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𝐗𝐗𝐗𝐈𝐈. 𝐈𝐝𝐫𝐢𝐬 𝐏𝐨𝐭𝐡𝐢𝐞𝐫


Noah squadrò con aria un po' nervosa il loro ospite, nonché compagno d'armi nell'ormai imminente missione di salvataggio: Idris Pothier. Ammetteva di esser rimasto un po' di stucco quando, aprendo la porta del rifugio, si era trovato davanti un tizio di neppure trent'anni e ben diverso dall'immaginario collettivo connesso ai maghi e alle streghe. Idris era snello, di media altezza e dalla carnagione color caffelatte; nel viso graziato da avvenenti lineamenti ottenuti attraverso una commistione di differenti etnie erano incastonati occhi a mandorla vispi, intelligenti e chiari che offrivano un gradevole contrasto con l'incarnato. A primo acchito sembrava un giovanotto qualsiasi, vestiva di scuro e fieramente presentava un orecchino d'oro al lobo dell'orecchio accompagnato da altri tre piccoli piercing che scintillavano e davano l'idea di essere minuscoli e autentici diamanti, eppure sin da subito McKay, così come Irene, aveva avvertito in lui qualcosa di diverso, di arcano, primordiale e mistico. Un Alphaga, puro o meno che fosse, era infatti capace di avvertire, seppur in modo blando e a distanza ravvicinata, la magia provenire da chi ne era provvisto.

Ricordando, poi, ciò che Irene aveva detto a proposito di quelle persone, Noah era certo che Idris, se solo avesse voluto, avrebbe potuto mostrarsi di gran lunga meno amichevole e senza dubbio pericoloso.

Era arrivato da loro con un po' di anticipo. Anziché a tarda sera, aveva bussato alla porta del bungalow a metà pomeriggio e per la prima mezz'ora aveva deciso di presentarsi per bene e, tra una cosa e l'altra, aveva accennato di avere origini in parte creole e in parte cajun e di aver conosciuto Vargos per ragioni non proprio felici, anche se non aveva voluto aggiungere altro. A giudicare dalle poche informazioni che aveva offerto in merito alla questione, però, dovevano esserci stati dei gravi dissapori tra la comunità di Alphaga della Louisiana e quella dei maghi locali e Vargos, essendo una sorta di supervisore e difensore della pace comune, forse aveva dovuto intervenire e in qualche maniera aveva risolto la faccenda. Ciò non spiegava comunque il perché Idris dovesse un favore a Elimar, ma non aveva molta importanza e quelli rimanevano comunque affari privati di Idris e Vargos. Non era roba in cui ficcanasare più del dovuto, considerando che lo strego si era offerto di aiutare Casey a fuggire dalla prigione in cui era rinchiuso.

Pothier, ad ogni modo, risultava una persona abbastanza pratica e con la testa sulle spalle, nonché con una buona propensione ad ascoltare il prossimo.

Si era fatto raccontare tutto quanto sin nei minimi dettagli per capire in cosa stava andando a cacciarsi con esattezza e, a giudicare dalla sua attuale espressione, pareva aver preso sul serio la situazione e, soprattutto, non essere affatto sorpreso nello scoprire che Olegov non era morto, come sostenevano alcuni suoi simili, ma ancora vivo e in vena di combinare disastri come al solito.

«Il vostro amico è in un gran bel pasticcio, non c'è dubbio» sentenziò dopo un attimo di teso e denso silenzio, il suo bel viso imbevuto del bagliore del caminetto acceso. «È terribile che abbiate dovuto passarne così tante e per giunta per colpa di Olegov e del suo amichetto di vecchia data, Simon Tarren.»

«Neanche quel nome sembra giungerti nuovo» osservò Noah.

Idris gli piantò addosso i suoi occhi cerulei e ora molto seri. «Per niente, purtroppo. Quei due sono tristemente noti anche fra gli streghi e le streghe. La mia gente e la vostra non è mai andata troppo d'accordo e quei due deliziosi individui sono tra i più intolleranti e pazzi che esistano sulla faccia del pianeta. Più di uno strego o una strega hanno passato guai seri o ci hanno rimesso la vita per colpa loro, e non mi interessa che le nostre autorità non siano mai riuscite a incolparli di quei crimini. Tutti sanno che è così. Tacciono, hanno paura, ma lo sanno.»

Irene sospirò. «So che chiederti di aiutarci a salvare Casey è molto, ma...»

«Scherzi?» Pothier sogghignò. «Mio padre mi ucciderebbe se venisse a sapere che mi sono fatto coinvolgere in una cosa del genere, ma proprio per questo ci tengo a prender parte a questo salvataggio. Non è solo per sdebitarmi con Vargos, ma... è importante che le nostre specie la smettano di scornarsi e capiscano che una convivenza pacifica è non solo possibile, ma fondamentale per la sopravvivenza di tutti quanti. Malgrado le differenze, alcune cose in comune le abbiamo eccome: il legame con la natura, con le sue forze primordiali e con la magia. Di certo vi avranno detto cosa si narra sul conto degli Alphaga, no? Dicono che i primi della specie divennero tali proprio perché uno sciamano, un detentore di magia molto antica e ormai perduta, scelse di rendere la propria tribù più forte e resistente, di renderla l'anello mancante fra le bestie abituate a vivere in libertà e nella natura selvaggia, e l'essere umano che pian piano stava abbracciando la civiltà. Discendiamo tutti da un unico e grande albero e anche se poi abbiamo preso strade diverse, il succo resta quello: farci la guerra porterà solo alla reciproca distruzione e Olegov è fra quelli che remano contro tutto ciò che è moderno e a favore della tolleranza verso specie differenti. Mio padre, purtroppo, è molto conservatore, ma credo che cambierebbe idea se vedesse che non tutti gli Alphaga sono uguali e che si può coesistere senza problemi.»
Irene e Noah si guardarono, un po' stupiti. Non si erano aspettati una ragione così impegnativa e profonda, politicamente schierata.

«Beh, accidenti» commentò McKay. «Dimmi quando vorrai candidarti e giuro che avrai il mio voto.»

