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𝐗𝐈𝐈. 𝐏𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐚 𝐕𝐨𝐥𝐩𝐞


Quando ormai la mezzanotte era scoccata da almeno venti minuti e tutti erano finalmente andati a dormire, Irene sgusciò fuori dalla porta della propria stanza e si guardò attorno circospetta, così da assicurarsi che non ci fosse nessuno in giro, specialmente il fratello. Fra di loro era scoppiata una lite a cena: lei, in poche parole, lo aveva minacciato di pesanti ritorsioni da parte sua se si fosse di nuovo azzardato a picchiare o a maltrattare Casey. Non ci aveva visto più. Sentire parlare lui e suo padre di quel povero ragazzo come se si fosse trattato di una cosa di poco conto, di un essere inferiore buono solo a fare la parte dell'incubatrice, era stato troppo persino per una dissimulatrice come lei.

Ovviamente suo padre aveva dato ragione a Dominic, mentre sua madre aveva tentato di mediare la situazione, senza ottenere risultati eclatanti.

Erano andati tutti a letto neri dalla rabbia e, prima di fingere di coricarsi, Irene aveva fatto un salto da Casey e lo aveva avvertito di restare sveglio, infine eccola lì, nel suo pigiama preferito di flanella rosa cipria, intenta ad evitare di far rumore con le pantofole sul parquet. Era una vera fortuna che la loro specie fosse capace di distinguere quasi tutto anche quand'era buio pesto.

Giunta alla porta di Casey aprì piano piano e lo vide seduto sul letto; entrò e chiuse sempre con delicatezza, sospirando non appena vide che il giovane non aveva toccato cibo. Tutto quello che si trovava sul vassoio era ancora intatto e ormai freddo. «Non ti aiuterà fare lo sciopero della fame, piccolo Gandhi» esordì, pur senza rinunciare a un tocco d'ironia anche mentre era impegnata a rimproverarlo.

Casey aveva gli occhi arrossati, era chiaro che avesse pianto di recente. «Ancora non hai capito che farei di tutto pur di far incazzare tuo fratello?» replicò con nero sarcasmo.

«Il problema, Casey, è proprio questo» ribatté Irene, sedendosi all'indiana accanto a lui. «Non hai mai visto Dominic veramente incazzato. Ti assicuro che non sarebbe un bello spettacolo, specie nel caso fossi tu il protagonista della tragica pièce teatrale. Prima o poi finirà per dimenticare che hai nel forno una pagnotta condita col suo DNA o, peggio ancora, se ne sbatterà deliberatamente. Vedremo se poi farai ancora lo smargiasso!»

Il lieve e forzato mezzo ghigno svanì dal viso qui e là tumefatto del ragazzo. «Tu sei arrivata quando ormai era costretto a limitarsi per non far del male alla sola cosa che gli interessi di me. Si era già scaricato in abbondanza, fidati. Quello che ha fatto oggi era decisamente all'acqua di rose. Non rischierebbe mai un aborto spontaneo o chissà cos'altro solo per ricordarmi che sono un Indigo e il mio posto è nel fango.»

«Sia come sia, non è una buona ragione per istigarlo a fare di peggio non appena sarai di nuovo disponibile come un saccone da boxe formato deluxe» disse duramente Irene. «Prima o poi, se non riuscirai a scappare in tempo da questa casa e dalle grinfie della mia famiglia, quel bambino che hai dentro di te nascerà e perderai l'unico vantaggio di cui disponi. A quel punto Dominic non si limiterà a fare solo qualche semplice pensierino circa il mandarti al camposanto a suon di calci nel tuo deretano a mandolino. Non siete fatti per stare insieme, avete caratteri destinati solamente a scontrarsi e a dar vita a una tempesta.»

Casey avrebbe voluto dirle che in realtà aveva ben due garanzie all'interno del proprio ventre che lo proteggevano dalla mano pesante del giovane Tarren, non una, ma non si fidava di Irene e forse mai l'avrebbe fatto. Benché prima o poi l'avrebbero scoperto lo stesso, preferiva non dare una spinta a quella verità, almeno per il momento.

«Perché sei qui? Perché vuoi aiutarmi, Irene? Stronzate a parte, loro sono la tua famiglia e a malapena mi conosci. Potrei non meritare affatto il tuo aiuto. Non ci credo che è solo perché hai una coscienza che ti urla di fare una buona azione.»

