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Mani

Era ormai da un mese che Armin, almeno due volte a settimana, si chiudeva nella cantinetta per ultimare il suo lavoro, esattamente dal giorno in cui Connie gli aveva rivelato la data del compleanno di Eren.
Trascorreva ore sotto la luce febbrile della lampada, senza alzare lo sguardo o prendere una pausa, con la sola compagnia di un vecchio giradischi che il nonno aveva rispolverato per l'occasione, che ininterrottamente suonava i dischi che erano appartenuti ai suoi genitori quando ancora erano in vita.
In particolare aveva riscoperto una vera e propria passione per le canzoni di Elton John, che negli anni aveva avuto la sfortuna di rimuovere dalle proprie memorie, ma che riascoltandole avevano riportato a galla ricordi agrodolci della sua infanzia.

Lavorava in piedi e spesso si trovava a canticchiare o a muovere i fianchi a ritmo, ogni tanto volteggiava a occhi chiusi in mezzo alla stanza immaginandosi tra le braccia di sua madre, che era una bravissima ballerina.
Quando quei momenti finivano, preda del magone sorrideva malinconico e riprendeva a capo chino da dove era rimasto, tornando con il pensiero a ciò a cui si stava dedicando.

A furia di lavorare, le sue mani si erano ricoperte di piccoli ma dolorosi taglietti che ogni tanto, aggravati dalle rigide temperature invernali, prendevano a sanguinare nel bel mezzo della giornata, che si trovasse a scuola, in libreria o a casa.
A ogni domanda di Eren a riguardo rispondeva incolpando il freddo e cambiando discorso, rendendosi comunque conto di non risultare per niente convincente.

Fu questo il motivo per cui un pomeriggio Eren si presentò a casa sua senza preavviso, sapendo già di trovarlo da solo.
Suonò un paio di volte il campanello, senza ricevere risposta o segni di vita dall'interno; sbirciò dalle finestre ma non vide nessuno.
Allora prese il cellulare dalla tasca della giacca e chiamò Armin, che fortunatamente rispose e dopo un paio di minuti aprì la porta, lasciandolo entrare.

- Scusa, ero impegnato al piano di sotto e non ho sentito il campanello suonare - disse Armin passandosi ripetutamente le mani sulla salopette di jeans che indossava, nel tentativo di togliersi la sporcizia di dosso.

- Non ti preoccupare. Stai... facendo dei lavori? - chiese incuriosito il moro, stupito di vederlo in quella tenuta per lui insolita, con i capelli arruffati e le guance arrossate, e trovandolo più adorabile del solito, nonostante tutto.

- Sì, diciamo di sì - rispose lui con un sorriso un po' imbarazzato, senza riuscire a sostenere il suo sguardo per più di qualche secondo.

- Allora non voglio disturbarti oltre. Sono passato a portarti questa -

Infilò la mano nella tasca dello zaino che aveva ancora in spalla e ne tirò fuori un tubetto, porgendolo al biondo, che esclamò sorpreso leggendo l'etichetta: - È una crema per le mani! -

- Sì, ho pensato che potesse esserti utile dato che ultimamente sei sempre pieno di tagli. Io ovviamente non la uso, ma mia mamma dice che funziona bene -

- Eren non so che dire, grazie mille! -

Armin aprì subito il tubetto e lo avvicinò al naso, per annusarne l'odore: - Mmh è buonissima, sa di limone - disse, socchiudendo gli occhi.
Eren sorrise a quella vista, contento di aver fatto cosa gradita all'amico e sperando così di poter alleviare il suo fastidio.

Pensandoci su si rese conto che era da un po' di tempo che non si trovavano del tutto da soli e sarebbe rimasto ancora volentieri in sua compagnia, ma vedendolo in quello stato preferì lasciarlo in pace.
Ma come spesso accadeva, fu preceduto da Armin prima ancora di poter aprire bocca.

- Ti va di rimanere per un the? -

- Certo! - rispose senza pensarci, mordendosi la lingua un attimo dopo: il tono che aveva utilizzato era uscito fin troppo entusiasta.

Dopo aver preparato il the, i due ragazzi andarono a sedersi davanti al caminetto, Eren sul divano e Armin sulla solita poltrona. Chiacchierarono un po' delle solite cose, senza però approfondire nessun discorso ed Eren si rese conto dopo poco che Armin non era troppo in forma, aveva delle sottili occhiaie viola sotto agli occhi blu e di tanto in tanto lasciava ciondolare la testa di lato e socchiudeva le palpebre.

