~ Il patto con il Diavolo~
*Capitolo curato ed editato da Enis Slama*
Le ultime foglie dal colore del fuoco stavano cadendo dinanzi la finestra del salotto di
casa Blanche nell'esatto momento in cui, all'interno di questi, il viso paonazzo di una
donna lasciava intuire una accesa discussione appena avuta con il suo superiore: il
colonnello André.
«È vostra figlia!»
«Mi ha tradito, non è più mia figlia!»
Il tono pacato con cui vennero pronunciate queste parole ferì profondamente la donna
davanti a lui. Lo stava fissando con un'espressione accusatoria, quasi a chiedersi come
si potesse essere tanto ostili nei confronti del proprio stesso sangue.
Restò ferma nella sua posizione, non distogliendo mai lo sguardo dall'uomo intento ad
esaminare alcune scartoffie con finta indifferenza.
«Non vi ha tradito! Come potete essere così ottuso? È giovane e ingenua: si è
solamente innamorata...»
«È una sgualdrina!»
La interruppe lui sbraitando irritato. Quella volta, il tono pacato e l'aria seria, nonché
tranquilla tipica del colonnello si erano dileguate dalla sua persona. Il tono della voce
era divenuto alto e il pugno che aveva dato al muro fece sobbalzare la donna in ascolto.
Le lacrime iniziarono a scenderle dagli occhi. Non poteva controbattere: sapeva già
come sarebbe andata a finire. I lividi che portava sul braccio sinistro le ricordavano
ogni giorno quale fosse il suo posto.
«Fate come meglio credete! Quando la sua vita si spegnerà non voglio vedervi
struggere per il dolore: ricordate che state scegliendo voi.»
Sentenziò in modo duro, poi uscì velocemente dalla stanza e si recò a passo svelto nella
camera di Annemarie. I lunghi corridoi della casa le sembrarono non aver mai fine.
Stava cercando di raggiungere gli alloggi della signorina quando la testa cominciò a
girarle e le pareti color bianco panna, adornate con quadri colorati in cui venivano
ritratte le signorine della casa, le parvero distorcersi e allungarsi. Quei graziosi visi
stavano mescolandosi tra di loro sino a non farle più distinguere i tratti caratteristici di
ognuna.
Lilienne ebbe un capogiro e così, costretta ad appoggiarsi a una parete, chiuse gli occhi
per alcuni istanti, aprendoli di scatto una volta ripresasi.
Dinanzi a lei, colonne portanti sulle quali vi erano decorazioni floreali del colore
dell'oro. Distolse la propria attenzione da quel disegno e riprese a camminare per la
casa a passo svelto. Seppur non fosse la signora Blanche, bensì la semplice cameriera
fidata della famiglia, nonché governante e badante, conosceva ogni singolo centimetro
di quel posto.
La figura di Lilienne in casa era però più essenziale di ciò che si potesse pensare. Da
ormai lunghi anni lei era l'amante fissa del colonnello, nonché la vera madre di
Annemarie: la sua unica figlia. Anni prima, quando diede alla luce la bambina, supplicò
il colonnello di lasciargliela crescere ma quest'ultimo non accettò. Sua figlia era una Blanche e, come qualsiasi altra creatura nata dal suo matrimonio, andava cresciuta nel lusso e nelle comodità tipiche della famiglia.
La moglie Josephine aveva accettato di buon grado la cosa, essendo stato il loro
matrimonio frutto di infedeltà reciproche. In più, un'altra bambina in casa non le
sarebbe stato di alcun peso.
Decisa a salvare il proprio matrimonio e mantenere un rapporto normale con il coniuge,
Josephine si vide ben presto plasmare ad immagine e somiglianza dell'uomo che la
tradiva. La tenera fanciulla che era convolata a nozze con lui, infatti, stufa delle
continue violenze subite, si poté ben presto considerare morta e sepolta. Vinta dall'indifferenza del consorte, la donna cedette ben presto alle avance di un borghese.
Quella, fu la prima di una lunga serie di infedeltà che la portarono all'esaurimento.
Lilienne era al contrario una donna dolce, remissiva e dedita alla sua famiglia che, per
lei, erano appunto i componenti di quella casata. Nonostante il colonnello l'amasse,tuttavia, non reprimeva i suoi istinti animaleschi né si premurava di renderla felice ma, alla semplice cameriera, il solo fatto che lui la considerasse e alcune volte
l'ascoltasse bastava.