Irene roteò gli occhi. «Non hai nemmeno vent'anni, smettila di fare l'uomo di mondo. Nessuno a diciannove anni meriterebbe di vivere così o di esser trattato in certi modi. Pensi di sapere tutto dell'inferno, ma prova a viverci per più di vent'anni come me e poi ne riparliamo. Non hai visto niente dei famigerati Tarren, te lo assicuro. Niente di niente, Casey.»

«Non ci tengo neanche.»

«Allora, zuccherino, fammi il favore di metterti le scarpe e qualcosa addosso per non prender freddo.»

«Perché?»

«Ti porto a fare un giro, mi pare ovvio.»

Casey inarcò un sopracciglio e lei sbuffò. «Vuoi rivedere il tuo amichetto oppure lo lasciamo là sotto a invecchiare come una bottiglia di scotch del millenovecentoventicinque? A te la scelta.»

«Cosa?»

Nel frattempo Irene si era rimessa in piedi e stava recuperando una delle felpe dal cassettone. La lanciò in faccia al ragazzo senza neppure guardare né prender la mira. «Forza, muovi quel culo, o fra la gravidanza e tutto quello che avrai mangiato durante il soggiorno con quel mezzo ispanico metterai su almeno cinquanta chili tutti assieme, credimi! Hop-hop! Un po' di brio!»

Casey, ancora sospettoso, alzò gli occhi al cielo e si infilò la felpa di almeno tre taglie più grandi. «Guarda che Noah non è affatto ispanico» puntualizzò.

Irene sbatté le palpebre e fece spallucce. «A guardarlo sembrerebbe il contrario. La fisionomia parla da sé.»

«Solo perché ha gli occhi e i capelli scuri non significa che sia ispanico o chissà di quale altra etnia! E comunque siamo in epoca moderna e in piena globalizzazione, cavolo! Questi dettagli non contano più niente.» L'Indigo mise le scarpe e poi seguì fuori in punta di piedi la ragazza, la quale non si degnò di rispondere alla sua replica, visto e considerato che dovevano fare di tutto pur di non farsi beccare. Sarebbe stato poco saggio battibeccare in corridoio.

Il cuore di Casey batteva contro le costole con vigore e quei due piccoli bastardi abusivi che non la piantavano di improvvisare del contorsionismo e si divertivano pure a stimolargli la vescica non aiutavano di certo. Si fermò e deglutì, mordendosi il labbro inferiore mentre si appoggiava alla parete con l'aiuto di una mano. «Devo... devo andare in bagno. D-Dobbiamo fare una deviazione, Irene.»

«Eh, no, Bambi, ora la trattieni!» sbottò sottovoce Irene, quasi isterica. Era chiaro che fosse nervosa quanto lui.

«Spero che una volta o l'altra ti toccherà sfornare quattro gemelli tutti assieme, almeno saprai come mi sto sentendo!» ribatté lui, altrettanto isterico.

«Sei proprio un uccellaccio del malaugurio» brontolò la ragazza.

Ormai avevano finito di scendere le scale dell'atrio buio. Il pendolo in fondo a sinistra ticchettava e li innervosiva ulteriormente. Oltre a quel ritmato e metallico battito del cuore, come se l'orologio fosse stato l'organo pulsante al centro della dimora, padrone e messaggero del tempo che scorreva inesorabilmente, non si sentiva volare neppure una mosca.

«Accidenti, a quest'ora sembra la casa dei fantasmi. Non mi stupirebbe veder spuntare da una parete lo spettro di Ichabod Crane seguito dal cavaliere senza testa» commentò Casey, rabbrividendo. «Come fai a vivere in 'sto posto, me lo spieghi?»

«Non lo so e ora non è importante. Muoviti, mammina

«Chiamami ancora in quel modo e ti prendo a calci nel culo, Barbie.»

Lei gli rifece il verso in silenzio, ma decise di non proseguire oltre la sciarada. Percorsero alcuni corridoi del pian terreno ed ecco finalmente la porta che conduceva a una sua gemella molto meno curata e di ferro massiccio. Pareva quella di una prigione e aveva pure lo spioncino.
Casey, rivedendola, fece un passo indietro, perché aveva ricordi davvero orrendi di quel posto buio e umido. «I-Io non ci entro lì» balbettò. Non aveva intenzione per nulla al mondo di tornare in quel bugigattolo sotterraneo.

