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L'inizio del viaggio

Il nostro viaggio sarà la poesia più bella.

Armin, ancora avvolto tra le braccia di Eren, credette di poter svenire nell'udire quelle parole, che rimbombarono nella sua testa, rimbalzarono sulle pareti del suo cranio senza sosta, impedendogli di ragionare lucidamente.

Avvertì le punte delle dita formicolare e la mancanza improvvisa di fiato, accompagnate da un bruciore agli occhi e dalla voglia di sciogliersi in quell'abbraccio e rimanere fuso a Eren per il resto del tempo che gli rimaneva da vivere.

Il nostro viaggio.
Era a lui che si stava riferendo. Non a Mikasa, né a nessun altro. A lui, ad Armin.

Si liberò dalla sua stretta soltanto per poterlo guardare negli occhi e accertarsi di non essere stato preda di un'allucinazione, e capì di avere ancora tutti gli ingranaggi mentali al loro posto quando Eren ricambiò il suo sguardo con occhi languidi, eloquenti. Occhi che spinsero Armin a fare ciò contro cui aveva lottato con tutto sé stesso per non cedervi, stanco di essere attanagliato dai dubbi, stanco di chiedersi cosa sarebbe successo se solo ci avesse provato e se fosse ciò che davvero voleva. Perché la risposta era semplice, inevitabile: sì, certo che è ciò che voglio.

E nel momento in cui spostò il peso del proprio corpo sulle punte dei piedi e sollevò i talloni da terra, pregò perché fosse anche ciò che voleva Eren.

Appoggiò le mani al suo petto per evitare di perdere l'equilibrio e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata leggermente imbarazzata alle sue pupille sgranate, chiuse gli occhi e avvicinò il viso a quello del più alto, posando le labbra sulle sue.

Fu un tocco appena accennato, delicato come quello di una farfalla che si posa su un fiore per mettere in mostra i colori delle proprie ali, ma quel contatto bastò a incendiare quel lembo di pelle, che prese fuoco come legna secca bruciata dalla fiamma viva.

Con il cuore che minacciava di esplodere e le mani che fremevano, attese immobile una reazione da parte dell'altro, che non tardò ad arrivare.

Con suo grande stupore, percepì la presa sui suoi fianchi farsi più decisa e trattenne il fiato quando sentì che la pressione delle loro labbra fu resa più intensa da Eren, che in un primo momento era stato incapace di realizzare cosa stesse succedendo ma che non perse l'occasione di far capire ad Armin quali fossero i suoi sentimenti, ricambiando quel gesto in cui tanto aveva segretamente sperato.

Nessuno dei due sarebbe stato in grado di esprimere ciò che stavano provando in quel momento, ma entrambi avvertirono le labbra dell'altro distendersi in un sorriso spontaneo, finalmente libero.

E da quel momento smisero di farsi domande.

I loro nasi si toccarono più volte, così come le labbra, che si sfioravano e si accarezzavano sempre più intensamente.
Ogni cosa intorno a loro fu trascinata via dalla dolcezza di quell'unione, dalla lentezza di quel bacio, dal calore che si faceva violentemente strada nei loro cuori per raggiungere tutti gli altri organi e invaderli con la sua potenza, nonostante il freddo del seminterrato.

E se prima credevano di aver trovato il loro posto nel mondo, beh, ora erano loro il mondo. Perché nulla sembrava più poter esistere al di là dello spazio fisico che occupava la somma dei loro corpi fusi insieme.

Eren con un braccio lo teneva stretto a sé quasi potesse sfuggirgli e con una mano gli prese la nuca, per evitare che potesse sciogliere le loro labbra da quel tocco perfetto, interrompendo il sogno. Armin, invece, stringeva i pugni intorno al tessuto della felpa di Eren, per attirarlo ancora e ancora più vicino a sé, sempre in punta di piedi per colmare la distanza tra i loro volti.

