𝐗𝐗𝐈. 𝐒𝐭𝐫𝐮𝐠𝐠𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐛𝐞𝐥𝐥𝐞𝐳𝐳𝐚
Noah fissava qui e là le vetrine mentre camminava accanto a Casey e Irene, invece, come il capitano di una squadra si trovava davanti a loro e tentava di svagarsi in ogni maniera. A quanto pareva ci aveva preso gusto a scegliere per i futuri nipoti ogni genere di accessorio, specialmente i vestitini, e la passeggiata principale del centro cittadino dove si concentrava la maggior parte dei negozi e delle boutique le offriva una quantità ridicolmente ampia di sollazzi.
«Ma guardala, sembra una bimba al luna park» commentò Cas, cercando di suonare normale.
Noah sghignazzò e gli scoccò una divertita occhiata in tralice. «Dai, lasciala fare. Retroscena o no, resta sempre la zia dei tuoi marmocchi. Quale zia non adora viziare i propri nipotini?»
Casey sbuffò tra sé e roteò gli occhi, poi domandò, spinto da una sincera curiosità: «Hai detto di avere una sorella. Lei è sposata?»
«Fidanzata, ma ancora niente figli. È una donna in carriera e non la entusiasma il discorso riguardo alla maternità. A dire la verità a lei non piacciono i bambini e viceversa, non ha mai saputo rapportarsi più di tanto con loro e proprio non tollera sentirli piangere. Li considera fastidiosi.»
«Posso capirla, credimi» commentò Casey, sistemandosi la sciarpa. Era diventato più sensibile al freddo e col senno di poi iniziava a pentirsi di aver seguito Irene in quell'assurda caccia al corredo per neonati. Considerando che gli era vietato mangiare quel che gli pareva e che il farmaco naturale prescritto da Connors, come una sorta di sadico contrappasso, aveva l'effetto collaterale di ingigantire lo stimolo della fame e di causare anche un po' di sonnolenza, il suo umore non era decisamente alle stelle. La situazione circa il difetto nei suoi globuli rossi e nelle piastrine sembrava esser rimasta stabile, nessun apparente peggioramento, ma preferiva non adagiarsi troppo sugli allori e ricordare una cosa fondamentale: così come le cose potevano andare meglio, c'era sempre il rischio che potessero andare peggio e, nel suo caso, c'era un solido margine di probabilità che finisse per imboccare il secondo sentiero.
Noah ancora non sapeva di quella faccenda e Casey si era premurato di ricordare ogni giorno a Irene e persino a Dominic di tenere l'acqua in bocca per il quieto vivere di tutti quanti. Casa Tarren era un'autentica polveriera e la questione del difetto genetico di Casey sembrava la scintilla più appropriata a far saltare in aria tutto quanto. Leroin già faticava un bel po' a evitare di far ribollire il sangue dalla rabbia a Simon e non credeva sarebbe riuscito a gestire nel frattempo un Noah McKay preoccupato a morte per lui e per giunta furibondo per esser stato tenuto all'oscuro delle ultime, spiacevoli novità.
Diamine, poi sì che avrebbe mandato tutto alle ortiche e si sarebbe chiuso nella sua stanza a chiave fino al giorno del parto. Almeno si sarebbe risparmiato un sacco di rogne.
«Parlami un po' della tua famiglia, dai» incalzò, deciso a sapere di più sul conto della famiglia McKay. Fino ad allora avevano sempre parlato sempre e solo di lui, dei suoi problemi, della situazione disastrosa nella quale era incappato e di come uscirne tutti quanti lindi e pinti come cigni; Noah, invece, quasi mai aveva accennato al proprio passato, ai parenti che si era lasciato alle spalle e con i quali non poteva interagire in alcun modo per cause di forza maggiore.