«Neppure per rivedere Noah? Ti sei preoccupato più per lui che per te stesso da quando sei tornato, perciò credo tu tenga veramente a quell'uomo. Davvero avresti il coraggio di abbandonarlo e non passare nemmeno a fargli un saluto, se non altro per fargli sapere che sei vivo e vegeto? Dominic, a cena, non ha fatto altro che ridere di come Noah abbia continuato a difenderti e a minacciarlo di ritorsioni, se avesse fatto di nuovo del male a te. Non per rigirare il coltello nella già purulenta piaga che hai nel profondo della coscienza, ma sei in debito con lui.» Irene si voltò a guardarlo, seria come la morte. «Magari anche io avessi la possibilità di...», si morse la lingua e scosse il capo. «Se non entri ora, tra non molto tempo potresti pentirtene. Deciditi. È vero, ho promesso che avrei fatto di tutto per impedire a Dominic di fare di Noah mangime per i pesci, ma i miei poteri all'interno di questa casa sono limitati e non sappiamo cosa abbia in programma il futuro per il tuo amico. Va' da lui e parlagli.»

Casey deglutì. Si era già convinto non appena Irene aveva nominato Noah, dopotutto. «O-Okay, scendo anch'io.»

Lei sorrise e gli diede un paio di colpi incoraggianti sulla schiena. «Bravo! Questo è lo spirito!» Recuperò la copia della chiave che aveva rubato quel pomeriggio dalla camera del maggiordomo e aprì la porta, cercando di fare rumore il meno possibile. Fece cenno all'Indigo di accomodarsi.

Lui arricciò il naso. «Tu non vieni?»

«Qualcuno dovrà pur fare il palo, banana, non pensi?»

«Potrebbe solo essere un trucco per gabbarmi.»

«Cielo santissimo, entra e falla corta!» Irene lo spinse dentro e si appoggiò al muro accanto allo stipite, sbuffando come una locomotiva. Quel ragazzino l'avrebbe spedita in manicomio, un giorno o l'altro.

Casey, intanto, aveva acceso qualche luce dall'interruttore principale. Dopo aver esitato un poco, scese lentamente la rampa di scale. La pietra sotto i suoi piedi era umida e per poco non rischiò di rompersi il collo e fare un bel capitombolo. Gli tremavano le gambe e perciò decise d'aggrapparsi alla ringhiera. Scese ancora, finché non giunse all'ultimo scalino. «Dovrebbero proprio rimodernare 'sta topaia, sembra di stare in un motel di lusso per ratti e blatte» borbottò inviperito. «Altro che la toxoplasmosi e il tetano, qui!»

«Casey?»

Udì la familiare voce di Noah e, svoltato l'angolo della parete portante contro la quale poggiava un lato della scala, finalmente lo vide e fu orribile essere per la prima volta spettatore di quanto fosse terrificante trovarsi laggiù, specie se incatenati come cani rabbiosi. Vide con sollievo che qualcuno era stato tanto gentile dal portargli qualcosa da mangiare e da bere. Forse era stata proprio Irene. Era la sola che avrebbe potuto farlo, là dentro.

Casey raggiunse l'uomo e si inginocchiò di fronte a lui. Con sollievo comprese che Dominic non lo aveva picchiato né torturato. Era in condizioni abbastanza buone, considerando quanto Tarren fosse capace di diventare pericoloso.

I sensi di colpa, però, tornarono a ruggire nella mente e nell'anima del ragazzo, il quale subito distolse lo sguardo da quello di Noah. «Mi dispiace che ti abbia fatto una cosa simile. Ho sbagliato a trascinarti in questa storia. D-Davvero, Noah: mi dispiace.» Gli aveva sconvolto la vita e forse presto Dominic avrebbe trovato il modo di toglierlo di mezzo per sempre.

McKay, tuttavia, era troppo concentrato a guardare il suo viso deturpato dall'occhio nero e dal labbro inferiore leggermente gonfio. Sollevò una mano e gli fece voltare il capo senza esser brusco, così da poter controllare meglio i chiari segni del passaggio della mano ben poco garbata di Dominic. «Cristo santo, Cas» mormorò. «Non scherzavi quando dicevi che quel tipo è un animale.»

