CAPITOLO 15 - Ritrovarsi
L'uomo ci guardò con gli occhi sgranati per circa due minuti. Dal modo in cui osservava il ragazzo, supposi che mai si sarebbe aspettato di vedere suo nipote, lì, a due passi da sé, con la divisa dei guerrieri in dosso e una lama celeste infilata in un fodero alle sue spalle.
Passato lo sgomento iniziale, esclamò: «Per tutti i figli di Lilith! Francis cosa ci fai...»
«Cosa ci faccio IO? Cosa ci fai TU, qui. Non mi sarei mai aspettato di rivederti. Ti credevo disperso come il resto della famiglia, finito chissà dove. E invece ti ritrovo seduto comodamente dietro una scrivania a dirigere le sorti di chissà quanta gente e senza fare nulla per ritrovare la tua famiglia. La NOSTRA famiglia!»
«Francis, io...»
«Io cosa? Io cosa?! È piuttosto evidente come si è svolta la faccenda» urlò lui, rosso in viso. Nel suo volto leggevo rabbia, tristezza e delusione. Sentimenti comprensibili, in quanto anche io, se fossi stata al suo posto, mi sarei posta le medesime domande.
«Francis, ascoltami. In questo momento non posso parlare, posso solo suggerirti di fuggire. Di andare il più possibile lontano da qui, di metterti al sicuro. Ti farò presto sapere quando potremo incontrarci e discutere, ma ora non è il momento.»
«Il signorino Lightflame e la signorina Elsway sono desiderati all'ingresso. La vostra istruttrice vi sta chiamando.»
Trasalii quando Siria pronunciò il mio cognome e tirai Francis per la manica. Era arrivato il momento di andare. Lui, però, non accennò a smuoversi dal suo posto e continuò a guardare con astio suo zio.
«Te lo prometto, Francis» lo rassicurò l'uomo prima della nostra uscita di scena. «Ti farò sapere al più presto quando potremo incontrarci. Ma per il momento vorrei solo vederti al riparo da tutto questo.»
Francis accennò un sorriso ironico, come se stesse pensando a quanto inadeguate fossero le sue parole in quel frangente o i suoi comportamenti. Infine, entrambi gli rivolgemmo un cenno con il capo in segno di saluto. Siria, sollevata, ci scortò all'ingresso, dove un'angosciata istruttrice Arthur ci attendeva con ansia.
«Dove eravate finiti tutti e due?! Siete spariti dal laboratorio con la responsabile senza dare troppe spiegazioni!» ci rimproverò lei non appena Siria ci lasciò sulla soglia della residenza.
«Francis stava parlando con un suo parente» lo giustificai io, visto il suo momentaneo mutismo.
«E come mai tu eri con lui?» mi chiese la Arthur un po' contrariata.
«Mi ha chiesto di rimanere con sé e, in ogni caso, non avevo intenzione di lasciarlo andare da solo.»
«Tuttavia, non è permesso fare visite di piacere ai parenti durante le visite guidate» ci rimbeccò lei con tono severo e inarcò le sopracciglia.
«Non succederà più, promesso» giurai nel tentativo di rasserenarla.
«Sono felice di sentirtelo dire, Silene. Con il clima attuale non è sicuro aggirarsi in posti come questo completamente soli e con degli sconosciuti!»
Annuii, poiché non volevo contrariarla ancora e la Arthur. Soddisfatta per il risultato ottenuto dalla sua ramanzina, ci lasciò andare e si rilassò.
La donna si allontanò in direzione del mezzo che ci avrebbe condotti in centro, mentre May si avvicinava a noi e ci chiedeva sottovoce: «Cos'è successo di preciso quando avete lasciato il laboratorio?»
«Ti diremo tutto quando saremo a casa. Ora non mi sembra il momento giusto per raccontartelo» le risposi nello stesso modo.
«Okay» replicò lei con aria rassegnata. Una volta saliti sul velivolo, si sistemò in silenzio nei sedili sul retro accanto a noi.
Arrivati alla centrale, la Arthur ci accompagnò in classe, dove si svolse la consueta lezione teorica.