Quando Armin aprì gli occhi e sorrise di nuovo, Eren lo imitò e prese a bearsi dell'espressione sul suo volto, della vista delle ciglia chiare delle sue palpebre appena socchiuse, del modo in cui le ciocche bionde della frangia gli cadevano ai lati della fronte, del colorito delizioso che aveva tinto le sue guance delicate.

Del luccichio che emanarono i suoi occhi mentre gli carpì il labbro inferiore con le sue.
Eren ridacchiò e, per non essere da meno, sfiorò con la lingua quella carne, gonfia e morbida, godendosi il sussulto che provocò in Armin con quel gesto.

Neanche Armin riuscì a trattenersi e lo spinse lentamente fino al bancone di legno, su cui Eren si appoggiò, sbilanciandosi un po' all'indietro per permettergli di adagiarsi tra le sue gambe e colmare lo spazio che gli spettava, suo dal giorno in cui si erano incontrati.

Le loro bocche ripresero allora a danzare un lento insieme, come due esperti ballerini, trasportate da una melodia che solo loro erano in grado di ascoltare e di cui solo loro conoscevano il significato.

Si sorrisero, si provocarono, si amarono. E da quel momento furono i loro sentimenti a guidarli, a iniziare quel viaggio che li aspettava da tempo e che aveva atteso soltanto il momento giusto per partire.




Eren era da poco andato via, già in ritardo per i preparativi della festa del suo compleanno, che si sarebbe svolta a casa sua la sera stessa.

Armin era seduto sulla solita poltrona a guardare fuori dalla finestra, oltre la quale il cielo iniziava a imbrunire. Con gli occhi a mezz'asta e un lieve sorriso sulle labbra teneva stretto tra le braccia uno dei suoi pupazzi preferiti e lo accarezzava dolcemente, intento a non farsi sfuggire neanche un dettaglio di ciò che era successo nel pomeriggio. Ancora non riusciva a crederci.

- Gradiresti una tazza di the? - chiese suo nonno entrando nella stanza e facendolo trasalire.

- Volentieri, grazie - rispose il ragazzo ampliando il sorriso.

- Lo preparo subito - l'uomo si diresse in cucina e poco dopo fu raggiunto da Armin, che prese due tazze da un armadietto e le appoggiò sul tavolo.

- Allora, è piaciuto il regalo a Eren? - domandò il signor Arlert una volta che il the fu pronto, già fumante nelle tazze poste davanti a loro.

Armin arrossì: - R-Regalo? -

Il nonno ridacchiò: - Quello su cui hai lavorato per mesi, Armin. Quel regalo -

Si diede dello stupido: aveva perso davvero la testa al punto da dimenticare il vero motivo per cui Eren era andato a trovarlo?!

- Oh sì, molto -

- Ne sono felice -

I due bevvero qualche sorso in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Fino a che l'occhio dell'uomo più anziano cadde su ciò che Armin stava indossando in quel momento.

- Quella felpa somiglia molto a quella che aveva Eren quando è arrivato qui - buttò lì casualmente, sorseggiando dalla tazza e osservando di sottecchi la reazione del nipote, cercando di nascondergli quanto si stesse divertendo a stuzzicarlo un po'.
Ma Armin era intento a non soffocare a causa del liquido che gli era andato di traverso al solo sentire quel nome.

Effettivamente gliel'aveva prestata Eren dopo un'oretta che si trovavano al piano di sotto, quando Armin aveva iniziato a tremare, non più solo per l'emozione. Erano seduti su un vecchio divano abbandonato lì da chissà quando e Armin era rannicchiato a cavalcioni sulle gambe di Eren, con la guancia appoggiata al suo petto, cullato dal battito del suo cuore e dalle sue carezze sulla schiena.

- Ma tu stai congelando! - gli aveva sussurrato Eren nell'orecchio.

Allora aveva sollevato la testa ed era tornato a guardarlo negli occhi: - Non è niente, tranquillo -

L'altro, che non aveva voluto sentire ragioni, si era sfilato la felpa nera dalla testa e l'aveva infilata ad Armin, che non era riuscito a ribellarsi a quella premura, subito rigenerato dal suo calore ancora presente sulla stoffa.

