Capitolo 5
Guardo le spalle di Dylan che si fa largo tra la folla e lo seguo. Adesso che lo rivedo, in pieno giorno e abbastanza sveglia da rendermi conto che non sto sognando una strana emozione mi pervade. Una di quelle emozioni che non dovrei più provare, almeno non per lui. Dopo tutto il tempo che è passato dovrei aver dimenticato quello che provavo per lui, e invece, ora che adesso è qui, qualche passo davanti a me, ogni emozione, ogni sentimento fino ad ora represso, riemerge più forte di prima. Non riesco a controllare le onde di emozioni che si scagliano contro di me, sono troppo violente, ma allo stesso tempo sono così incantevoli. Vorrei tanto riuscire a mettere ordine nel mio cuore, ma è tutto così confuso che dubito di poterci anche solo sperare.
Mentre mi muovo facendomi largo tra la gente ripenso a quando James ha fatto la stessa cosa per raggiungermi, solo pochi minuti prima. Mi immagino i suoi pensieri quando ha letto il mio messaggio, a quello che deve aver provato, l’ho scaricato di punto in bianco, e senza una motivazione precisa, perché nemmeno io la capisco. Non avrei dovuto fargli questo, lui non se lo merita, è così buono e gentile, è un bravo ragazzo, forse troppo bravo per me. In realtà non avrei dovuto accettare l’invito, non avrei nemmeno dovuto avvicinarmi così tanto a lui. Sono ancora in tempo per tornare indietro, e forse Dylan capita a pennello. Questo, però, non significa che mi rimetterò con lui. O almeno credo. Sono così confusa.
-Sheila? Perché ti sei fermata? Ho anche creduto che ti fosse successo qualcosa. Questo non è da te. Cos’è successo?- La preoccupazione evidente di Dylan mi riscalda il cuore in una maniera in cui non aveva mai fatto. Mi provoca delle emozioni che non avevo mai provato prima, nemmeno per lui.
-Scusa, non mi ero nemmeno accorta di essermi fermata.- Non posso che dire la verità, almeno in questo caso non c’è niente di male, anche se non ho proprio detto tutto.
-D’accordo, adesso possiamo andare o preferisci dirmi qualcosa?- Non sono sicura di aver compreso a pieno il significato delle sue parole, ma in fondo non importa, in questo momento voglio solo chiarire la situazione che c’è tra di noi, anche se non so proprio come fare.
-Andiamo.- Quell’unica parola lo incita a proseguire, e sicuro come lo è sempre, mi prende per mano e mi fa strada.
Non ci stiamo molto ad arrivare nel posto in cui Dylan vuole portarmi. Appena si ferma davanti il ristorante più raffinato e costoso in cui io sia mai stata, si concentra su di me. -Hai già pranzato?- Sembra così sicuro di sapere già la risposta, o forse è solo una mia impressione.
-No, non ancora.- Nell’attimo di tempo tra la mia risposta e il momento in cui Dylan rassicurato delle mie parole mi conduce dentro il ristorante, ripenso solo per un secondo che a quest’ora sarei a pranzare con il mio nuovo amico James.
L’ambiente interno è allo stesso tempo ricercato e distinto da tutti gli altri ristoranti, proprio come ci si può immaginare prima ancora di entrare, osservando l’esterno. Appena entro mi ritrovo in una grande sala, sembra quasi l’hall di un albergo a cinque stelle. Le pareti hanno uno stile che rimanda al barocco e in parte al gotico, ci sono vari quadri appesi, alcuni impressionisti e altri contemporanei. L’arte mi ha sempre affascinato, anche se non ho potuto studiarla come si deve, ricordo solo le cose fatte al liceo, e che mi hanno colpito abbastanza da essere ricordate.