Casey lo osservò stringere le spalle e muovere appena le mani dentro le tasche del cappotto. Non si era mai reso conto, fino ad allora, di quanto Noah potesse apparire attraente. Da quando gli era stato concesso di vivere fuori dal seminterrato Irene si era intestardita di rimetterlo in sesto dal punto di vista esteriore e aveva fatto un lavoro egregio: ora che la barba dell'uomo era stata accorciata e risultava ben curata, se si consideravano poi i capelli tagliati a regola d'arte e gli abiti che gli davano un'aria di sofisticata semplicità, sembrava quasi esser ringiovanito di almeno dieci anni. Casey, in quel preciso istante, solo per scherzare lo avrebbe apostrofato con il solito appellativo di ‟vecchiaccio". Certo, a volte sentiva la mancanza del Noah iniziale che andava in giro con le camicie a quadri dalle maniche arrotolate abbinate a magliette sgualcite con il logo di storiche band che avevano reso il rock immortale; gli mancavano la sua chioma un po' spettinata e la barba decisamente più incolta, quella sciatteria generale che lo aveva reso tuttavia iconico ai suoi occhi, ma solo un ipocrita avrebbe affermato che Irene non avesse compiuto un vero miracolo.
«Mio padre faceva il poliziotto e ora è in pensione» spiegò McKay. «Lo ha costretto mia madre ad andarci un po' prima quando rimase ferito durante una rapina e... insomma, non posso darle torto. Avrei agito alla stessa maniera.»
«Per fortuna è sopravvissuto» commentò Casey.
«Sì, in effetti è stato molto fortunato.»
«Tua madre, invece?»
«Oh, lei faceva l'insegnante di scuola elementare.»
Leroin sorrise appena. «Sai...» disse, osservandolo di nuovo. «Si vede subito che vuoi loro molto bene. Poco fa, mentre parlavi, i tuoi occhi erano più luminosi.»
«Tengo molto a loro, ma mi sono allontanato un po' da quando Meredith...» Noah si morse la lingua e sospirò. Casey non subito riuscì a porgli la fatidica domanda. Farlo rattristare non era di certo il suo obiettivo. «Che le è successo, se posso chiederlo?» Sin da quando aveva conosciuto Noah aveva percepito che dietro all'assenza della donna vi fossero retroscena poco piacevoli e per tale motivo aveva sempre cercato di evitare di soffermarsi sulla faccenda, ma ora che si conoscevano meglio sentiva di poter rischiare un po' di più.
McKay deglutì, tornando per un attimo a quel fatidico giorno: lui che tornava dal turno diurno del lavoro e invano annunciava di esser rientrato; il silenzio che lo aveva accolto nell'appartamento, i suoi tentativi di chiamare Meredith e il vuoto assoluto che aveva ricevuto in risposta, poi... poi era successo.
«L'ho trovata in camera da letto, sotto le coperte. Sembrava addormentata, almeno finché ho... v-visto il flacone vuoto. Le aveva prese tutte, le pillole. Ho chiamato l'ambulanza, ma non c'era più niente da fare. Penso sempre di non esserle stato troppo accanto, di averla lasciata da sola a gestire il dolore e la depressione. Quella mattina avevamo discusso, io ero arrivato al capolinea, non ce la facevo più a vederla in quel modo e sono esploso. È stata l'ultima volta che abbiamo parlato e non ho mai avuto il tempo di dirle che mi dispiaceva, che ero stato insensibile, un egoista. Mi ero rinchiuso nel mio dolore e avevo dimenticato di non essere il solo a soffrire.»
Casey si fermò e lo guardò interdetto. Non si era immaginato neanche lontanamente una cosa come quella. Aveva pensato, piuttosto, a un brutto divorzio o qualcosa del genere, ma spesso la verità era assai peggiore della fantasia e delle congetture. «Io... mi dispiace, Noah, davvero. Non avrei dovuto chiedertelo.» Gli aveva fatto rivivere tutta quella situazione orribile. Certo, non avrebbe mai potuto indovinare una cosa simile, ma lo stesso si odiava per aver posto quella domanda.
Noah, tuttavia, scosse il capo. «Tranquillo. Non potevi saperlo, Casey. Hai solo chiesto, com'era in tuo diritto fare. In fin dei conti io di te so vita, morte e miracoli, mentre tu quasi niente di me. È giusto voler pareggiare i conti. Ora anche tu sai com'è stata la mia vita prima che ci incontrassimo.» Forzò un sorriso e come a voler ritrovare un po' di pace interiore, si focalizzò sul ragazzo e il suo viso bianco come il latte leggermente arrossato sulle gote per via dell'aria fredda e frizzante di dicembre; i suoi grandi occhi castano ambrati ora puntati altrove, le sue labbra rosee. Era il ritratto della vita e di quanto essa, in gioventù, fosse pulsante e radiosa.
