Brividi
Armin si svegliò di buon'ora domenica mattina, nonostante durante la notte avesse dormito poco e male.
Controllò il cellulare, trovando solo un messaggio di Reiner della sera prima che non aprì nemmeno: probabilmente gli aveva scritto quando era uscito con gli amici per ubriacarsi.
Posò il cellulare sul comodino e rimase a fissare il soffitto per un buon quarto d'ora, indeciso su cosa fare: Eren gli aveva detto che si sarebbe fatto sentire eppure non gli aveva ancora scritto né telefonato, e in giornata avevano in programma di vedersi.
Anche se avevano organizzato prima che succedesse... niente. Prima che succedesse niente, dato che di fatto non era successo un bel niente.
Sospirò rumorosamente e si trascinò fuori dal letto, passandosi una mano sulla faccia nel vano tentativo di scacciare i pensieri e iniziare la giornata nel migliore dei modi.
Si infilò una felpa e andò a fare colazione, trovando il nonno già seduto al tavolo a leggere il giornale.
Questi si accorse subito che c'era qualcosa a tormentare la testolina del nipote, così aspettò che si sedesse e iniziasse a mangiare.
- Oggi sarò in libreria tutto il giorno - buttò lì dopo che Armin ebbe addentato un biscotto al cioccolato.
Si aspettava una reazione, dato che di domenica la libreria rimaneva chiusa, solitamente.
Ma non ricevendo risposta, continuò: - Devo fare l'inventario, è già ora di fare un nuovo ordine -
Armin quasi non ci fece caso: - Mh mh -
- Tu dovrai vedere Eren, giusto? Penso che pioverà in giornata - disse fingendo di accertarsi del meteo fuori dalla finestra.
- Non penso ci vedremo -
- Perché no? Potresti farlo venire qui e... -
- Non verrà qui - rispose secco Armin.
Il nonno rimase di stucco per qualche secondo, poi rivolse uno dei suoi teneri sguardi al ragazzo: - Va tutto bene? -
Il biondo sbuffò, senza alzare gli occhi dalla sua tazza con lo stemma dei Grifondoro.
- Sì, scusami, va tutto bene... Posso chiederti un favore? -
- Dimmi tutto, figliolo -
- Posso andare io in libreria oggi? -
Il signor Arlert non credette alle proprie orecchie. Aveva capito che tra i due ci fosse qualcosa di strano dal giorno prima, ma non si aspettava che fosse così grave da spingere il nipote a sabotare il proprio appuntamento.
- Per favore... Ne ho bisogno -
Finalmente alzò gli occhi e prese a fissare il nonno, con uno sguardo indecifrabile, quasi vuoto.
L'uomo non sapeva cosa dirgli: ci pensò un po' e giunse infine alla conclusione che se era ciò che serviva ad Armin in quel momento, non glielo avrebbe di certo negato.
Ovvio, non senza qualche remora.
- Va bene... Hai intenzione di starci per tutto il giorno? -
Questa volta fu il ragazzo a esitare: - S-Sí -
Armin adorava stare solo in mezzo ai libri: lo calmava e lo avrebbe aiutato a mettere ordine nei propri pensieri, avrebbe avuto il tempo di riflettere su tutta quella faccenda, su quello che succedeva da qualche tempo con Eren, su cosa provava per lui.
Finì di mangiare, corse a prepararsi e uscì da casa mezz'ora dopo, sempre con indosso la giacca che gli aveva prestato il suo amico la sera in cui erano andati a ballare.
Quando arrivò stava iniziando a piovere.
Entrò e lasciò la saracinesca leggermente alzata, prima di chiudersi dentro a chiave. Posò lo zaino sul bancone, si sfilò la giacca, chiuse gli occhi e la portò accanto al volto. Non riuscì a fare a meno di stringerla un po' più forte al petto e quasi gli parve di sentire del calore all'altezza del cuore.
Stupido.
Questo urlò mentalmente prima di gettarla in malo modo accanto allo zaino.
Prese il quaderno dell'inventario da sotto il bancone e spalancò la porta del retro, cercando di concentrarsi sul lavoro che avrebbe dovuto fare.
Passò un'ora e aveva appena deciso di prendersi una pausa, quando sentì bussare alla porta principale.
- Ma che vogliono? Non vedono che è chiuso? - mormorò tra sé, vagamente irritato.
Bussarono di nuovo, con più insistenza questa volta.
Uscì dal retro e si avvicinò alla porta, bloccandosi non appena ebbe riconosciuto la persona all'esterno del negozio: non vedeva l'intera figura, ma avrebbe riconosciuto quelle scarpe consunte tra mille.
Andò ad aprire, lentamente, con la stessa scioltezza con cui si sarebbe fatto strada nelle sabbie mobili.
