Capitolo 6
Uno strano odore mi giunge fino al naso. Un odore che non è sconosciuto, ma che non è normale per il mio appartamento. Ho la testa sotto la coperta, così la sposto leggermente per vedere meglio la finestra. È bello riuscire a capire che ore sole solo guardando il sole. Mi meraviglio quando mi accorgo che l’alba è passata da poco, in realtà da più di un’ora, ma per me è comunque un orario inconsueto per svegliarmi. Cerco di mettermi comoda per riaddormentarmi, ma gli odori che adesso sono ancora più forti non mi danno pace. È un tormento continuo. Comincio quasi a pensare che questi odori siano solo uno scherzo della mia testa, ma non riesco a capire perché sto immaginando di sentire il profumo di un buon caffè e dei pancake, che tra l’altro sono uno di quei piatti che ho sempre odiato.
Continuo a spostarmi, in attesa di riprendere sonno, quando una voce si fa largo nella mia mente ancora non del tutto sveglia. -Scusa se ti ho svegliata, Ellie.-
A questo punto non posso più lasciare nulla al caso. Allontano immediatamente la coperta e mi alzò di scatto. Mi sporgo verso la cucina e vedo Dylan intento a trafficare con i fornelli della mia piccola cucina.
Un miscuglio di emozioni mi invade, dalla nostalgia alla felicità, dalla tristezza all’incomprensione. -Non fa niente, ci sono abituata.- Mento io.
-So che non è così, non scomodarti a mentire con me.- Dylan mi risponde senza nemmeno voltarsi, intento com’è a rigirare i pancake. Avevo quasi dimenticato quanto fosse bello essere beccata da lui mentre mentivo. So che non è normale sentirsi felici quando si è colti con le meni nel sacco, ma in questo caso è diverso. Qualunque cosa con Dylan era diversa, anche le cose negative diventavano negative, perché significava che io per lui ero un libro aperto e stare con lui mi faceva sentire al sicuro, come non mi era mai successo nella mia vita.
Mi avvicino alla cucina con pochi passi. -Sei andato a fare la spesa?- Dalla mia voce trasparisce la sorpresa.
-Sembri così sconvolta. Comunque non potevo fare altro, la tua dispensa era completamente vuota, senza contare che non ti sei nemmeno degnata di accendere il frigo da quando sei qui.- Nel tono della sua voce c’è una punta di rimprovero, ma non uno di quei richiami che non vuoi nemmeno stare a sentire, diciamo che sembra più che altro preoccupato, anche se in realtà non c’è niente di grave in quello che ho fatto, almeno non per me.
-È solo perché non ne ho bisogno.-
-Oh, certo. Tu non sai cucinare. Quando stavamo insieme ero sempre io quello che si occupava di queste cose, e a te non è mai nemmeno importato imparare, anche se adesso ti sarebbe molto utile. Non credi?-
Le sue parole non mi scombinano più di tanto. Mi avvicino ancora e mi siedo in una della due sedie. -Imparare a cucinare non rientra tra le mie priorità.- Ribatto semplicemente io.
Dylan si volta e mi guarda negli occhi. In questo momento ripenso a tutto quello che è successo ieri e un brivido mi scende lungo la schiena. -Sapevo che lo avresti detto. E anche quando mi hai promesso che avresti provato a imparare qualcosa mentivi, non è vero?-
-Pensavo te ne fossi accorto.- Cerco di giustificarmi.
-Forse volevo poter credere che parlassi sul serio, come quando mi giurasti che non te ne saresti mai andata.- Non credo che Dylan volesse ferirmi, ma le sue parole mi arrivano come delle pugnalate al petto che continuano a colpirmi all’infinito, o meglio che non avevano mai smesso di colpirmi da quando lo avevo lasciato.
Per un attimo credo anche che stiano per salirmi le lacrime agli occhi, ma il mio corpo non mi tradisce, non questa volta.
