrofe» la prese in giro mentre Harley arrossiva e distoglieva lo sguardo.

«È possibile, sì» borbottò sbriciolando il pane posato sul vassoio del suo pranzo, evitando con tutte le sue forze di alzare gli occhi su Lucretia. «Ma la copia più recente ce l'ha Liam, quindi non stavo tecnicamente mentendo quando ho detto loro di non poterli aiutare» concluse, ignorando volutamente le risate soffocate di Lucretia.

Mangiarono in silenzio per qualche minuto, Harley stranamente presa dal suo hamburger di soia, finché Lucretia decise di fare la domanda che l'aveva tormentata per le ultime ore.

«Hey, Harley, ricordi quando ieri ti ho parlato di Harry Styles e della sua, diciamo, particolare relazione con Debussy?» esordì la ragazza, giocherellando con le posate.

Harley si decise finalmente a guardarla, alzando un sopracciglio. «Va' avanti» le ordinò voltandosi verso di lei ed accavallando le gambe.

Lucretia alzò gli occhi al cielo, pentendosi già di averla coinvolta: durante quei pochi giorni che avevano passato insieme, Harley si era dimostrata una persona fantastica, tuttavia tendeva a ingigantire anche le cose più insignificanti se si lasciava trasportare. Sospirando, Lucretia decise di fidarsi.

«Non è niente, in realtà, solo... L'ho incontrato di nuovo, prima di storia moderna: era in una classe vuota ad ascoltare musica e- cancellati subito quel sorrisino dalla faccia o giuro che te lo cancello io a colpi di vassoio» si interruppe infervorata, arrossendo alla vista del ghigno malizioso che andava allargandosi sulle labbra di Harley.

La ragazza congedò le sue proteste con un gesto vago della mano, il sorriso che non accennava a scomparire. «Via, non ho detto niente, continua a raccontare ti prego» la esortò, poggiando i gomiti sul tavolo ed appoggiando il mento sulle dita incrociate.

«Non volevo parlarti di lui, ma di uno dei suoi amici, un certo Niall? Hai presente?» le domandò: Harley annuì con espressione assorta. «Beh quando questi suoi amici, tra cui anche Niall, sono venuti a prenderlo» continuò Lucretia, «questo mi ha salutato con una frase che non sono riuscita a levarmi dalla testa; ha detto qualcosa come stiamo preparando una rivoluzione. Io sul momento non ci ho fatto molto caso, anzi, pensavo stesse solo facendo lo sbruffone, ma poi non si è presentato al corso di algebra avanzata e Nick, che sembra conoscerli bene, ha reagito in modo strano quando gliel'ho accennato» concluse arrossendo appena: si era resa conto, mentre parlava, di quanto infondate potessero apparire le sue supposizioni. Per un attimo temette di aver fatto la figura dell'impicciona che non è in grado di tenersi fuori dagli affari degli altri, ma quando trovò il coraggio di incrociare lo sguardo di Harley, vide che l'amica la stava fissando con occhi sgranati.

«Quindi hanno intenzione di continuare» mormorò sottovoce, più a se stessa che a Lucretia, un sorriso sognante che le curvava leggero le labbra.

Lucretia aggrottò le sopracciglia.

«Continuare cosa?» indagò sporgendosi verso la ragazza.

Harley stava per rispondere, quando qualcuno si sedette al suo fianco con un grugnito.

«Lucretia, eccoti, ti sto cercando da venti minuti!» esclamò Niall, le guance scarlatte e gli occhi che brillavano. Dal fiatone, Lucretia dedusse che avesse corso, ma prima che potesse ragionarci troppo il ragazzo parlò di nuovo: «Senti scusa se te lo chiedo così ma... ti dispiacerebbe passarmi gli appunti di algebra di oggi? Ho avuto un, diciamo, contrattempo» concluse sfoderando un sorriso.