- Non voglio che ti ammali, stasera sarai il mio ospite d'onore -

Per ringraziarlo, Armin aveva sfoderato un bellissimo sorriso e gli aveva dato un bacio, l'ultimo di una lunga serie di cui avevano ormai perso il conto.

Il signor Arlert si schiarì la gola, riportando il ragazzo con i piedi per terra.

- È sua... me l'ha prestata perché avevo freddo -

- In effetti siete stati parecchio giù nel seminterrato -

Il biondo si fece piccolo piccolo sulla sedia, cercando di nascondere l'imbarazzo nascente sulle sue guance con la tazza che teneva tra le mani, invano.

- Forza, finisci il the che poi devi prepararti per la festa -

Armin annuì e dieci minuti dopo era davanti all'armadio, in cerca di qualcosa da indossare per la serata. Ma l'unica cosa su cui riusciva a concentrarsi in quel momento era il profumo che quella felpa continuava a emanare , così decise di tenersela addosso, abbinandola a un paio di semplici jeans chiari.
Lui, che aveva sempre prestato attenzione a come si presentava in ogni occasione, stava uscendo di casa vestito come Eren Jaeger.

Era emozionato all'idea di rivederlo così presto. Emozionato e agitato, perché non avevano parlato di come si sarebbero dovuti comportare una volta insieme ai loro amici e non sapeva se avrebbe dovuto salutarlo con un altro bacio o fingere che non fosse successo nulla. Ma decise di porsi il problema solamente una volta arrivato da Eren, convinto che tutto sarebbe andato per il meglio e che, se era destino, ogni cosa sarebbe venuta da sé.

Eppure, quando si trovò davanti alla porta di casa sua, sentendo le voci degli invitati arrivati prima di lui e una che sopra tutte le altre rivendicava la precedenza per giocare dal momento che il compleanno era il suo, esitò prima di suonare il campanello.

Dovette aspettare qualche secondo prima che arrivasse Jean ad aprire e a lasciarlo entrare.

- Buonasera, Armin -

- Ciao, Jean -

Non fece in tempo ad avviare una conversazione, che Ymir lo richiamò dalla parte opposta della stanza perché le preparasse "quel cocktail che solo tu sai fare".

- Tu accomodati, quella testa di legno di Eren è troppo impegnata a giocare al nerd per fare gli onori di casa -

Armin sorrise e si voltò a guardare il moro, che dava le spalle all'ingresso e non l'aveva ancora visto, e si avviò verso il gruppetto preso da un videogioco, di cui facevano parte anche Sasha e Connie, arrivati chissà quanto tempo prima.

- Ciao, ragazzi! -

Eren staccò gli occhi dallo schermo non appena sentì la sua voce e gli rivolse un enorme sorriso che fece cedere le ginocchia di Armin, costretto a farsi posto accanto a lui sul divano per evitare di sciogliersi sul tappeto.

- Ti stavo aspettando - gli disse, lasciando il joystick con una mano per stringerla intorno al suo braccio.

- Ah, sei morto! - gridò Connie, rivolgendogli uno sguardo vittorioso.

- Pazienza - rispose Eren, con un sorriso serafico in volto.

- Eh?! Eren, stai bene? - gli chiese l'amico rasato, incredulo. Solitamente Eren perdeva la testa se gli capitava di perdere e si infuriava da morire. E Connie lo conosceva troppo bene per non rendersi conto che fosse successo qualcosa di nuovo.

- Benissimo - disse infatti il moro, faticando a distogliere lo sguardo dai magnetici occhi azzurri di Armin, su cui aveva riportato l'attenzione.

Giocò una seconda partita, questa volta sfidato da Thomas, dopodiché cedette il proprio posto a Sasha, lasciando tutti perplessi.
Richiamò l'attenzione di Armin posandogli la mano su un ginocchio: - Vieni con me - disse, alzandosi e facendosi strada tra gli amici seduti ai piedi del divano, seguito dal biondo.

