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𝐗𝐗𝐈𝐕. 𝐋𝐚𝐬𝐜𝐢𝐚𝐭𝐢 𝐚𝐦𝐚𝐫𝐞


Nonostante la contrarietà di Casey, Noah aveva infine scelto di partire la mattina successiva.

Per quanto dentro di sé scalpitasse per raggiungere la propria famiglia, una parte di lui non voleva saperne di separarsi da quella città, da Daffodil Manor e soprattutto dal giovane Leroin con cui, comunque la si volesse rigirare, aveva intessuto una sorta di relazione sentimentale ancora agli albori, certo, ma capace di fargli avvertire le farfalle nello stomaco come non gli capitava più dai tempi del liceo.

Quel pomeriggio passò con apparente normalità, visto che Noah era sicuro che presto avrebbe fatto ritorno. Un pezzo della sua anima, ne era consapevole, lo avrebbe lasciato tra quelle mura, in attesa di poter riunirvisi.

L'unico che quella sera, a cena, parve contento della sua partenza fu ovviamente l'arcigno Simon Tarren. Per tutto il tempo, infatti, non volle saperne di smettere sogghignare vittorioso, dettaglio che Casey a lungo andare ritenne talmente snervante da arrivare a guardare il coltello che reggeva nella mano destra con in mente propositi ostili nei confronti del padre di Dominic. Capì che sarebbe stato meglio per lui andarsene dritto filato a dormire quando immaginò se stesso alzarsi, raggiungere deciso Simon e ficcargli nella giugulare la posata.

Lasciò cadere coltello e forchetta su un lato del proprio piatto e riuscì a farlo senza essere brusco né risultare spazientito. Non aveva mangiato quasi niente dato che lo stomaco gli si era chiuso da quando aveva saputo che Noah se ne sarebbe andato. «Sono... sono stanco. Penso che andrò a dormire. Mi gira anche un po' la testa, a dire la verità.» 

Irene, che sedeva al suo fianco, si offrì di aiutarlo ad alzarsi, ma lui subito la rassicurò affermando che gli sarebbe stato sufficiente infilarsi un comodo pigiama e sdraiarsi al buio. Sapeva che lei era preoccupata per via della questione della gravidanza a rischio e tutto il resto, ma al momento il suo unico problema, il solo tormento che sentiva scavargli dentro come un pugnale, era l'assillo di non riuscire a guardare Noah in faccia ed evitare a ogni costo il suo sguardo per la paura di avere ripensamenti, di fare una sceneggiata, pregarlo in ginocchio di non andare o di portarlo con lui lontano da Simon Tarren e da quella città che ormai odiava. 

Non poteva permettersi una simile bambinata, c'era in gioco la famiglia di Noah, il fatto che quelle persone lo ritenessero morto o disperso. Non poteva negargli la possibilità di rimettere tutto a posto, neppure sapendo che ciò li avrebbe separati per sempre.

Irene, comunque, lo seguì fuori dalla sala da pranzo e non appena furono nel corridoio lo fece fermare e lo guardò. «Senti... io so cos'è che ti sta facendo sbarellare e... se vuoi parlarne, Casey, sono pronta ad ascoltarti anche fino all'alba. Sul serio, non ti fa bene tenerti tutto dentro, e non parlo per via della gravidanza. Certi sentimenti, certe emozioni, se non li sputiamo fuori prima o poi finiscono per metter radici dentro di noi e fare danni enormi.»

Il ragazzo si morse il labbro inferiore con tanta di quella forza da farlo quasi sanguinare, gli occhi puntati strategicamente altrove per far sì che Irene non li vedesse lucidi come specchi d'acqua. Avrebbe voluto solo spaccare qualcosa, prendere a calci tutti i mobili che incontrava o solo Dio sapeva cos'altro. Tutto pur di non pensare a Noah e alle tante possibilità che stavano svanendo sotto il suo naso man mano che i minuti trascorrevano.

«Non c'è niente da dire» ribatté infine. «E non mi va di parlarne. A che servirebbe? Lui deve tornare dalla sua famiglia, Irene. Hai sentito anche tu in che razza di situazione lo abbiamo cacciato. È colpa nostra, soprattutto mia, e l'unica cosa che io possa fare per rimediare è evitare di ostacolarlo.»

Quella notte me ne sarei dovuto semplicemente andare. Voltarmi e andare via da quell'appartamento, senza dirgli niente su chi ero e in che pasticcio ero finito. Ho sbagliato tutto sin dal principio, ho sbagliato a incasinargli la vita con i miei stupidi problemi.