- Ma posso sapere cosa stai combinando là sotto? - chiese a un certo punto, indicando con un cenno della testa la porta che conduceva al piano di sotto.
- Non sapevo neanche che ci fosse un seminterrato in casa tua -

- Ehm... è una cosa che non posso dirti. Scusami... -

Eren aggrottò la fronte: indubbiamente Armin si era comportando in modo strano nell'ultimo periodo, con quei tagli sulle mani e il fatto che sviasse il discorso ogni volta.
Si fidava di lui, ma aveva paura che in qualche modo potesse farsi del male, o stancarsi inutilmente. Non si spiegava perché non volesse parlargli di ciò che lo teneva impegnato.

- Okay. Cerca solo di risposare, va bene? Hai una faccia da schifo -

- Ehi ma... - Armin rimase senza parole, ignaro del fatto che la sua espressione tradisse effettivamente tanta stanchezza.
Eren rise poi si alzò dal divano, prendendo la tazza ormai vuota dalle mani di Armin e andando a posarla nel lavandino in cucina, insieme alla propria.
Indugiò per qualche momento sulle foto appese ai muri, che ritraevano Armin da bambino in compagnia dei genitori, o di quelli che dovevano essere gli altri nonni, quelli che non c'erano più.

Sorrise nel trovarne una in cui il suo amico, che all'epoca avrà avuto più o meno due anni, era su un tappeto sdraiato sulla schiena di un grosso cane addormentato, con gli occhi chiusi e un sorriso sereno sul volto.
Pensò che Armin dovesse avere un forte feeling con gli animali, ricordando l'episodio che Sasha gli aveva raccontato la sera in cui l'aveva conosciuta.

Quando tornò in salotto lo trovò semi addormentato, a gambe incrociate sulla poltrona e con la nuca appoggiata allo schienale.

- Io andrei, Ar -

- Di già? - gli chiese con un velo di delusione nella voce.

- Sì, voglio che tu vada a farti una dormita, ora -

Armin annuì solamente, conscio del fatto che non sarebbe stato in grado in quel momento di concentrarsi su niente che non fossero un cuscino morbido e una coperta calda.

- Vuoi una mano? - gli chiese Eren vedendo che non dava cenni di alzarsi da lì.

Armin non rispose di proposito, o avrebbe rischiato di dirgli che sì, voleva una mano e voleva che Eren rimanesse insieme a lui finché non si fosse addormentato, ma non voleva fargli perdere altro tempo.

Neanche gli avesse letto nella mente, il moro si avvicinò e gli prese la mano, quella mano che ricordava liscia e morbida ma che ora era screpolata e un po' ruvida, ma ugualmente piacevole da stringere.
Lo accompagnò fino alla camera da letto, facendolo sedere sul materasso e, sotto sua indicazione, prese una coperta dall'armadio e la adagiò sul suo corpo ora sdraiato, assicurandosi di coprirlo in ogni punto.
Poi gli si sedette accanto, avvicinò delicatamente le dita di una mano alla sua fronte e gli scostò una ciocca di capelli da davanti agli occhi, dopodiché iniziò ad accarezzargli la tempia.
Era incredibile come quel gesto riuscisse a farlo rilassare. Li rilassava entrambi, a dirla tutta.

- Quando esci, tirati dietro la porta - disse Armin con gli occhi già chiusi.

Eren sorrise e annuì con la testa.
Poi fece una cosa che nemmeno lui stesso si sarebbe aspettato di fare: si avvicinò piano con il volto a quello di Armin e gli poggiò le labbra lì dove c'erano le sue dita, mantenendo il contatto per qualche secondo.

Quando si risollevò, vide che il biondo aveva riaperto di poco gli occhi e per un attimo temette che lo avrebbe cacciato.
Invece i suoi occhi si illuminarono poco per volta e un sorriso, sereno come quello nella foto che aveva osservato poco prima, si fece strada sul suo viso stanco.

Le guance di entrambi si colorirono, ma nessuno dei due provò imbarazzo, anzi. Si sentirono al posto giusto, come se i primi pezzi del complicato puzzle che avevano iniziato a comporre insieme avessero finalmente trovato l'incastro con gli altri pezzi.

- Grazie, Eren -

Armin chiuse di nuovo gli occhi e si addormentò quasi all'istante.
Il moro rimase a guardarlo dormire per un po', poi in punta di piedi uscì dalla stanza e andò a prendere zaino e giacca dietro la porta d'ingresso.