Quel giorno l'istruttrice aveva incentrato la lezione sullo studio di creature chiamate Melfin. Esseri con tre code di volpe, dalla pelliccia avana e dagli occhi di fuoco. Quelle creature adoravano il calore del fuoco, secondo la nostra insegnante e, l'unico modo per sconfiggerle, era decapitare la loro testa.
Non appena le lezioni furono terminate, ci incamminammo subito in direzione della villa di May e, solo quando fummo dentro e avemmo consumato il nostro pasto, raccontammo alla ragazza quanto era accaduto durante la nostra assenza nella Sala delle Genealogie.
«Cosa ne pensi?» mi chiese Francis non appena finii il mio resoconto.
«Vuoi la verità? Credo che tu non gli abbia lasciato il tempo di spiegarsi e di dare una risposta alle tue domande. Secondo me hai fatto troppo presto a giudicarlo» gli risposi, cercando di essere il più delicata possibile.
«Ah, quindi sei dalla sua parte?!» mi urlò contro con un misto di rabbia e incredulità nella voce. «Molto bene, Silene. Se è così che la pensi... Allontanati da me.»
«Che cosa?! Francis, ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Non lo sto difendendo! Magari quello non era il momento adatto per una conversazione del genere! È una questione fra te e lui e credo che non volesse risolverla in presenza mia o di Siria, visto che non mi conosce e molto probabilmente non si fida di me o della sua dipendente.»
«Giustificazioni! Giustificazioni! Non sono altro che giustificazioni!»
Arrabbiata per la mancanza di ascolto, mi alzai e mi diressi verso la stanza di Dean, lasciandolo da solo a sfogare la sua rabbia. Forse, ritenni, permettergli di riflettere gli avrebbe dato modo di capire il mio punto di vista e magari, una volta assodate le mie affermazioni, tutto sarebbe tornato come prima.
Mi avvicinai piano al lettino dove dormiva il piccolo, mi sedetti sopra e lo guardai mentre riposava con aria innocente. I paffuti lineamenti del suo viso erano distesi in un'espressione dolce e le manine erano richiuse attorno al bordo del cuscino bianco e a fiori.
Mentre lo osservavo, miriadi di pensieri attraversarono la mia mente; riflessioni interrotte, poco dopo, dalla venuta della mia amica che, con tono cauto, si schiarì la voce e attirò la mia attenzione.
«Silene?» mi chiamò May, entrando piano nella stanza. «Vieni in camera mia. Vorrei parlarti, se è possibile.»
Mi alzai riluttante dal materasso, guardai per qualche istante il bambino e la seguii in camera sua, dove lei chiuse la porta.
«Senti» Lei parlò con tono cauto, quasi avesse paura di farsi sentire da Francis. «Comprendo la tua opinione, ma devi anche capire la situazione di Francis. Ha appena ritrovato un pezzo della sua famiglia e guarda caso è il capo-circondario della terra dei custodi. E non solo! L'ha ritrovato in un ufficio a poltrire, quando lui lo credeva disperso assieme a tutti gli altri. Ora» aggiunse, «Nessuno di voi ha sbagliato, ma data la sua reazione e per il bene del vostro rapporto, vi dovreste separare un po'. Ho dato ordine alle domestiche di sgomberare un'altra camera, così uno di voi può spostarsi. Credo sia meglio così, fino a quando le cose tra voi non si risolveranno.»
Annuii e prima che si potesse decidere chi dei due avrebbe dovuto cambiare stanza, presi i miei pochi averi e mi trasferii nell'altra camera da letto. Ebbi una fitta al cuore al pensiero di doverci stare da sola, però altre opzioni non erano possibili. Solo quel momentaneo allontanamento avrebbe potuto giovare al nostro rapporto.
***
I giorni seguenti passarono con un angosciante senso di vuoto nel petto.
L'addestramento non era più lo stesso. Durante le lezioni teoriche May si sedeva tra me e Francis e cercava di farci dialogare, ma, nonostante i miei incoraggiamenti, non riuscii a cavare una parola dalla sua bocca.