Malgrado tutto doveva riconoscere che Casey fosse molto bello; senza neanche saperlo rappresentava davvero, in parte, l'idea che ci si sarebbe potuti fare di un principe. In fin dei conti era anche questo, no? Lo era, seppur ignaro della sacralità del sangue che gli scorreva nelle vene.
In quei giorni, trascorsi con a dir poco infinita lentezza, il legame fra loro si era rafforzato. Anche se di tanto in tanto lo aveva sfiorato l'idea che quel ragazzo gli stesse nascondendo qualcosa, aveva sempre accantonato la sensazione, si era detto che era lui a esser troppo apprensivo e paranoico, magari proprio per colpa di quanto accaduto con Meredith.
La paura che potesse accadere qualcosa anche a Casey era sempre in un angolo della sua mente, pronta a tornare ad angosciarlo nei momenti in cui si arrischiava a riflettere sul futuro, e in quel preciso momento si stava chiedendo se fosse normale provare fino a tal punto una simile paura per qualcuno che classificava come un amico, un compagno di sventure.
Perché vorrei baciarlo, proprio qui e adesso?
Tale pensiero gli fece contorcere lo stomaco e lo indusse a provare un misto di vergogna e ribrezzo per se stesso.
È solo un ragazzo.
Scosse la testa e lo raggiunse, dato che Casey, perso nei pensieri, aveva continuato a camminare e lo aveva lasciato indietro.
Dopo un po' di tempo il giovane tornò a parlare: «Tra una settimana sarà il mio compleanno, sai?» Il suo tono di voce era distratto, ma era chiaro che stesse parlando con Noah. Quest'ultimo annuì. «Lo so, lo avevi detto all'inizio, quando ci siamo conosciuti.»
«Già...» Leroin sbuffò una risata. «Ogni anno, quando arriva quel giorno, mi assale sempre la tristezza. Vedo gli altri felici, io invece non lo sono. Credo sia perché... beh, considero stupido festeggiare un'occasione del genere. Si tratta di un intero anno in meno su questa Terra, in questa vita. Davvero si deve gioire di una cosa così ingiusta e crudele? È un dannato conto alla rovescia e la maggior parte delle persone lo osserva e accoglie come se fosse qualcosa per cui stare allegri. È una cosa che non riesco a capire, poco importa quante volte io abbia provato a farlo. È come se tutti gli altri parlassero qualche lingua stramba che io non comprendo.»
Noah scosse il capo. «Non è per quello che si festeggia il compleanno, Cas. È un omaggio al tempo che abbiamo trascorso vivendo fino a quel momento. Si festeggia la vita, non l'avvicinarsi della fine. Credo che tu la veda così perché sei di natura un po' pessimista. C'è chi riesce a vedere il bicchiere mezzo pieno e chi lo vede mezzo vuoto, Casey, e va bene così. Non si tratta di essere strani o anormali. Ognuno è fatto a modo suo.»
Casey abbozzò un sorriso malinconico. «Ho sempre pensato che alla fine siano i pessimisti a vedere le cose per ciò che realmente sono. Insomma... di solito sono quelli che soffrono di meno quando qualcosa non va come speravano o pensavano. Sin da subito si aspettano il peggio e spesso non rimangono delusi. Ci si fa meno male, a mio parere.»
«Esiste una via di mezzo, però. Non può esser tutto bianco o nero.»
«Anche questo è vero.»
Noah gli strinse una spalla, poi infilò di nuovo le mani nelle tasche del soprabito. «Allora, cosa ti andrebbe di fare quel giorno?»
«Non lo so, non lo festeggio più da quando avevo dieci anni. Mia madre e mio nonno insistevano sempre per farmi cambiare idea, ma a me semplicemente non interessava. Mi basta essere ancora vivo, specie con tutto quello che è successo. Sono grato alla vita per esser ancora qui, non oso chiedere di più e non mi serve nulla.»