Quasi odiava Noah per esser stato gentile con lui, un cittadino fin troppo modello. Perché non aveva incrociato un uomo menefreghista o comunque uno che non voleva troppe grane e allontanava tutto ciò che poteva procurargli guai a non finire?

Perché, dopo aver evitato di investirlo, non era ripartito con l'auto e basta? Perché lui, anzi, non si era alzato subito e non era corso via?

Irene, per nulla convinta dal suo pietoso teatrino, si spostò di lato per guardarlo in faccia, sospirò e infine gli cinse le spalle con un braccio. «Forza, Pel di Carota in premaman, ti accompagno di sopra, ti preparo un bel bagno rilassante e ne parliamo con calma.»

«Irene...»

«Zitto e muovi le chiappe. Non ho alcuna intenzione di lasciarti da solo mentre sei in questo stato.» La giovane Tarren lo indusse a proseguire verso le scale e insieme si recarono al piano superiore.

Aiutò Leroin a spogliarsi e poi a calarsi nella vasca riempita di acqua calda che spandeva un aroma agli agrumi grazie ai sali che vi erano stati fatti sciogliere.

Casey, almeno dal punto di vista fisico, si sentì un po' meglio. Quel calore si rivelò un autentico toccasana per la sua schiena un po' indolenzita e il gonfiore alle gambe e ai piedi. Di solito si vergognava a mostrarsi nudo in presenza d'altri, ma con Irene ormai aveva un rapporto tutto sommato di fiducia e non si sentiva giudicato o criticato.

Irene si appoggiò con la schiena alla parete lì accanto. «Da un lato vorrei dirti che sei stato uno stupido a incoraggiare Noah a tornare dalla sua famiglia, ma... beh, era anche la cosa giusta da fare.»

Casey, dopo esser sprofondato in acqua per bagnarsi i capelli e il viso, riemerse e si scostò la chioma fradicia dalla fronte. «Peccato che così non lo rivedrò mai più. Che ci si guadagna a fare la cosa giusta se poi, prontamente, si rimane sempre fregati?»

«La vita ha un'ironia tutta sua» ribatté Irene in un improvviso accesso di spicciola saggezza. «Tuttavia mi sembra di ricordare che Noah è uno di noi, almeno per metà. Non è escluso che riesca a ritrovare la strada per Caverney Town e a tornare da te. Insomma... capisco che sei dispiaciuto e tutto, ma c'è un limite persino al pessimismo, amico!»

«Non conosce la strada, Irene. Quando lo avete portato qui era privo di sensi, ricordi? E comunque la città ha delle protezioni e non credo faccia delle eccezioni con chi ha sangue non del tutto Alphaga nelle vene. La nostra è una società ossessionata dalla purezza della specie e altre stronzate.»

«Lo stesso penso che tu ti stia fasciando la testa ancor prima di essertela rotta, e non è detto che accada.»

«Sono solo realista, Irene.»

«Il realismo è la versione solamente più ipocrita e sfacciata della codardia. I realisti non fanno che vedere il mondo com'è, guai a pensare di poter migliorare le cose immaginando una realtà migliore e usando un po' di sana fantasia. Odio i realisti: sono quelli che non remano contro il progresso, ma neppure danno una mano a incoraggiarlo.»

Casey inarcò un sopracciglio. «Non mi sembra di averti vista bere alcolici, a cena.»

La giovane Tarren gli mostrò il dito medio. «Davvero spiritoso. Sto parlando sul serio, Leroin, e parlo sempre con sincerità quando ti dico che se una cosa è destinata ad accadere, allora succederà.»

«Sì, certo, e il presidente degli Stati Uniti è un incrocio fra un unicorno e un panda.» Casey scosse la testa. «Senti, apprezzo davvero che tu stia provando a farmi vedere il bicchiere mezzo pieno, ma preferisco non avere alte aspettative e guardare la situazione per com'è veramente. Noah ha tante possibilità di tornare qui quante io ne ho di sopravvivere al parto, ed è tutto dire.»
Irene serrò le labbra, ma ciò non impedì loro di tremare. Prese un asciugamano dall'armadietto dall'altro capo dello spazioso bagno e si accostò alla vasca. «Piantala di sparare puttanate ed esci da lì prima di diventare una prugna rinsecchita» disse, provando a celare il tremore nella voce. Odiava quando Casey parlava a quella maniera della situazione inerente alla gravidanza. Odiava che desse così poco peso a certe parole, certe frasi che in realtà erano dei come macigni dritti in testa. «Nessuno creperà e quello scemo del tuo spasimante tornerà qui, esattamente come ha promesso di fare, altrimenti vado io stessa a recuperarlo e lo riporto da te. Lo farò, anche a costo di trascinarlo per un orecchio. Una promessa è una promessa.»