Un grande arco a tutto sesto segna l’entrata nella sala da pranzo. Una trentina di tavoli rotondi invade tutto lo spazio, e in fondo ci sono circa una decina di tavole più grandi e con una forma quasi ellittica. In realtà do solo uno sguardo veloce a questa stanza, noto non con grande sorpresa che è un ristorante fin troppo lussuoso anche per Dylan. Cerco di non badare più o al luogo, devo concentrarmi sulla persona che ancora mi tiene per mano e mi giuda verso un tavolo libero messo in disparte rispetto agli altri. Lascia la presa sulla mia mano solo per farmi accomodare, poi si guarda in torno, furtivo come sempre, e forse un po’ troppo teso per i miei gusti.
Vorrei chiedergli cosa gli passa per la testa, cosa lo preoccupi così tanto, ma non ne ho il tempo. Appena ci sediamo un cameriere si avvicina a noi con grande velocità, Dylan sembra averlo notato prima ancora di me, ma al momento è tranquillo. E dire che fino ad un attimo primo ho anche creduto che stesse per cedere.
-Buon giorno, siete pronti per ordinare?- Il cameriere, che ho visto avvicinarsi qualche secondo fa con un’impazienza, o forse dovrei dire con una fretta, che non ho mai visto mai a nessuno, è molto agitato. Non ne capisco il motivo, ma non è questo che mi colpisce, è l’espressione di Dylan che mi lascia attonita. Vorrei tanto descriverla, ma è impossibile, non l’avevo mai visto in quello stato.
-Per favore, ci porti quanto abbiamo stabilito prima.- La sua voce, è ferma, non tradisce affatto le emozioni che si scatenano dentro di lui, al contrario del suo viso.
-Bene. Nel frattempo desiderate del vino?- La tonalità del cameriere è leggermente tremante, e questa volta riesce ad attirare tutta la mia attenzione.
-Bianco, grazie.-
-Arriva subito.- Il ragazzo scappa subito, come terrorizzato dalle sue stesse azioni, come se temesse di dire qualcosa che potrebbe costargli il posto. Per quale motivo si comporta in un modo così ambiguo?
Quello che, però, si comporta nel modo più indefinibile e sfuggente è di certo Dylan.
Aspetto che il ragazzo torni con la bottiglia stappata e versi una parte del contenuto in due bicchieri per poi tornare in cucina. Poi mi sento abbastanza libera per cominciare a parlare, solo che a quanto pare non è destino, perché è proprio Dylan a spezzare il ghiaccio. -Cosa ne pensi di questo posto, Sheila? Ti piace?- Appena sento di nuovo quel nome non credo di poter resistere ancora, non voglio sentirlo pronunciare mai più, almeno non da lui.
-Non chiamarmi così.-
-Sì, hai ragione adesso ti chiami Ellie, no?- Avrei quasi giurato che avrebbe risposto con le rime alla mia provocazione, e invece rimane tranquillo e impassibile.
-Sì, è così che mi chiam.. che mi faccio chiamare adesso.- Per un attimo ho quasi creduto di essere Ellie, quella che ha conosciuto James, quella normale, non quella che lo scarica per un pranzo con il suo ex appena arrivato in città.
-Mi piace.- Quasi non riesco a credere alle sue parole, è così gentile. Vedendo che ho quasi finito il vino, mi chiede addirittura se ne voglio dell’altro, e poi me ne versa un po’. È così diverso da ieri sera per alcuni versi, e per altri è così uguali. È vero che ci sono delle cose che non sono cambiate in lui da quando l’ho conosciuto, perché sono le sue caratteristiche più evidenti e anche quelle che amo di più, ma è anche vero che è molto cambiato. O forse non l’ho mai conosciuto davvero. Forse lui è così, cambia umore tanto facilmente quanto cambia atteggiamento con qualcuno. Questa dinamicità non dovrebbe essere una cosa positiva, ma in lui non è così male, almeno non si comporta sempre da stronzo e da ossessivo, a volte è anche buono e gentile. E giurerei di non averlo mai visto comportarsi in uno modo tanto carino con nessuno. Forse è vero che il tempo cambia le persone, ma sono anche le esperienze a trasformarci. E in fondo anche io sono cambiata dal periodo in cui stavo con lui, anche se non solo in meglio.
