𝐗𝐗𝐕𝐈𝐈. 𝐅𝐮𝐠𝐚 𝐚𝐥 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐫𝐨 𝐝𝐢 𝐥𝐮𝐧𝐚
Quando Casey finalmente si ritrovò dentro la berlina grigia nuova di zecca, cercò di tirare un bel sospiro di sollievo, anche se aveva il fiato corto e tremava da capo a piedi, sia per la paura provata tra le grinfie di Simon, sia per l'adrenalina che ancora aveva in circolo dopo una fuga in piena regola. Gli sembrava di trovarsi in un film thriller dai sottotoni horror in cui l'obiettivo principale era scappare il più lontano possibile dal killer di turno che intendeva compiere una carneficina.
Si terse la fronte sudata. Il cuore gli batteva nel petto con ferocia, sembrava voler uscire fuori ad ogni costo. Deglutì a vuoto, percependo in gola una sensazione leggermente acida, come se da un momento all'altro avrebbe vomitato anche l'anima. Irene lo scosse piano con fare incoraggiante. Sedeva accanto ai lui sui sedili posteriori, mentre Cora e Dominic stavano su quelli davanti, lui alla guida. «Dai, Volpacchiotto, il peggio è passato.»
«Dipende» fece cupo Dominic, il tono di voce strano, quasi impersonale. Le due donne e Casey lo fissarono. «Che intendi?» incalzò Irene. Lui si voltò per guardare l'Indigo e la sorella. «Ditemi che uno di voi, prima di farsi beccare da Simon, è riuscito a prendere le chiavi dell'auto.»
Il sangue degli altri tre sembrò diventare ghiaccio liquido nelle vene. Nic prese il loro silenzio come una risposta più che esaustiva e annuì lentamente. «Beh, porca di quella puttana» mormorò frustrato, desiderando di sbattere la testa sul cruscotto. Avrebbe dovuto immaginare una battuta d'arresto, fino ad allora era andato tutto fin troppo bene.
«Allora prendiamo la macchina tua o quella di Irene!» sbottò agitato Casey. «Non possiamo rientrare e dobbiamo sbrigarci a partire o Simon si riprenderà e verrà qui!»
Dominic batté un pugno contro il volante. «No, non ho le chiavi della mia auto perché non immaginavo che sarebbe andata così!» esplose. Pareva a un passo dal piangere o dall'avere una delle sue epocali sfuriate, di quelle che persino Casey mai aveva visto, neanche nel suo momento peggiore, e aveva assistito a tante, tante scenate da parte sua. Per un attimo, uno soltanto, Leroin quasi si sentì responsabile dei loro guai, dei loro problemi e di quella situazione davvero destabilizzante. Strinse appena le labbra, poi si scostò da Irene e aprì la portiera, scendendo e dirigendosi spedito di nuovo verso Daffodil Manor.
Udì un'altra portiera sbattere alle sue spalle. «Dove pensi di andare?» gli latrò dietro Dominic, seguendolo. Casey ignorò l'Alfa e guardò ciò che lui, piuttosto, stava stringendo in una mano: una pistola. L'aveva presa dalla borsa che aveva preparato Irene prima che Simon li cogliesse in flagrante; era stata un'azione istintiva non appena aveva capito che qualcuno stava per entrare nella stanza e ringraziava di aver dato ascolto all'istinto. Irene, nell'elencargli tutto ciò che si era premurata di inserire nella borsa, aveva detto che quasi certamente non vi sarebbe stato bisogno di usare l'arma, ma a quanto pareva si era sbagliata. Qualcuno, quella notte, sarebbe finito al camposanto con una bella pallottola piantata nel cranio e quel qualcuno rispondeva al nome di Simon-Fottuto-Tarren della malora.
Casey non sapeva cosa fosse quella strana sensazione che gli faceva tremare le mani e pizzicare la punta delle dita o, ancora, battere il cuore come se fosse stato un tamburo di guerra. Non era paura, ma qualcos'altro che mai aveva provato prima di quel momento. Un'oscura, bieca determinazione. Feroce e primordiale come la natura che spingeva una belva a sventrare la preda. Voleva uccidere Simon con le sue mani, voleva vederlo spirare col cranio spappolato dai colpi di pistola che lui stesso gli avrebbe a raffica sparato contro. Lo voleva morto, era stufo di averlo tra i piedi e di dover per forza temere per la propria incolumità, e sapeva che le autorità locali non avrebbero potuto fare niente per aiutarlo. Erano corrotte quanto il vecchio Tarren.