Idris sbuffò una risata. «Grazie, ma preferisco continuare a lavorare nel mio ristorante.» Notando le occhiate incuriosite dei due, il ragazzo aggiunse: «Quel posto appartiene da almeno cinque generazioni alla mia famiglia. Papà è diventato un professore e insegna all'istituto privato di Arti Magiche e Scienze Alchemiche di Baton Rouge, la Silver Meadow, e voleva che anche io proseguissi gli studi, ma invece ho deciso di seguire le orme di mia nonna e portare avanti la vera tradizione dei Pothier, ovvero il cibo. E si tratta di cibo speciale nel quale sono racchiuse proprietà benefiche e miracolose, almeno dal punto di vista degli umani che vengono a mangiare lì. In realtà si tratta di una branca di magia meno conosciuta con cui si fa del bene al prossimo attraverso una delle cose che riescono a confortare di più le persone. Io ho perfezionato la tradizione grazie anche alle mie capacità. Sono uno di quelli che riescono subito a capire cosa affligge qualcuno e così riesco spesso ad aiutarlo, senza che neppure se ne accorga.»

«Caspita» fece Irene. «E poi ci sono io che a malapena so cuocere un uovo al tegamino!»

«Beh, ho avuto una nonna sapiente in fatto di cucina» ci tenne a precisare Idris. «E ho perfezionato le mie tecniche studiando e facendo pratica.» Si strinse nelle spalle con nonchalance e infine, con un gesto svolazzante e pratico della mano, scacciò la questione. «Tornando A Casey... è possibile tirarlo fuori da quel posto, ma dovremo stare attenti. Sarebbe tutto più semplice se avessi sotto gli occhi una mappa del luogo per gettare le basi di un piano solido, ma... penso che possa funzionare anche fare quello che hai proposto tu, Irene: sfruttare la magia per entrare di soppiatto nella struttura, mettere fuori gioco le guardie ed eventualmente confrontarci con Olegov. Perdona la schiettezza, ma è decisamente un bene che almeno Simon abbia smesso per sempre di essere un problema per chiunque lo incroci. So che era tuo padre e tutto, ma...!» Arcuò le sopracciglia con eloquente enfasi. Non era fra quelli che parlavano male dei morti, ma Simon Tarren non era esattamente il tipo di persona verso cui erano dovuti certi atti di rispetto. Con quello che aveva combinato negli anni avrebbe meritato di peggio, altro che scemenze da benpensanti.

Irene fece spallucce. «Ho già elaborato abbastanza il lutto e a posteriori ammetto che la perdita non sia stata poi così terribile da affrontare.»

«Vargos mi ha detto anche di tuo fratello. Mi dispiace. Non so cosa si possa provare in simili circostanze, sono figlio unico e sono stato cresciuto da mio padre solo perché mia madre ha preferito rifarsi una vita altrove, ma dev'essere tremendo.»

La ragazza deglutì e abbassò lo sguardo. «Nic ha fatto molti sbagli e non è quasi affatto difendibile, ma... secondo me c'era ancora una speranza per lui di tornare sui suoi passi, sulla retta via.»

Idris annuì appena. «Magari sarà così, prima o poi. È ancora presto per dire se si riprenderà o non lo farà e qualche miracolo, di tanto in tanto, si prende il disturbo di palesarsi. È un Alfa, poi, giusto? Dunque ha ancora più probabilità di uscire dal coma e tornare in salute.»

«N-Non lo so, Idris. È messo parecchio male.»

«Invece ha ragione lui» si intromise Noah, guardando la ragazza con fare incoraggiante. «Aspetta ad abbandonare ogni speranza, Irene. Non ti si addice, tra l'altro!»

«Non è la sola ad avere il morale a terra e a coltivare magre speranze nei riguardi del futuro, però» riprese parola Pothier, sibillino, trasferendo le iridi chiare e magnetiche su McKay. «Avverto ansia, angoscia e paura, specialmente quando guardo te.»

In un certo senso palesò la propria capacità di captare e decodificare lo stato emotivo e psicologico altrui, e lo fece con assurda precisione. «Casey non è solo un amico, per te, vero?»

«Come fai a dirlo?» lo rimbeccò Noah, un po' colpito e un po' in imbarazzo.

«Diciamo che certe sensazioni sono molto più viscerali, nel tuo caso. Sono come un macigno nello stomaco, per essere esatti.»

«Io e lui... beh... fra noi c'è una storia, più o meno. Non siamo fidanzati, però... prima che ci separassimo... mi ero convinto a rimanergli accanto comunque fosse andata a finire con la sua gravidanza. Glielo avevo promesso, anzi.»

«E come mai la promessa non è stata mantenuta?»

«Mio padre è stato male e la mia famiglia non ha più ricevuto mie notizie per un po' di tempo. Dovevo tornare da loro per far calmare le acque, ma poi ho scoperto che Caverney Town non era accessibile a chi era solo per metà un Alphaga. È grazie a Irene se sono rientrato in gioco.»

Idris fece un cenno di assenso con il capo, cosa che indusse l'orecchino che portava a uno dei lobi a tintinnare debolmente. Non parlò subito e si limitò ad aggiustarsi l'acconciatura appositamente alla bell'e meglio che teneva unite le sue lunghe treccine afro in un alto e nutrito nodo. C'era un che di elegante e sofisticato nelle sue maniere, in come appariva e si muoveva. Noah si domandava se tutte le streghe e tutti gli streghi fossero come lui e se il dono della magia rendesse una persona automaticamente dotata di savoir-faire e spigliatezza. «Bien, ora che a grandi linee ho capito quanto sia ferrea la vostra determinazione nel voler salvare Casey e allontanarvi il più possibile dalle grinfie di Olegov, vi spiego cosa faremo.» Si alzò dalla seggiola posta accanto al caminetto e si avvicinò al tavolo sul quale, al proprio arrivo, aveva posato una borsa nera simile a quelle che di solito si portavano dietro gli sportivi quando andavano in palestra o si recavano a un allenamento: lunga e dalla forma cilindrica, avrebbe potuto contenere alla perfezione un bel po' di mazze da golf. Fece scivolare dall'altro capo la zip e poi vi frugò dentro. «Ho pensato bene di giocare d'anticipo e venire da voi già in parte preparato» spiegò mentre posava sul tavolo alcuni oggetti: un paio di ampolle tozze e tonde chiuse bene da tappi di sughero che custodivano una sostanza liquida e scarlatta; un vaso di medie dimensioni con all'interno della sabbia nera e scintillante; una beuta colma di un liquido color giallo intenso e fluorescente sigillata da un tappo di quello che appariva solido e compatto cristallo e, per finire, un oggetto che fece trattenere il fiato sia ad Irene che a Noah, ossia quella che dava l'idea di essere l'autentica bacchetta magica di un altrettanto autentico fattucchiere. Era un ramoscello di legno molto chiaro, tanto da risultare bianco, e opaco, che era stato finemente lavorato, pur avendo mantenuto una forma non del tutto lineare; l'impugnatura era color argento e in fondo ad essa, come tocco finale di una composizione decisamente suggestiva ed elemento decorativo del manico, era annesso qualcosa dalla forma romboidale in netto contrasto con il resto, fatto di una materia scura e porosa.