Quando la serratura scattò e la porta si aprì, vide il ragazzo abbassarsi per passare sotto la saracinesca e trattenne il fiato quando apparve il suo viso, tirato, stanco, quasi irriconoscibile.
Fuori stava piovendo, esattamente come aveva previsto il nonno, e lui, non avendo l'ombrello con sé, si era bagnato dalla testa ai piedi.
In silenzio fece qualche passo all'interno della libreria, lasciando una scia d'acqua sotto le suole.
Senza neanche trovare la lucidità per chiedersi come avesse fatto a sapere che l'avrebbe trovato in libreria, fu Armin a spezzare quel silenzio imbarazzato: - Dammi la giacca, Eren -
Persino pronunciare il suo nome gli sembrò fuori luogo in quel frangente.
L'altro ubbidì senza dire nulla, si sfilò la giacca e la porse all'amico, che prontamente, come se non vedesse l'ora di trovare un pretesto per uscire da quella situazione, tornò sul retro e la appese al muro, accanto a quella che aveva indossato lui.
Eren si avvicinò al bancone e aspettò che Armin tornasse: era deciso a parlargli, quantomeno a invitarlo a uscire come avevano previsto di fare.
Il resto l'avrebbero deciso strada facendo.
Tracciò nervosamente con l'indice il bordo del bancone di legno, lo stesso bancone su cui più volte si era trovato a fare i compiti con Armin ed era stato beccato a fissarlo, incantato dai suoi modi delicati e dalla sua voce dolce.
Non appena ricomparve, ne approfittò per parlare: - Armin, riguardo a ieri... -
Ma si bloccò all'istante, improvvisamente ogni parola, ogni discorso sembrò inutile, privo di senso.
Armin notò che Eren si stava grattando la nuca, un gesto che non gli aveva più visto fare e che sapeva fin troppo bene cosa significasse, così decise di evitargli l'imbarazzo.
- Non ti preoccupare, Eren... Non è successo niente -
Pronunciò quelle parole sforzandosi di sorridere.
E a Eren si spezzò qualcosa dentro.
Era evidente che Armin non era interessato ad approfondire il discorso, così preferì lasciar perdere: non aveva alcuna intenzione di rovinare quell'amicizia, e se questo significava tenere nascosti i propri sentimenti, beh, l'avrebbe accettato.
Sarebbe stata dura, lo sapeva.
Ma si sarebbe impegnato, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di rimanere al fianco di Armin, inebriarsi del suo profumo, saziarsi del suo sorriso, immergersi nei suoi occhi.
Sarebbe stata dura, e ancora non sapeva quanto.
Ne ebbe un assaggio quella mattinata stessa, durante la quale non riuscirono neanche a intrattenere una conversazione "normale", figuriamoci una delle loro, sempre accese e spensierate.
C'era già stata della tensione tra loro altre volte.
C'era stata la prima volta che si erano incontrati per studiare.
C'era stata la sera in cui avevano ballato insieme.
C'era stata durante gli ormai numerosi pomeriggi in cui si erano trovati a guardare un film insieme, accoccolati l'uno accanto all'altro.
C'era stata giusto il pomeriggio precedente che, se non fossero stati bruscamente interrotti dal nonno di Armin, chissà come sarebbe andata a finire.
Ma la tensione che aleggiava nella stanza quella domenica mattina era di tutt'altra natura, era condita da un nuovo elemento, che finora i loro incontri non avevano ancora conosciuto: disagio.
Mai si erano trovati a disagio l'uno con l'altro prima.
Per questo finirono a parlare di banalità, del perché Armin lavorasse in libreria quella mattina, o del perché Eren non avesse portato con sé un ombrello, vista la pioggia.
A questa domanda, il moro rispose di essersene dimenticato, ma la verità era un'altra: aveva fretta di vedere Armin e confessargli tutto ciò su cui aveva meditato nelle ultime ore.
E invece era stato bloccato dalle parole di Armin stesso.
Non riuscivano quasi a incrociare gli sguardi: le poche volte che succedeva, uno lo spostava arrossendo e l'altro ne approfittava per osservarne la reazione, studiarne i tratti con un senso di malinconia, di nostalgia vera e propria, come se entrambi sentissero nel profondo che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbero parlato faccia a faccia, da soli.
Ma la cosa peggiore di tutte fu che nessuno dei due accennò al tempo che avrebbero dovuto trascorrere insieme quel giorno.
Dopo neanche un quarto d'ora, sopraffatto dall'imbarazzo, Armin comunicò a Eren di dover tornare al lavoro, con un'aria a dir poco desolata ma al contempo sollevata: non avrebbe portato oltre quella che per Eren sembrava una tortura.