McKay tacque e ancora una volta ebbe l'impressione di quanto Casey sembrasse cambiato, anche se questi aveva fatto di tutto per nasconderlo. Non era lo stesso, c'era qualcosa nei suoi occhi di non detto, di celato.
Non era solo una sensazione, era la verità.
Sospirò e una nuvoletta di vapore si disperse nell'aria. Guardò il cielo e comprese che forse, prima o poi, avrebbe nevicato.
Videro Irene tornare da loro, sembrava aver fatto incetta nei negozi.
«Barbie, solo perché sei strapiena di soldi non devi per forza spenderli tutti, sai?» l'apostrofò Casey, tornando al piglio di sempre.
Irene sbuffò. «Oh, sta' zitto! Dovresti esser tu a occupartene, anzi! Due gemelli in arrivo e sembra che sia io quella che dovrà partorire! Pare quasi che tu ormai ti sia messo il cuore in pace e ti sia convinto che finirai davvero per dissanguarti e non arrivare mai ad accudire quelle pesti!» Troppo tardi si rese conto di quante cose avesse spifferato.
Vide Casey irrigidirsi sul posto e guardare lentamente in direzione di Noah. L'uomo batté le palpebre e si convinse di aver capito male. «Dissanguarti?» Incrociò lo sguardo del ragazzo e malgrado quell'unica parola in sé per sé risultasse vaga, capì lo stesso che nascondeva qualcosa di grosso e possibilmente grave. Respirò profondamente e provò a mantenere la calma. «Okay, credo mi dobbiate delle spiegazioni e pretendo di averle adesso, non domani o fra una settimana. Ora, Casey.»
Irene deglutì e alla fine propose di andare in un locale lì vicino per parlare e stare nel frattempo al caldo. Non era comunque un bene che Leroin rimanesse per troppo tempo esposto al freddo.
Una volta arrivati lì e sistematisi a un tavolo, tra il chiacchiericcio comune e il suono della caffetteria in movimento e all'opera, sembrò cominciare una silenziosa sfida, quella che verteva su chi per primo avrebbe inaugurato il discorso.
Casey decise di prender in mano la situazione. Si rilassò contro lo schienale della seggiola e dalla tasca della giacca estrasse un piccolo flacone privo di etichetta e lo fece scivolare sul tavolo verso Noah che gli sedeva di fronte.
«Mi hai chiesto perché ultimamente prendo sempre un po' di questa roba» iniziò. «Ti ho detto che erano semplici vitamine, ma era una bugia, Noah.» Si prese un attimo prima di decidersi a vuotare il sacco e a spiegare per filo e per segno, aiutato di tanto in tanto da Irene, la diagnosi del dottor Connors e le possibili conseguenze di quest'ultima sull'esito del parto che si stava avvicinando sempre di più. Per tutto il tempo della conversazione a senso unico non osò guardare in faccia Noah, incapace di osare fino a tal punto. Si odiava per averlo tenuto all'oscuro di tutto, eppure sapeva di averlo fatto per una buona causa, per evitare di farlo star male. In quelle settimane non gli erano sfuggiti gli sguardi apprensivi che di tanto in tanto McKay gli aveva lanciato e non occorreva esser dei geni per capire cosa si celasse in quelle occhiate: Noah aveva paura per lui, era preoccupato, ecco il motivo per cui Casey e Irene avevano taciuto.
A cosa sarebbe servito aggiungere quel peso sulle spalle di un uomo già provato dalla situazione in generale?
Noah fino ad allora si era rigirato nella mano il flacone e aveva ascoltato in rigoroso silenzio ogni singola parola. Lo posò e con molta, troppa calma, finalmente sollevò le iridi scure e le piantò sul ragazzo. «C'è una ragione valida per cui me lo hai tenuto nascosto, vero?» Non v'era accusa nella sua voce, voleva solo capire. Ovviamente dentro era un concentrato di ansia e angoscia, in parte era anche irritato per aver fatto la parte dello scemo di turno, ma non era il momento né il luogo adatto per eventuali scenate. E poi... a cosa sarebbe servito arrabbiarsi?