«Frassino americano, argento e roccia lavica» fece il giovane strego, rigirandosi fra le mani la bacchetta. «Ci ho messo un bel po' per ricordare tutte le regole e i precetti della rabdomanzia, ma da quando ci sono riuscito... beh, questo bastoncino è diventato un'estensione del mio braccio e della mia volontà. Come altro potrei mandare avanti tutto da solo un intero ristorante senza mai deludere nessuno, d'altronde?» Posò nuovamente il proprio catalizzatore magico e lo fece con delicatezza e rispetto, come quando si adagiava un neonato nella culla.

«Presa da Olivander?» incalzò Noah, tra il serio e il faceto.

Idris gli scoccò un'occhiata divertita e sorrise sotto i baffi. «Questa battuta è vecchia come il mondo, sai?»

«Andava fatta.»

«Ma sì, non guasta mai.» Lo strego schiarì la voce e indicò il resto di quello che dava l'idea di essere un arsenale balistico in pieno stile magico. «Qui abbiamo cosucce deliziose che ho preparato per l'occasione, sapendo che avremmo dovuto cimentarci in una replica de Le Ali della Libertà. Dunque... queste due signorine recano in dono un bel servizio di ristrutturazione alla vecchia maniera per creare un diversivo, un elemento di disordine che tenga occupate per un po' le guardie all'entrata principale. È vero, non ho consultato mappe né altro, ma Vargos è stato abbastanza gentile da raccogliere per me informazioni sulla prigione e so che ci sono altri accessi alla struttura, seppur tenuti sotto controllo, ed è qui che entra in scena questa polverina nera che viene chiamata Sabbia dell'Oblio.»

«Uccide la gente non appena gliela si lancia addosso?» tentò Irene.

Idris la squadrò e batté le palpebre con aria sinceramente oltraggiata. «Sono uno strego e un cuoco, bionda, non un terrorista!» replicò. «Fa sprofondare chiunque in un sonno molto, molto profondo e dalla durata di circa... beh, una decina d'ore, quando si tratta di una manciata esigua. Ovviamente, se soffi sul viso di qualcuno un intero pugno di questa roba, sicuro come l'oro che farà in tempo a svegliarsi per assistere al funerale dei propri trisnipoti!»

Lei alzò le mani in segno di resa. «D'accordo, scusa!»

«E l'altra roba, invece?» intervenne Noah, incuriosito dalla sostanza gialla e fluorescente. Idris guardò a sua volta la beuta e incrociò le braccia. «Niente di che, una specie di limonata corrosiva. Sarò onesto, una volta avrei voluto farla bere a quel figlio di buona donna del mio ex per avermi tradito, ma mi ritengo superiore a certe bambinate e comunque puzzava sempre, poco importa quanto profumo si mettesse addosso.» Si strinse nelle spalle. «Diciamo che sarà molto d'aiuto quando arriveremo alla cella di Casey e ci toccherà essere veloci per tirarlo fuori dalla sua personale suite a una stella.»

«Quindi che fa?»

«Quindi, signor McKay, questa roba farà sciogliere nel giro di poco tempo la serratura della cella. Se toccherà a te occuparti di questo, ti consiglio di lanciare questa roba contro la porta a una considerevole distanza. Qualche goccia potrebbe sennò spruzzarti addosso e non so cosa potrebbe a quel punto accadere alla tua faccia o altre parti del corpo. In tal caso non provare a trascinarmi in tribunale o altro che zombificazione haitiana.»

Noah, che si era avvicinato per guardare meglio la sostanza, raggelò e fece un paio di cauti passi indietro. «Vedrò di ricordarmelo» balbettò.

«Ottimo. Fate conto che ho altri esemplari di pozioni esplosive in borsa e che la Sabbia dell'Oblio sarà di gran lunga sufficiente per ciò che faremo domani. In quanto alla limonata speciale, se ne rimarrà qualche goccia potremo sempre offrirlo come drink a Olegov e guardarlo mentre gli si squagliano le viscere come il burro in padella.»

«Che visione celestiale!» cinguettò Irene.

«Scherzi, sorella? È uno dei miei sogni erotici preferiti» la rimbeccò Pothier, tra il serio e il faceto. «Tornando a noi, direi di aspettare il calare della sera.»

«Perché?» chiesero gli altri due in coro.

Lo strego sbuffò. «Non consultate mai il calendario lunare, voi due? Luna calante vi dice niente?»

Irene finalmente capì. «Potrebbe rendere Olegov meno pericoloso e preciso. Noi Alphaga diamo il vero massimo solo quando c'è la luna piena!»

«Esatto, motivo per cui dovrete stare attenti anche voi due. Olegov non sarà l'unico a essere meno pericoloso e comunque ricordate che non v'è nulla di più feroce e letale di una belva costretta in un angolo. La rabbia fa miracoli e ho la sensazione che domani notte Stefan Olegov si ritroverà a digrignare un bel po' i denti per l'ira. Prudenza, chiaro? Non è una missione suicida e non intendo crepare così. Sono troppo giovane, bello e talentuoso per finire i miei giorni tra le fauci di un mostro schifoso come Olegov.»