Casey non disse nulla, uscì dall'acqua e permise all'amica di coprirgli il corpo con il morbido panno bianco. Appena fu asciutto si tamponò i capelli alla bell'e meglio. Un po' da solo, un po' con l'aiuto di Irene, si mise il pigiama e infine si asciugò la chioma rossiccia.

Quando furono in camera da letto, lei gli chiese se volesse qualcosa di caldo, ma il ragazzo rifiutò e le disse di voler solamente ficcarsi sotto le coperte. Irene, con l'apprensione che le campeggiava negli occhi chiari, si arrese e gli augurò un buon riposo, poi uscì e lo lasciò da solo.

Inutile dire che Casey non riuscì a chiuder occhio.

Si girava e rigirava tra le coperte e tutte le volte che serrava le palpebre non vedeva altro che future visioni di Noah che usciva dalla porta di Daffodil Manor e se ne andava. Gli mancava di già, percepiva il vuoto della sua assenza e nemmeno aveva ancora lasciato quelle mura.

Il fatto che non riuscisse a stabilire se sentisse un caldo tremendo con le coperte tirate fino al collo o un freddo cane quando le calciava via, poi, non migliorava la situazione. La tentazione di stendersi a faccia in giù e di stare con il viso affondato nel cuscino era tanta, ma con quella pancia oramai piuttosto ingombrante considerava poco saggio dormire nella posizione sopracitata. 

Da un po' di giorni a quella parte, come se non bastasse, gli capitava di sentire quelle due pesti scalciare di tanto in tanto o comunque muoversi, e benché non fosse qualcosa di doloroso, gli faceva un effetto strano. Era ancora in conflitto con se stesso, con la decisione di aver voluto proseguire con la gestazione e dare alla luce quelle due creature, e a volte si sentiva un emerito imbecille quando si sorprendeva a sorridere tra sé e sé nel momento in cui uno dei gemelli richiamava la sua attenzione con un calcio appena percepibile, ma in un certo senso deciso a ricordargli, forse, che non era in fin dei conti da solo in quella strenua lotta per la sopravvivenza e neppure in quel preciso momento, mentre avvertiva nel petto una morsa terribile fatta d'ansia e angoscia.

Fece un respiro profondo e si sfiorò il grembo, pregando con la mente i due piccoli Alphaga là dentro di darsi una calmata e piuttosto di andare a dormire, visto che l'ora era scoccata da un pezzo per due soldi di cacio come loro.

Non sono neppure nati e già mi comporto come una dannata mammina del cavolo, si prese in giro da solo. Falla finita di illuderti, Casey. Non vivrai abbastanza neppure per dar loro dei nomi decenti, ecco qual è la verità.

Lo sapeva che non avrebbe dovuto indugiare in quegli infelici pensieri, ma non ce la faceva a esser ottimista. Stava andando tutto a rotoli e non c'era niente che potesse fare. Era come se si affannasse invano a stringere in mano una manciata di sabbia che, inevitabilmente, non faceva che scivolare tra le sue dita e render vano qualunque sforzo compiuto.

Tenne le labbra serrate per impedire a un singhiozzo di infrangere il silenzio della buia camera da letto e scacciò con decisione le lacrime dal volto.

Piangere non avrebbe risolto niente né cambiato alcunché. Piangere era roba da bambini, non da persone adulte, si ripetè.

Trattenne il fiato quando udì bussare. Poteva trattarsi di Noah, ma anche di Irene o, ben più assurdo e improbabile, di Dominic.

In ogni caso non aveva voglia di parlare né di rispondere a eventuali domande nel caso si fosse trattato di McKay.

Chi era dall'altro capo della porta, però, bussò di nuovo, con garbo, in un modo che il ragazzo subito riconobbe e ricondusse a Noah.

Il suo cuore fece una specie di capriola non appena si rese conto di avere due possibilità: parlare a quell'uomo oppure fingere di dormire, ignorarlo e non avere nessuna opportunità per salutarlo un'ultima volta prima della partenza.