-Te la prendi se ti chiedo da quanto ti sei trasferita qui?- Il tono della sua voce è così flebile, quasi timoroso di dire la cosa sbagliata.
-Quasi due mesi ormai, non è che mi metto a contarli.- Finire la frase con una battuta è il miglior modo per alleggerire la situazione, l’ho sempre detto io. Anche se la mia non si poteva proprio considerare una battuta, diciamo che non sono mai stata una cima in cosa del genere, sono una persona.. come dire? Abbastanza pratica.
-Sai, dal modo in cui ti muovevi, e da come ti vedevo serena mentre camminavi per le strade, ieri sera, mi è sembrato che ti sentissi a tuo agio qui, come se questo posto fosse la tua casa da sempre. C’è un motivo in particolare se questa città ti fa sentire così?- Adesso, forse anche grazie alla mia battuta malriuscita, si sente più sicuro. Non riesco però a capire il suo atteggiamento, passa da momenti in cui si sente così sicuro da affrontare chiunque ad altri in cui è talmente insicuro da sembrare un cagnolino abbandonato.
Comunque, non mi sarei mai aspettata che mi facesse una domanda del genere, non mi ero nemmeno accorta che questo posto fosse diverso dagli altri. Okay, forse un po’ me n’ero accorta, ma solo in parte. Ero così occupata con il mio “lavoro”, e poi con la faccenda di James che non ho nemmeno avuto il tempo di fermarmi un attimo per rifletterci sopra.
-In realtà non posso dire di essermi proprio accorta che questo posto scateni in me quello che hai detto tu. Diciamo che non mi sono messa a pensarci, semplicemente ho continuato con la mia vita, come faccio con ogni città in cui mi trasferisco, cerco di adattarmi, niente di più.- Non posso trovare modo migliore per cercare di fargli capire quello che provo. Mi fa sempre così bene parlare con lui, posso dire tutto a Dylan. Lui mi conosce per come sono veramente, forse riesce anche a comprendermi più di quanto riesca a fare io stessa.
-Beh, magari non è il posto, ma le persone..- Lascia cadere il discorso a vuoto, come fa sempre quando non vuole affrontare un argomento.
-Non capisco cosa intendi dire.- Ribatto io sicura.
-Andiamo Shei.. Ellie, ti conosco, so quando vuoi cambiare discorso perché hai paura di affrontare i tuoi sentimenti.- La verità delle parole di Dylan mi trafigge come la fredda e affilata lama di un coltello.
Non riesco a ribattere, non so come rispondere alle sue parole, mi hanno messo davanti a una verità dura e cruda dalla quale ho sempre cercato di fuggire. Non so perché non riesco ad essere sincera con me stessa, almeno su questo. Sono fatta così, semplicemente mi ci sono abituata, e ormai non ci faccio più tanto caso. Mi rifugio nel mio mondo per cercare di non pensarci, perché fa così male, accettare i proprio sentimenti ad una persona normale, magari non costa nulla, ma per me è un enorme sacrificio, significa rendermi vulnerabile. E per questo che preferisco sopprimere le mie emozioni, cercando di andare avanti come posso. Dylan è stato l’unico con cui ho voluto rischiare il tutto per tutto, l’unico che non mi ha permesso di mentire a me stessa, ed è per questo che è stato l’unico per il quale ho sofferto enormemente quando ho dovuto lasciarlo.
L’arrivo dell’antipasto riesce a sciogliere leggermente la situazione, quel tanto che basta per cambiare argomento e parlare di cose banali. Chiacchierare con Dylan, su argomenti ordinari o meno, non fa molta differenza, la sua sola presenza mi fa sentire bene, riesce a trasmettere tranquillità, con lui posso permettermi di dire qualsiasi cosa, di fare qualsiasi cosa, perché so che lui, in ogni caso, non mi giudicherà.