Cercando di evitare occhiate indiscrete, lo condusse in camera sua e si chiuse la porta alle spalle, dirigendosi in mezzo alla stanza, vicino ad Armin.
Non aveva acceso la luce e l'unica fonte che li illuminava era quella azzurrina dei lampioni fuori dalla finestra aperta.

- Allora, come... come stai? - chiese Armin, imbarazzatissimo, cercando di non incrociare il suo sguardo.

Per tutta risposta, Eren si portò a pochi centimetri da lui e gli prese il volto tra le sue grandi mani.
Lo guardò negli occhi, brillanti anche nella penombra, e lo baciò, dolcemente.

Le dita di Armin raggiunsero e circondarono i suoi polsi, come ad avvertirli di non mollare la presa, di non abbandonare quelle guance ora ardenti.
Ed Eren, nel sentire quel tocco, deciso e al contempo dolcissimo, lo avvicinò ancora di più a sé, rassicurandolo del fatto che non lo avrebbe più lasciato andare.

Il bacio era lento, ma sempre più appassionato: da che erano solamente le labbra a sfiorarsi, ora erano anche le lingue a essersi incontrate, giocando l'una con l'altra a rincorrersi e a nascondersi, per il solo gusto di farsi ritrovare e ricominciare a giocare con più foga di prima.

A un tratto, Eren si staccò per riprendere fiato, senza comunque riuscire a interrompere del tutto il contatto tra le loro labbra: - Mi piace questa felpa. Dove l'hai presa? -

- Ma sai, me l'ha data un tipo... - rispose Armin, facendo roteare gli occhi con falsa indifferenza.

- Ah sì? E com'è questo tipo? - chiese Eren con un sorrisetto malizioso, prendendo tra i denti il suo labbro inferiore, carnoso oltre ogni decenza.

- Mmm lo definirei simpatico - rispose di nuovo il biondo, questa volta guardandolo negli occhi.

- Simpatico, eh? - fece Eren, sfidandolo con lo sguardo, pronto a smentire il termine che l'altro gli aveva scherzosamente appioppato per descriverlo.

Erano sul punto di ricominciare da dove avevano interrotto, più bramosi di prima, quando udirono i loro amici all'esterno reclamare la presenza del festeggiato.
Eren strizzò gli occhi, poi rivolse ad Armin uno sguardo che sembrava supplicarlo di rimanere lì con lui e fregarsene del resto degli invitati.

- È la tua festa, è normale che vogliano stare con te - lo spronò il più basso prima di regalargli un ultimo, piccolo bacio a fior di labbra.

Eren sospirò, rassegnato, e si avviò ad aprire la porta e a uscire dalla stanza.
Non gli sfuggì l'occhiata divertita e il cenno d'intesa che si scambiarono Connie e Sasha non appena li videro venir fuori insieme.

Siamo fottuti, pensò tra sé e sé, prevedendo una sessione inquisitoria da parte dei loro due amici non appena fosse finita la festa.

E infatti più tardi, senza neanche aver lasciato il tempo agli ultimi invitati di prendere tutte le loro cose, Connie spinse i due ragazzi sul divano, l'uno accanto all'altro, e si sedette per terra di fronte a loro. Sasha li raggiunse in un paio di minuti, dopo aver mandato fuori praticamente a calci Jean e Ymir, che ancora cercavano di racimolare un po' di alcool da qualche bicchiere mezzo pieno.

- Dunque? - quella che uscì dalla bocca del ragazzo rasato fu una domanda quasi retorica, dava per scontato che i due capissero al volo a cosa si riferisse e iniziassero a raccontare tutto quanto tenendosi teneramente per mano.

Ma, ovviamente, Eren e Armin fecero i finti tonti, cercando una soluzione negli occhi dell'altro.

- Ragazzi... - disse Sasha in tono grave, dopo aver chiuso gli occhi ed essersi portata due dita sul ponte del naso.

Erano con le spalle al muro. Nessuno dei due, però, iniziò a parlare, intimorito dal fatto che forse l'altro non avesse intenzione di rendere pubblico quel loro episodio privato, neanche agli amici più cari.