Deglutì a vuoto, poi non ce la fece oltre, scostò le coperte, si alzò e andò ad aprire. Non guardò McKay negli occhi. «Sono stanco, stavo per addormentarmi» mentì.

Noah esitò. «Cas, ascolta... non sono sicuro che sia una buona idea partire. Non me la sento di lasciarti qui. Non ti vedo tranquillo, d'accordo? Non sono uno stupido e mi sono accorto che qualcosa non va.»

«Beh, questo non cambia granché le cose. Si tratta di tuo padre, della tua famiglia, non puoi rimandare o fregartene.»

L'uomo parve vincere finalmente una dura lotta interiore e disse: «Allora vieni con me. Davvero, Casey: vieni via con me e fanculo a Simon, fanculo Caverney Town. Vuoi la libertà? Te la sto offrendo. Non mi importa se poi vorrai andare per la tua strada, mi basta solo non saperti qui in balia di Simon. Anche se con te c'è Irene, sento che non basterebbe a salvarti da quel bastardo se lui decidesse di farti del male».

Leroin implorò il proprio cuore di smetterla di galoppare come un cavallo impazzito. Pregò la propria mente di cessare di presentargli rosei scenari di lui e Noah di nuovo insieme in quel vecchio e malandato appartamento, liberi e lontani dal pericolo. «Sai che non posso farlo. Forse starebbe bene ad Irene e Dominic, ma Simon ci troverebbe anche in capo al mondo. Non mi lascerebbe mai andare via. Hai visto anche tu che riesce sempre a ottenere quel che vuole, a ritrovarmi. Ne hai pagato tu stesso le conseguenze.» Anche se nella stanza era buio e la sola fonte di illuminazione proveniva dal corridoio, lo stesso distingueva alla perfezione il viso e l'espressione dell'uomo, quegli occhi castani imploranti e colmi di turbamento, di apprensione nei suoi riguardi.

Noah, spazientito, accese la luce e si chiuse la porta alle spalle. «Sei riuscito a fuggire in passato, puoi farlo ancora! Ti prego, Casey!» esclamò sottovoce disperato, afferrandogli le spalle.

Casey si umettò le labbra e si impose, per l'ennesima volta, di non incrociare lo sguardo di McKay, malgrado avesse già fallito una volta nel tener fede a quell'ordine. Quella vicinanza ridotta, quella sensazione piacevole trasmessa dalle mani dell'uomo sulle braccia, il calore che riusciva ad avvertire anche attraverso la flanella del pigiama, non lo aiutavano un granché a mantenere il controllo.

Gli tornò in mente quando, ormai due giorni prima, colto da un accesso di felice entusiasmo aveva incoraggiato Noah a posare una mano sul suo grembo per sentire uno dei gemelli scalciare. Ricordò di come, alla fine, le loro dita si fossero intrecciate e poi fossero finiti per scambiarsi delle tenere e impreviste effusioni sul divano. Ammetteva con se stesso di aver desiderato, solo per un attimo, di poter andare oltre, di poter per una volta lenire la smania che ultimamente, di tanto in tanto, lo assaliva. Anche se i ricordi di quanto subito da parte di Dominic erano ancora impressi nella sua memoria, sapeva che Noah era un uomo molto diverso e a volte si ritrovava a desiderarlo, a desiderare di poter portare quella sorta di inciucio a un livello più alto e ancor più intimo, meno casto e più passionale.

Voleva tornare a sentirsi una persona normale, dimenticare per sempre il doloroso passato, quella sensazione di sporco che sempre gli faceva visita quando richiamava alla mente ciò che Dominic gli aveva fatto. Forse avere rapporti sessuali con qualcun altro non avrebbe fatto alcuna differenza e non era la risposta al suo problema, ma... avrebbe tanto voluto sentirsi amato, solo per un istante, per un breve attimo. Amato e rispettato, trattato come una persona e non un mero oggetto.

C'erano tante cose che avrebbe tanto bramato, ma... non poteva dar ascolto agli impulsi, non quella notte. Non con quell'uomo.

«V-Vai a dormire, Noah. Domani parti e sarebbe un problema rischiare di addormentarsi al volante, no?» fece infine, cercando di divincolarsi dalla sua stretta, per quanto essa fosse gentile e piacevole, rassicurante.

Noah lo passò in rassegna, poi scosse la testa, mandò al diavolo ogni buon proposito, ogni reticenza, ogni volontà di aspettare, di fare tanto altro, e lo baciò.
Fu un bacio famelico, umido di lacrime, un'effusione che pretendeva molto più di semplici carezze sul volto, almeno quella notte. Pretendeva di più e non avrebbe accettato nulla di meno.