Sorriso che scomparve quando Harley gli assestò una gomitata tra le costole per farlo spostare, dato che la stava schiacciando contro il tavolo. «Buongiorno anche a te, Damiano» rise il ragazzo mentre si alzava e cedeva il posto ad Harley con una riverenza. «Vedo che ti ha accalappiata, uh? Ha già tentato di farti fare yoga alle cinque del mattino?»

Harley gli tirò un pugno al braccio, ma era evidente che si stava sforzando di trattenere una risata.

«Esilarante, Horan, davvero; peccato che la mia meditazione mattutina non sia lo scoop più emozionante di questo nuovo anno» insinuò, guardandolo fisso negli occhi.

Lo sguardo di Niall corse velocemente da Lucretia –che non aveva ancora pronunciato una parola- all'altra ragazza per un paio di volte, prima che qualcosa scattasse nella sua mente; sbiancò all'improvviso, fissando su Harley uno sguardo stralunato.

«Oh no» balbettò. Harley ghignò in un modo che aveva un che di folle.

«Oh sì» ribatté sporgendosi verso di lui, la lingua stretta tra i denti in quel suo particolarissimo sorriso.

Lucretia seguiva lo scambio con confusione crescente, chiedendosi quali fossero i non detti che rimbalzavano tra i due ragazzi; quando tornò a concentrarsi su Niall, questo stava scuotendo vigorosamente il capo.

«No no no, Harley, non se ne parla nemmeno: l'ultima volta eravamo quasi in venti e Gal si è incazzata talmente tanto, quando ha visto come le avevamo ridotto l'appartamento, che per poco non ci giustiziava seduta stante. Se non ci fosse stato Harry non penso che potremmo avere questa discussione, perché sarei tre metri sotto terra» esclamò tutto d'un fiato passandosi una mano tra i capelli biondi, scompigliandoli ancora di più.

Per tutta risposta, Harley si appoggiò con la schiena al tavolo, senza distogliere lo sguardo da lui.

Niall scoccò uno sguardo a Lucretia, come per chiedere il suo aiuto; la ragazza si limitò a scrollare le spalle, senza sapere cosa fare.

«Un incontro solo» disse allora Harley, rompendo il silenzio. Il ragazzo serrò la mascella, gli occhi che percorrevano la sala in cerca di una via d'uscita: gli studenti stavano ormai lasciando la mensa, diretti alle rispettive classi, e nessuno pareva accorgersi dello scambio in corso al loro tavolo. Emise un gemito disperato.

«Harry mi ucciderà» mormorò, nascondendo il volto dietro le mani: quando riemerse, il suo sguardo era rassegnato.

«Solo un incontro?» ripeté, guardando Harley fissa in viso; le sue labbra si curvarono in un sorriso quasi affilato.

«Solo un incontro» confermò, e Niall annuì prima voltarsi verso Lucretia. «A domani sera, allora. E ti prego, ricordati gli appunti: se rimango indietro anche in algebra i miei mi uccideranno, se non lo fa prima Harry, certo» concluse con un'ultima occhiataccia alla ragazza seduta affianco a lei. «Un incontro soltanto» volle riconfermare, prima di voltarsi ed allontanarsi in fretta in direzione delle scale.

«Per ora» aggiunse Harley sottovoce mentre lo spiava, gli occhi puntati sulla schiena curva del ragazzo biondo.

Solo allora, al termine di quella conversazione enigmatica, Lucretia osò rompere il silenzio: «Un solo incontro di cosa?» domandò.

Sul volto di Harley, il sorriso si allargò.

«Della Nuova Visione.»

***

Buonasera e bentornati ad un nuovo capitolo della storia!
Finalmente incontriamo, seppur brevemente, il resto dei ragazzi! Nel prossimo capitolo li vedrete meglio, state tranquilli.
Se avete commenti o domande non siate timidi e sentitevi liberi di lasciare una recensione qui sotto :) ah e se scovate qualche errore, date la colpa alla mia beta reader che proprio oggi doveva avere una visita oculistica haha
Erin

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