Nel corso delle pratiche, invece, non riuscivo a mantenere la concentrazione per molto tempo e spesso capitava che le creature riuscissero a ferirmi più di quanto sarebbero riuscite a fare in condizioni normali. La situazione era diventata tanto disastrosa da indurre Richard, un giorno, a chiedermi: «Ehi! Ma cosa ti prende? Non sembri più te stessa! Dov'è la Silene che conosco io?»
«Sempre qua» gli risposi, cercando di nascondere la mia tristezza.
«Se hai bisogno di qualcuno con cui parlare, sai dove trovarmi» mi rassicurò lui, dandomi una pacca sulla spalla; dopodiché, si allontanò senza aggiungere nient'altro.
***
Dovette passare più di una settimana prima che Francis decidesse di rivolgersi di nuovo a me.
«Io ho... Bisogno di parlarti. Da solo» mi confessò quando mi fu accanto durante uno dei soliti tragitti di ritorno alla residenza degli Wave.
«Quando vuoi» lo assecondai, guardandolo con aria pensierosa e cercando di captare nel suo sguardo qualunque indizio potesse rendermi chiaro il motivo di quella improvvisa decisione.
«Il più presto possibile» precisò, stringendosi nelle spalle, come se quel gesto potesse porre fine al tremito delle spalle.
Quando fummo all'interno della residenza, mi esortò a salire su per le scale con lui e lo seguii a passo titubante fino alla nostra camera. Temevo, in qualche modo, di veder iniziare la nostra conversazione con un litigio.
«Accomodati» mi disse lui, indicando il letto, rimasto unito come quando ci dormivo anche io.
Presi posto sul bordo del materasso e lo fissai, aspettando una sua parola. Rimase in silenzio per pochi attimi e ciò mi indusse a credere che saremmo rimasti così per tutto il tempo, a cercare le risposte di cui necessitavamo nei nostri occhi, ma, proprio quando sembrava essere sul punto di tirarsi indietro dal confessarmi tutto, cominciò a parlare. «La mia reazione a questa storia è stata stupida. Tutto le mie azioni lo sono state! Ti ho vista, sai? Durante gli allenamenti. Non eri concentrata, per nulla. Sembrava che non sapessi più cosa dovevi fare. E nemmeno io lo sapevo, fino a questo momento. Ero diviso fra la preoccupazione per i tuoi insuccessi e la rabbia nei tuoi confronti per quelle parole. Ma alla fine avevi solo espresso la tua opinione al riguardo e... Accidenti! Ero così arrabbiato con mio zio da prendermela anche con te! Mi sentivo perso... Sono perso! E ancor di più perché non ho potuto averti al mio fianco per tutti questi giorni! E...»
«Non ho bisogno di sentire altro» affermai, alzandomi e avvicinandomi a lui. Esitai un attimo per capire se, anche dopo quelle parole, mi avrebbe respinta, ma non si mosse e io lo abbracciai.
«Gli angeli solo lo sanno quanto mi sei mancata» ammise, ricambiando la mia stretta e attorcigliando ciuffi dei miei capelli attorno alle dita.
Non ebbi il coraggio di proferir parola, perché non avrei mai voluto rovinare quel momento così bello.
***
Una mezz'oretta dopo, May ci chiamò dal piano di sotto e, nel vederci scendere tranquilli insieme, esclamò: «Oh, Lilith, finalmente! È finita questa guerra?»
«Finita, sotterrata, dimenticata» le rivelò Francis, sul cui viso era stampato un sorriso sereno mai visto su di esso nei giorni precedenti a quello.
«Non ne potevo più di vedervi così e cominciavo seriamente a preoccuparmi per voi. Se non le avessi detto niente, Francis, ti ci avrei costretto e ti avrei tormentato fin quando non avessi confessato a Silene che ti mancava. E viceversa» concluse alla fine, guardando me.
«Non ce ne sarebbe stato alcun bisogno. Prima o poi saremmo tornati sui nostri passi» la rassicurò Francis.
«E sarebbe stato meglio per voi o avrei meditato di darvi in pasto agli Atlan» ci minacciò la ragazza, tentando di assumere un'aria intimidatoria. Però la sua finta rabbia venne subito eclissata per far posto a una fragorosa risata.