La sola cosa che gli dispiaceva era di non poter seguire Simon all'inferno, così da godersi la scena mentre magari il Diavolo in persona lo sodomizzava e faceva pentire di esser nato e morto da malvagio.
«Sto andando a fare quel che tu non hai avuto le palle di fare» rispose infine a Dominic, il tono distaccato, improprio di lui. Talmente sicuro e calmo da risultare raggelante.
L'Alfa gli giunse accanto e riuscì a tagliargli la strada. «Non ti azzardare a tornare là dentro, mi senti?»
Casey restrinse lo sguardo dardeggiante e lo fece spostare senza troppi fronzoli. «Per una volta nella vita, Dominic, non rompermi le palle e lasciami fare.» Riprese il percorso e salì i primi gradini del portico di pietra.
Nic, tuttavia, non demorse e gli andò dietro. «Casey, ascoltami solo per un secondo!»
Leroin sbuffò e si voltò a fissarlo con aria a dir poco assassina. Quell'uomo non gli andava a genio già in circostanze normali, figurarsi quando al momento aveva ben altro per la testa. «Veloce e coinciso. Spicciati.»
«Se vai lì dentro, mio padre ti ucciderà. Non si farà scrupoli solo perché...»
«Cosa? Solo perché nella pancia ho due Tarren che mi prendono a calci la vescica? Lo sapevo da solo.»
Dominic, però, gli parve sul punto di rispondere in ben altro modo e il più giovane, allora, socchiuse lo sguardo, insospettito da quell'improvviso silenzio. «C'è qualcosa che desideri dirmi, Dominic?» sibilò.
«No. Mi hai battuto sul tempo.»
«Non raccontarmi stronzate. Stavi per dire qualcos'altro.»
«Allora credi male.»
«No, bello. Sei tu a ritenermi uno stupido, lo fai dall'inizio e fino ad ora mi sembra che questo ti abbia solo portato guai.»
Il giovane Tarren sospirò. «Casey, per favore, torna in macchina. Andrò io a prendere le chiavi, te le consegnerò e partirai insieme a mia madre e ad Irene.» Lo pregò con lo sguardo di accettare quella sua versione del piano di riserva, ma Casey roteò gli occhi. «Ho un conto in sospeso con tuo padre e intendo saldarlo. Se proprio ci tieni alla mia incolumità, allora seguimi dentro e mettiamo fine a questa storia. Non farti illusioni, però. Solo perché mi aiuterai a prendere a calci nel culo Simon, questo non ti renderà migliore ai miei occhi né cancellerà ciò che mi hai fatto. Una volta che saremo andati via da questa dannata città, Dominic, non avremo più nulla da spartire e non voglio più vederti. Spero di esser stato chiaro.» Non stava scherzando né esagerando: non gli avrebbe permesso di avvicinarsi ai suoi figli neppure per scoprire che aspetto avessero e quando i gemelli fossero stati abbastanza grandi da capire cosa fosse un padre, avrebbe raccontato loro una storia abbastanza decente con cui evitare di farli sentire il frutto di una violenza carnale perpetratasi più volte dopo la prima aggressione.
Solo l'arrivo di Noah e l'intervento di Irene erano riusciti a far capire a Dominic che razza di delinquente fosse stato e quanta sofferenza avesse causato, ma non era sufficiente. Esistevano crimini per i quali, semplicemente, non esisteva riscatto. Non tutto era risolvibile compiendo buone azioni dopo averne compiute altrettante infinitamente crudeli. Non v'erano scuse che reggessero, altro che storie. Certe colpe erano troppo grandi per ottenere il perdono e Casey, in generale, non era mai stato un asso nel perdonare.
Rimpiangeva amaramente i giorni in cui era stato solito conoscere Dominic solo perché spesso lo aveva visto per i corridoi della scuola, quando era ancora una matricola, o alle partite nelle vesti di capitano della squadra. All'epoca gli era parso il solito idiota dalla testa montata e fissato coi muscoli, mai avrebbe pensato che quella facciata patinata celasse un lato talmente oscuro e disgustoso.