Stava per uscire, quando il suo occhio cadde sulla porta chiusa che dava al seminterrato.
Si avvicinò e prese a fissarla, tentato di andare a curiosare, giurando a sé stesso che avrebbe dato soltanto una sbirciatina senza toccare nulla.
Allungò la mano, la appoggiò sulla maniglia e la strinse per aprirla.

Gli bastò un secondo per rendersi conto che sarebbe stato sbagliato nei confronti di Armin, di suo nonno e perfino di sé stesso.
Si fidava dell'amico e qualsiasi cosa ci fosse in quella cantinetta decise che non ci avrebbe pensato più.
Uscì in fretta e si chiuse la porta alle spalle cercando di non fare rumore, dopodiché si avviò verso casa.

~•~

Buongiorno, Eren! La crema funziona benissimo, volevo ringraziarti di nuovo. E chiederti scusa per essermi addormentato ieri... In ogni caso ti aspetto in libreria oggi pomeriggio ;)

Questo fu il messaggio che ricevette Eren di prima mattina, poco prima di entrare a scuola. Sorrise al ricordo del pomeriggio precedente e si chiese se Armin si ricordasse del piccolo bacio che gli aveva lasciato. Per quanto insignificante fosse, a lui bruciava ancora sulle labbra.

Trascorse la mattinata trasognato, ancora meno concentrato del solito. Le parole della conversazione avuta con Zeke continuavano a risuonargli nella mente ed era quasi turbato da un pensiero che mano a mano si stava ingigantendo nella sua testa.
Aveva iniziato a pensare a quel contatto avuto con Armin, un po' più intimo rispetto a quelli che avevano avuto finora, alla sua pelle candida e alle sua labbra così vicine alle sue. Alla sensazione che aveva provato quando gli si era avvicinato, quando il cuore aveva preso a battere più velocemente e le mani a sudare un po' di più. Alla luce dei suoi occhi quando si erano posati su di lui e, ora che ci pensava bene, sulla sua bocca.

E si rese conto che non gli bastavano più solo gli abbracci, lo sfiorarsi delle mani, le piccole carezze.
Per quanto belli e personali fossero quei gesti, iniziò a pensare di avere bisogno di più, molto di più.
Aveva bisogno di baciarlo, stringerlo a sé... toccarlo.

- Jaeger -

Trasalì al richiamo della professoressa di matematica, neanche fosse stata in grado di sbirciare le immagini che stavano prendendo pericolosamente vita nella sua testa. Immagini pressoché inappropriate al contesto in cui si trovava.

- Ci vuoi degnare della tua attenzione? O hai intenzione di intrattenerti autonomamente ancora per molto? -

Eren senti le guance avvampare e non riuscì a sostenere lo sguardo della vecchia insegnante per più di qualche secondo.

- Mi scusi, prof -

Quella lo guardò ancora per un po' rimanendo in silenzio, poi continuò con le sue farneticazioni riguardo a numeri, lettere e calcoli.
Appena si fu girata, Eren sentì il gomito del proprio compagno di banco colpirlo dritto nelle costole.

- Connie! Che vuoi? -

Voltandosi, lo trovò a fissarlo con aria ammiccante.

- A che stavi pensando? Mi sembravi parecchio concentrato -

Le guance del moro, che non avevano ancora acquisito il loro colore naturale dalla sgridata di poco prima, intensificarono il rossore, sviando ogni dubbio sulla domanda retorica dell'amico.

- Tu e Sasha... come va? -

- Uh? - fece stupito Connie.
-Eren dubito che stessi pensando a me e Sasha, sarebbe preoccupante -

- No, io... -

- Parla, Jaeger! O dico alla vecchia che mi stai distraendo-

Eren buttò fuori una risatina ironica: - Non ti crederebbe mai, scemo -

Il ragazzo ci pensò un attimo su, poi inarcò le sopracciglia e reclinò la testa di lato, come per dargli ragione.

- Comunque intendo dire... come avete fatto ad avvicinarvi? -

Connie sgranò gli occhi. - Non me lo stai chiedendo davvero -

- Non come pensi tu! Come hai fatto a capire che lei sarebbe stata d'accordo? -

- Mi sono lasciato andare. Per un attimo ho smesso di preoccuparmi dei se e dei come e mi è stato immediatamente tutto chiaro. Lo vedevo nei suoi occhi, nei suoi gesti. Insomma, è una cosa che si capisce -

- Sì ma... come hai trovato il coraggio? -

- Dimmi un po', c'entra di nuovo Armin, vero? - fece Connie.