Aveva smesso di piovere, ma la sua giacca era ancora fradicia, così Armin prese dall'appendiabiti anche quella che aveva in prestito ormai da una settimana.
- Prendi questa, è asciutta ed è... tua -
Eren rimase spiazzato per un attimo: non sapeva se essere felice per il fatto che Armin l'avesse indossata come sua, o triste perchè gliela stava restituendo.
- E tu come farai? Ne hai un'altra? -
- Sì, non preoccuparti... ne tengo sempre una qui per ogni evenienza - mentì.
Eren guardò la giacca per un po' poi la indossò, poggiando sul braccio quella bagnata.
- Eren... -
- Sì? - i suoi occhi si illuminarono mentre tornava a posarli sul viso di Armin.
- ... ci vediamo domani a scuola -
Suonò come un'affermazione più che un invito, e per l'ennesima volta negli ultimi due giorni, Eren ebbe l'impressione di ricevere una stilettata dritta nel petto.
- Sì, ci vediamo a scuola - e uscì, con i suoi capelli scompigliati, quella giacca sulle spalle curve, trascinando i piedi come sempre.
Lasciando Armin solo con i propri pensieri a spaccargli l'anima.
Corse nel retro e tirò un pugno contro a uno scaffale, meravigliandosi di sé stesso e di quell'impulsività che non gli apparteneva.
Lacrime amare iniziarono a rigargli il volto.
Lacrime di rabbia per non essere stato all'altezza della situazione, per aver perso più di un'occasione in quel poco tempo che gli era stato concesso in compagnia di quel ragazzo meraviglioso che era piombato impunemente in quella libreria e nella sua vita senza chiedere il permesso, portando un'aria di novità, di freschezza, di spontaneità.
Lacrime di tristezza al pensiero che nulla sarebbe stato più lo stesso dopo ciò che non era accaduto, al pensiero che il suo amore - perché quello era, era inutile negarlo almeno a sè stesso - non sarebbe mai stato ricambiato.
E lacrime dolci al ricordo dei momenti trascorsi insieme, degli sguardi complici che erano soliti scambiarsi, da soli o in compagnia, delle attenzioni che Eren aveva dimostrato nei suoi confronti in più di un'occasione, della loro vicinanza appena qualche ora prima, dei suoi occhi color smeraldo, delle sue labbra rosa a contrasto con la pelle olivastra.
Queste erano le lacrime più dolorose, quelle che lo trascinarono a terra, rannicchiato in mezzo agli scatoloni e alle pile di libri da catalogare, nascosto dal proprio pianto e dai propri singhiozzi liberatori, lì dove nessuno l'avrebbe sentito, lì dove nessuno l'avrebbe trovato.
~•~
Trascorse una settimana senza che i due ragazzi si scambiassero un messaggio, una telefonata o anche solo si incontrassero di sfuggita nei corridoi.
Tranne un giorno, durante l'intervallo di metà mattina, quando Armin aveva intravisto Eren alla macchinetta del caffè, in compagnia della sua amica dallo sguardo gelido.
Lui sembrava tranquillo e sorridente come al solito, scherzava insieme all'amica e a un altro ragazzo, poco più alto, con i capelli color sabbia rasati sulla nuca.
Armin si sentì ancora più patetico a osservare quella scena: a quanto pareva era l'unico a patire quel distacco.
Non si accorse, mentre voltava loro le spalle e si recava verso la classe, che un paio di occhi verdi lo stavano seguendo, immediatamente incupiti.
Sasha era l'unica di cui riusciva ancora a sopportare la compagnia, lo riportava con i piedi per terra con le sue follie, le sue battute, i suoi sonnellini durante le lezioni dai quali era costretto a svegliarla.
Armin sapeva che l'amica stava intensificando i rapporti con Connie, ma lei sembrava non volerne parlare, non accennava mai a niente che lo riguardasse.
Una volta sola lo nominò, in un messaggio che gli scrisse un pomeriggio dopo scuola.
Erano passate quasi due settimane da quando Eren era andato a trovarlo in libreria e da allora non aveva più avuto sue notizie.
Venerdì sera un amico di Connie organizza una festa a casa sua. Tu verrai con me, non accetto un no come risposta ;)
Era troppo. Non solo con ogni probabilità si sarebbe trovato a fare il terzo incomodo, ma sarebbe stato in mezzo a persone che non conosceva e che sicuramente non avrebbero avuto interesse nel conoscere lui.
E con il rischio di trovarci anche Eren, dato che si trattava di un amico di Connie.
No, non poteva chiedergli una cosa del genere. Sasha avrebbe capito e si sarebbe divertita ugualmente senza di lui. Anzi, si sarebbe divertita pure di più senza di lui.