«Molto gentile la nostra amica guerriera!» la schernii.
May rise ancora più forte e ben presto contagiò me e Francis, che non la smettemmo finché i nostri visi non furono rossi e non rimanemmo a corto di fiato.
«Okay, ora è meglio finirla» osservò la ragazza, asciugandosi gli occhi per via delle lacrime.
Ci ricomponemmo e andammo a tavola, dove attendemmo l'arrivo di Augustus, Adam e Vincent, arrivati poco dopo.
Non appena furono tornati, ci diedero la notizia di essersi fatti un'idea più precisa della zona della dimensione di Marcus in cui fossero finiti Frederick e Sophie, ma c'erano ancora altri accertamenti da fare. Oltre a ciò, ci informarono anche dell'invito dello zio di Francis presso la sua residenza. Quella sera, a sentire gli Wave, l'uomo ci avrebbe spiegato tutto quanto.
«Va bene» assentì Francis, concentrandosi nell'evidente tentativo di radunare tutta la calma possibile per rispondere, poi tornò al suo dolce e rimanemmo in silenzio fino a quando non ce ne fummo andati.
«Oggi mi prometti di stare più attenta?» mi domandò mentre camminavamo e toccò con delicatezza i tagli sul mio viso, sfiorandoli come se temesse di potermi fare del male.
«Lo prometto.»
«E che farai del tuo meglio per fare fuori subito l'ostacolo che ci aspetta?»
«Sì.»
Mi sorrise, appoggiò la sua fronte sulla mia e mi guardò negli occhi, che avevano ritrovato la loro consueta luce. Fu la voce di May a separarci qualche secondo dopo.
«Ragazzi, siamo per strada e avete tutto il resto della giornata per recuperare il tempo perso» ci rimproverò lei.
«Scusa se mi prendo la briga di correggerti» le fece notare Francis. «Semmai tutta la vita! E io non ho intenzione di perdermi nessun altro momento!»
«Okay». Lei rise a sua volta. «Ma ora pensiamo ad arrivare alla centrale senza incidenti.»
Quando giungemmo alla centrale, l'atrio era ancora ingombro di guerrieri in fase di addestramento. Ciò ci lasciò perplessi, poiché Richard, da qualche tempo, ci aveva concesso di muoverci in libertà all'interno dell'edificio, perciò sembrava strano vederli stipati tutti lì.
«Cosa succede?» chiesi a William quando fummo vicino al gruppo.
«Richard è in ritardo ed è molto strano. Non è da lui arrivare dopo l'orario previsto. Deve essere successo qualcosa» mi rispose lui, preoccupato.
Alla fine apprendemmo dal supplente che non era successo nulla di grave e, anzi, c'erano tutti i presupposti per gioire. Richard stava per diventare padre per la prima volta.
«È fantastico!» esclamò May, improvvisando un balletto.
«Immagino come sarà emozionato!» replicai in risposta alla sua affermazione.
«Sarà un ottimo padre» aggiunse Francis.
Quando il coro di esultazioni per Richard si spense, il supplente ci portò in palestra e liberò le creature da affrontare quel pomeriggio.
Avevano un qualcosa di inquietante nel loro aspetto: gli occhi neri come tunnel al buio, il corpo e il viso di color verde scuro, zanne gialle e affilate sporgenti dalla bocca. Infine, a rendere il quadro ancora più terrorizzante, una lingua lunga, robusta e biforcuta.
La creatura che avevo di fronte, non appena vide la mia spada brillare, emise un verso simile a un ringhio e cercò di avventarsi, ma mi spostai abbastanza in fretta da evitare qualsiasi ferita. Invece, quando tentò di azzannarmi per la seconda volta, riuscii a trafiggere il suo punto debole e quella si accasciò al suolo priva di vita e grondante di sangue nero e vischioso.