Tuttavia Dominic restava un Alfa e forse l'unico ad avere colpe era proprio lui, Casey, che troppe volte tendeva a dimenticare certi aspetti orribili della loro specie. Aveva peccato d'ingenuità e in un mondo come quello gli ingenui erano i peggiori criminali che esistessero. Chi pecora si faceva, il lupo se lo mangiava. Era la legge del più forte ad aver sempre avuto la meglio tra gli Alphaga.
Benché non lo entusiasmasse farsi aiutare dall'ultima persona che avrebbe voluto vicino in circostanze così rischiose, sapeva di non avere scelta e di aver bisogno di qualcuno che gli guardasse le spalle. Con un cenno della testa, dunque, indicò l'entrata del maniero. «Forza, allora, va' avanti tu. Spero ti sia portato dietro almeno le chiavi.»
I domestici non c'erano, naturalmente. Ogni sera tornavano a casa propria, non abitavano di certo lì.
Dominic deglutì e fece un cenno, superandolo senza neppure sfiorarlo di un centimetro. Due minuti più tardi erano di nuovo dentro Daffodil Manor, la casa dell'incubo. Le luci erano spente, tranne sicuramente quella in salotto. Non si erano presi la briga di metter mano all'interruttore, visto che andavano un po' di fretta.
«Stammi vicino e se ti dico di scappare, tu stai zitto e te la dai a gambe» disse a bassa voce Dominic, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Casey. «Io non scappo di fronte a niente e nessuno. Appena vedrò Simon gli riempirò la testa di pallottole» ringhiò Leroin, non volendo lasciare a Tarren tutto il piacere di far fuori il vecchio demonio.
«Aspetta prima di parlare» sussurrò in risposta il giovane Alfa.
«Cavolo, ringrazio solo che i miei fratelli non abbiano fatto ritorno per le vacanze di Natale.» Si chiedeva cosa avrebbe raccontato a quei due ragazzini per giustificare la sorte di Simon che ormai era segnata. Forse Cora avrebbe detto semplicemente che si era trattato di un incidente o qualcosa del genere, non la verità. Erano poco più che bambini, non meritavano di essere coinvolti negli intrighi di famiglia.
Casey sbuffò una risata tetra. «Se tratta loro come tratta il resto della combriccola Tarren, allora è davvero un bene che non siano qui.»
Dominic strinse appena le labbra. «Puoi dirlo forte. Li ha picchiati spesso e non sempre io e Irene eravamo lì per fermarlo.»
Leroin lo squadrò. «Come si può permettere a un essere simile di continuare a respirare? Se io avessi avuto dei fratelli e mio padre si fosse permesso di toccarli a quel modo, gli avrei sfondato il cranio con un martello alla prima occasione. Irene ha sempre provato a contrastarlo e a tenergli testa, ma tu, invece?» Non si disturbò a celare una punta di rancore e di biasimo nella voce. «Non so se provare pena per un coniglio come te o dirti semplicemente che mi fai schifo, Dominic.»
Nic ricambiò la sua occhiata con altrettanta alterigia. «Credi sia stato semplice crescere in questa casa, con un padre come lui? Pensi fosse bello che io ed Irene, da piccoli, vedessimo quello stronzo picchiare nostra madre se osava contraddirlo? Non giustifico cosa ho fatto a te, ma non ti permettere di giudicare a priori le scelte mie e di mia sorella. L'inferno che tu hai vissuto per qualche mese, Casey, noi lo abbiamo dovuto tollerare per anni.»
«Non provo pena per te, nel caso avessi qualche dubbio.»
«Non la cerco neppure. Ti sto solo dicendo che non tutto è come sembra e che non dovresti sparare sentenze a vuoto. Io non conosco te e tu non conosci me, Casey, ecco la verità.»
Leroin per un attimo fece per dar ascolto al solito impulso che sempre coglieva coloro che avevano appena udito una spiacevole storia circa gli abusi domestici, ovvero dire che gli dispiaceva, ma subito lo scacciò. Gli dispiaceva per Irene e i suoi fratelli minori, non di certo per Dominic, e capì di aver fatto bene a tacere quando tutti e due udirono dei lievi rumori provenire da qualche parte nel corridoio principale. Le scale dell'atrio erano buie e la vetrata sul primo pianerottolo che separava la prima rampa dalle altre due, una a destra e l'altra a sinistra, lasciava entrare la luce lunare e concedeva all'insieme un aspetto lugubre, anzi sinistro; i corrimano gettavano ombre sul rivestimento rosso dei gradini e del pianerottolo. Una scena perfetta per un film incentrato sui fantasmi e case stregate.