- Tanto lo abbiamo capito, dovete solo raccontarci com'è andata, su - continuò la ragazza, addolcendo però la sua espressione.

I due sospirarono e attaccarono a parlare, all'unisono.

- Parla tu - disse Eren, sollevato dal non doversi esprimere lui stesso su un argomento tanto delicato, consapevole del fatto che non sarebbe riuscito a tirar fuori un discorso sensato.

Così Armin si grattò una guancia e si schiarì la gola, prima di iniziare a parlare: - Gli ho dato il mio regalo oggi, a casa mia - ma si interruppe all'istante, lanciando un'occhiataccia a Sasha, che aveva messo su un ghigno fin troppo eloquente, seguita da una gomitata da parte di Connie.

- E poi niente, è successo quello che è successo -

- Mh, ora sì che ne so più di prima - disse Connie, incrociando le braccia sul petto.

- Sentite - Eren venne in soccorso di Armin, vedendo che nemmeno lui sembrava troppo convinto della situazione - Per ora vi basti sapere che stiamo bene così -

- Uff, noiosi - disse Sasha sbuffando - A noi serve soltanto sapere cosa avete fatto -

- Vi serve? - chiese Armin, socchiudendo le palpebre con fare dubbioso.

- Sì, ci serve -

- Non voglio indagare sul perché vi serva, ma non siamo andati oltre il bacio -

E davanti ai loro occhi, la ragazza si avvicinò al fidanzato, sussurrandogli all'orecchio qualcosa che non riuscirono a sentire: - Mi devi una cena, pervertito -

Poi si rivolse nuovamente a loro due, con il sorriso di una mamma fiera dei suoi bambini cresciuti: - Era ora che vi svegliaste -

Eren e Armin si guardarono e non riuscirono a trattenere una piccola risata, prima che il cellulare del moro squillasse nella tasca dei suoi pantaloni e lui si alzasse per rispondere, spostandosi a pochi metri da loro per non disturbarli.

Quando tornò, il suo viso era impallidito e l'espressione prima dolce si era trasformata in una maschera di pura tensione: - I miei hanno avuto un incidente -

I tre amici non dissero nulla, si alzarono di scatto e raccattarono lo stretto necessario per uscire di corsa da casa e raggiungere l'ospedale nel minor tempo possibile e dopo un quarto d'ora erano all'ingresso del pronto soccorso, a chiedere informazioni sui signori Jaeger. Apparentemente solo Carla era stata ricoverata, mentre Grisha, dopo una visita di routine, sembrava stare bene.

Lo raggiunsero al terzo piano, trovandolo seduto su una fredda sedia di metallo, solo, con il volto tirato tra le mani e lo sguardo fisso sulla parete di fronte a sé.

- Papà! - lo chiamò Eren correndogli incontro.

- Eren! Ragazzi, ci siete anche voi -

- Papà, cosa è successo? - il ragazzo si era inginocchiato davanti a lui e gli aveva preso le ginocchia tra le mani, un po' per cercare di calmarlo e un po' per l'impazienza di sapere dove fosse e come stesse la madre.

- Un'auto ci è venuta addosso dalla parte opposta della strada... tua mamma per ora è addormentata -

- Dov'è? Posso vederla? -

- Lì dentro - disse indicando con la testa una porta chiusa a pochi metri di distanza.

Eren si alzò e prese la mano di Armin, facendogli capire di aver bisogno di lui per entrare a vedere in che condizioni si trovasse la donna. Il biondo lo seguì senza fiatare e silenziosamente aprirono la porta bianca dietro la quale si trovava il letto, circondato da tubi e macchinari, su cui era distesa Carla. Il solo rumore che si sentiva era quello proveniente dal monitor che registrava il suo battito cardiaco, calmo e regolare, e la luce era fredda ma soffusa, non dava fastidio.

Armin strinse la mano di Eren, per fargli capire di poter contare sulla sua presenza e sul suo appoggio in qualsiasi momento. Ed Eren apprezzò quel gesto, ricambiò la presa e si rilassò appena.

- Mamma... -

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