Noah annuì. «C'è in gioco la vita di Casey, soprattutto. Domani sera dovremo essere pronti a fargli tutti da scudo. Insomma, compatti come un gregge per proteggere chi è più fragile ed esposto.»

«Non avrei saputo dire di meglio» decretò con approvazione lo strego mentre rimetteva a posto tutto l'arsenale e spostava la borsa accanto all'uscita del bungalow. «E ora credo sia meglio che vi facciate qualche ora di sonno. Sarà una lunga notte e non credo proprio che potrete rilassarvi subito dopo aver recuperato Casey. Prima lascerete Caverney Town e meglio sarà.» Guardò Irene. «La famiglia del ragazzo va avvertita. Neppure loro sono al sicuro e Olegov potrebbe prendersela con i parenti di Casey, dopo la sua fuga.»

lei rabbrividì. «Domani mattina li contatterò subito. Ormai è tardi, stasera.»

«Bon» fece il ragazzo. «E non siate così ansiosi. Andrà tutto bene ora che avete uno strego dalla vostra parte.» Abbozzò un sorriso sincero e incoraggiante. Era come se sotto la patina di pragmatica indolenza celasse un lato... non semplicemente gentile, ma altruista. «E anche se non riuscissimo a liberarci di Olegov, prima o poi troveremo il modo di togliercelo di torno.»

Noah esitò. «Una cosa non riesco a spiegarmi, però» disse perplesso. «Perché ce l'ha tanto con Casey? Perché vuole i suoi figli? Cosa può voler farne di due neonati, dei suoi stessi nipoti?» Non capiva. Per quanto si sforzasse di trovare un senso a tutto, alla fine si ritrovava sempre al punto di partenza, sempre a contemplare una delle domande più celebri del mondo: perché?

Guardò Irene, ma lei ne sapeva meno di lui, era evidente, e così valeva per Idris.

«Non lo so» disse il giovane fattucchiere, pensieroso. «Ma è chiaro che vi sia dietro un piano più ampio, qualcosa di ben mirato. Questo, almeno, è ciò che Vargos, da un po' di tempo, ha iniziato a sospettare e a temere. Francamente spero che si sbagli e che tutto possa finire domani notte.»

Erano le undici di notte passate quando Noah passò in inquieta rassegna l'edificio che da lontano svettava tra gli alberi della foresta. La prigione era in netto e sgradevole contrasto con l'ambiente che lo circondava: un gigante di grigio cemento simile a un cubo quasi del tutto sprovvisto di finestre, cosa che lasciava intendere che i prigionieri non potessero neppure godere della luce solare né di un contatto con il mondo esterno che fosse puramente visivo.
Tutto taceva, lì. Non si udivano più i tipici suoni che di solito era possibile udire in un bosco come quello. Diamine, faceva venire i brividi.

Non v'era una recinzione né altro. Probabilmente non ce n'era mai stato bisogno e ciò dava molto da pensare a Noah, gli faceva capire la reale entità del rischio che avrebbero corso intrufolandosi là dentro. Non gli importava, però. Non sapendo che ogni singolo istante fosse cruciale per Casey e la salute di quest'ultimo. Non c'era spazio per la paura né per i dubbi. Ormai erano in ballo.

Guardò Idris e Irene. «Pronti?» domandò a entrambi.

«Ci puoi giurare» lo rimbeccò Pothier.

Irene squadrò la prigione con aria concentrata e risoluta. In una tasca del soprabito verde scuro che indossava recava la fiala con all'interno la polvere di aconito. Aveva preferito portarsela dietro per sicurezza, pensando che forse, se le cose si fossero messe male, si sarebbe rivelata utile e cruciale. Da un lato sperava di non incrociare Olegov, ma dall'altro non aveva ancora del tutto rinunciato alla sete di rivalsa e vendetta. Chissà quando le sarebbe ricapitata un'occasione del genere...

«Andiamo a riprenderci Pel di carota» sentenziò.

Quella notte il buio era più intenso e le stelle a malapena erano visibili in quel manto infinito color inchiostro sopra le loro teste. La luna non era altro che una sottile e pallida falce e la sua flebile luce non era sufficiente a rischiarare la foresta, specie perché la vegetazione, lì, era molto più fitta.

Noah fece un cenno con la testa che esprimeva sicurezza. Non si era mai sentito più determinato e una parte di lui sapeva che avevano tutte le carte in regola per riuscire nell'impresa. Sapeva, dentro di sé, che avrebbe riabbracciato Casey. Prima o poi arrivava un momento, nella vita di ogni individuo, in cui il fato sceglieva di offrirgli una possibilità di ribaltare la situazione, di prendere in mano il timone e cambiare il corso degli eventi per migliorarli e lui era consapevole che ora quel momento era giunto anche per lui. Non ci pensava minimamente a non afferrarlo.

Lasciò che ad andare avanti fosse Idris, il quale li guidò qualche metro più avanti e infine disse loro di fermarsi. Da una tasca interna della giacca di pelle nera che indossava trasse fuori la propria bacchetta magica, ciò che fungeva da catalizzatore dei suoi poteri e serviva anche ad ampliarne lo spettro di azione. In tasca si era messo due delle piccole ampolle piene della pozione esplosiva. Chiuse gli occhi e gli altri due compresero che era concentrato, che non stava semplicemente tergiversando. Era in ascolto e non solo con gli occhi. Lo guardarono accarezzare il tronco di un enorme albero lì vicino, saggiarne la corteccia e, sempre senza riaprire le palpebre, volgere altrove il viso, come se si stesse guardando attorno usando il resto dei quattro sensi.

Osservarlo era decisamente suggestivo.

Idris sollevò la bacchetta con delicatezza, tanto che quasi non la si udì fendere l'aria, e un'ampolla venne estratta dalla sua tasca come se ad averla afferrata fosse stata una mano invisibile. Noah e Irene videro l'oggetto continuare a levitare e allontanarsi adagio, svanire tra gli alberi, e ben presto venire seguita dalla propria gemella.