Casey all'inizio ricambiò, ma poi lo scostò con una mano e disse, provando a farlo desistere: «Noah, non mi sembra il caso di... è... è meglio di no, credimi».

Non era solo per via di Dominic. Non aveva mai accettato fino in fondo la propria attuale condizione e sì, per quanto in quel momento il suo desiderio fosse lo specchio di quello di Noah, in parte si vergognava. Non era come con Irene, era diverso. Con lei non bramava di fare certe cose come succedeva con McKay. Si vergognava di mostrarsi privo di vestiti, di difese, specialmente perché, ora come ora, la gravidanza gli impediva di risultare almeno un po' vagamente appetibile. Aveva letto, vagando in rete, che molti uomini, quando la loro compagna era incinta, tendevano a perdere il desiderio di giacere con loro per le più svariate ragioni, che fosse per la paura di far del male al bambino o il non trovare abbastanza attraenti le rispettive partner.

Noah, tuttavia, gli afferrò il viso e gli impedì di rifuggire il suo sguardo. Lo guardò dritto negli occhi ambrati e ipnotici, perdendosi in quel vortice di ribollente, vivo oro. «Non esiste nulla che possa fermarmi o scoraggiarmi. Ti prego, vedi questa sera come la promessa di altre cento notti uguali non appena sarò tornato. Lascia che ti ami, Casey.» A meno che non avesse travisato alcuni atteggiamenti del ragazzo, nei giorni passati, credeva di aver inteso bene ogni cosa e per lui non c'era alcun problema. Lo trovava attraente come pochi altri al mondo, gravidanza o meno, in lacrime o sorridente. Non era il suo corpo a essere per lui una sorta di calamita, ma l'anima che vedeva danzare in quelle iridi simili a scintillanti topazi, ad ambra preziosa e inestimabile.

Casey, per quanto tentato, cercò ancora una volta di resistere: «Come puoi dire di amarmi? Mi conosci appena».

«Non so se sia amore o meno, ma so che da quando hai attraversato quella strada e ho corso il rischio di metterti sotto con l'auto, Casey, mi hai restituito un motivo per non svuotare un flacone di pillole e metter fine alla vita miserabile che conducevo. Mi hai offerto una distrazione, poi un obiettivo; hai fatto tornare dentro di me la grinta, quella che non sentivo da tanto! Chi se ne importa del domani, a me interessa questo momento, il presente, e io adesso voglio stare qui con te e darti tutto me stesso, se è ciò che desideri. Dimmi che lo vuoi e sarò tuo, al diavolo il domani.»

Leroin lo guardò a lungo e in silenzio, soppesandolo, cercando di leggere dentro i suoi occhi scuri e buoni. Come poteva negare a lui, e anche a se stesso, una gioia così piccola ed effimera? Era esattamente ciò che voleva e Noah lo aveva capito, aveva compreso il suo silenzioso linguaggio. Per una volta nella vita, una soltanto, poteva anche lasciarsi andare con la sicurezza che sarebbe atterrato sul morbido, fra le braccia di qualcuno che lo rispettava per ciò che era. Qualcuno che gli aveva appena chiesto, anzi lo aveva supplicato, di lasciarsi amare.

Non credo che sopporterei l'idea di poter morire senza averti concesso questo regalo, Noah.

Era così poco quel che McKay gli stava chiedendo, eppure lo stesso era una richiesta preziosa, la più intima che ci fosse. L'aveva attesa, inutile girarci intorno, e ora finalmente era arrivata. Noah era lì, a pochi centimetri da lui, e attendeva una qualsivoglia mossa, una risposta, ma Casey non fiatò. Si scostò e raggiunse la porta, ma quando Noah si preparò ad uscire e a mollare la presa, il ragazzo girò la chiave nella toppa. Non voleva nessuno fra i piedi. Non avrebbe permesso ad anima viva di disturbarli, di negargli quel momento di intimità con l'uomo che tanto desiderava stringere in un abbraccio tutt'altro che casto e innocente. Lo voleva. Voleva che la sua pelle olivastra si mescolasse alla sua, che il suono di frenetico attrito si mescolasse al sudore di entrambi, ai gemiti e agli ansiti d'estasi.

Lo voleva dentro il proprio corpo per poter godere, solo per brevi istanti, dell'illusione che in tal maniera, in qualche modo, lo avrebbe avuto sempre con sé. Ricordi struggenti da stringere al cuore nelle notti di tristezza e di sconforto che avrebbe presto dovuto fronteggiare.

