𝐈𝐕. 𝐋𝐚 𝐂𝐚𝐫𝐢𝐚𝐭𝐢𝐝𝐞 𝐞 𝐢𝐥 𝐏𝐨𝐩𝐩𝐚𝐧𝐭𝐞
Noah passò a Casey un asciugamano pulito con cui ripulirsi, sospirando in piena frustrazione.
Omega... Alfa... Beta...
Dannazione! Che diavolo di roba era mai quella?
A distanza di quasi mezz'ora, realizzò che una faccenda simile forse si sarebbe rivelata difficile da mandare giù e da fronteggiare. Era comunque reale, gli bastava guardare negli occhi Casey per capirlo. Non era uno scherzo di pessimo gusto.
Dio santo, se Meredith potesse vedermi ora!
A un certo punto, mentre stavano parlando, al ragazzo era venuto un forte attacco di nausea e aveva fatto in tempo fortunatamente ad andare fino in bagno. Lì, tuttavia, a meno di trenta centimetri dal gabinetto, aveva rimesso anche l'anima sul pavimento. Povero ragazzo. Non lo invidiava, qualunque storia ci fosse realmente dietro.
Si decise a parlare: «Senti, a questo punto ci sono dentro fino al collo, perciò... se vuoi restare qui, perché magari ti senti più al sicuro, per me non ci sono problemi. Sei un disgraziato come me e bisognerà pure darsi una mano tra simili, no?»
Ciò che Casey intendeva fare era comunque rischioso: se davvero era in quello stato da quattro mesi, allora aveva solo un altro mese per liberarsi del problema. In alcuni Stati si poteva rinunciare anche all'ultimo minuto, ma non era così in tutti i Paesi e in America, si sapeva, l'aborto era una materia molto discussa e problematica, sia per i tempi d'attesa che per le varie condizioni in cui era praticabile. Un gran casino, in sostanza.
Era chiaro che Casey, comunque, avrebbe avuto bisogno di una mano per rimettersi in forze. Poteva anche morire, per quel che ne sapeva Noah, e comunque un aborto non era una passeggiatina.
Casey tenne premuto l'asciugamano contro la bocca, pallido come un cencio e di un leggero sottotono verdastro. Appena si sentì meglio, scostò il panno. «Non dire stupidaggini. Se Dominic venisse a sapere che mi trovo qui, ti ammazzerebbe. Già da prima era poco sveglio, ma da quando è cominciata questa pagliacciata non capisce più un cazzo di niente. Negli ultimi giorni tra un po' neanche al cesso potevo più andare da solo.» Si rimise in piedi barcollando. «Del resto, che razza di persona è uno che ti trascina in un vicolo e ti violenta come una vacca da riproduzione? Quello è capace di farti a pezzi, Noah. In quattro mesi che mi trovo in casa sua, ho perso il conto delle volte in cui le ho prese di santa ragione. Vuoi perché non avevo voglia di farmi scopare come una bambola gonfiabile, vuoi perché mi rifiutavo di mangiare e di fare in generale il bravo bambino.»
Casey aveva un modo molto schietto di parlare, a tratti volgare, ma si sposava alla perfezione con quello diretto di Noah. Forse sarebbero andati d'accordo, se avessero stabilito di diventare coinquilini.
Noah, intanto, cominciò a ripulire il macello per terra. Era abituato a pulire lo schifo altrui, lavorando in un locale dove a volte, a furia di bere, la gente finiva per vomitare ovunque come bestie.
«Non ho ancora capito bene la situazione, Casey, ma so che hai bisogno di aiuto. Hai diciannove anni, non puoi farcela senza qualcuno che ti sostenga. L'aborto, Omega o meno, resta una brutta faccenda. Fidati, ci sono già passato e...», si morse la lingua e imprecò, per poi tacere e tornare a strofinare con maggior forza il pavimento. «Insomma, non mi sono sorbito tutta quella pappardella di prima per poi farmi liquidare così. Non ho un cazzo da fare e se non lavoro, sto qui a deprimermi. Se non altro hai portato un po' di movimento nella mia esistenza. Magari, prima o poi, ci scriverò un libro, tanto al giorno d'oggi, ormai, scrivono cani e porci. Forse ci rimedio una cinquantina di dollari.»
Casey sospirò e si chinò per aiutarlo. Incrociò per un istante lo sguardo dell'uomo e gli rivolse, per la prima volta, un sincero accenno di sorriso. «Scusa se ho improvvisato la scena de L'Esorcista nel tuo povero bagno» disse scherzoso. Noah sghignazzò. «No problem, Regan. Finché non inizi a far ruotare la testa a trecentosessanta gradi, direi che posso competere con un po' di vomito!»
Casey sghignazzò. «Stronzo!»
Insieme riuscirono a ripulire tutto in poco tempo. Si lavarono le mani e tornarono in salotto.
«Vuoi una camomilla? Dicono funzioni.»
«A te cos'è successo?» chiese Casey, ignorando la domanda. «Non hai lo sguardo di uno che sta bene, scusa la franchezza.» Pur avendo scherzato con lui non più di quindici minuti prima, aveva compreso lo stesso che qualcosa non andava in Noah. Glielo aveva letto negli occhi.
L'uomo agitò una mano. «Niente che valga la pena ricordare, fidati. Camomilla sia, ti ci metto anche un po' di miele. Sempre che ne abbia un vasetto da qualche parte.» Sparì in cucina e prese ad armeggiare con il bollitore. Le mani gli tremavano e il contenitore a momenti quasi gli scivolò dalla presa. Bestemmiò sottovoce e accese il fornello dopo un paio di tentativi andati a vuoto.