Dopo un po' Pothier, con precisa decisione, mosse la bacchetta come se essa fosse la sua mano intenta a lanciare qualcosa. Cinque secondi dopo due potenti detonazioni squarciarono il silenzio e produssero un pauroso fracasso, nonché fumo rosso che rapidamente si espanse dalla zona che gli esplosivi avevano aggredito, ovvero la facciata e l'ingresso principali.

«Si stanno precipitando in massa da quella parte» fece Irene, estasiata.

Idris sorrise soddisfatto. «Andiamo, forza!» Con in spalla la borsa corse nella direzione opposta a quella verso cui aveva indirizzato le pozioni esplosive. L'altro ingresso più semplice dal quale accedere era nientemeno che quello usato per condurre fuori i detenuti nel piccolo spiazzo lì presente e farli salire in uno dei furgoni nero pece che vi erano parcheggiati.

Lo strego disse agli altri di coprirsi naso e bocca e, fatto lo stesso a propria volta, usò di nuovo una pozione esplosiva, dirigendola con l'aiuto della bacchetta dritto verso la porta blindata. Un attimo prima della detonazione roteò in aria il braccio che reggeva la bacchetta e fu lesto a creare uno scudo attorno a loro che li schermasse dall'esplosione. Quando il fumo rosso si fu un po' diradato, non v'era più traccia né della porta né della parete tutta attorno. C'era solo un enorme buco costellato di macerie. «Fuori dai piedi!» Idris le scacciò con un gesto imperioso della bacchetta e fu il primo a entrare. Estrasse dall'altra tasca un sacchetto in cui aveva riposto un po' di Sabbia dell'Oblio e dopo che avevano percorso in fretta quella sorta di area sotterranea, ecco che videro sulle scale che conducevano al piano terra della prigione una decina di guardie armate e pronte a respingere l'intrusione.

Lo strego, che già aveva afferrato una manciata di Sabbia, la lanciò verso di loro e, una dopo l'altra, le guardie si accasciarono al suolo, ammassate e in preda a un sonno profondo.

«Cazzo, se mai avrò dei nipoti, questa sarà di sicuro la loro storia preferita raccontata da nonna Irene!» esclamò la giovane Tarren, galvanizzata dal successo del piano. «Sei un fuoriclasse, Idris!»

Attenti a non inciampare fra le guardie assopite, proseguirono finché non si imbatterono in un'altra guardia accorsa lì, forse per dar man forte ai colleghi. Nel frattempo nell'aria aveva iniziato a propagarsi il suono penetrante e assordante di una sirena. Ormai era evidente agli occhi del personale che stava accadendo qualcosa di strano, così come che la prigione fosse sotto attacco da parte di intrusi esterni.

I tre, sapendo di dover scoprire dov'era stato rinchiuso Casey, agirono come una squadra e con rapidità: Idris, aiutandosi con la bacchetta, in silenzio evocò un sortilegio che ebbe come effetto quello di incollare apparentemente al pavimento entrambi gli stivali della guardia; Irene, dopo un bel tira e molla, riuscì a sottrargli l'arma da assalto che reggeva tra le mani.

Noah, invece, si occupò del fargli intendere che non avevano tempo per le scemenze e che se voleva vivere, allora doveva collaborare e portarli alla cella di Casey Leroin.

«Non ci penso neanche. Olegov mi ammazza se...» iniziò la guardia, ma tacque non appena notò Irene che aveva già preso la mira ed era pronta a sparargli dritto in mezzo agli occhi se solo avesse provato a fare scherzi o a non dare loro quel che volevano, ovvero delle risposte e, soprattutto, un tour lampo della prigione per trovare il giovane Leroin.

McKay la squadrò sorpreso e la ragazza si limitò a sorridere di sbieco. «Simon ha fatto una sola cosa giusta nella sua vita: trascinare me e Dominic a caccia, perciò sono abbastanza abituata a maneggiare le armi. Secondo lui era sempre meglio contare su altre risorse, oltre alla forza fisica.»

Idris sorrise. «Ti stimo profondamente, bionda.» Tornando serio, si rivolse alla guardia. Era giovane, poco più che un ragazzo, e gli si leggeva in faccia che non era poi così determinato a morire pur di rimanere fedele a Olegov e agli ordini che quest'ultimo aveva impartito. La corruzione della polizia locale era così radicata che chi ne faceva parte ormai non si disturbava neppure a nascondere la simpatia nei riguardi di quel delinquente. Lo strego si avvicinò. «Lei è armata, io sono un fattucchiere e l'uomo vicino a te è parecchio arrabbiato con i tuoi colleghi e con Olegov. In breve, bamboccio: non puoi muoverti e sei in trappola. Che vogliamo fare, dimmi?»

La guardia passò in rassegna Irene che ancora lo aveva sotto tiro, Pothier che era visibilmente pronto a far uso delle proprie magiche risorse per rendergli la vita un inferno e Noah che, a poca distanza, appariva minaccioso come mai lo si era visto. Deglutì a fatica. «V-Va bene» balbettò. In realtà a fargli temere per la propria incolumità non erano le minacce di quei tre e l'ira di Olegov, bensì la pessima fama che in quegli ultimi giorni Leroin si era fatto tra i corridoi del penitenziario da quando si era rivoltato contro un'altra guardia lacerandogli la gola con le zanne e privandola per sempre della vista. Il malcapitato era morto poche ore dopo l'accaduto e da allora il prigioniero era stato messo in una cella d'isolamento e a pochi eletti era concesso di entrare là dentro.

Non era la cosa in sé a intimorire un po' tutti. In fin dei conti altri prigionieri avevano commesso atti aggressivi nei riguardi del personale della prigione. A inquietare era che ad essersi comportato così fosse stato un mingherlino Indigo che per giunta era anche gravido. Di solito quel genere di Alphaga erano un po' delle teste calde, per quanto rari fossero, ma mai uno di loro si era comportato a quella maniera, eguagliando quasi la ferocia di un Alfa all'apice dell'ira. Decisamente nessuno voleva più aver a che fare con quella belva sotto mentite spoglie e ritrovarsi privo degli occhi e con una bella cravatta colombiana inferta a suon di zanne.