All’improvviso, dopo che ho staccato il contatto visuale con lui, si volta verso i fornelli e mette un paio di pancake ricoperti di miele in un piatto di plastica e me lo avvicina. Vedendo la mia espressione un pensiero si fa largo nella sua testa, riesco perfettamente a vedere il dubbio insinuarsi in lui. -Non dirmi che mi hai mentito anche su questo? Non ti piacciono i miei pancake.- E purtroppo la sua intuizione è corretta.
-Beh, tecnicamente non è del tutto vero. A me non piace nessuno genere di pancake. Non prenderla sul personale.- Cerco di alleggerire la situazione con una specie di battuta, ma mi accorgo che è inutile solo nel momento in cui la dico.
-Avresti anche potuto dirmelo prima, non ti avrei preparato pancake ogni mattina quando stavamo insieme.-
-Non volevo darti un dispiacere.-
-Un dispiacere? Andiamo Ellie, stai dicendo una cazzata. Potevi dirmi almeno questo, ti avrei preparato qualcos’altro.- Lo sguardo di Dylan è così sincero che per un momento riesco quasi a sperare di poter cancellare gli ultimo mesi e tornare insieme a lui come se non me ne fossi mai andata. Il pensiero, però, svanisce all’improvviso, tanto velocemente quanto era arrivato.
-Okay, lo so che è una stupidaggine, ma prima mi sembrava sensata.- Almeno riesco ancora a ridere di me stessa.
-Lasciamo perdere.- La sua voglia di cambiare argomento mi lascia spiazzata, anche se non più di tanto. -Comunque, cosa vuoi per colazione? Dimmi una cosa e te la cucino.- La sua gentilezza è la stessa di sempre, ma non è questo a colpirmi. È la sua disponibilità anche adesso, dopo tutto quello che è successo a sorprendermi.
-Non disturbarti, non ho fame.- Gli sorrido sinceramente, come faccio solo poche volte.
-Sai che non mi dai alcun disturbo. Io semmai. Ho invaso la tua cucina.-
-Lo dici come se fosse un crimine, non l’ho mai usata, e non l’avrei mai usata.- La mia frase suona molto più triste quando la dico ad alta voce.
-E tu parli come se questa cucina fosse un oggetto che le persone normali usano tutti giorni, ma che tu invece non prendi nemmeno in considerazione.-
-Io..- Voglio ribattere, rispondere a tono alla sua provocazione, dimostrargli che ha torto, ma non è così. Lui ha ragione. Io non sono una ragazza normale e mai lo sarò, qualunque cosa faccia, anche se faccio finta di essere come tutti gli altri non lo sarò mai. E la cosa più triste è che non riesco nemmeno dentro di me a sentirmi normale. Sono diversa, e il punto è che non avevo bisogno che fosse Dylan a dirmelo, in fondo già lo sapevo, solo che non volevo accettarlo. -Hai ragione.-
-No, Ellie. Aspetta. Io non volevo dire quello, mi hai frainteso.- Dylan sembra davvero sconvolto, come se avesse fatto il più grande sbaglio della sua vita, in realtà non ha mai avuto più ragione di così prima d’ora.
-Non ho frainteso. Ho capito quello che c’era da capire.- Non sento nemmeno più le parole di Dylan, ogni volta che discutiamo di quest’argomento mi estraneo dal mondo e mi comporto come una bambina quando non vuole sentire che le stanno dicendo che Babbo Natale non esiste, e lei si tappa le orecchie e comincia a dire “bla bla bla, non ti sento, bla bla bla”. Diciamo che la mia situazione è proprio la stessa, a parte il fatto di tapparsi le orecchie, io non ne ho bisogno, quando non voglio sentire qualcosa a me basta non sentire niente.