La porta si aprì pian piano, in quella stanza totalmente immersa nel buio dove l'odore
tipico della morte la faceva da padrone e, una volta varcata la soglia, la cameriera si
avvicinò al letto dove, distesa, si trovava sua figlia. La guardò in silenzio per lunghi
istanti, lasciandosi andare ad pianto disperato.
Il dottore giunto in soccorso nel momento in cui avevano trovato il suo corpo dilaniato
si stupì del fatto che, dopo così tanti giorni dall'accaduto, fosse ancora viva.
"Resisterà sì e no due giorni" aveva detto ma Annemarie non si arrese. Qualcosa la
teneva legata a questa vita.
La serva si avvicinò a sua figlia, scostando i bei capelli boccolosi dal suo viso e baciandole il volto. Rimase ad osservare, con sguardo di pietà, il suo corpo colmo di cicatrici e, con amarezza, ciò che rimaneva del suo braccio.
"Povera bambina mia" pensò, accarezzandole il viso. Lilienne non riusciva a comprendere come il colonnello volesse abbandonare così sua figlia. Lei, era la cosa più preziosa che possedevano, nonché il simbolo vivente del loro grande amore.
Fin da quando aveva scoperto di essere gravida, Lilienne si promise di regalare alla sua
creatura solo il meglio dalla vita, nonché la sua totale devozione.
Anche quando la ragazzina, crescendo, aveva iniziato a trattarla con sufficienza e delle
volte con astio, la cameriera non aveva mai provato l'impulso di sgridarla: le era totalmente fedele.
Con un gesto della mano si asciugò il viso e rimise i capelli scompigliati dentro la
cuffietta bianca che portava sul capo, lanciò un ultimo sguardo alla ragazza e, successivamente, rinchiuse le tende, lasciando che le tenebre e la solitudine
l'avvolgessero.
Poi un gemito... singhiozzi... e pianti.
Annemarie soffriva le pene dell'inferno e lei la stava abbandonando al suo destino. La
sua coscienza, tuttavia, le gridava di intervenire, di opporsi. Una voce dentro di sé si insinuò tra i suoi pensieri. Ormai da diversi lustri conosceva il
grande segreto che il suo amante nascondeva. Lo aveva scoperto per caso, una notte di novembre.
Diversi anni prima che nascesse Annemarie, André era un semplice uomo come tanti,
considerato persino quasi un perdente: un uomo pieno di vizi e con poco denaro.
Accadde però che un giorno, mentre accasciato sull'asfalto umido si scolava l'ennesima
bottiglia di vino, bagnato dall'acqua piovana, il banchiere Feliphe Darwin gli chiese di
seguirlo. Lui, da rozzo villano qual'era si rifiutò, ed egli gli sussurrò qualcosa all'orecchio che lo convinse a fare ciò che desiderava.
Feliphe lo condusse nella carrozza della diligenza, cosa alquanto bizzarra dato che il
banchiere ne possedeva una.
Vagarono per diverse ore. La pioggia cessò per lasciare spazio a una fredda brezza invernale che li accompagnò per il resto del viaggio.
André si svegliò alle prime luci dell'alba, osservò i posti davanti a sé e vide il viso del
banchiere osservarlo soddisfatto.
<<Siamo arrivati!>>
Queste furono le uniche parole che pronunciò fino alla fine del periodo stabilito.
Una volta scesi arrivarono nello scantinato di una vecchia villa, dove l'odore malsano
di carne in putrefazione rischiò di far vomitare i nuovi arrivati.
André non fece in tempo a guardarsi intorno che venne incatenato ad un tavolo da due
uomini abbigliati con vesti talari.
Fu lì che accadde.
Con un coltello incisero il cerchio alchemico sul suo addome e, seppur lasciatosi
andare in grida di straziante dolore, nulla fermò le loro intenzioni.
Frastornato dalla sofferenza riuscì solamente a distinguere una terza figura, totalmente
vestita di nero, la quale poggiò il palmo della mano sul cerchio e iniziò a recitare
alcune formule in latino.
Le altre due si avvicinarono e iniziarono a cospargere il corpo con sangue e carne,
infine oro colato. André sentì la pelle andare a fuoco e il suo tessuto cutaneo sciogliersi
fino a non restare altro che ossa.
In quel momento osservò gli altri tavoli e con suo tremendo stupore notò le cinquanta
salme incatenate come lui. Esse iniziarono a gemere di dolore, a contorcersi come
vermi, a emettere suoni che non gli parvero nemmeno umani, finché senti le forze
venire meno e svenire.
Fu come cadere in un baratro senza mai arrivare a schiantarsi contro il suolo.
Così, il suo amato le aveva descritto le sensazioni che aveva provato.
