𝐕. 𝐅𝐚𝐦𝐞 𝐢𝐧𝐬𝐚𝐳𝐢𝐚𝐛𝐢𝐥𝐞
Nei giorni successivi tutto sembrò trascorrere più o meno bene, attacchi di nausea a parte che andavano a sommarsi a voglie campate per aria le quali, prontamente, saltavano fuori a orari improponibili.
Non che Casey ne avesse colpa, ma dannazione se quella situazione ricordava troppo a Noah di quando Meredith si era ritrovata in attesa della loro figlia che mai era alla fine venuta alla luce.
La piccola se n'era andata al quinto mese di gestazione: un giorno Noah e sua moglie erano usciti come spesso accadeva durante il sabato e lei, semplicemente, era inciampata ed era caduta dalle scale. L'incidente aveva causato dei forti dolori a Meredith, un aborto spontaneo che era parso, in realtà, un parto fin troppo prematuro. L'immediata corsa in ospedale si era rivelata inutile. Non c'era stato nulla da fare per la bambina. Noah ricordava dolorosamente bene il momento in cui un'infermiera l'aveva raggiunto e lo aveva guardato in quel solito modo, quello tipico degli infermieri e dei dottori che, senza una parola, riferivano tutto quanto. Aveva odiato a morte quello sguardo e aveva sentito una vampata di rabbia propagarsi nel petto. Per giorni aveva incolpato se stesso per non essere riuscito a portare sua moglie in tempo in ospedale; aveva incolpato la solita sbadataggine di Meredith, poi ancora quei dannati gradini di pietra liscia e subdolamente scivolosa. Aveva incolpato il medico che aveva assistito Meredith, in un momento di irrazionalità si era domandato perché ci fossero così tanti dottori incompetenti. Se l'era presa col mondo intero, anche se per una volta il mondo non aveva fatto niente di male. Si era trattato di sfortuna, di qualcosa che chiaramente non era mai stato contemplato nel nebuloso disegno della sorte. Non aveva potuto far altro che accettarlo, seppur con una gran dose di impotenza e di dolore. Aveva dovuto accettare che la sua piccola Vanessa non l'avrebbe mai chiamato papà né mai gli avrebbe chiesto di spingerla sull'altalena, fatto tutto quello che una persona avrebbe potuto fare nel corso di una vita intera.
In quanto a Meredith, Noah preferiva non ricordare quel periodo, ma era stato assolutamente orribile, forse più della perdita della bambina, e meno indugiava in quei ricordi e meglio stava.
Per ovvie ragioni, comunque, aveva ceduto il letto a Casey e deciso di dormire sul divano con la compagnia di una semplice coperta e di un cuscino. Non proprio l'ideale per la sua schiena, se si considerava che iniziava a soffrire già di qualche acciacco, ma non era quel tipo di persona che faceva sistemare un ospite sul divano. Sarebbe stato un padrone di casa orribile a farlo, senza contare che le condizioni di Casey imponevano un comodo giaciglio.
Il quarto giorno Noah si svegliò e si sorprese non poco nel vedere il ragazzo già in piedi, intento ad armeggiare in cucina e a borbottare tra sé come una pentola di fagioli.
L'uomo sbuffò e si scompigliò i capelli, poi si alzò e raggiunse il ragazzo. «Ma che combini?» chiese, celando un sbadiglio con una mano.
«Ho fame, cazzo! F-A-M-E!» si lamentò Casey, sbattendo lo sportello della credenza. «Non c'è niente e ho bisogno di mangiare subito! Dammi del cibo, qualunque cosa, o giuro che inizierò a rosicchiare i mobili!» Sembrava aver perso la testa, un drogato che non resisteva più e desiderava a ogni costo di spararsi una dose in vena. In vita sua McKay non aveva mai assistito a un atteggiamento fino a tal punto famelico. Casey sembrava più una belva fuori controllo, che una persona.
«Capisco che mangi per due, ma calmati» replicò, tentando di farlo tornare alla ragione, ma venne ignorato alla pari di un fantasma.