Casey scoprì che la mano impegnata a reggere la pistola gli tremava come una foglia e la sua agitazione crescente doveva esser stata percepita anche dai gemelli, perché li sentiva agitarsi là dentro come una coppia di esuberanti lontre in una piscina troppo stretta fatta di sottile plastica. Pose dunque la mano libera sul grembo, sperando che riuscissero in qualche maniera a recepire il messaggio e a calmarsi. Non era il momento adatto per farsi prendere dal panico, pensò, desiderando che potessero in chissà quale modo udire quel monito. Nel frattempo i suoi sensi erano anche concentrati a captare il minimo movimento sospetto o qualsiasi suono anomalo.
Era pur sempre un Alphaga, forse non tra i più feroci, ma sapeva il fatto suo, specialmente durante le notti di luna piena. Quando ancora era un ragazzo normale e non un forno in procinto di sfornare due pagnotte, si era divertito parecchio a scorrazzare in lungo e in largo per i boschi, dando la caccia ad animali veri e propri per ragioni puramente ludiche, non per cibarsene; gli mancava trasformarsi e da quando la gravidanza era iniziata non gli era stato più permesso di uscire con la luna piena né di mutare forma durante le notti normali. La sola differenza tra quelle e quando c'era il plenilunio, era che durante quest'ultimo nessuno di loro aveva scelta e tornava in forma umana solo alle prime luci dell'alba, come se la luna li spingesse a riunirsi tutti in una danza selvaggia e primordiale nel cuore dei boschi.
Se non si usciva e ci si teneva a debita distanza dai raggi lunari, tuttavia, nessuna trasformazione avveniva e questo, biologicamente parlando, non era un bene per gli Alphaga. Li indeboliva, tra loro e la luna esisteva una sorta di silenzioso patto, una specie di simbiosi; serviva loro per recuperare forza vitale e ricaricare altre funzioni biologiche che andavano sennò deteriorandosi col tempo. Era anche grazie a quella che riuscivano a vivere più a lungo degli umani e a invecchiare più lentamente.
Sia lui che Dominic avvertirono uno spostamento alla loro sinistra, finché nell'oscurità non giunse loro il suono inconfondibile di un gorgoglio, un ringhio basso e continuo che di umano non aveva un bel niente. Nelle tenebre scorsero due occhi dai bagliori color arancio, simili a tizzoni ardenti o terrificanti lucciole provenienti dai più oscuri anfratti infernali. A quanto pareva Simon aveva deciso di giocare sporco e di affrontarli come l'animale che in fin dei conti era realmente.
Casey non riuscì a far a meno di arretrare, anzi di nascondersi dietro la mole più prestante di Dominic, il quale si voltò un secondo a guardarlo e, in un certo senso, per rassicurarlo. «Tranquillo» gli sussurrò. «Mantieni la calma. Niente scatti improvvisi.» Videro nel frattempo gli occhi dardeggianti della bestia di nuovo sparire nell'ombra; seguirono il suono del suo ringhio per capire dove si trovava. Si spostava in continuazione, cercava di disorientarli e spaventarli in una tecnica intimidatoria tanto vista e rivista quanto il più delle volte efficace. Mirava a far cedere i loro nervi tramite l'attesa, anziché aggredirli subito. Giocava con il cibo.
Casey, suo malgrado, dovette ammettere che con lui quel trucchetto stava funzionando. Incrociò lo sguardo di Dominic e capì subito: doveva recuperare le chiavi e Nic, intanto, avrebbe pensato a tener occupato Simon. Era l'unica strada percorribile, per quanto rischiosa e disperata. Uno di loro doveva fare da esca. «Corri» incalzò Dominic, spingendolo delicatamente verso i gradini dell'atrio. Casey, allora, si affrettò verso quest'ultimi, ma un grido gli sfuggì quando un grosso lupo dal manto scuro gli tagliò la strada. Ringhiava, le gengive e i denti acuminati in bella vista e serrati.