Odiava parlare di sua moglie, così come di tutto. Non si era mai aperto realmente neanche coi suoi e con sua sorella, figurarsi se sarebbe riuscito a farlo con Casey, conosciuto solo la sera prima. Non era mai stato una persona incline a confidarsi col prossimo né mai era stato l'orgoglio di famiglia: voti mediocri in una scuola mediocre; diploma preso per puro miracolo e nessun progetto per l'avvenire, poi era arrivata Meredith e tutto era sembrato aver acquistato un minimo di senso.
Aveva cominciato a intravedere una sorta di speranza: si erano sposati dopo un anno di fidanzamento e poco dopo avevano preso quell'appartamento che due anni addietro – nonostante fosse un vecchio palazzo malandato – aveva rappresentato il loro piccolo e incantevole rifugio, e in seguito iniziato a pensare ad allargare la famiglia.
Poi era andato tutto, lentamente, a puttane.
Infine eccolo lì, a vivere da solo in quel posto che gli ricordava sempre tutto quello che aveva perso, prigioniero della propria inerzia e incapacità di guardare davvero avanti.
Alla fine della fiera non si decideva a cambiare la macchina perché mai sarebbe stato in grado di liberarsi dell'auto che aveva accompagnato lui e Meredith durante le loro vacanze insieme e quant'altro. Il veicolo in cui più di una volta, tra l'altro, avevano condiviso momenti di passione, persino il primo bacio. Ricordava ancora quell'evento vividamente: aveva riaccompagnato a casa Meredith e lei, prima di scendere, si era voltata, si era sporta, gli aveva accarezzato una guancia e infine lasciato un bacio sulle labbra, solo per poi sorridergli con aria maliziosa e scendere di corsa per evitare l'acquazzone che quella sera aveva infuriato.
Non cambiava appartamento perché era lì che giacevano le sue mille speranze infrante, quelle di una famiglia, di un figlio da crescere al fianco dell'amata compagna. La speranza di essere un uomo migliore, un padre modello.
Non cambiava vita perché, come un idiota, si aspettava ancora di rivederla entrare prima o poi da quella dannata porta e venirgli incontro, come sempre aveva fatto dopo il lavoro.
Sapeva che non sarebbe mai accaduto, ma dicevano che la speranza fosse ormai la sola cosa rimasta al mondo a non uccidere. Semmai era soltanto un sintomo di stupidità o di follia, per la piega che l'intera umanità aveva preso.
Tornò di là e passò la tazza di camomilla a Casey. «Ci ho messo del semplice zucchero. Per oggi niente miele, Bubu.»
«Chiamami ancora in quel modo e ti stacco la testa» lo apostrofò scontroso il ragazzo.
«Lo sai che nel tuo stato arrabbiarsi sia assai controproducente?»
«Lo sai che anche nel mio stato sarei lo stesso capace di prenderti a calci nel culo? E comunque da dove vieni? New York?»
«Manhattan.»
«Si sente, amico.»
«Tu?»
«Sono sempre stato di queste parti, purtroppo, ma progetto di andarmene ai Caraibi, trovarmi una tipa con tette grosse come meloni e spacciare marijuana sulla spiaggia finché non sarò così vecchio che l'artrite mi impedirà di rollare come si deve.»
Noah non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. «Non è che ti serve un socio?» disse, senza smettere di sghignazzare.
«Ci penso e poi ti dico» ribatté Cas, ma anche lui si lasciò sfuggire un accenno di sorriso.
«Così sembri meno stronzetto, lo sai?»
«Vaffanculo, e te lo dico col cuore.»
Noah ridacchiò e si rilassò contro lo schienale del divano, accanto a quello che si prospettava essere il suo nuovo e improbabile coinquilino.
Casey lo squadrò. «Il lavoro? Non dovevi andarci?»
«Mi darò malato. Tanto prima o poi mi avrebbero licenziato.»
«La prendi abbastanza bene.»
«Di lavori come quello che ho io se ne trovano anche altrove. Quasi quasi pure io vado ai Caraibi, forse lì farei fortuna.»
«Per viaggiare ci vogliono i soldi.»
«Li troverò.»
«E come? Ti metterai a spacciare?»
«Nah, al liceo non riuscivo nemmeno a farmi passare una sigaretta senza farmi beccare dai professori. Figurati!»
«Sei un po' coglione, lasciatelo dire.»
Noah ghignò. «Ho anche dei difetti, se ti interessa.»
«No, in realtà non me ne frega granché.»
«Meno male, non me ne ricordo neanche uno.»
Casey si sistemò meglio sul posto, finendo la camomilla. «Sai, alla fine non sei così male per essere un vecchio.»
Noah gli mollò uno scappellotto sulla nuca. «Vecchio a chi, poppante?»
«A te, cariatide fossilizzata.»
«Almeno io non ho più i denti da latte.»
«Neanche io ce li ho, stronzo.»
«Dicono tutti così e poi, invece, ecco che avete ancora una gocciolina di latte che vi cola dal mento!»
Cas si voltò a guardarlo. «Vuoi le botte, Coso?»
«Non ti conviene, marmocchio.»
Il ragazzo parve riflettere, poi annuì.
«Hai ragione. Ti ammazzerei e passerei il resto dei miei giorni in galera.»
Noah scoppiò di nuovo a ridere.
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