«Non è niente, tranquillo. È andata meglio di altre volte, te lo assicuro.»

«Col cazzo che è andata meglio! Non doveva permettersi di alzare un altro dito su di te! Non va bene niente! E dire che l'avevo persino avvertito!»

«Lo so che non va bene, ma le cose adesso stanno così» ribatté Casey, quasi stremato. «E comunque non potresti torcergli un capello neanche se lo volessi con tutto il cuore. Sei solo un uomo. Lui è un Alfa e proviene da una stirpe vecchia di secoli. Tu che scusa hai, invece?» Non voleva litigare. Noah era la cosa più vicina a un amico che avesse avuto dopo mesi di reclusione e paura.

L'altro sospirò. «Come hai fatto ad arrivare qui? Sei riuscito a liberarti?»

«No, è stata Irene. Credo... credo che lei voglia darci una mano. Sul serio.»

«Ti fidi di lei?»

«Non lo so. Non credo. Non mi fido più neanche della mia ombra, a dire la verità.»

Trascorse un po' di silenzio, poi il ragazzo si decise a spiegare il motivo che li aveva spinti a quelle condizioni: «Dopo quella visita, io... non lo so, ho cominciato ad avere dei dubbi. Non mi sentivo più così sicuro di fare un passo come quello e allora ho deciso di andare a fare quattro passi. Non sopportavo di stare al chiuso, avevo bisogno di aria fresca per pensare e... decidere cosa fare. È lì che mi ha trovato Dominic. Il resto lo sai. Non credevo sarebbe riuscito a rintracciarmi così in fretta».

Noah annuì lentamente. «Non è stata colpa tua. Nessuno dovrebbe vivere col terrore di mettere anche solo un piede fuori di casa.»

«Sono stato un idiota, ammettilo.»

«Uhm, quando non lo sei, per la cronaca?»

«Ah, vaffanculo.»

«Ora ti riconosco» commentò Noah, ritrovando un po' il piglio di sempre. Per scherzo e anche per affetto gli scompigliò i capelli già di per sé abbastanza spettinati e senza un verso. «So che suonerà stupido, per come siamo messi, ma... andrà tutto per il meglio, Piccola Volpe. Fidati: quando le cose iniziano davvero a fare schifo, si può solo risalire in superficie. Nessuno vuole fare il paguro sul fondale, no? Sei troppo forte e testardo per farti soggiogare da uno stronzo pomposo come Dominic.»

Casey si limitò ad abbozzare un sorriso tremante. Non riuscì a frenare le lacrime, le quali sfuggirono al suo controllo e trasformarono in una manciata d'istanti il suo volto in una maschera di dolore e sofferenza. Era ovvio che cominciasse a vacillare, nessuno era così tosto da sostenere una situazione simile in eterno. Era solo un ragazzo, dopotutto. Aveva già compiuto un'impresa titanica a restare sano di mente e a non perdere la grinta. Quella c'era sempre, Noah riusciva a vederla nel profondo dei suoi occhi dorati, da qualche parte in mezzo allo sconforto e alla paura. D'istinto l'uomo sollevò una mano e gli asciugò il viso. «Non piangere. Sei una roccia, ormai lo so per certo, e devi ricordarlo anche tu. Non lasciare che vinca lui.» Lo vide peggiorare, coprirsi il volto, e allora lo attirò piano a sé e lo strinse fra le braccia. «Le persone che fanno del male agli altri non vanno mai lontano, Cas, fidati» sussurrò. «Prima o poi avrà anche lui quel che merita. Un giorno pagherà per tutto questo e tu sarai lì per sputargli in faccia.»

Casey annuì di nuovo, senza rispondere. Per una volta scelse di essere fragile e di tornare ad avere solo diciannove anni, un'età ancora incerta dove la vita era appena agli albori, dove tutto era possibile e nessuna montagna era troppo alta da scalare, sebbene, al tempo stesso, ogni cosa fosse pari a un gigantesco titano difficile da abbattere. Ogni problema poteva fare la differenza e minare o sigillare il futuro di una fragile creatura qual era un giovane adulto appena uscito dall'adolescenza.

Qualsiasi cosa era possibile e in pericolo sul traballante ponte dove l'estate cominciava e la primavera moriva.