Mi dispiace deluderti, ma temo che la mia risposta sarà proprio quella... scusami, non sono in vena di passare una serata in mezzo a gente che non conosco
Un messaggio freddo, rispetto ai suoi soliti pieni di smiles e punti esclamativi: rispecchiava totalmente il suo stato d'animo attuale.
Non rompere. Ti farà bene invece, hai bisogno di distrarti da tutto questo studio :)
Già, lei non sapeva nulla di quello che era successo o del fatto che il suo amico stesse perdendo i contatti con Eren: dava tutta la colpa della sua stanchezza alla preoccupazione per i voti finali prima delle vacanze di Natale.
Davvero Sa, non insistere. Ti prego
Insisto eccome! Ci sarà anche Eren, pensavo te ne avesse parlato...
Un motivo in più per non andare!
No, non me ne ha parlato
Sentì sto arrivando a casa tua, mi devi raccontare cosa è successo
Quella ragazza è davvero incredibile, pensò Armin già rassegnato all'idea di doverle raccontare ogni cosa. Forse aveva sbagliato a non dirle nulla, ma gli sembrava che fosse così felice che non aveva intenzione di rovinarle l'umore con i suoi piagnistei del tutto privi di senso.
Ma fu esattamente così che andò: non appena Sasha arrivò, si chiusero in camera di Armin e lui si aprì come un rubinetto, con le parole e con le lacrime.
- Secondo me siete due scemi - asserì Sasha dopo aver ascoltato tutto il racconto con aria concentrata.
- Cosa? E perché? - chiese il biondo, con gli occhi ancora rossi e gonfi.
- Tu fidati di me e vieni a quella festa, okay? -
Armin era titubante, ma sembrava che la ragazza sapesse davvero il fatto suo. Magari era a conoscenza di qualcosa di cui lui era all'oscuro.
Non rispose e Sasha lo prese per le spalle esili, scrollandole energicamente.
- OKAY?? -
- ... va bene - non poté farne a meno, quando la sua amica si metteva in testa qualcosa che lo riguardasse non c'era nulla che le facesse cambiare idea.
Venerdì sera arrivò, inesorabile come l'agitazione nel petto e nel cervello di Armin.
La sua unica intenzione era quella di non rovinare la serata a Sasha, tutto il resto sarebbe stato secondario, e per farlo si sarebbe dovuto sforzare di non far trasparire alcuna emozione alla vista di Eren. E ovviamente di comportarsi il più naturalmente possibile.
Passò a prenderla dopo cena e insieme camminarono fino alla villa alla periferia del paese a cui corrispondeva l'indirizzo che Connie aveva mandato.
Suonarono il campanello, entrambi agitati ma per motivi differenti.
Aprì loro la porta un ragazzo alto, lo stesso che Armin aveva visto a scuola in compagnia di Eren non molto tempo prima.
- Ciao, sono Jean - si presentò con un sorriso amichevole, lasciando entrare i due nuovi ospiti.
- Voi dovete essere Sasha e Armin, giusto? -
- Esatto! La tua casa è tipo... wow - esclamò la ragazza guardandosi intorno: aveva l'impressione di essere stata catapultata in una serie TV americana, una di quelle che parlano di feste pazze al college.
Jean rise, poi li invitò a togliersi i cappotti e a posarli in un immenso guardaroba dove erano già state riposte le giacche degli altri invitati.
- Accomodatevi, ragazzi! Eren e Connie sono già arrivati - disse, ammiccando in direzione di entrambi e lasciandoli in mezzo al corridoio insieme al loro imbarazzo.
- Andiamo! - disse Sasha prendendo il polso dell'amico e recandosi in direzione della musica, che suonava alta da quello che doveva essere il salone.
Trovarono subito Connie, già euforico, che fu immediatamente condotto dalla ragazza in un angolo lontano dalle orecchie di Armin. Confabularono per un po', voltandosi spesso a osservarlo e lanciando occhiate al resto della stanza.
Alla fine si separarono, l'uno dirigendosi da una parte e l'altra correndogli incontro con un sorriso più che compiaciuto.
- Vieni con me - gli prese di nuovo il polso, si fece largo tra gli invitati seguendo la strada che aveva percorso un attimo prima Connie e si affacciò su una nuova stanza.
Il sorriso le sparì dal volto all'istante.
Cercò di fermare Armin, ma questo venne spinto da una ragazza esattamente sulla soglia.
Quello che vide lo fece inorridire.
Brividi gelati gli percorsero le braccia e la schiena. Gli occhi iniziarono a pizzicare e la vista gli si annebbiò nel giro di un istante.
Non sentì nulla, non capì nulla e non pensò più a nulla.
Tutto ciò su cui l'intero suo corpo riuscì a focalizzarsi furono le labbra della gelida amica di Eren posate su quelle del suo amato.
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