Da un lato avrebbe voluto prender qualcosa a calci, ma dall'altro una parte di lui ancora ciecamente ottimista si rifiutava di pensare che tutto sarebbe andato a finire male. Il lieto fine esisteva, non era una mera favoletta. Bastava solo sapersi accontentare e al momento voleva solo che Casey sopravvivesse e riuscisse a liberarsi una volta per tutte dal giogo di Simon Tarren e sì, anche di Dominic. Voleva solo questo, il resto non aveva importanza.
Le mani di Casey tremavano e il giovane, allora, le celò sotto il tavolo. «Temevo avresti dato di matto. È già una situazione difficile così, non volevo farti preoccupare ancora di più. Era un peso che non volevo metterti sulle spalle.»
«Ossia?»
Irene intervenne.
«Il fatto che Casey aspetti dei gemelli è un fattore aggravante. Per la nostra specie e gli Indigo, specialmente, quando un problema come il suo e una gravidanza gemellare si mescolano, tutto diventa una roulette russa. Non si è mai sicuri di cosa potrebbe accadere durante o alla fine della gestazione.»
«Avevate detto che avrebbe ricevuto la migliore assistenza medica» ribatté Noah. «Se è così non dovrebbero esserci rischi, no? Sei stata tu a dire che avresti fatto tutto quello che potevi per assicurarti che Casey ne sarebbe uscito incolume e vivo. Parole tue, Irene, non mie.»
Il discorso di Casey di settimane prima, la promessa che ancora in quel momento pendeva sopra le loro teste come un'oscura profezia, tornarono a risuonare nel suo cervello, ma non le ascoltò.
Irene si coprì naso e bocca con le mani giunte, fece un respiro profondo e replicò, scandendo ogni sillaba: «I rischi ci sono, invece. Purtroppo ci sono dei rischi, Noah. Il dottor Connors può dargli tutta l'assistenza del mondo, così come addirittura l'intero ‟entourage" ospedaliero, ma non siamo sicuri di cosa succederà quel giorno. Molte complicazioni potrebbero insorgere. Non ti ho mai assicurato che Casey sarebbe stato al sicuro fino in fondo, al cento per cento. Mai, Noah. Non mettermi in bocca frasi che non ho pronunciato.»
«Non è detta che vada così. Un margine di speranza resta sempre» intervenne Casey, preoccupato di fronte alla reazione di McKay che sembrava una progressiva discesa nel terrore e nella confusione. Era come se lo avessero bastonato a sangue senza un motivo, per niente bello da vedere.
Noah lo guardò. Aveva la vista sfocata e tremula, non riusciva a vedere con chiarezza ciò che lo circondava. «Perché mi sembra tanto che tu voglia solo rassicurarmi? Non hai la faccia di uno che ci crede veramente.»
Irene capì di dover dar loro un po' di privacy e si alzò con la scusa di voler ordinare qualcosa al bar. Si assentò anche perché non voleva peggiorare la situazione e tendeva a fare un bel po' di disastri quando la sua pazienza veniva meno.
Casey deglutì e si rimise in tasca il flaconcino. «Hai ragione, non ci credo, ma non posso nemmeno darmi per spacciato. Ho bisogno di pensare che sopravvivrò, Noah. Devo convincermi che andrà tutto bene perché altrimenti non so quanta sanità mentale mi rimarrà quando arriverà il momento cruciale.»
«E se non accadesse?» insisté l'uomo.
«Allora manterrai la promessa che mi hai fatto.»
Noah si passò una mano sulla bocca e guardò altrove. Era arrabbiato, ma anche preoccupato, terrorizzato e... ferito.
Davvero dava l'impressione di non esser abbastanza forte da tollerare certe questioni? Cosa vedeva in lui, esattamente, Casey? Cosa vedeva ogni volta che lo guardava? Un uomo debole e spezzato dal proprio passato, così tanto da non poter sostenere il benché minimo peso?