Dylan, però, mi conosce e sa che quando assumo una certa espressione e non gli risponde significa che sono nel mio stato “non sento niente di quello che stai dicendo perché non voglio”, così mi cinge i fianchi e cerca di attirare la mia attenzione per riportarmi alla realtà. E naturalmente funziona, e il suo tocco provoca in me delle vecchie emozioni, vorrei che mi abbracciasse, che mi stringesse e mi facesse dimenticare tutto e tutti; ma questo non può accadere. Noi non siamo più insieme, e sarebbe anche ora che cominciassi a farmene una ragione. Non posso prenderlo e lasciarlo a mio piacimento, non è un giocattolo anche lui ha dei sentimenti. Il problema è che i miei di sentimenti sono repressi sotto cumuli di rabbia, angoscia e frustrazione.
-Ellie, ti prego, non fare così. Sai che non volevo offenderti, non lo farei mai. A te ci tengo troppo per ferirti.- Le sue parole si fanno strada sotto le mie barriere. Sentire che prova ancora qualcosa per me mi lascia sbigottita, anche se lo avevo già capito, il suo comportamento con me negli ultimi giorni è stato talmente palese. Chiunque si sarebbe accorto che i suoi sentimenti per me sono ancora vividi. E ora che ci penso forse me lo aveva già detto, ma io non ci ho fatto veramente caso prima di ora. Non riesco a capire perché ho eretto tutte queste barriere proprio con l’unica persona con cui non ce n’era bisogno. Lo so sono strana. A volte nemmeno io riesco a capirmi a fondo.
Non so cosa dire, quindi mi volto e lo abbraccio. Non posso sempre aspettare che sia lui a fare la prima mossa, così mi lascio guidare dall’impulso. Ne avevo proprio bisogno.
-Sai che io ci sarò sempre per te, vero? Qualunque cosa accada tu potrai contare su di me.- Alzai lo sguardo per vedere i suoi occhi che mi scrutavano alla ricerca di una risposta.
-Sì, lo so.- Ammettere di aver bisogno di lui, dire quelle tre semplicissimi parole mi fa sentire subito meglio, finalmente mi sono liberata di un peso enorme.
-Alla fine l’hai capito. Mi dispiace solo che ho dovuto faticare così tanto.- Non riesco a trattenere una risata sincera, e anche lui si unisce a me. -Allora, cosa ti preparo?-
Nonostante tutto la sua insistenza mi commuove. -Una tazza di caffè andrà benissimo.-
Dylan è quasi sul punto di ribattere, poi si rende conto che è nato tutto da questo e si accontenta della mia semplice richiesta. -Bene. Lo prendi come di solito con tanto zucchero?- Sorride malizioso.
-Certo. Una vita con caffè amara è troppo triste per essere vissuta come si deve.- Sbotto sorridente io.
-Amo la tua filosofia di vita.- Ribatte lui porgendomi la tazza fumante.
-Lo so, è una di quelle cose che se ami una volta non puoi mai dimenticare.- Appena pronuncio la frase me ne pento subito, così decido che è meglio cambiare subito argomento. -E tu? Non mangi?-
-In realtà stavo aspettando te. Sai com’è, io sono educato.- Risponde lui sicuro di quello che sta dicendo.
-Sì, certo. Come quella volta che hai messo il dvd senza aspettarmi, sei stato un vero gentiluomo quella volta, non è forse così?- Obiettai io.
-Mi avevi detto che stavi solo andando a fare una doccia, ma sei rimasta chiusa in bagno per più di un’ora.- Replica Dylan contrariato, però nel modo scherzoso, perché lo sa che ci stiamo prendendo in giro a turno, e direi che ora tocca a me.
-Andiamo, non sarò rimasta in bagno per più di una mezz’ora. Ogni volta tu tendi ad esagerare, perdi facilmente la cognizione del tempo.- Scherzo io.
-Ma smettila.- Ribadisce lui. E comincia a scombinarmi i capelli con fare fraterno.
Prima che Dylan mi faccia versare tutto il caffè a terra, lo bevo velocemente.