Il ragazzo arretrò, ma troppo lentamente: Simon, con un balzo, fece per dargli addosso, ma l'altro Alfa si frappose fra di loro e deviò la traiettoria del salto, spingendo via il padre da Casey. «Muoviti!» disse all'Indigo. «Che diavolo aspetti? Corri!»
Leroin si diede una svegliata e corse più forte che poté al piano superiore, lo fece senza voltarsi indietro. Non era semplice essere veloci nel suo stato, ogni movimento risultava goffo e rallentato. Non era facile portarsi dietro ovunque il peso non solo del proprio corpo, ma anche di due feti che, a detta del medico, sembravano già abbastanza grandicelli, per quanto la gestazione non fosse ancora giunta al termine.
Col fiato corto si riversò nella camera che un tempo era stata teatro di ricordi molto spiacevoli e si rese conto di non ricordare bene dove avesse ficcato le dannate chiavi. «Cazzo!» sbottò passandosi le dita fra i capelli. Tra non molto avrebbe avuto una crisi di panico, lo sentiva.
Più che mai avrebbe voluto che Noah si fosse trovato lì con lui. Sicuramente lo avrebbe aiutato o forse... forse si sarebbe trovato lui al posto di Dominic, e quella prospettiva sì che era terribile.
Non devo pensarci, non adesso!
Frugò per l'ennesima ovunque, poi finalmente gli tornò in mente dove aveva nascosto la scatola. Dovette far fronte a una grande impresa per inginocchiarsi, ma ci riuscì e dopo essersi quasi slogato il braccio a furia di allungarlo e cercare alla cieca, ecco che le sue dita individuarono la scatola e la afferrarono. La aprì, recuperò le chiavi e gettò via il resto, uscendo dalla stanza e tornando indietro.
Giunto all'ultimo pianerottolo, però, si bloccò e inorridì vedendo Dominic conciato piuttosto male. Il giovane Alfa tentava di tenere fermo il grosso lupo: il suo braccio avvolgeva la gola dell'animale, l'altra mano era serrata sulla pelliccia del garrese. «Casey... la pistola... presto!» gridò, il respiro affannoso.
L'Indigo deglutì e con dita tremanti si ficcò nella tasca della giacca le chiavi e recuperò poi da essa la pistola. La sua presa era malferma, il suo cuore non smetteva di rimbombare timpani e non faceva che deconcentrarlo e mettergli ancora più agitazione, ma non poteva fallire. Aveva solo una possibilità per porre fine all'incubo, non poteva permettersi di fallire. Il solo pensare alle conseguenze di questo bastavano a terrorizzarlo.
Aveva tuttavia paura di colpire Dominic e non per lui in sé per sé, ma per Irene e Cora che avevano rischiato così tanto per aiutarlo e farlo fuggire da Daffodil Manor. Non voleva dar loro un dolore del genere.
Cazzo, non so nemmeno come si spara!
Sollevò l'arma con entrambe le mani e mentre scendeva, ricordò di dover tenerla davanti a sé e di non dover perdere la presa. Cercò di stringerla il più saldamente possibile. «Tienilo fermo o sbaglierò!» disse, la voce che minacciava di rimanergli incagliata in gola. Aveva così tanta paura. Rabbia o meno, sete di vendetta o no, stava pianificando di uccidere uno della sua specie. Stava per commettere un crimine.
«Spara e basta!» insisté Dominic, facendogli capire che non avrebbe resistito ancora a lungo, non quando Simon continuava a dimenarsi e a vagare alla cieca con le fauci col chiaro intento di morderlo o peggio. Schiumava come un cane rabbioso, anzi come un segugio infernale. Diamine, era terrificante, i suoi occhi ardevano come l'inferno.
«Cazzo, cazzo, cazzo!» fece stridulo Casey, non avendo mai assistito a una scena così disturbante. Perché esitava? Perché si stava bloccando proprio nell'attimo cruciale? Simon se lo meritava, dopotutto.
«CASEY, PORCA PUTTANA, SPARA!» sbottò Dominic.