Noah, con la gola secca, trattenne il fiato e lo osservò tornare indietro, poi in silenzio sollevarsi sulle punte e allacciargli le braccia attorno al collo. «Non farmi pentire di quanto sto per donarti» sussurrò Casey sulle sue labbra, sigillando dunque la solenne richiesta con un bacio dolce, un po' goffo e inesperto, quello di un ragazzo che per la prima volta stava affrontando un passo importante della propria vita in maniera del tutto consenziente e per nulla forzata.

Si baciarono a lungo, esplorarono l'uno la bocca dell'altro, come se fosse la prima volta da ogni punto di vista. Era diverso rispetto a quando si erano scambiati semplici e innocue effusioni. Dietro a ogni carezza, a ogni incontro fra le loro labbra, v'era una volontà disperata e cieca, irrazionale, che prometteva un piacevole e soddisfacente torpore dei sensi.

Noah fece scorrere le dita sulla guancia serica e calda del giovane, sul suo collo pallido come quello di un cigno; ne onorò la linea aggraziata ed esalò un sospiro deliziato mentre una mano di Casey, invece, affondava tra i suoi capelli, ora tirandoli senza esser brutale, ora spettinandoli e saggiandoli col tatto per riscoprirne la morbidezza.

Tra un passo di corteggiamento e un altro, come accadeva di solito in una danza, Noah fece arretrare il ragazzo fino al letto e lì lo fece distendere con gentilezza, come se fra le sue braccia vi fosse una statua di fragile e sottile cristallo che si sarebbe frantumata al minimo e brusco gesto. Posò le mani ai lati del capo di Leroin e scostò delle ciocche fulve dal suo viso leggermente colorito. Casey era di una bellezza dolce e soave, simile a una giornata di fine primavera, una di quelle che precedeva l'arrivo dell'estate.

Capì di voler ad ogni costo tornare al più presto da lui, una volta che fosse partito l'indomani mattina; comprese di voler bearsi della vista di lui in quelle condizioni a dir poco sublimi ancora una volta, altre cento, mille, finché gli avesse permesso di restare al suo fianco. Si rese conto di non voler perderlo per nulla al mondo, se non su sua esplicita richiesta.

Tornò a baciarlo, rifugiandosi nell'accogliente tepore delle sue braccia, cercando di non dimenticare le sue condizioni e di non nuocergli in alcun modo. Non voleva fargli del male, proprio come non voleva farne neppure alle creature che dentro di lui attendevano di nascere. Proteggerlo e amarlo. Voleva solo questo. «Sboccia per me, Casey. Fiorisci come fanno le rose» mormorò contro il suo collo, lasciando che per la prima volta i loro corpi si scontrassero e avessero un primo assaggio della piacevole agonia che presto sarebbe arrivata, travolgendoli.

Quelle parole, per qualche ragione, forse per la loro sincera poeticità, accesero in Casey un istinto che già più volte lo aveva solleticato: quello di lasciarsi consumare dalle fiamme e perdersi nella ricerca di sensazioni sospese in un dolce limbo fra piacere e languore. Goffamente, con gesti imprecisi e febbrili, il giovane Indigo slacciò i bottoni della camicia dell'uomo che ormai come un vorace lupo attendeva di divorarlo, anima e corpo.
Gli permise di togliergli il pigiama, la biancheria al di sotto, ormai dimentico dell'imbarazzo, di ogni ritrosia. Sentiva il proprio corpo quasi pulsare in una arrancante e ossessiva ricerca di quello di Noah. Avvertiva la smania accrescere a dismisura, risalire dal basso ventre e dilagare in ogni singola cellula, propagarsi come le scosse di un terremoto ormai inarrestabile.

Si sporse e lo baciò, e mentre lo faceva perse del tutto la ragione, diede retta alla cieca lussuria, e guidò una mano di Noah fra le proprie gambe appena divaricate e tremanti, lì dove la smania aveva origine. Replicò ciò che aveva già fatto il giorno prima mentre si faceva una doccia e aveva scelto, solo per una volta, di cedere alla tutt'altro innocente curiosità, di fare quello che ai giorni attuali alcuni tendevano ancora a condannare o a vedere come qualcosa di disdicevole o pietoso.
Vide negli occhi castani di McKay un guizzo di comprensione, poi un accenno di esitazione. «Toccami» sussurrò senza fiato Leroin. Voleva assaporare ogni momento, far durare di più quanto stava accadendo fra di loro. «Sono io a chiederti di farlo.»