-Erano mesi che non mangiavo gamberetti.- La mia voce è tra la delusione e l’euforia.
-Dai, non riesco a crederci, è praticamente il tu piatto preferito.- Un sorriso si apre nel suo viso, e anche io ricambio con assoluta sincerità.
-Non riesco a credere che te ne ricordi ancora.-
-E invece è così. Mi è difficile dimenticare anche solo un piccolo particolare di te.-
-E io ricordo perfettamente che a te i gamberetti non vanno molti a genio. La prima volta che li abbiamo mangiati, avevi un faccia così bianca! Ho creduto che da un momento all’altro avresti rigettato. Sarebbe stata una scena epica.- Una risata sincera e spontanea mi esce dalla bocca.
-Quella serata è una di quelle che avrei voluto dimenticare. E comunque puoi giurarci che mi stavo per rimettere. Non so proprio come ho fatto ad evitarlo. Quando tornai a casa quella notte, provai a vomitare, ma mi ero trattenuto così tanto che non ci riuscii.-
-Oh, basta. Non parliamo più di queste cose, non mentre stiamo mangiando, ti prego, adesso basta.- Nonostante le mie parole non riesco quasi a smettere di ridere.
-Ti ricordo che sei stata tu a riportare a galla questo spiacevole episodio.-
-Sì, è vero. Però sei stato tu quello che ha ordinato questo piatto.-
-Allora non sei affatto cambiata, vuoi sempre avere ragione, anche quando non ce l’hai.- L’espressione che fa quando mi dice queste parole mi lascia sbalordita e confusa.
-Non cominciare, non sopporto quando fai così..-
-Così come? Quando ti dico solo la verità? Quando ti faccio emergere per come sei davvero, per come ti nascondi a tutti gli altri?-
-Sai che non mi hai mai dato fastidio stare con te, e parlarti di ogni cosa, anche delle stupidaggini. Sai che non ti ho mai portato rancore quando mi aiutavi a tirare fuori quelle parti di me che non riuscivo ad accettare, ma.. Ma in questo momento non ho proprio voglia di affrontare questi argomenti.- Questo è l’unico modo per far comprendere a Dylan la mi avversione a parlare di queste cose adesso: essere diretta.
-D’accordo, non ne parliamo più, almeno per ora..- Rimango sorpresa della velocità con cui riesco a convincerlo a cambiare argomento, soprattutto del modo gentile in cui lo fa, ma di sicuro è un fatto più che positivo.
Una leggera brezza di vento mi colpisce e mi trapassa senza esito. Non riesco a percepire alcun tipo di temperatura, che sia fredda o calda. L’unica cosa che conta in questo momento è la vicinanza di Dylan, avevo completamente dimenticato quanto mi facesse sentire bene e al sicuro stare al suo fianco. Mi stringo ancora a lui, ma non perché sento freddo, anche se in teoria la temperatura dovrebbe essere molto bassa, il solo motivo per il quale mi avvicino ancora di più è che ho bisogno di estraniarmi per un po’ dal mondo che mi circonda.
Dopo il pranzo siamo andati in giro senza meta, contavamo solamente noi due insieme, e abbiamo parlato molto, del passato, del presente e del futuro, ma tutto con molta leggerezza, senza alcuna pressione da parte di nessuno dei due.
Un tempo quei momenti con lui erano quasi all’ordine del giorno, uno dei pochi momenti in cui mi sentivo normale, semplicemente parte di una storia d’amore vera e sincera. E lo eravamo. Eravamo del tutto onesti l’uno con l’altra, il problema era che non eravamo una coppia del tutto normali, anzi non lo eravamo per niente. Inizialmente avevo creduto che era questo il vero motivo per cui ci amavamo così tanto, per cui stavamo così bene insieme, non eravamo per niente monotoni. La nostra vita era avvincente, o almeno così credevo, ma era solo un’illusione, un inganno del mio cuore, perché ero veramente innamorata di Dylan, ed ero disposta a mentire con me stessa anche su questo pur di rimanere cui lui. A lungo andare, però, mi sono accorta di quello che stava succedendo, e sono riuscita a lasciarlo andare, ad allontanarmi da questa storia.