-Sto andando a fare una doccia, non mettere sotto sopra l’appartamento nel frattempo.- Gli faccio un occhiolino.
-E tu non metterci troppo, vorrei andare a fare un giro più tardi.- E mi ricambia l’occhiolino.
Entro nel mio piccolo bagno e mi spoglio velocemente. Appena mi metto sotto il getto di acqua calda mi sento già meglio. Ogni volta che faccio una doccia mi sento come se potessi ripulirmi da tutti gli errori che ho commesso nella mia vita. È una sensazione fantastica, e poi, di solito, è l’unico momento della giornata in cui riesco ad essere in pace con tutto e sono in grado di prendere delle decisioni sensate. A parte oggi, perché quando si tratta di questioni di cuore, sempre che si possano ancora definire così, niente riesce a tranquillizzarmi al punto da riuscire a prendere una qualche tipo di decisone.
Non posso fare niente per la mia situazione, semplicemente devo godermi i momenti che so passando con Dylan, perché non credo di avere la forza di riprendere con lui da dove avevamo interrotto. Cerco di beneficiare di questo momento per quanto posso, cercando anche di prolungarlo, ho proprio bisogno di un po’ di tempo solo per me.
All’improvviso sento qualcuno bussare alla porta e ritorno alla realtà. Sento la voce di Dylan giungermi da lontano. -Ellie? Tutto bene lì dentro? Cerca di sbrigarti, sono già le nove e mezza.-
Davvero? Come fa ad essere già così tardi? Devo aver perso la cognizione del tempo.
Esco velocemente dalla doccia e in men che non si dica sono pronta. Do solo una veloce spazzolata ai capelli e comincio a truccarmi, non ci metto molto, ormai sono diventata veloce.
Appena esco dal bagno vago con lo sguardo per la stanza, ma non vedo Dylan da nessuna parte. Qualcosa dentro di me si muove, come il presentimento che se ne sia andato, che mi abbia lasciata senza dirmi niente, come se avesse fatto la stessa cosa che ho fatto io a lui. Come un vuoto mi opprime il petto, e finalmente capisco quello che ha provato quando sono stata io a lasciarlo. Improvvisamente voglio cancellare tutto, non solo i momenti trascorsi con lui negli ultimi giorni, ma anche quelli di prima, quelli che ero riuscita a seppellire nel fondo del mio cervello, ma che nell’ultimo periodo erano tornati a tormentarmi. Mi tormentavano perché mi stavo rendendo conto di quanto ero stata stupida a lasciare Dylan, forse c’è una decisone che mi consuma più delle altre. Non credevo che i miei sentimenti per lui fossero ancora così vivi. Ho solo mentito a me stessa negli ultimi mesi, non ho mai veramente dimenticato Dylan e tutti i momenti belli e brutti passati con lui, i suoi difetti e le sue qualità, le avevo solo seppellite per evitare di soffrire una volta che mi fossi resa conto di cosa avevo perso. E adesso che l’ho capito mi sento davvero malissimo, e non solo perché sto provando quello che ha sentito Dylan quando l’ho lasciato, ma soprattutto perché mi odio per averlo fatto stare così male.
Vorrei solo poter tornare indietro e cancellare tutto.
Mi siedo su una delle due sedie della cucina, e un peso enorme si posa sul mio cuore, vorrei dimenticare tutto, o almeno tornare a quando eravamo felici insieme. Sento che sto per piangere, non riesco più nemmeno a distinguere i contorni dello spazio che mi circonda, i miei occhi sono lucidi. La cosa più brutta è che anche sforzano domi non riesco a far uscire qualche lacrima, è da così tanto che non piango che non ricordo più nemmeno come si fa.
Sento delle braccia che mi circondano. Non capisco.