Casey ringhiò sconfortato e per i nervi stiracchiò la maglietta per tentare di celare la pancia, quasi come a voler negare la realtà. «Io mangio solo per me stesso e no, non mi calmo! Sono oltre la calma, credimi!» Uscì dalla cucina. «Basta, vado a prendermi qualcosa! Non provare a fermarmi o ti prendo a calci finché non torni neonato!»
Appena comprese che faceva sul serio e non stava solo sproloquiando, Noah gli andò dietro. «Allora ti accompagno, non mi fido a farti andare in giro da solo, non quando in circolazione c'è quella gente che ti sta cercando!»
«Va bene, allora muoviti!»
McKay sbuffò sonoramente e fu costretto a infilarsi i primi vestiti che trovò nel cassetto della camera da letto. Non appena ebbe indossato anche le scarpe e la giacca, seguì il ragazzo fuori dall'appartamento.
Inutile dire che Casey prese tutto quello che gli passò per la testa o quasi, perché poi Noah gli ricordò che finché non avesse trovato un nuovo lavoro avrebbero dovuto arrangiarsi, volenti o nolenti.
Nonostante avessero la spesa pronta in macchina, il giovane ancora una volta costrinse il pover'uomo a soddisfare il capriccio del momento. Il finale di tutto quanto fu che fecero colazione in un bar. Per quanto Casey si intestardisse di sostenere il contrario, era ovvio che quella fame incessante fosse dovuta al terzo e silenzioso membro del gruppo, quello che lui chiamava l'Abusivo.
«Se continui così, recupererai peso in men che non si dica e finirai per ingrassare» lo avvertì Noah, versandosi in gola un sorso di caffè nero mentre guardava il suo nuovo coinquilino far fuori una seconda porzione di pancake al cioccolato con sopra delle fragole e un soffice e spumoso fiocco di panna montata.
«Tranquillo, ho un metabolismo strano e dimagrisco in fretta» disse a bocca piena Casey, per poi ingoiare all'occhiataccia dell'uomo. «Diciamo solo che odiavo la roba che mi affibbiavano a casa di Dominic: fegato, frattaglie varie in ogni salsa possibile e immaginabile, spinaci, tutta roba che odio da quando sono piccolo. Dicevano che mi faceva bene, che era quello che serviva per mantenere entrambi in forze, ma se non mangiavo mi piazzavano nello scantinato, come a voler punirmi, e a quel punto restavo a digiuno. Penso che a volte scordassero che avevo qui dentro il loro caro mostriciattolo. Una volta sono rimasto in quel buco per quasi tre giorni.»
Roteò gli occhi e tornò a mangiare, cercando di essere meno vorace e almeno di masticare decentemente.
Noah sospirò. «Senti, so che ora mi prenderai per uno scemo o per uno stronzo, ma se gli preme tanto avere il marmocchio... fallo nascere e affibbialo a loro, fine della storia e addio. Te ne vai dove vuoi e non li rivedrai più.»
Casey smise di mangiare e come se di colpo gli fosse passata la fame, allontanò il piatto. Non guardò Noah, tenne gli occhi fissi sul tavolo di legno scuro. «Dominic una volta mi ha detto che se avessi tentato di nuovo di scappare, mi avrebbe punito. Il giorno prima della mia fuga, invece, ha detto che avrebbe atteso la nascita dello sgorbio e poi mi avrebbe ucciso e fatto sparire per sempre dalla circolazione. Vorrei poter fare come dici tu, non sono insensibile e so che la colpa non è di questo, questo... qualunque cosa sia, ma non posso o rischio di restarci secco. Ho quasi vent'anni, voglio vivere almeno per altri sessanta e farlo in santa pace. Sono mesi ormai che non faccio che rifugiarmi in me stesso, nell'unico posto dove Dominic non può aver accesso, e questa cosa mi fa schifo, Noah. Mi fa schifo che io sia dovuto per forza fuggire come un coniglio vigliacco e non avere la libertà di scegliere, neanche quando si tratta del mio corpo e di ciò che contiene. Non aveva alcun diritto di farmi questo, va bene? Non lo aveva e non avvallerò un giorno in più questa sua dittatura. Questo bambino non può nascere. Punto e basta.»