Avevano ragione i miei. Avrei dovuto fare il dentista come loro, si disse la giovane e rassegnata guardia, maledicendosi per aver invece scelto di lavorare in polizia.

McKay squadrò il tipo con aria molto seria e gli si avvicinò. «Come ti chiami?»

«Samuel» replicò la guardia, tentennando.

«Bene, Samuel...» continuò Noah. «Patti chiari, amicizia lunga: portaci da Casey e non ti verrà fatto alcun male. Se proverai a ostacolarci o a tradirci in qualunque maniera mentre andiamo lì o mentre stiamo aprendo la cella, però, giuro che sarò io stesso a ficcarti una mano in gola e a strapparti la lingua a forza. Tutto chiaro?»

Samuel lo guardò dritto negli occhi e capì che non esagerava né stava scherzando: quell'uomo gli avrebbe davvero fatto passare la voglia di vivere e di respirare, se non avesse fatto quel che volevano loro. Come accadeva con altri suoi simili quando si mostravano aggressivi o pericolosi, la guardia avvertiva un'aura di pura letalità provenire da McKay, anche se ciò che percepiva con i sensi e con l'istinto era un po' diverso dal solito.

«Non sei un Alphaga puro» disse, capendo finalmente cosa non quadrasse, perché non riuscisse a capire se avesse di fronte un umano comune o un Alfa o un Beta. Era entrambe le cose e nessuna di esse. Era il tizio cui Olegov aveva accennato, un giorno. «Sei... sei il Rivera sopravvissuto.»

Noah non disse niente, lo afferrò saldamente per un braccio e si rivolse a Idris. «Credo che abbia afferrato il concetto. Puoi lasciarlo andare.»

«E chi vuole tenerselo!» fece tra sé lo strego, arricciando il naso e infrangendo l'incantesimo che aveva scagliato sulla guardia con un semplice e svolazzante gesto, come quando si scacciava una mosca molesta.

Non diedero a Samuel neppure il tempo di riassestarsi dalla paralisi alle gambe cui era stato sottoposto: McKay, senza lasciarlo andare, gli intimò di guidarli e la guardia così fece, guardandosi bene dal fornire indicazioni imprecise o vaghe.

Irene era in cima al bizzarro quartetto, pronta a far fuoco non appena avesse visto un solo membro del personale del penitenziario sbarrare loro la strada o accennare ad aggredirli. Idris, invece, era impegnato nel non perdere di vista Samuel nel caso quest'ultimo avesse avuto dei ripensamenti o tentato la fuga.

Grazie a lui e a Irene che riuscirono a liberarsi di ogni ostacolo sul loro cammino, dopo un lasso di tempo impossibile da definire con certezza Samuel li condusse al padiglione riservato solitamente agli Omega. Casey era stato portato lì perché gli Indigo erano talmente infrequenti da non essersi guadagnati un padiglione tutto per loro. Quell'area della prigione si trovava a est e loro erano entrati dal lato ovest; come scoprirono da soli, senza che Samuel lo facesse notare, il padiglione era situato nei piani sotterranei della struttura, i peggiori di tutti per ammissione della stessa giovane guardia. Noah, guardandosi in giro, non poteva che convenire: quel posto era l'anticamera dell'inferno.Sembrava di trovarsi una specie di Alcatraz dalle mura scure e opprimenti; si respirava non solo aria di giustizia stantia, ma anche di sofferenza. Era come se là sotto si fossero accumulati strati su strati di dolore e rabbia. Faceva freddo, anche, e in generale pareva che chi aveva costruito il penitenziario non avesse voluto sbizzarrirsi troppo con il padiglione degli Omega, lasciandolo terribilmente spoglio e in uno stato di anonimo degrado.

Molti sostenevano che per capire com'era realmente una società fosse sufficiente guardare come trattava non solo i bambini, gli anziani, i disabili, le minoranze e gli animali, ma anche i detenuti, e in base a ciò che McKay poteva osservare, attorno a loro la risposta appariva chiara ed esaustiva: la società Alphaga, come tante altre, di strada da fare ne aveva ancora tanta. C'erano molte cose che non andavano sotto la patina di apparente unità di specie, sotto quel fiero patriottismo. Se era vero che gli Omega erano considerati più fragili e bisognosi di attenzioni e di un po' di riguardo in più, e se davvero quelli che abitavano da quelle parti venivano imprigionati lì, non stupiva affatto vedere che gran parte delle celle fossero vuote. Non stupiva che in generale, come una volta aveva detto Casey, un Omega si guardasse sempre bene dal superare certi limiti e dall'infrangere le leggi, tanto da arrivare a subire autentiche ingiustizie, spesso e volentieri. Con una minaccia come quella chiunque avrebbe avuto una paura folle di finire in galera, sapendo che era quello il trattamento che gli sarebbe stato riservato.

«Come potete tenere qua sotto degli esseri viventi, dei vostri simili, e definirvi migliori, se non superiori, agli umani?» fece rauco Noah, guardando con gelida rabbia e ben poco celato disprezzo la guardia presa in ostaggio. «È così che trattate i membri della vostra società più a rischio di andare incontro all'estinzione? Se è vero che gli Omega hanno un'aspettativa di vita più breve e una salute meno solida degli Alfa e i Beta, perché li trattate così? Non hanno anche loro dei diritti?» Aveva letteralmente l'amaro in bocca, tanto era il disgusto che provava. Per tacere, poi, dello sdegno. A volte, in passato, si era vergognato di appartenere alla razza umana, ma ora che sapeva di far parte anche di quella Alphaga quel senso di imbarazzo vicario, di delusione, si era duplicato ai massimi livelli.

Samuel deglutì appena e non osò guardarlo. «Sono solo una guardia. Non sono di certo io a decidere certe cose.»

«E credi che questo sia sufficiente a lavarti la coscienza?» sibilò Irene, voltandosi per un secondo a guardarlo. «Chiunque assista a ingiustizie del genere senza far niente è altrettanto colpevole e responsabile della sofferenza di chi viene oppresso. Guardare e non alzare un dito è altrettanto criminale, fidati di una che lo ha capito prima di te.»