Noah annuì e si chinò per baciarlo. Lo fece dolcemente e sempre con delicatezza si decise a dargli un primo accenno di piacere e sollievo lasciando che prima una falange, poi due, affondassero nella scivolosa intimità dell'Indigo. Non era la prima volta che faceva una cosa come quella, era già accaduto tante volte con la sua defunta compagna e non doveva far altro che ritrovare un po' di scioltezza.

Forse sarebbe stato diverso se Casey non fosse stato un Indigo e non avesse posseduto un apparato genitale prettamente femminile, non ne era del tutto certo.

Osservò rapito le reazioni del ragazzo, lo vide agitarsi sulle coperte, inarcare la schiena e ricacciare indietro gemiti soddisfatti. Non dovevano dimenticare che non erano da soli in casa e il vecchio Tarren non avrebbe reagito bene se li avesse beccati a fare certe cose sotto il suo naso.

Dopo un paio di minuti, comunque, ritrasse le dita su richiesta di Leroin, il quale, a quanto pareva, voleva passare al livello successivo.

L'uomo, il lupo, lo fece allora voltare con garbo per evitare di danneggiare quelle due piccole vite ignare dell'incendio che si stava consumando fra le lenzuola. Gli afferrò un fianco con una mano, l'altra invece portò a compimento l'incarnazione della brama di entrambi. Noah scivolò dentro il corpo minuto di Casey, reso florido e al tempo stesso fragile dalla gestazione.

Un primo affondo. Il ragazzo lo sentì arrivare con languida consapevolezza e contrasse le labbra in una smorfia fra il dolore e il piacere, ancora non molto abituato ad accogliere dentro di sé la passione altrui. Un conto era un paio di falangi, un altro la virilità di un uomo, tuttavia fu diverso rispetto a quando era stato posseduto con la forza da Dominic.

Non faceva male, la sola cosa che riusciva a percepire fra le proprie gambe era la disperata attesa di altre fiamme che lo avrebbero consumato. «Noah» sussurrò, a metà fra una supplica incrinata e un gemito lascivo. Posò una mano sulla testiera del letto per aggrapparsi a qualcosa, qualunque cosa potesse consentirgli di rimanere in equilibrio in quella posizione in parte rischiosa.

Per McKay quello fu il segnale, il permesso di continuare, e lo fece. Danzò contro le carni dell'Indigo e sovrappose nel frattempo le proprie mani alle sue, permettendo alle loro dita di avvinghiarsi e stringersi in un abbraccio forse più intimo dell'atto che stavano compiendo.
Le sue orecchie vennero invase dai lascivi lamenti e dai sospiri di Casey che lo resero ebbro e cieco di lussuria, lo incoraggiarono a dargli tutto se stesso, a dichiararsi il nuovo padrone di quei campi immacolati, di quella coppa di vino traboccante che anziché dissetarlo lo rendeva ancora più bramoso di estinguere la sete.

La sua vista in parte annebbiata dal piacere catturò ogni singolo movimento del corpo di Casey, il modo languido e arrendevole con cui il ragazzo sinuosamente scivolò in avanti, sottomettendosi completamente al suo volere in un'offerta sacra e profana al tempo stesso.
Non c'era più bisogno di parole.
Gli afferrò saldamente i fianchi candidi come la luce lunare che filtrava attraverso le tende e lo accontentò, ricolmò la sua coppa, anche se continuava a svuotarsi e a richiedere sempre più nettare. Lui glielo concesse fino all'ultima goccia, finché non si sentì pervadere da un calore soverchiante e non gettò all'indietro la testa, permettendo al fuoco di lambirlo completamente, fino all'osso.

A giudicare dalle parole sconnesse e prive di senso compiuto che udì provenire da Casey, le fiamme avevano infine avvolto anche lui nel loro distruttivo, infuocato e irresistibile abbraccio.

Riaprì le palpebre, nelle orecchie la voce sua e del ragazzo unite in un canto di accoppiamento privo di parole e ricco invece di suoni, versi lascivi e grida. Vide le sue bianche dita stritolare le lenzuola, la sua schiena inarcarsi nel tentativo di far aderire ancor di più i loro corpi, ma l'ultima potente spinta parve farlo rinunciare .