«Ottimo lavoro, Silene. Richard sarà contento della tua ripresa. Mi ha raccontato della tua momentanea indisposizione a combattere. Sarebbe stato un peccato se la situazione fosse rimasta così instabile, mi ha detto che sei un'alunna molto dotata» mi lodò l'istruttore e mi suggerì di avvicinarmi a lui per aspettare il termine degli altri incontri.
Quando tutti ebbero terminato, ci riunimmo nella solita sala adiacente alla palestra, per effettuare il colloquio con l'istruttore, il quale ci avrebbe spiegato cosa non andava in quello che facevamo o cosa andava migliorato. Su di me non disse neanche una parola, sembrava soddisfatto.
Al termine della riunione l'istruttore ci lasciò liberi di tornare a casa, ma noi fummo comunque costretti ad aspettare lì la fine del turno di Adam. Non appena esso terminò, salimmo sul suo veicolo e ci portò alla residenza del terzo circondario.
Ad accoglierci, all'ingresso, c'era lo zio di Francis.
«Da questa parte». L'uomo indicò l'interno della struttura e ci condusse verso una sorta di ascensore. Lui pigiò il numero sei sulla parete circolare e trasparente al suo lato e la piattaforma su cui eravamo saliti si elevò, fino ad allinearsi agli agganci del sesto piano, dove le porte si aprirono.
«Il mio appartamento è il numero 27, in fondo a destra.»
Proseguimmo per l'intero corridoio zeppo di appartamenti senza parlare. Rimasi a bocca aperta quando fummo nella sua casa. Non mi sarei mai immaginata uno sfarzo del genere. Sebbene fossi abituata all'eleganza della residenza di May, nessun oggetto a casa sua sarebbe potuto essere comparato agli interni di quel luogo.
«Ma quanto guadagna facendo il capo-circondario?» chiesi, ammirando con stupore il lampadario di cristalli appeso al soffitto dell'ingresso.
«Quarantamila andelin» rispose tranquillo il signor Lightflame.
«E in termini di dollari sarebbero?»
«Nemmeno la metà. Diecimila dollari.»
«Wow!» esclamò May.
«Ma ora non parliamo di questo». Ci rivolse un gesto impaziente con la mano. «Accomodatevi in salotto, perché a minuti vi verrà servita la cena e vi dirò tutto ciò che volete sapere.»
Annuimmo e ci dirigemmo tutti quanti verso il salotto e che io avevo scambiato per una galleria d'arte, al cui centro era posto un enorme tavolo già apparecchiato per la cena e ai cui lati erano presenti tre grosse biblioteche.
«Allora». L'uomo si rivolse al nipote non appena fummo a tavola. «Cosa vuoi sapere?»
«Le mie domande sono molte e mi aspetto una riposta esauriente da parte tua. Voglio sapere... Cosa ci fai tu qui? E dove sono finiti i miei genitori e il resto della famiglia? Cosa ne è stato di loro? Come mai siete scomparsi da un momento all'altro, lasciandomi solo? Hai mai tentato di cercarli oppure te ne sei rimasto qui a godere delle tue ricchezze e della tua protezione? E perché l' altro giorno mi ha detto di dovermi mettere al sicuro? E...»
«Frena, frena, ragazzo! Non sono una macchinetta! Ma cercherò di accontentarti e rispondere alle tue domande nel modo migliore possibile. In primo luogo: scomparire non è stata una cosa volontaria. Ci hanno presi tutti con la forza e hanno tentato di arrivare anche a te, se non fosse stato per lo stratagemma inventato da tua madre per proteggerti. Ti ricordi quando ti ha mandato alla tenuta dei Folks il pomeriggio in cui tutti eravamo scomparsi? Quel posto era altamente protetto per via della figlia ammalata dei signori in questione, per cui era impossibile trovarti e con l'ausilio della famiglia tu saresti stato al sicuro, visto che essendo a loro volta guerrieri avrebbero compreso il pericolo in cui ti trovavi. Ma da ciò che ho compreso, hai lasciato la loro residenza e sei voluto tornare a casa. Per questo i custodi ti hanno trovato e portato qui. Ora: non ho idea di dove siano finiti Helen, Benjamin e il resto della famiglia, ma non pensare che non abbia tentato di trovarli. Li ho cercati in lungo e in largo dopo la nostra separazione, ma solo e senza aiuto non avrei concluso nulla. Quindi ho deciso che sarei andato alla centrale e avrei cominciato a lavorare da lì. Se la fortuna mi avesse assistito, in seguito avrei ottenuto una carica abbastanza importante da permettermi tutto l'aiuto possibile.