«È inutile ribellarsi se gli altri non fanno niente. Che ci guadagnerei a lamentarmi, a protestare? È così che vanno le cose. Sono sempre andate così.»

«Cosa ci guadagneresti?» lo schernì Idris, intervenendo. «Sonni tranquilli, tanto per iniziare. Discendo da un popolo che per tanto, tantissimo tempo è stato oppresso e denigrato. Poco ma sicuro, qualche mio antenato probabilmente era prigioniero di una piantagione di cotone o canne da zucchero, o era costretto a lavorare nella casa di un ricco signore bianco del sud e a beccarsi le frustate se osava sbagliare o non obbedire. Tutt'ora quelli come me non godono di un trattamento equo da parte di tanti, fra i quali anche le forze dell'ordine, ma abbiamo iniziato a dire basta, a ribellarci e a gridare che siamo esseri umani come gli altri e che abbiamo il diritto di vivere in santa pace e di non venire freddati davanti alla nostra porta di casa se osiamo muovere un muscolo quando la polizia ci punta addosso un'arma, anche se non abbiamo commesso alcun reato.» Era chiaro che quell'argomento lo facesse infervorare parecchio e non c'era da stupirsi. Aveva detto solo la pura e semplice verità, quella che non tutti ancora volevano accettare, ovvero che l'uguaglianza fosse un diritto inalienabile e non un lusso per pochi.
«E sai cosa mi fa ridere e piangere? Che proprio voi Alphaga, costretti a vivere in autentiche riserve protette, in un cantuccio del mondo nascosto agli occhi umani, di coloro che hanno rovinato la natura e distrutto gran parte dei luoghi dove un tempo abitavate, stiate commettendo gli stessi errori dei vostri carnefici. Nessuno meglio di voi dovrebbe capire quante cose siano sbagliate e orribili, ma basta guardare come trattate gli Omega per dire che questo mondo vi ha corrotti. Non siete migliori degli umani, perciò fatela corta di andarvene in giro con quella vostra odiosa boria stampata in faccia. Guardate streghi e streghi come se fossero creature di serie B, ma sai una cosa? Scendete dal piedistallo prima di cadere e farvi male!»

Lo strego e Samuel si scambiarono un'occhiata molto cupa che dava una chiara idea di quali fossero i reali rapporti tra fattucchieri e Alphaga: ai ferri corti, sull'orlo di un pericoloso baratro. Forse di un autentico conflitto sotterraneo che non avrebbe avuto nessuna ridondanza nel mondo, se non il microcosmo di cui loro facevano parte.

Irene sospirò. «Hai ragione, Idris: alla fine siamo tutti uguali. Nessuno è migliore dell'altro. Probabilmente la verità è che facciamo tutti schifo, a modo nostro.»

«Ti sbagli» la rimbeccò Pothier, senza smettere di squadrare con gelida alterigia la guardia. «Alcuni fanno più schifo degli altri.» Squadrò McKay e la giovane Tarren. Sorrise loro, seppur debolmente. «Voi invece siete a posto. Matti come cavalli, altrimenti ora non saremmo qui, ma siete a posto. Mi state simpatici.»

Irene soffocò una mezza risata. «Ti sprimaccerei come un peluches se solo non avessi questo coso fra le braccia. È anche scarico, credo.» Velocemente controllò le munizioni dell'arma da fuoco e, in effetti, scoprì che ormai era inutilizzabile. «Peccato, stavo per raggiungere un vago senso di completezza trascendentale con quest'affare.» Gettò via il fucile. «Mi rimane solo la polvere di aconito, perciò... siamo nelle tue mani, Pothier.»

Idris annuì. «Tranquilla, vi guardo io le spalle.»

Noah, intanto, non riusciva a scacciare l'inquietudine. Casey era rinchiuso là dentro, bastava quel pensiero a farlo sbarellare e sapere che poteva aver subito maltrattamenti o peggio era sufficiente a fargli ribollire il sangue nelle vene. Se solo si erano azzardati a toccarlo...

Fece un respiro profondo e si chiese, piuttosto, se andarsene dalla prigione sarebbe stato facile come lo era stato entrarvi. Insomma, erano nelle profondità dell'edificio, nell'area sotterranea, e se qualcosa fosse andato storto non era sicuro che lui e gli altri sarebbero riusciti a farla franca e a scappare in tempo. Forse erano in trappola esattamente come Casey e la loro unica salvezza era proprio la presenza di Idris. Diamine, se ce l'avessero fatta a superare quella notte, non sapeva come avrebbe mai potuto sdebitarsi con lo strego dopo un favore del genere.

La guardia che li aveva scortati fin laggiù si fermò e così fecero loro. «Che succede?» chiese Pothier, perplesso. «Perché ti sei fermato?» aggiunse, rivolgendo la domanda direttamente a Samuel. Quest'ultimo e Irene, tuttavia, sembravano in ascolto di qualcosa e quel qualcosa riusciva ad avvertirlo anche Noah, seppur in maniera soffusa, vaga e lontana. McKay non avrebbe saputo come definire la sensazione in questione, ma era come se una sorta di silenzioso allarme fosse scattato in qualche angolo recondito e buio della sua mente. Non un allarme, anzi, ma un avvertimento.

Qualcosa o qualcuno era in avvicinamento, lo sentiva, e recava con sé pericolo e ostilità.

«Non ditemi che...»

Irene lo guardò e annuì senza dire neppure una parola. 

«Si sta per mettere molto male» fece tra sé Samuel inquieto, quasi spaventato. 

Si trattava di Olegov e l'incontro pareva sì e no impossibile da scongiurare.

Avrebbero anche potuto tentare di proseguire, affrettarsi, ma se anche fossero riusciti a far uscire dalla propria cella Casey, poi avrebbero corso il rischio di coinvolgerlo in uno scontro forse letale con Stefan in persona e non potevano permettersi una simile possibilità. Quel mostro andava affrontato subito, a prescindere dalle conseguenze di una simile pazzia.