Scosse il capo e tornò a incrociare gli occhi di Leroin. «Io non me ne vado senza di te. Mi senti? Non lascerò Caverney Town senza di te. Puoi dire quello che ti pare, ma la mia decisione è questa e non intendo contrattare in alcun modo. O con te o niente, Cas.»
Il ragazzo sospirò, quasi stremato dalla sua caparbietà. «Dovrai farlo. Se le cose dovessero andar male, dovrai farlo. A quel punto non è a me che dovrai pensare, Noah.»
Noah serrò i pugni sopra il tavolo. «Mi stai chiedendo di attraversare una situazione che ho già visto in passato, Casey. Mi chiedi di andare di nuovo avanti senza più qualcuno davvero importante per me. Come potrei crescere quei due bambini senza... senza pensare a te, al fatto che te ne sei andato a causa loro? Come potrei guardarli in faccia e rivederti costantemente sui loro volti? Spiegamelo, perché io davvero non so come cazzo farei a convivere con una simile tortura! Mi stai chiedendo di soffrire come un cane e intanto, però, di tenermi aggrappato a una speranza sempre più sottile e lontana, anche se sei il primo ad aver già mollato la presa!»
Lo sguardo che subito dopo tale discorso si scambiarono valse più di mille parole e... Casey era attonito, spiazzato. «Noah, mi conosci da appena un mese!»
«E con questo? Abbiamo vissuto quasi sempre fianco a fianco da quando è cominciato tutto. Neanche io avevo in programma di sviluppare dei sentimenti verso di te, ma è successo, dannazione! È successo e non riesco a non pensarci ogni singolo minuto!»
Leroin puntò gli occhi da un'altra parte. Non sapeva spiegarsi perché il cuore gli stesse fracassando le costole o come mai, di colpo, sentisse un gran caldo, specialmente sul viso e al centro del petto.
Non gli era mai capitato di sentirsi attratto da altri maschi, neppure una volta, almeno finché Noah non aveva incrociato il suo cammino, ma forse non era questione di attrazione fisica, bensì spirituale.
Non era il fuori ad attrarlo come la fiamma di una candela con una falena, ma ciò che si celava dentro l'involucro mortale.
Di tempo per rifletterci ne aveva avuto molto, ma quando aveva finalmente capito tutto si era ripromesso di non farne mai parola con Noah per non rovinare la loro amicizia, ma quell'uomo aveva appena squarciato il velo, infranto il vetro sottile che li separava e ora Casey tentava disperatamente di intravedere la risposta, una soluzione qualsiasi, fra quelle mille schegge di vetro danzanti.
«I-Io non...» Si sentì un idiota nel non saper più come spiccicare mezza parola e Noah dovette travisare il suo atteggiamento, dato che subito dopo si alzò e disse che sarebbe andato fuori per fumare una sigaretta.
Casey si portò le mani al viso e respirò profondamente, tentò di ricacciare indietro le lacrime e la frustrazione. Era come se si trovasse in un labirinto di specchi e continuasse ad andare alla cieca, a farsi ingannare dai mille riflessi e a scegliere il percorso sbagliato, ingannato dal suo stesso istinto.
Vide Irene tornare, per quanto stentasse a vederci chiaramente. Lei posò le tre piccole tazze fumanti sul tavolo. «Che è successo?» gli chiese cauta. «Dov'è Noah?»
«È... è fuori, è andato a fumare» rispose a stento il ragazzo. Non ce la fece oltre e scoppiò a piangere, fregandosene delle due o tre persone che si voltarono a guardarlo. «Scusa, vado... vado un attimo in bagno.» Si alzò e a dir poco corse via, rifugiandosi nella toilette. Si chiuse in uno dei gabinetti e scivolò contro la parete, premendo il volto sulle ginocchia. Un attimo dopo scoppiò a piangere come un bambino, sopraffatto dagli eventi e dal cuore che dolorosamente non smetteva di galoppare, di sbattergli in faccia che Noah, l'uomo che poco tempo addietro lo aveva quasi investito e che poi lo aveva aiutato a fronteggiare la gravidanza, Dominic e Simon, non era affatto un semplice amico per lui, ma qualcosa di più. Molto di più.
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