«Ed eccomi qui, capo-circondario di queste terre! Quando assunsi questo ruolo pensai di trovarli con più facilità: nulla di più sbagliato. I custodi non vogliono assolutamente saperne di dirmi dove sono, anche se sanno di poter essere sbattuti fuori da qui senza alcun ritegno. Per quanto riguarda l'ultima domanda, penso tu abbia capito il perché. La risposta è sotto i tuoi occhi, mio caro Francis. Basta guardarsi attorno e capire che non c'è posto più pericoloso di questa dimensione da qualche mese a questa parte. Spero di essere stato abbastanza esauriente.»
Francis annuì, poi chiese: «Ma come mai ci stavano cercando?»
«Se hai fatto qualche ricerca sui tuoi mentre eri qui, cosa che non dubito tu abbia fatto, saprai che tuo padre era un Indicibile e che quindi custodiva informazioni di cui pochi erano in possesso ed è per questo che ci hanno presi. Compreso suo padre». Il signor Lightflame mi indicò con un cenno.
«Conosce il mio nome?» chiesi basita.
«Ho solo sentito Siria mentre lo pronunciava e mi sono ricordato dei tuoi genitori. Inoltre, mi sono dato da fare per effettuare una ricerca su dove Francis vive per scoprire quali compagnie frequenta mio nipote.»
Scrollai le spalle e finii, assieme agli altri, la mia cena in silenzio. Dopodiché, il signor Lightflame disse al nipote: «Sarei contento se tu restassi da me a dormire, ora che hai ritrovato una piccola parte della tua famiglia.»
«Sto bene dove sono, zio Zeke. Il signor Adam, la sua famiglia e i suoi domestici sono persone davvero fantastiche e non mi sognerei per nulla al mondo di lasciarle andare e poi...» Si voltò verso di me. «Non ho nessunissima intenzione di lasciare lei.»
«Ma se vuoi possiamo invitare anche la signorina Elsway a restare». Suo zio assunse un'aria condiscendente.
«Si chiama Silene. E comunque, no, ho deciso che non rimarremo qui, ne sono sicuro. Ma se vorrai, ti verrò a trovare quando avrai meno impegni e magari potremmo cercare di trovare un modo per rintracciare il resto della nostra famiglia e quella di Silene. Oltre a capire esattamente dove sono andati a finire due nostri amici.»
«Di chi si tratta?» chiese curioso suo zio.
«Sophie Wisdom e Frederick Portman. Ti dicono niente questi nomi?»
«Ah, ne ho sentito molto parlare. Un altro Indicibile e sua moglie che scompaiono. Il loro figlio vive con voi, ho visto.»
«Esattamente» confermò Francis.
«Quindi i Portman avranno qualcosa per cui esservi grati, al loro ritorno. Ora, però, se volete scusarmi, credo sia arrivato il momento di congedarmi da questa bella chiacchierata. Spero che la cucina e il resto siano stati di vostro gradimento. In quanto a te, Francis, mi aspetto che tu venga a trovarmi spesso. Anche in compagnia di Silene.»
Francis annuì. Dopo gli ultimi saluti e raccomandazioni, salimmo di nuovo sul veicolo di Adam e tornammo subito a casa di May.
«Ora tutti a letto!» ci ordinò Adam non appena fummo entrati e, ubbidienti, ce ne andammo nelle nostre stanze.
«Un momento!» esclamai, ricordando solo in quel momento dei miei averi spostati altrove. «Devo andare a prendere i miei pochi oggetti dall'altra stanza.»
Presi le mie cose e le sistemai dove erano in precedenza. In seguito a una rapida doccia, mi stesi accanto a lui e ricordai improvvisamente quanto bello fosse addormentarsi ancora una volta fra le sue braccia.
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