Mi volto. Dylan mi guarda come non aveva mai fatto, forse perché non mi aveva mai visto in quello stato e non sa come comportarsi. -Ellie, cos’è successo?-
Io mi alzo per guardarlo negli occhi, e improvvisamente le lacrime si fanno sentire. Percepisco il calore che lascino quando scorrono sul mio viso. Dylan, allora, elimina lo spazio che ci separa e mi stringe in un caldo abbraccio. Io non riesco più a controllarmi, e scoppio, cercando di sfogare la frustrazione provate negli ultimi momenti. Dopo qualche minuto, mi rendo conto di non poter continuare, così, tra un singhiozzo e l’altro comincio a scusarmi. -Mi dispiace davvero Dylan.. non volevo lasciarti, ma mi è sembrata la cosa più giusta.. Non volevo mettermi in pericolo, e nemmeno mettere in pericolo te.. Volevo solo che tu potessi stare bene anche senza di me.. Volevo solo che tu fossi felice, ma mi ero reso conto che con me non potevi esserlo.. Mi dispiace di averti fatto soffrire, non mi sono resa conto di quello che stavo facendo..-
-Non devi scusarti,- m’interrompe lui, -qualunque sia stata il motivo che ti ha spinto a lasciarmi sono certo che sia stato più che ragionevole. E comunque adesso non conta più il passato, conta solo il presente.- Le sue parole mi rassicurano, ma ancor non riesco ad interrompere il mare di lacrime che esce dai miei occhi.
-Va tutto bene Ellie, non c’è più alcun bisogno di continuare a piangere.- Mi dice lui per farmi smettere, ma vedendo che non è servito a niente cerca di utilizzare un altro metodo. -Andiamo, mi stai bagnando tutto il maglione, hai intenzione di continuare ancora per molto?-
La sua battuta mi fa morire dal ridere, e le lacrime smettono di scorrere lungo il mio viso. Anche Dylan si mette a ridere, e prima di riuscire a fermarci per riprendere fiato, passano molti secondi.
-Bene, adesso possiamo andare?- Mi chiede Dylan con ancora qualche segno della risata, che non riuscivamo a trattenere, nella voce.
-Sì, dammi solo il tempo di lavarmi la faccia.- Rispondo io, dirigendomi velocemente verso il bagno.
Lui mi segue, e appena ho finito, mentre sto per prendere i trucchi per dare una sistemata, lui mi blocca. -Non hai bisogno di truccarti, sei bellissima anche così.-
Sono un po’ riluttante, ma decido di ascoltarlo. Dylan mi conduce fuori dall’appartamento, e poi giù per le scale. Appena apre il portone principale, però, mi blocco. Non ho il coraggio di andare in giro senza il trucco che mi protegge dagli sguardi indiscreti della gente, non voglio che chi mi veda possa pensare male di me. Dylan esce fuori tranquillamente, ma quando si accorge che sono ancora ferma nell’ultimo scalino, davanti alla porta torna dentro, e mi guarda come se avesse capito tutto. Ed ha veramente capito tutto, e ne sono certa semplicemente perché lui è Dylan e per me è l’unico.
Mi prende per mano e mi porta fuori, e appena la luce del sole colpisce la mia faccia, la mia vera faccia, un sorriso spunta nel mio viso. Dylan, soddisfatto del risultato, non lascia andare la mia mano, e mi conduce verso strade nuove, strade che non ho mai avuto il coraggio di percorrere, soprattutto così, mostrando la vera me stessa al resto del mondo.
Dylan mi ha portato all’acquario. Di tanti posti che c’erano non capisco perché ha scelto proprio questo. Comunque non c’ero mai stata con lui. Forse voleva fare qualcosa di diverso, di unico, per ricordare questo momento, perché è diverso da tutti quelli che abbiamo passato insieme.
Non avrei mai detto che guardare gli squali, i pesce palla e i delfini nuotare fosse romantico, ma dato che non avevo mai provato non potevo saperlo.