«Ho paura» singhiozzò l'Indigo.

Paura, già... Paura di tutto. Se era costretto a portare avanti quella tortura, aveva paura che gli succedesse qualcosa quando sarebbe arrivato il momento peggiore. Aveva paura che qualcosa andasse storto, di non uscirne incolume, che magari Dominic lo avrebbe ucciso non appena avesse smesso di essergli utile, e che Noah avrebbe presto fatto la stessa fine. Temeva di perdersi nella penombra di quei corridoi, di essere avviluppato dalla pesante malinconia e dai cupi silenzi di quelle mura.
C'era anche tanta nostalgia, però: della scuola, della sua vecchia vita, dei compiti e i libri da studiare, dei pancakes bruciacchiati di sua madre e le solite chiacchiere di suo nonno sui bei tempi andati della famiglia, quando i Leroin erano stati una delle due famiglie più facoltose e rinomate di Caverney Town.

Gli mancava essere un Indigo qualsiasi, coi suoi alti e bassi, con quelle dannate medicine da prendere a intervalli regolari per evitare di essere importunato da Alfa come Dominic. Gli mancava essere il vero Casey, quello che non aveva ancora conosciuto il dolore né l'umiliazione. Quello che suo nonno mai avrebbe anche solo pensato di disconoscere, e prima o poi sarebbe successo. Quei bambini sarebbero nati e la notizia sarebbe trapelata, qualcuno avrebbe parlato troppo e tutti avrebbero saputo del frutto dello scandaloso sposalizio tra un Tarren e un Leroin, se Dominic alla fine avesse realmente deciso di sposare Casey. Milton Leroin avrebbe probabilmente perso la testa e fatto una stupidaggine, magari si sarebbe recato proprio fino a Daffodil Manor e avrebbe sparato in testa al vecchio Tarren e a Dominic stesso. Che Lidia gli avesse detto tutto o meno, ciò non toglieva che quel povero vecchio fosse destinato a venire a risapere di tutto quanto. Non rimaneva che sperare che a dirgli ogni cosa sarebbe stata sua figlia e non qualche maligno vicino dirimpettaio pronto a spergiurare di aver sentito dire in giro che il suo adorato nipote, lo stesso che era stato visto montare in auto con Dominic Tarren e filare verso Daffodil Manor, aveva poi addirittura dato alla luce due bambini di sangue Tarren e sposato il loro padre. Se Milton avesse saputo della faccenda tramite terzi, tramite il volgare pettegolezzo, o sarebbe andato su tutte le furie oppure sarebbe morto di crepacuore ed entrambe le opzioni erano terribili. Da loro c'era ancora l'usanza del dover difendere l'onore di famiglia e di un membro di essa con la legge del taglione, dell'occhio per occhio. ‟Tu rovini me, io rovino te" era l'usanza, la punizione per le fughe d'amore non proprio consensuali, per lo stupro, per i figli indesiderati e bastardi.

Verità o pettegolezzo, cedimento di Lidia o meno sulla realtà della faccenda, il fiero Milton Leroin non avrebbe tollerato una seconda volta una tale mancanza di rispetto nei suoi confronti e in quelli dei Leroin al completo. Prima la figlia che aveva concepito Casey a sua volta dopo aver subito una violenza da parte di un uomo del quale mai si era voluto parlare fra le mura domestiche, poi il nipote...
Era ovvio che sarebbe esploso. Chi non lo avrebbe fatto, d'altronde? Un'ingiustizia di troppo era la scintilla che cadeva sulla pila di dinamite e faceva saltare in aria tutto quanto. Se Milton avesse preteso giustizia e vendetta, le cose si sarebbero messe male. Molto male.

Casey decise di non pensarci, non in quel momento. «Grazie di essere qui con me» sussurrò, odiandosi per aver detto una cosa così egoista. Noah non avrebbe dovuto trovarsi lì. Era solo una vittima collaterale. Lo sapeva, certo, eppure... eppure era contento di non essere da solo, di avere un angelo custode, pur messo male quanto lui e in una situazione di sgradevole, pericoloso stallo.

Noah sorrise debolmente e gli lasciò una carezza gentile sui capelli ramati. «Sai com'è: se devi andare all'inferno, meglio farlo in buona compagnia.»

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