Noah, dopo esser rimasto immobile e aver fatto scorrere le dita sulla pelle scivolosa del giovane Indigo mentre assaporava per l'ultima volta gli effetti della lussuria su quel fragile e pallido corpo, lentamente si ritrasse e si lasciò cadere al suo fianco, il respiro corto e il cuore impegnato in una furibonda corsa sul posto. Allungò una mano e lo fece voltare dolcemente per guardarlo negli occhi come non aveva potuto fare fino ad allora; li vide lucidi e febbrili, di un oro più intenso che mai, specchi sinceri del languore che aveva contraddistinto il loro proprietario in quei minuti di frenesia.

Noah si avvicinò e lo baciò, togliendogli il fiato che gli restava dopo tanto ardore. Casey allacciò un braccio al suo collo, gli cinse i fianchi con le gambe, avvinghiandoglisi in un abbraccio sospeso sui rimasugli di poco fa e l'improvvisa volontà di ricevere attenzioni tenere e soavi. Interruppero il bacio per tornare a respirare e ancora una volta fecero l'amore, anche se con i soli sguardi. Lontani anni luce da tutto il resto, da Daffodil Manor, dalla vita che aveva spinto Noah a dover tornare all'asettica realtà quotidiana, da ogni cosa che minacciava di sciogliere il loro intimo abbraccio.

Noah osservò in silenzio il ragazzo. Sembrava ebbro quanto lui, istupidito e spogliato della ragione e del decoro che solo fino a poco prima aveva continuato a mostrare.

Privo di armatura e difese, bello da togliere il fiato, incantevole come una serata trascorsa al chiaro di luna piena in riva a un lago dalla superficie resa luccicante dal riflesso del firmamento. Splendido come un soggiorno in un'oasi dopo tanto errare nel deserto. Meraviglioso come la vita che Casey gli aveva ricordato dovesse esser vissuta fino all'ultimo istante.
Gli baciò la fronte dolcemente, poi pose contro di essa la propria, sfiorando la sua schiena esile con la punta delle dita, carezzando la sua pelle vellutata e ancora un po' scivolosa per via del sudore. Piegò le labbra in un sorriso beffardo, una luce giocosa ad animargli lo sguardo. «E tu che volevi spedirmi a letto senza prima esserci salutati a dovere, razza di testone» sussurrò teneramente. «Non mi pento di niente di ciò che abbiamo fatto stanotte. E tu?»

Casey era docile come un innocente agnello appena affacciatosi alla vita, sembrava avere occhi solo per lui. Forse si trattò di un mero gioco di luci o magari Noah era talmente stanco dopo l'amplesso da immaginarsi cose che non erano reali, ma per un attimo vide quegli occhi ambrati venir attraversati da una fulminea ombra di malinconia che, tuttavia, durò pochissimo, meno di un battito del cuore.

Le labbra di Casey, dunque, si piegarono in un sorriso mai visto prima, dolce e rivelatore. «Neanch'io.» Il giovane Indigo, senza divincolarsi del tutto dall'abbraccio con Noah, scivolò ancora più vicino a lui finché non gli fu cavalcioni. «Sei troppo stanco per un bis?» sussurrò mentre gli sfiorava il torace con le dita. Era come se dopo aver assaporato l'estasi non riuscisse più a farne a meno. Noah aveva su di lui un effetto molto simile alla droga, a quei farmaci che davano assuefazione se presi con fin troppa costanza.

Noah gli sfiorò i fianchi, poi risalì con una mano fino al suo viso e glielo accarezzò dolcemente. «Se vuoi possiamo andare avanti tutta la notte» mormorò in risposta, ormai in preda a un autentico incantesimo. «Sicuro di non essere stanco? Insomma...»

Casey gli pose l'indice sulle labbra. «Sto benissimo» gli assicurò. «È solo te che voglio.»

L'uomo lo guardò in silenzio per attimi che parvero durare un'eternità. «Va bene, allora.» Riuscì a dire solamente questo prima che l'Indigo si chinasse su di lui per baciarlo, di nuovo in preda a un ardore cieco e irrazionale, delineato da sfumature di disperazione. «Voglio che tu sappia», disse mentre per la prima volta prendeva il controllo sulla situazione e univa di sua spontanea volontà i loro corpi per la seconda volta, «che ti aspetterò in eterno, se necessario.» E non esagerava. Non stava scherzando. Sapeva, in cuor proprio, che lo avrebbe atteso fino all'ultimo, che la sua vita si fosse interrotta fra qualche mese o dopo anni e anni di vane speranze destinate a sgretolarsi.

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