- Ma sei stupido? - Eren gli tirò un schiaffetto sulla spalla, che uscì più rumoroso di quello che aveva previsto.

- JAEGER! -

Eren conclude la lezione in corridoio. Passeggiando o andando a salutare qualche professore più simpatico di quella vecchia strega che lo aveva sbattuto fuori dall'aula.

Quando fu il momento, uscì da scuola senza guardarsi intorno, per paura di incrociare lo sguardo con qualcuno che avrebbe potuto fargli perdere tempo prezioso, e fu fortunato.
Un quarto d'ora dopo era a pochi metri dalla libreria, più agitato del dovuto.

Arrivò davanti alla porta, deglutì ed entrò.

- A-Armin? - chiamò non trovandolo dietro al bancone e si stupì di quanto la sua voce fosse risultata stridula.

Calmati, per la miseria!

- Armin? -

Nessuna risposta.
Posò lo zaino e andò ad appendere la giacca sul retro, cercando il biondo. Nessuno.

Trovò strano che la porta fosse aperta e non ci fosse nessuno dentro. Solitamente, anche per pochi minuti, sia Armin che il nonno chiudevano a chiave prima di lasciare il negozio vuoto.
Chiamò ancora un paio di volte, iniziando a preoccuparsi. Aveva appena preso il cellulare in mano quando la campanella sopra la porta d'entrata suonò, facendo trasalire Eren, che si voltò di scatto.

Armin era appena entrato, con due sacchetti di carta tra le mani e un sorriso raggiante sul volto ora riposato e infreddolito.

- Eren! Scusa se non ti ho avvisato, sono stato via cinque minuti. Ho preso questo -

E gli rifilò tra le mani uno dei due sacchetti, che Eren aprì con l'aria incuriosita.
Dentro c'era un enorme croissant, uguale a quello che aveva preso il giorno in cui erano andati in pasticceria insieme.

- Ti piaceva al cioccolato, ricordo bene? Non è molto, ma è per ringraziarti per tutto quello che hai fatto ieri per me - continuò dirigendosi al bancone e appoggiandovi la sua busta e il portafogli.

- Io amo il cioccolato! Grazie - rispose Eren addentando il dolce senza aspettare che Armin prendesse il suo per mangiarlo insieme.
Il biondo sorrise e andò a sua volta a posare il giubbotto.
Quando tornò, l'altro si era comodamente seduto sullo sgabello alto ad aspettarlo e aveva già quasi finito di mangiare.

- Vedo che hai gradito -

- Dici? -

Quando Eren si voltò, Armin vide a lato della bocca un po' di cioccolato e ridacchiò.

- Hai del cioccolato vicino alla bocca -

- Uh? - Eren incrociò gli occhi verso il basso per cercare il punto preciso e tirò fuori la lingua per raggiungerlo, con scarsi risultati.
Davanti a quell'espressione buffa, Armin rise un po' più di gusto e gli si avvicinò, tendendo la mano verso il suo volto.
Andò, quasi senza pensarci, a togliere il cioccolato con il pollice destro e indugiò qualche momento di troppo. Lo fissò negli occhi, tornando immediatamente serio.
Fece per allontanare la mano, ma Eren fu più veloce e gli prese il polso, stringendolo piano senza che lui opponesse resistenza.

Armin trattenne il fiato e sbatté le palpebre velocemente, incredulo.

- Eren... -

DLIN DLON

Entrambi si voltarono di scatto a guardare la porta d'ingresso, sulla quale si stagliava ora un ragazzo alto e spesso, con i capelli biondi e un viso dai lineamenti severi e decisi.
Il suo sguardo già accigliato si posò senza indugio sui due ragazzi e sembrò incupirsi ulteriormente quando si soffermò sulle loro mani ancora sospese in mezzo a loro.

Eren non aveva mai visto quel ragazzo e lì per lì pensò si trattasse dell'ennesimo tipo scontroso come se ne incontrano tanti in giro. Stava per chiedergli se avesse bisogno di qualcosa, ma percepì Armin irrigidirsi tra le sue dita. Si voltò per guardarlo in faccia e vide che era sbiancato, i suoi occhi sbarrati tradivano puro terrore.