L'Indigo deglutì, le labbra contratte e tremanti. Si rifiutò di guardare, stupidamente e da vigliacco mise tutto tra le mani del fato e fece pressione sul grilletto. Una volta, due, tre. Continuò finché un paio di clic metallici non gli fecero intendere che erano terminate le munizioni. Riaprì gli occhi solo quando udì un tonfo sordo: scorse la figura del lupo a terra e parzialmente celata dalle tenebre, l'altra metà illuminata dalla luce color argento della luna. Anche da quella distanza le sue narici catturarono subito l'odore di sangue fresco appena versato, sangue ancora caldo; lo vide spandersi sotto la sagoma di Simon che era tornato alla sua forma umana ed era completamente nudo, con le chiappe all'aria e la schiena ridotta peggio d'un colabrodo. I fori di proiettile, attorno ai quali erano impresse macchie scarlatte, fumigavano come stoppini di candele che erano state spente.
Accanto al vecchio figlio di puttana finalmente crepato, però, vide anche un'altra figura giacere immobile sul pavimento: Dominic era a terra e in posizione prona; la sua camicia di jeans era macchiata di rosso, il volto celato in parte dall'avambraccio. In lui non sembrava esser rimasto il minimo segno di vita. Forse era morto.
Casey si avvicinò, le gambe simili a tremola gelatina. Le sue dita persero la presa sulla pistola che cadde su uno dei gradini e lì rimase, abbandonata dal ragazzo che non aveva il coraggio di controllare se il giovane Tarren fosse ancora vivo o meno. Doveva farlo, però. Doveva sapere cosa dire a Cora e ad Irene, cosa pensare anche di se stesso.
Deglutì a vuoto e si chinò per saggiargli il polso, sperando di sentire il battito; tirò un sospiro di sollievo non appena lo avvertì, ma era molto debole.
Si ritrovò spezzato fra il lasciarlo lì e mentire a Cora e Irene, dire loro che era rimasto ucciso nello scontro con Simon e finalmente dare anche a lui la punizione che in effetti meritava sin dal principio, oppure trascinarlo fuori da quella casa malefica e compiere una buona azione, dimostrarsi più umano del suo carnefice. Concedere a Dominic una pietà che quest'ultimo, invece, non aveva avuto per lui.
Mentre rifletteva in fretta, stava realizzando di aver appena ucciso uno della sua specie, di esser diventato davvero un assassino e, così facendo, di esser sceso allo stesso livello di Simon. Era diventato un mostro esattamente come lui, si era macchiato del suo medesimo peccato e nessuno a quel mondo, in teoria, aveva il diritto di fare le veci della Mietitrice, di decidere per la vita altrui. Era sbagliato come lo era violentare, seviziare e torturare psicologicamente il prossimo, eppure solo in quel momento si era preso il disturbo di pensare a tutto questo. Solo minuti prima il suo unico pensiero era stato di vedere Simon finalmente morto, ma ora che era finita non sentiva nient'altro che il vuoto assoluto, come se quei colpi di pistola si fossero trascinati dietro anche la sua anima.
Si chiese come gli avrebbe consigliato di agire Noah, se solo fosse stato lì, e ciò lo fece soltanto sentire più solo e nostalgico. Forse gli avrebbe detto di salvare Dominic, perché solo così, risparmiando una vita anziché toglierla, ci si dimostrava migliori dei propri carnefici. A volte c'era più coraggio nel risparmiare il prossimo anziché nel condannarlo. Forse uccidere era proprio solamente dei vigliacchi.
Sospirò e alla fine capì di non volere anche il sangue di Dominic sulle proprie mani. Quella non era giustizia, ma solo un dannato massacro e di sangue ne era stato versato fin troppo, almeno per una notte sola.
Non seppe mai, comunque, da dove riuscì a trarre la forza necessaria a trascinare il corpo dell'Alfa verso il grande portone di Daffodil Manor e poi fuori, sugli scalini del portico, e ancora dopo sulla neve che si macchiava di rosso ogni singola volta che Leroin trascinava un po' più avanti il giovane Tarren. Vide a un certo punto Irene e Cora scendere dall'auto di corsa, la ragazza trattenere un grido e poi precipitarsi dal fratello.