Adesso, però, dopo tanto tempo, ero di nuovo con lui, tra le sue braccia, seduta in una panchina, alla fermata degli autobus; come se avessimo scelto quel posto di proposito, come se intendessimo partire insieme per un luogo dove nessuno ci conosce e potremmo ricominciare da capo. Forse questa speranza era sepolta nel mio inconscio da barriere che mai sarebbero potute cedere tanto facilmente.
Abbiamo visto il tramonto avvicinarsi lentamente, e poi lasciare posto al lento imbrunire della sera che si avvicinava in maniera graduale. Abbiamo continuato a parlare finché anche l’ultimo autobus non è partito, poi siamo rimasti immobili, circondati da un silenzio, carico di emozioni e sottintesi, che non aveva bisogno di essere colmato. In fondo ci conoscevamo così bene, che spesso le parole non erano indispensabili per capire quello che pensava l’altro.
In questo momento l’unica cosa che contava per entrambi era vivere a pieno il tempo che ancora ci restava da passare insieme.
-Dylan?- Lo chiamo io a un certo punto.
-Sì?-
-So che magari non hai bisogno che te lo dica, perché in fondo lo sai già, come sai ogni cosa che mi passa per la testa senza che ci sia bisogno che te lo dica, però..-
-Vai al punto, Ellie.- Ecco questa è una delle cose che non è cambiata in lui: non ha mai sopportato che qualcuno giri in torno a un discorso senza dire quello che in realtà vorrebbe.
-Però voglio dirtelo lo stesso. Ho passato una splendida giornata con te...-
-Ma..?-
Sapevo che avrebbe capito che c’è dell’altro. -Ma non sono ancora sicura che sia la scelta migliore, voglio dire quella di tornare insieme.-
Dylan non mi molla un attimo, anzi, stringendo l’abbraccio e con voce sicura mi risponde. -Lo so, ma in questo istante l’unica cosa che m’importa è stare qui con te, vivere questo momento come meglio posso.-
Vorrei ringraziarlo, perché è sempre così comprensivo, perché nonostante è un suo diritto avere un risposta adesso, non la pretende; ma so che non ne ho bisogno, il solo modo per dirgli veramente grazie e rimanere lì tra le sue braccia.
Sono circa le dieci quando Dylan mi scuote leggermente per svegliarmi. Non riesco quasi a credere di essermi addormentata tra le sue braccia, in una fredda e scomoda panchina. Eppure non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho dormito così bene, senza nemmeno fare sogni.
Nell’ultimo periodo non sono riuscita a dormire molto bene, a parte qualche eccezione ogni notte era popolata da incubi che mi tenevano sveglia fino all’alba ogniqualvolta che mi destavano. Adesso invece sono riuscita a dormire con la stessa spensieratezza di un bambino.
-Ehi, finalmente ti sei svegliata.- A queste parole, dopo molte ore in cui siamo rimasti fermi nella stessa posizione riesco a staccarmi da quell’abbraccio protettivo. Un terribile vuoto mi pervade, che però riesce ad essere colmato in parte dal suo sguardo che si posa su di me. -Ho pensato che fosse arrivato il momento di svegliarti, fa molto freddo questa sera, e credo che sia il caso che torni a casa.-
Adesso che non sono più attaccata a Dylan comincio davvero a sentire freddo, ma questo non mi ha mai preoccupato, e di certo non comincerà a farlo ora. -Forse hai ragione.-
Così dicendo mi alzo velocemente dalla panchina, con uno slancio inutile. La testa mi gira per un po’, e non appena sento che sto per perdere l’equilibrio, percepisco la presenza di Dylan alle mie spalle che mi sorregge con le sue braccia muscolose. Un brivido mi pervade, ma non è per il freddo che fa, tutt’altro. -Tutto apposto?-
-Sì,- arrossisco violentemente per la mia incapacità di mantenere l’equilibrio, e purtroppo non solo fisico. -Grazie, di tutto.-
Dylan mi fa l’occhiolino, poi mette il mio braccio tra il suo e mi fa strada.