«Noah, tu va' avanti» disse Irene. «Penseremo io e Idris a lui.»

«Ormai è tardi» la apostrofò Samuel a denti stretti, accennando alla figura che procedeva verso di loro con raggelante e composta calma nella penombra del freddo corridoio. 

Era alto, prestante come uno di quegli atleti immortalati per sempre nella pietra da qualche scultore di epoche ormai lontane e perdute nei millenni, autoritario e dal portamento sicuro. Quello di chi sapeva di avere la situazione ancora in pugno e non aveva nulla di cui preoccuparsi.

Per la prima volta Noah vide Stefan Olegov, il vecchio amico di Simon Tarren, nonché, forse, quello che in qualche maniera si era reso responsabile anche della cancellazione dell'intera famiglia Rivera e di chissà quali altri orrendi crimini. Era il crudele essere che aveva fatto imprigionare Casey, sangue del proprio sangue.

McKay avvertì un accenno di nausea risalirgli in gola. La vista di quell'individuo, la sua sola presenza, quella sensazione ormai martellante e stridente di pericolo, disgusto e allarme, erano opprimenti e irritanti. 

Lui e gli altri si radunarono, compatti come un piccolo battaglione e decisi a non permettere alla paura di vincere.

Olegov si fermò davanti a loro, ad appena un metro di distanza. I suoi occhi color carbone scintillarono di gelida ira in direzione di Samuel che, suo malgrado, ancora bloccato dalla ferrea presa di Noah, si ritrovava a dover parteggiare per la fazione opposta. «Guarda cosa ho catturato nella mia rete!» esordì Stefan, glaciale. «Un disertore della peggiore qualità.»

Samuel deglutì a vuoto. «N-Non... i-io non....»

«Silenzio» lo zittì Olegov. «Penserò dopo a te.» Trasferì l'attenzione sugli altri e sorrise con aria vagamente sinistra. «Ora tutto mi è molto più chiaro: c'è uno strego fra di voi. Riesco ad avvertire l'olezzo di magia e di boria persino da qui. Ecco come siete riusciti a creare tutto quel trambusto e a deviare l'attenzione delle guardie. Molto astuti, ve lo concedo.»

Idris ridusse gli occhi a fessura e sussurrò fra sé e a denti stretti, in francese, quello che parve essere un insulto piuttosto colorito e calzante alla situazione.

Stefan schioccò la lingua con addolorata disapprovazione. «Oh, che pessime maniere, specie per un Pothier!»

«So essere ancora peggio di così, se può interessarti» ringhiò il mago.

«Oh, non lo metto in dubbio. D'altronde quelli della tua risma sono famosi per avere il maleficio facile e la testa perennemente calda.» Olegov si strinse nelle spalle e sorrise appena a Irene. «E poi abbiamo una giovane Tarren che temo abbia sconfinato in ogni senso possibile e immaginabile. Oserei definire la tua un'autentica caduta libera, Irene: prima quel fattaccio di tuo padre e di tuo fratello, l'annosa faccenda di Casey Leroin e, peggio ancora, quella disdicevole relazione con un essere umano che ha causato così tanto trambusto. Non sei stanca di provocare guai a non finire, bambolina?»

«Ho appena cominciato, bastardo» sibilò la ragazza. Fece per scattare, ma venne fermata prontamente da Idris che le rivolse uno sguardo d'avvertimento. Irene si divincolò dalla sua presa e tornò a squadrare furiosa l'Alfa. «Non addossarmi colpe che sono tue e di Simon! Sei tu ad aver scatenato tutto!»

«Posso capire che sia molto più semplice e liberatorio fare lo scaricabarile, in effetti» la rimbeccò semplicemente Stefan, come se non ritenesse importante in sé per sé la sua risposta né la reazione di pochi attimi prima. Squadrò infine McKay con intensità. «E per ultimo abbiamo un Rivera di troppo. Ti avrei riconosciuto anche se non avessi saputo niente sul tuo conto. Somigli molto a tuo padre o... beh, a com'era prima che arrivassi io a farlo a brandelli e a punirlo per aver mescolato il proprio sangue a quello di un'umana qualsiasi. E non guardarmi in quel modo, Noah. Per me non fu facile sterminare una famiglia Alphaga rispettata e dalle origini sì e no nobili, sapendo che sarebbe stata un'immane perdita per la comunità. La colpa fu di Amos e dei suoi parenti che non gli impedirono di infangare la reputazione dei Rivera a quella maniera. Si è scelto da solo il proprio destino.»

Noah avvertì una rabbia sempre più incandescente farsi strada dentro di lui. «Tu hai appena fatto il suo stesso errore» replicò aspramente. «E per quanto tu ti ostini a nasconderti dietro a patetiche e folli giustificazioni, sei e rimani comunque un mostro. Sei talmente privo di una coscienza da aver voluto rendere la vita maledetta a tuo figlio ed è ora che tu paghi per aver fatto del male a Casey!»

Stefan sorrise di sbieco. «Sei decisamente un Rivera: leale a un Leroin fino alla morte. È questo ciò che ti aspetta, nel caso non lo avessi ancora capito, Noah. Oltre ad aver portato scompiglio e a esserti intromesso in affari che vanno oltre le tue capacità, con la tua sola presenza nel mondo sei un'autentica offesa per la mia specie. Un abominio malriuscito scaturito da un'unione che mai avrebbe dovuto aver luogo.»

«Chiudi quella fogna di bocca!» Idris, a sentire quelle parole, fendette l'aria con la bacchetta e Noah riuscì appena a scorgere una piccola fiala dirigersi velocemente verso Olegov prima che essa, come una granata o un fuoco d'artificio, esplodesse a un centimetro dal viso dell'Alfa. Una nuvola di polvere marroncina danzò nell'aria e si disperse quando Stefan, gridando, si portò le mani al viso, premendole sugli occhi e barcollando. Irene doveva aver passato al mago la polvere di aconito e McKay, capendo al volo, agguantò Samuel e lo costrinse e correre insieme a lui per raggiungere la cella di Casey, per far tesoro del diversivo offerto dalla giovane Tarren e da Pothier.

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