In quell'eterno vuoto quattro figure si accostarono a lui. Erano tremende, simili a demoni. Presero l'oro, il sangue e la carne, infilando gli artigli dentro il suo corpo e poi... entrarono dentro di lui, una per una.
Quando riaprì gli occhi il terrore lo sconvolse: sul suo corpo erano ben visibili in
rilievo quattro facce deformi che riuscivano ad interagire con lui. Rischiò di impazzire,
quando la terza figura incappucciata vista prima di svenire si avvicinò per spiegare cosa aveva visto.
"Ogni volta che un alchimista crea una chimera, degli spiriti prendono possesso del
corpo a loro regalato. Se esso è accompagnato da qualcosa, essi estraggono il dono
dell'alchimista e entrano nel corpo mantenendolo in vita. Motivo per cui una chimera è
quasi immortale."
Ecco la chiave.
Annemarie doveva vivere e doveva vendicarsi di chi l'aveva ridotta in quelle condizioni
e poi abbandonata in un bosco a morire. Dimitri l'aveva usata e poi aveva tentato di
ucciderla per scappare con un'altra. Questa era l'idea distorta che tutti si erano creati del garzone. Quando il colonnello le aveva raccontato di essersi lasciato scappare quel
maledetto e la sua puttana la rabbia l'aveva accecata. L'idea malsana che aveva
riportato alla luce quel racconto tornò a farle visita una seconda volta.
Ripensando a quel momento,
un'idea insana le balenò nella mente e, seppur in conflitto con se stessa, si disse ben presto che nulla avrebbe potuto impedirle di vendicare il nome di sua figlia. Si trattava della sua vita.
Sapeva a chi rivolgersi: lo stesso uomo a cui il suo amante doveva tutto il suo potere.
Le serviva solo un foglio e un calamaio.
“Lui” arrivò all'orario stabilito la notte seguente. Aveva una linea slanciata e i
lineamenti spigolosi, i suoi occhi erano penetranti e tremendi. Scrutavano tutto: dalle
scale nel salone ai visi nelle foto. Indossava un lungo cappotto semplice, con due
tasche laterali e di colore nero, ormai fradicio per la pioggia. Una volta lì, guardò la
donna dinanzi a sé con aria remissiva.
«Dov'è la mia paziente, signorina?»
Disse senza mostrare alcun accenno di sentimento.
«Venite, vi accompagno nella sua stanza!»
«Dopo questa notte la ragazza sarà piena di forze e, vi assicuro, starà meglio di quanto
non lo sia mai stata!»
Accennò un sorriso enigmatico che fece rabbrividire la donna. Aveva una voce bassa e
calda, in quel suono inquietante che riecheggiò nel buio delle aree che iniziarono ad
attraversare.
Lilienne era inquieta e il suo corpo era cosparso di brividi. La figura che camminava dietro di lei la spaventava tanto da sobbalzare ad ogni rumore che udiva. I modi eleganti non bastavano a renderlo rassicurante o affascinante, al contrario, dava l'impressione di essere un serpente viscido e sinuoso. Ogni passo rimbombava tra le pareti del luogo e, nell'oscurità della notte, quello stesso rumore le ricordò le terribili
storie di demoni di cui tanto aveva timore.
La cameriera non proferì alcuna parola, limitandosi a guidarlo per i vari corridoi pieni
di quadri e ricche vetrine fin quando, giunti a destinazione, si fermarono dinanzi una
porta.
«Ho la vostra parola: si riprenderà?»
«Ve lo prometto e, in caso di fallimento, sarete libera di denunciarmi alle autorità per i
miei "metodi" di lavoro.»
Pronunciò solennemente tali parole. L'uso dell'alchimia era stato infatti abolito da
alcuni anni e tutti i praticati di essa furono costretti a fare giuramento. In più, le
chimere che abitavano nei meandri delle città e dei paesi, furono subito sterminate.
«È un patto?»
Domandò ancora Lilienne, tradendo la sua insicurezza nel tono di voce.
«Sì, signorina!»
L'uomo allungò la mano per stipulare l'accordo, scrutando attentamente la reazione
della serva.
Allungando leggermente la mano, Lilienne la ritirò il secondo successivo. L'uomo che
aveva davanti non le ispirava alcuna fiducia, seppur fosse l'unica speranza rimastale.
Il dottor Rousseau era la sua luce in fondo al tunnel. E così, preso atto della cosa, allungò la mano senza ritirarla, si appoggiò alla porta dietro di lei e, dopo un profondo respiro, l'aprì.
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