Non gli dico nemmeno dove deve andare, sicuramente sa dove mi sono stabilita, logico da parte sua, chiedermelo gli costava troppo. Un sorriso si apre nel mio viso, Dylan se ne accorge, ma non mi dice niente, e intuendo che parlando interromperebbe solo il filo dei miei pensieri, sorride a sua volta.
È così bello vederlo sorridere, mi fa pensare a tutti i bei momenti passati insieme.
-Ellie..- Il suono di quella voce mi coglie impreparata.
Io e Dylan ci fermiamo all’improvviso, come se l’incantesimo nel quale ci trovavamo si fosse appena spezzato. James, in piedi davanti a noi ci guarda sbigottito, non riesce a credere ai suoi occhi, la visione che ha di fronte non deve essere proprio quello che si aspettava. Dopo quello che gli ho fatto quella mattina, dubito che si immaginasse di vedermi la sera stessa passeggiare per le vie delle città con un altro.
Non mi sono accorta che stavamo prendendo la via del bar in cui lavora James per andare a casa mia. Sono stata distratta tutto il giorno dalla presenza di Dylan che adesso non mi sento più nemmeno io, come se non fossi più nel pieno delle mie capacità, come se i ricordi e le emozioni che lui mi aveva fatto provare mi avessero contaminato in qualche strano modo.
Senza rifletterci mi sacco da Dylan, e mi avvicino a James, che nel frattempo non è stato capace di abbassare lo sguardo. Accorcio la distanza che ci separa senza nemmeno sapere cosa devo dirgli, semplicemente mi rendo conto che devo almeno dargli uno straccio di spiegazione.
-James..- Le parole mi muoiono in gola, non riesco a emettere un altro suono. -Mi dispiace per averti dato buca oggi.-
Lui posa incredulo il suo sguardo su di me. -Lo so. Ho ricevuto il tuo messaggio. E adesso ho anche capito perché non ti sei fatta vedere.- Mentre pronuncia le ultime parole lancia un occhiataccia a Dylan.
Io non so come rispondere, così è lui a continuare. -Non mi avevi detto di essere fidanzata. Anche se è vero che io non te l’ho chiesto, chissà perché ho creduto che non ce ne fosse bisogno. Che stupido che sono stato. Da quanto state insieme? Qualche anno?- Il suo tono sarcastico e crudele al tempo stesso mi colpisce in pieno, e mi fa sentire davvero male.
-James, io..-
-Tu cosa? Non puoi dire niente per cambiare la situazione, sei stata davvero meschina con me, mi hai fatto illudere di piacerti, poi invece si scopre che sei già impegnata. Ma che mi arrabbio a fare? Non serve a niente, e solo una perdita di tempo. È solo che mi aspettavo che fossi sincera con me, non so perché sono stato così idiota, di solito non lo sono, si vede che sei un’ottima ingannatrice. Perché non fai l’attrice? Sei così brava ad raggirare il prossimo, dovresti proprio farlo come professione.- La furia che s’intravede nei suoi occhi è imparagonabile.
-Adesso basta! Smettila! Non ti permettere più a parlarle in quel modo! Tu non la conosci!- Dylan sta perdendo la calma, non gli succede spesso, ma quando capita sono problemi per chiunque sia sulla sua strada.
-Dylan, ti prego, non intrometterti, non ce n’è bisogno, posso vedermela da sola.- La mia voce è supplichevole.