Noah tamburellò le dita e fece un tiro dalla sigaretta che si era acceso. Quella situazione era pazzesca. «Cristo santo! Non c'è un modo per dare una lezione a questi stronzi? Insomma, dovrà pur esserci qualcuno cui raccontare tutto come se fosse la mammina di turno pronta a fare il culo persino al demonio in carne e ossa!»
Il ragazzo strinse le spalle. «Non lo so, in teoria dovrebbe esserci, ma non ne so niente personalmente. So solo che nella città dove abitavo c'era un bel po' di omertà. Sai, no... quando tutti vedono, ma nessuno dice niente per non avere rogne. Tutti sapevano cosa stava succedendo in quella casa e hanno scelto volontariamente di farsene una ragione. Sapevano che mi teneva rinchiuso, in attesa che il piccolo bastardo nascesse, e nessuno ha mosso un dito per fermarlo.»
«Che razza di mondo.» Noah era disgustato.
«Già. Comunque hai saputo qualcosa di... insomma, del medico che dovrebbe controllarmi e operarmi?»
«Sì, ho insistito e ho detto che era abbastanza urgente. Hai appuntamento per la prossima settimana.»
Casey fece un cenno con la testa. «Sono come sono da quando sono nato, ma non ho mai avuto dubbi e da sempre mi sento un ragazzo. Ho sempre dovuto nascondere questo... questo mio difetto, e prima o poi spero di poter correggerlo. Il problema è che ci vogliono un bel po' di soldi che al momento non ho. Per come la mettono loro, esistono transgender solamente ricchi, i poveri come noi sono solo impostori. Suppongo siano convinti che ce ne andiamo in giro con marchiato sulla collottola ‟Made in China"!»
«Non vederla così.»
«A volte non posso farne a meno. Ti costringono a restare come sei pur di non farti capire che sei un poveraccio e non puoi permetterti di star bene come tutti. La gente è così ipocrita, ormai, che non ha altra scelta per andar avanti, se non di mentire persino a se stessa. 'Fanculo al perbenismo.»
«Be', in ogni caso non hai niente di cui vergognarti. Sono altre le persone che dovrebbero vergognarsi, fidati. Sei come sei, punto e basta, e in sé per sé non c'è nulla di male. La colpa non è tua, ma di chi non capisce o se ne approfitta.»
«Parli come mia madre.»
«Allora vorrà pur dire qualcosa, no?»
Cas abbozzò un sorriso storto, senza malizia né altro. «Forse, sì.» Decise di terminare la porzione di pancakes, ma quando fu sul punto di affondare la forchetta nella soffice superficie della frittella, esitò, finendo poi per spingere gentilmente il piatto in direzione di Noah. «Su, vecchio, favorisci» scherzò.
MacKay scosse la testa. «No, Cas. Mangia tu, ne hai più bisogno.»
Il ragazzo, però, sembrava di parere ben diverso. Gli mise in mano la forchetta. «Sai cosa diceva mia madre, anche? Che mangiare del buon cibo è già un bel passo avanti per una persona triste. Migliora la giornata.»
Noah sbatté le palpebre. «Io... io non sono triste.»
«A me sembra il contrario. So riconoscere un mio simile, Noah. Sono stato triste per mesi, lo sono ancora, in parte.»
Doveva aver a che fare con la moglie di Noah. Quella donna non se n'era andata, non aveva piantato in asso il marito. Erano troppi gli indizi che lasciavano intendere una realtà ben diversa e più amara. Pur senza sapere i dettagli né aver chiesto alcunché, Casey sapeva che quella donna era morta. Ignorava le cause della dipartita, ma l'atteggiamento di McKay nei confronti della consorte e della sua scomparsa non erano quelli di un coniuge rimasto con le gomme a terra.
Abbozzò un lieve sorriso. «Mangia e basta. Va bene?»
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