- Armin, conosci questo tipo? - gli chiese a bassa voce, immediatamente preoccupato, abbassando il braccio senza però lasciarlo andare.

Il ragazzo appena entrato si avvicinò a grandi passi verso il bancone, piazzandosi con aria minacciosa proprio davanti ad Armin.
Dal suo atteggiamento e dalla reazione del biondo, Eren non impiegò molto a intuire di chi si trattasse.

- Reiner - sibilò tra i denti, corrugando la fronte e avvicinandosi ad Armin.

- Jaeger - fece l'altro, infiammandolo con i suoi occhi di pietra.
- Non pensavo che ti avrei trovato qui -

- Come sai il mio nome? -

- Potrei farti la stessa domanda. Armin deve averti parlato di me - ghignò, riportando lo sguardo sul diretto interessato, che non aveva ancora proferito parola. Il punto del viso dove c'era stato il livido, ormai scomparso, aveva cominciato a pulsare.

- Ti conviene uscire, se non vuoi che ti mandi fuori a calci - attaccò di nuovo Eren, spostandosi dietro al bancone e frapponendosi tra Reiner e Armin.

Il ragazzo scoppiò in una fragorosa e roca risata.
- Non sono venuto qui per fare a botte con un ragazzino - rispose, tornando più serio di prima. Anche lui si era avvicinato ai due ragazzi più giovani, sovrastandoli con la sua ombra.

Eren non si fece intimorire dal suo incedere minaccioso né dalla marcata differenza di altezza. Fece il giro del bancone e gli si parò davanti, incrociando le braccia sul petto.

- È l'ultima volta che ti chiedo di uscire, razza di idiota -

Eren sentì Armin sussultare a quelle parole, ma non lo guardò. Rimase a fissare Reiner mentre lentamente si voltava e piantava lo sguardo gelido sul suo volto determinato.

- Come mi hai chiamato? - chiese con una voce profonda da far tremare le mura dell'inferno stesso e avvicinandosi a lui.

Eren non gli diede il tempo di raggiungerlo e caricò un pugno con il braccio destro per andare a colpirlo dritto in piena faccia, proprio in mezzo agli occhi.

- Ti avevo avvertito - disse massaggiandosi le nocche, subito arrossate per la violenza dell'impatto.

Reiner ci mise qualche secondo a riprendersi dal colpo inaspettato, ma non appena si fu accertato di non avere nulla di rotto, si lanciò su Eren, prendendolo per il collo della felpa e sbattendolo violentemente contro uno scaffale, facendo volare per terra qualche libro.

Con uno sguardo folle sul viso si pregustò la paura negli occhi di Eren e caricò il pugno a sua volta, ma fu bloccato appena in tempo.

- FERMO! -

Era la voce di Armin, che alla vista dell'amico in pericolo ero corso ad afferrare il braccio di Reiner prima che potesse colpire.

- Ti è stato chiesto di andartene, Reiner -

Il ragazzo si voltò a osservare Armin, stupito nel vederlo reagire. L'aveva sempre considerato un ragazzo debole, al limite del piagnone, ed era forse per quello che era tornato a cercarlo, per il bisogno di avere qualcuno da assoggettare facilmente, qualcuno che gli desse sempre ragione, qualcuno che, appunto, non fosse in grado di reagire.
Ma con lui Armin non era mai riuscito a dimostrare chi fosse veramente e finalmente aveva trovato il coraggio di affrontarlo, nonostante la paura.

- Non so perché tu sia venuto qui né mi interessa. Ma voglio che tu te ne vada, ora - gli disse cercando di mantenere una voce più ferma possibile.

- Sono venuto qui perché... - provò l'altro.

- Vattene, Reiner! - non fu un urlo, né una richiesta. Quello che uscì dalla bocca, ma soprattutto dallo sguardo, di Armin fu un ordine che non ammetteva repliche.

Eren vide la sicurezza di Reiner vacillare fino a quando non lasciò la presa sul suo collo, facendogli quasi perdere l'equilibrio.
Osservò i due biondi sfidarsi con lo sguardo e ghignò di gusto quando il più grande indietreggiò per poi uscire dalla libreria a bocca asciutta, non più in grado di ribattere.

Armin riprese a respirare, quasi ansimando per far tornare il battito cardiaco a un ritmo regolare.
Guardò Eren e sorrise, come se si fosse liberato di un peso. Si saltarono al collo in silenzio, fieri l'uno dell'altro, con il cuore leggero e gli occhi che guardavano lontano.

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