-Su questo hai proprio ragione,- risponde James rivolto a Dylan senza badare a me, come se non mi avesse proprio sentito parlare, -io non la conosco. È forse è stato proprio questo il problema, non mi sono reso conto fin dall’inizio quanto meschina fosse.- L’ira lo sta consumando fino alle ossa. So di non conoscere James, ma non l’avevo mai visto così, ne avrei potuto immaginare che potesse raggiungere un tale stato.
-Non osare più aprire quella tua maledetta bocca! Tu non sai come lei sia veramente, lei è la ragazza più dolce e unica che esista al mondo, non rivolgerti mai più così a lei, a meno che non vuoi pagarne le conseguenze!- La collera di Dylan, però, non è lontanamente paragonabile a quella di James.
-Andiamo, ti sembra che mi beva le tue stronzate? Stai solo cercando di difendere la tua buttana.-
Prima ancora che Dylan reagisca alla provocazione di James, riesco subito a capire quello che sta per fare, ma non ho il tempo di fermarlo. -Dylan, nooo!-
Succede tutto in un attimo. Un attimo lungo e interminabile. Vedo la scena al rallentatore. Le pupille di Dylan che si rimpiccioliscono per la rabbia. Le nocche strette fino a diventare bianche, l’stante in cui rimane immobile, fermato solo dal suono della mia voce, e quello successivo, in cui niente riesce più a controllarlo. La bestia che c’è in lui emerge, come avevo visto fare solo un paio di volte rispetto a quella. È sempre riuscito a controllarsi, a parte rare questioni.
Il pugno arriva violento, e colpisce James in piena faccia. L’impatto, ma anche la sorpresa del colpo, lo gettano a terra.
-James..- Mi precipito da lui, senza badare a Dylan. -James? James, va tutto bene? Mi senti? James, ti prego rispondimi.-
Lui mugola qualcosa di incomprensibile, e dopo interminabili secondi cerca di alzarsi, io lo costringo a terra. Mi alzo e di corsa vado a chiamare aiuto. La cameriera che tanto mi era stata antipatica mi segue, e appena vede in che condizioni si trova James, torna subito dentro a prendere del ghiaccio. Torna all’istante con una sacca che poggia sulla sua guancia, e con delicatezza lo aiuta a rialzarsi.
Io rimango in disparte a guardare, non riesco più a muovermi. Solo dopo che mi accorgo che James si è ripreso almeno un po’, ho il coraggio di voltarmi a guardare Dylan. Lui non è più nell’ultima posizione in cui l’ho visto. Adesso è seduto in un angolo, appoggiato a muro sotto il vero della finestra principale del bar, lo sguardo basso e fisso nel vuoto. Non l’ho mai visto in questo stato, mai. Eppure è capitato che ha fatto cose peggiori che fare a pugni. Forse è per la mia reazione, forse è perché quando tutto è successo sono corsa per soccorrere James, senza prestare la minima attenzione a Dylan, ma anche lui aveva bisogno di me, e ne ha ancora bisogno.
Senza dire una sola parola, mi avvicino a lui, e lo aiuto ad alzarsi. Poi con la discrezione di cui sono maestra, mi infilo in un vicolo e lo conduco verso casa mia.
Attraverso il buoi e li silenzio tirando Dylan per il braccio, non è facile farlo camminare, ma cerco di trasmettergli tutta la tranquillità che posso.
In breve riesco finalmente a riconoscere le strade vicine al palazzo in cui ho preso l’appartamento. Appena lo raggiungiamo, lo conduco su per le scale fino alla porta del mio appartamento. Lo conduco nel mio piccolo spazio privato, e lo adagio nel mio letto. Sistemo alcune coperte sopra di lui. Poi vado verso l’armadio e cerco delle altre coperte, e appena torno da lui, mi accorgo con lieta sorpresa che si è già addormentato. Così vado verso la piccola poltrona che sta tra la porta d’ingresso e la finestra, e mi siedo. E avvolta tra le coperte, mi addormento guardando il viso tormentato di Dylan.
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