Arretrò e si fece da parte, sentendosi malfermo sulle gambe e pronto a capitolare da un momento all'altro. Dentro la testa visse gli istanti in cui si era preso la vita di Simon Tarren, udì una seconda volta gli spari, percepì di nuovo la sensazione del freddo grilletto contro l'indice della mano; il braccio attraversato dalla vibrazione dei colpi. Gli faceva ancora male a causa del contraccolpo e a dolergli in particolar modo era il polso. Sparare non era affatto facile come lo facevano apparire nei film d'azione. Era complicato, ci voleva non solo pratica, ma anche sangue freddo e precisione, per non parlare del distacco.
Aveva ucciso una persona, cattiva o meno che fosse, e per tale motivo era era diventato un assassino, un criminale. Aveva eseguito una condanna che non sarebbe dovuto esser lui a sentenziare né a commettere. Nessuno gli aveva dato il diritto di interpretare la parte del giudice, della giuria e del carnefice, ma ormai era tardi per avere ripensamenti, per mettersi a filosofare su questioni morali circa la giustizia sommaria e il vigilantismo da quattro soldi.
Era fatta. Era tutto finito.
Si accasciò a terra, la schiena contro una delle ruote dell'auto, il gelo della neve che penetrava attraverso i jeans e l'aria fredda che gli sfiorava poco gentilmente il viso. Come se fino a qualche minuto prima fosse stato separato dalla sua stessa parte razionale, si sentì di nuovo sbattuto dentro il proprio involucro di tremula carne e gli ultimi eventi gli piombarono addosso come una frana di montagna. Prese completamente coscienza della realtà, di ciò che aveva fatto, che avrebbe potuto fare se solo non avesse riflettuto, ed esplose in un pianto senza freni nel quale l'orgoglio e il pudore vennero spinti via con violenza. Pianse tenendosi la testa fra le mani, respirando con affanno, gemendo come una bestia ferita.
Qualcuno gli parlava, ma non riusciva a capire chi fosse né cosa gli stesse dicendo. Era totalmente chiuso nella propria gabbia invisibile di pensieri sconclusionati, di paura e tensione prima accumulate e in quel momento libere finalmente di defluire dal suo corpo come sangue da una ferita aperta.
Cora guardò Irene preoccupata. La ragazza era riuscita a sistemare sui sedili posteriori Dominic e ricambiò lo sguardo della madre con altrettanta apprensione. Casey stava avendo una crisi di panico o forse isterica, era più che evidente. La signora Tarren tornò in piedi e si avvicinò alla figlia. «Irene, dobbiamo convincerlo ad alzarsi e a salire in macchina. Tuo fratello deve esser portato in ospedale e Casey non può più restare in città. Voglio che vada anche tu.»
«Mamma, non posso lasciare Dominic!» protestò in lacrime Irene, sconfortata dalla situazione.
Cora la afferrò per le spalle e la scosse con vigore. «Irene, non te lo sto chiedendo!» disse dura, per poi ammorbidire il tono. «Ti prego, lo dico solo per il tuo bene. Non saresti di alcun aiuto per tuo fratello e per Casey rimanendo in pericolo. Devi lasciare Caverney Town anche tu, non c'è altra soluzione. Faremo esattamente come avevamo deciso.»
Irene parve finalmente convincersi. «V-Va bene. D'accordo, mamma... faremo come hai detto tu» replicò stremata; tornò allora da Casey e dopo diversi tentativi riuscì a farlo sollevare da terra e a indurlo a salire in auto. Cora prese posto sui sedili posteriori e sistemò il capo del figlio sulle ginocchia, carezzandogli i capelli e pregando che non fosse troppo tardi.
Casey, invece, si limitò a fissare un punto imprecisato fuori dal finestrino mentre si allontanavano da Daffodil Manor e dagli orrori contenuti da quelle mura. Per la prima volta fu grato che Noah fosse partito, giusto in tempo per non vederlo diventare un assassino.
Non sarebbe riuscito a fuggire, lo sapeva. Non era così fortunato da poter sperare di farla franca e conosceva bene la punizione per un Alphaga che uccideva un altro della propria razza, specialmente quando l'assassino era un Omega e la vittima un Alfa. Le loro leggi erano meno tolleranti, non perdonavano gli esseri inferiori che alzavano la cresta e spargevano sangue molto più prezioso del loro. Quella notte aveva firmato la propria condanna, chiaro come il sole, e non c'era modo di tornare indietro.
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