Dylan mi prende per mano. -Vieni, voglio farti vedere una cosa fantastica.- Da quando ha in mano quella cartina non smette un attimo ti tirarmi di qua e di la per mostrarmi ogni singola specie di pesce. Non lo avevo mai visto così entusiasmato da qualcosa, è strano, però allo stesso tempo è bello. Sono contenta che si stia godendo questo momento, almeno lui può.
A parte il fatto che a me i pesci non piacciano, non riesco a pensare ad altro che alla nostra relazione. Non riesco a prendere una decisione, e forse dovrei proprio lasciare che sia il tempo a decidere per me. Così facendo, però, mi sento come una codarda. Non riesco nemmeno a capire cosa provo per lui.
Almeno di una cosa sono certa: da quando l’ho rivisto non ho smesso di pensare a lui, e non solo perché mi ha causato questa tormento, ma soprattutto perché ho sempre voglia di passare ogni minuto con lui. Mi è mancato. C’è voluto molto per ammetterlo, ma non riesco a dimenticarlo, non posso stargli lontani. Io e Dylan siamo fatti per stare insieme, e questa ne è una prova. Il fatto che stiamo qui non è un caso, è il nostro destino. Quando stiamo insieme è come se ci migliorassimo a vicenda, siamo indispensabili l’uno all’altra.
Lo guardo, mentre, intento in quella cartina, sta cercando un posto per pranzare. Vedo il suo viso aggrottato, sta valutando le varie opzioni, è così bello quando è indeciso. -Dylan, non c’è bisogno di un’ora per prendere una decisione del genere. Possiamo andare da qualsiasi parte, l’importante che si mangi. E il prima possibile se non ti dispiace.- Cerco di spronarlo a fare più in fretta, ma ho paura che le mie parole abbiano solo peggiorato la situazione.
Alla fine optiamo per una rosticceria qualunque, prendiamo due panini e li mangiamo velocemente seduti in un tavolo lì fuori. Il cielo sopra di noi non fa pensare a nulla di buono, ma non me ne preoccupo più di tanto. Niente può rovinare questa giornata.
Appena finiamo il pranzo veloce ci alziamo dal tavolo, e cominciamo a fare una delle nostre solite passeggiate, questa è una delle poche cose che non è cambiata dopo tanto tempo. Mi piace ancora camminare per le vie di una città, che sia sconosciuta o meno, e farlo con Dylan è anche meglio.
Il problema è quando capita qualcosa di spiacevole durante queste passeggiate, qualcosa che rischia di rovinare una bella giornata come questa, qualcosa come incontrare James.
Lo intravedo solamente da lontano, e vedo che mi sta guardando. In faccia ha ancora il segno del pugno datogli da Dylan, non riesco a continuare a guardarlo, così come se niente fosse spingo Dylan verso un’altra direzione. Non credo che lui abbia capito cosa sia successo, mi capita spesso di voler cambiare improvvisamente direzione, anche quando cammino insieme a lui, quindi dubito che si sia accorto della presenza di James.
I problemi, però, non sono ancora finiti, poco dopo il mio repentino cambio di direzione, sento Dylan irrigidirsi sotto il mio braccio. Alzo lo sguardo e vedo uno degli scagnozzi di Bob, il mio “capo”. Stacco immediatamente il braccio dalla stretta di Dylan, e subito anche io mi irrigidisco.
I muscoli sono pronti a scattare, tesi allo spasimo, come se dovessi cominciare una corsa contro il tempo e la morte da un momento all’altro.
Uno strano pensiero mi passa per la testa. Ma come cazzo fa Dylan a sapere chi si trova davanti? L’ha solo intuito, o c’è qualcos’altro sotto?
L’uomo, si avvicina di qualche altro passo, è così appare ancora più robusto e minaccioso.
Devo sapere quali sono le sue intenzioni, ma soprattutto qual è il ruolo di Dylan in tutta questa storia.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro