~Eloise~
*Capitolo curato ed editato da Enis Slama*
La casa del dottor Rousseau non era modesta ma nemmeno sfarzosa come
quella del colonnello Blanche. La villetta era a due piani e molto soleggiata, ciò
grazie alle grandi finestre presenti ogni stanza. Le pareti presentavano colori
tenui e delicati e così l'arredamento, dalle sfumature chiare.
Tuttavia, le tonalità tranquille del posto mal si addicevano alle personalità
presenti al suo interno, per nulla pacate e serene.
Lilienne fu subito testimone, una volta messo piede all'interno dell'abitazione,
della personalità insolita del figlio maggiore dell'uomo: Eloise.
Si trovavano entrambi nel salotto e lui, seduto su una sedia, stava leggendo un
tomo rivestito da una copertina nuova. Quest'ultima risaltava in netto contrasto
con le pagine, ingiallite e consunte. Eloise aveva la carnagione diafana e la
chioma corvina. Stava tormentandosi le dita e, con fare spasmodico,
mangiucchiandosi le unghie della mano destra. Non aveva aperto bocca né si
era degnato di salutare gli ospiti al loro arrivo. Si limitò esclusivamente ad
alzare lo sguardo in direzione della figura incappucciata seduta nell'angolo della
stanza.
Annemarie non prestava invece attenzione a nulla. Le voci nella sua testa non le
permisero di restar lucida. Non comprendeva il motivo del perché quelle
“cose”, oltre ad aver accettato di entrare nel suo corpo, si ostinavano a non
lasciarla sola nemmeno per un secondo.
Il dottore le aveva spiegato che gli spiriti cercavano in ogni modo di prender
possesso della chimera e che spettava a lei il compito di riuscire a non prender
possesso della propria mente, costringendola a restar lucida.
Per mademoiselle Blanche non vi era però alcun modo di rimanere presente. Se
provava ad alzare lo sguardo davanti a sé vedeva quei terribili mostri d'ombra
pronti a sbranarla senza pietà.
"Mangiatemi, ponete fine alla mia vita!"
pensò tra sé, lasciandosi sfuggire un'insana risatina che attirò gli sguardi altrui.
Si zittì immediatamente. Non sopportava più di essere guardata. Un tempo gli
sguardi di chi l'osservava erano pieni di ammirazione per il suo viso bello e le
persone amavano parlare con lei per il suo carattere vivace e affabile.
Da quel terribile giorno, invece, chiunque inorridiva al suo passaggio.
Durante il tragitto fino alla casa del dottore, il cappuccio del mantello le era
caduto per via di una folata di vento nel bel mezzo di una strada affollata.
Annemarie aveva sentito sulla sua pelle mille occhi puntati addosso, gridolini di
paura e risate di scherno. Se avesse potuto avrebbe affondato i denti sulla loro
pelle per dissanguarli senza esitazione. La rabbia, per il trattamento riservatole,
era incontrollabile. Un pensiero la fece però tornare in sé. Dimitri non l'avrebbe
abbandonata. Lei non credeva a ciò che diceva suo padre, non poteva aver
collaborato per ucciderla per poi scappare con un'altra. Non era da lui: Dimitri
era troppo buono di cuore per fare una cosa del genere. Eppure non capiva perché lui era ancora vivo e normale mentre lei era diventata un mostro, un
aborto, un essere da ripudiare.
Eloise la scrutava insistentemente, si alzò dalla sedia con fare deciso e si diresse
davanti la strana figura incappucciata.
«Permettetemi di accompagnarvi nei giardini... l'aria malsana di questa stanza
non vi fa bene.»
Il ragazzo, poco più che diciottenne, era di bella presenza. Era alto, magro più
del normale, con due occhi grandi e azzurri contornati da solcature violacee. I
sottili fili d'ebano erano lunghi fin le spalle gracili, i polsi sottili e le dita
affusolate da pianista.
Annemarie non comprese il motivo della sua proposta. Si limitò a tenere la testa
china per non incrociare il suo sguardo e, con decisione, scosse il capo in segno
di protesta. Il colonnello sovrappose il lungo bastone tra il giovane e la figlia.
«La mia diletta non è interessata a passeggiare con voi!»
Il ragazzo sorrise, sbuffando e parlottando fra sé.
«So bene cos'è "la vostra diletta", non m'impressiono per così poco e non mi
faccio intimorire da un vecchio in casa mia.»
"So bene cosa è la vostra diletta", una frase che colpì Annemarie come uno
schiaffo in pieno viso.
«Come vi permettete? Insolente, io...»
«Eloise! Chiedi scusa al colonnello, Adesso!»
Il ragazzo sorrise e fece per andarsene dalla stanza, fermato però da Annemarie
che lo afferrò per il polso.
Il ragazzo la guardò con un sorrisetto enigmatico.
«Ho bisogno di respirare aria fresca... sono stata troppo a lungo rinchiusa.»
Il padre la guardò con compassione e, senza proferire parola, ripose il bastone
per farli passare.
Il giovane si incamminò ma, prima di uscire dalla stanza, si vide fulminare con
lo sguardo dell'uomo. Quest'ultimo odiava quel ragazzino presuntuoso e
borioso, nonostante fosse il suo stesso figlio. In più, quel maledetto era
imprevedibile. Il dottore sapeva che egli si interessava all'alchimia e nonostante
le innumerevoli punizioni inflitte al giovane per impedirgli di praticare l'arte, il
ragazzo aveva continuato nell'ombra i suoi studi.
Andarono via dal salotto e, imboccata la strada del corridoio, uscirono dalla
porta sul retro per ritrovarsi nel giardino della villetta. La casupola si trovava su
una collinetta, il retro vasto era adornato da mille e più corolle variopinte.
Nonostante fosse inverno la giornata era abbastanza soleggiata, seppur un forte
vento continuava a ricordar loro il mese in cui si trovavano.
D'un tratto il polso della fanciulla fu stretto con forza.
«Vi ha creata mio padre. Non è così?»
La fanciulla annuì con il capo.
«Come sempre è un inetto... anni passati ad esercitare non l'hanno aiutato a
migliorarsi. Guardate come vi ha ridotto...»
Si interruppe, dispiacendosi nel vederla chinare il capo con tristezza.
«No! Non fate quel viso triste!»
Portando le dita sul mento, le alzò il capo, specchiandosi nei suoi occhi.
«Siete pur sempre una magnifica creatura, superiore a qualsiasi essere umano!»
«Siete pazzo! Come potete dire questo? Sono un mostro! Un essere abietto!»
Rispose spingendolo di riflesso.
«Voi un mostro? I veri mostri sono altri, signorina!»
Si perse nei pensieri, rammentando il giorno in cui, da bambino, conobbe un
vero mostro, uno come lui.
«E voi come lo sapete che non sono un vero mostro?»
Lo interruppe lei con fare rimproverante.
«Ho conosciuto solo una fanciulla che potrei definire tale e, fidatevi delle mie
parole, non è il vostro caso!»
"La mia piccola... chissà dove si trova adesso", pensò tra sé il ragazzo. La
fanciulla l'osservò stranita e lui mosse nuovamente l'iride in direzione della sua
interlocutrice.
«Perché siete qui?»
La ragazza sussultò, intimorita dal suo tono sicuro e dall'improvvisa domanda.
Non sapeva se raccontargli la verità o meno. Tuttavia, pensò, era il figlio del
dottore e non avrebbe dovuto aver timore di lui.
Sospirò, decisa a parlare dopo alcuni secondi di riflessione.
«Vostro padre sta cercando una donna, mio padre invece sta cercando un uomo
che sembra si trovi in compagnia di questa fanciulla.»
Il viso di Eloise sembrò illuminarsi. Suo padre cercava una donna? E quale
donna se non il suo esperimento perfetto? Lui sapeva dov'era "lei", l'avrebbe
ripresa e condotta da lui.
«E voi cosa c'entrate in tutto questo?»
Domandò inclinando la testa,
«Quell'uomo ha derubato mio padre, mi ha sedotta e abbandonata per fuggire
con quella ragazza, lasciandomi a morire in mezzo al bosco...»
Le parole uscirono come un fiume in piena e le lacrime iniziarono a scorrere
rapidamente. In breve tempo, i singhiozzi interruppero il suo discorso.
Eloise ascoltava analizzando ogni parola. A quanto sembrava, la predestinata di
suo padre era fuggita con un uomo.
Si avvicinò alla ragazza davanti a sé e, lentamente, con uno schiocco, diede un
bacio sulla pelle ormai deformata, asciugando così le sue lacrime.
«E voi sareste un mostro? Non avete idea di cosa significhi esserlo!»
Annemarie restò interdetta da quel gesto. Il giovane si limitò ad osservarla,
invitandola poi a rientrare. Suo padre doveva aver già preparato l'occorrente per
la partenza senza essere a conoscenza che avrebbero avuto un passeggero in
più.
Le gote sfigurate della fanciulla si tinsero lievemente, incredula e sorpresa
dall'aver ricevuto un contatto umano del genere.
A testa china si avviò verso l'entrata dove suo padre, sua madre e Lilienne
attendevano in piedi davanti il camino.
«È tutto pronto per la partenza.»
«Mi dispiace contraddirla, signore, devo preparare le mie valige! Ma non vi
allarmate, ho bisogno solo dell'essenziale e non impiegherò molto tempo a
prepararmi.»
Il viso di André diventò violaceo per l'ira.
«Dottore, cosa vuol dire tutto ciò?»
«Mio figlio ama scherzare. Suvvia Eloise, vattene nelle tue stanze!»
Il ragazzo iniziò a ridere sguaiatamente, non avrebbe mai acconsentito a un
ordine di suo padre. Loro sarebbero andati incontro a "LEI" e non avrebbe mai permesso di andarci senza di lui. La ricordava ancora come l'aveva vista
l'ultima volta nella sua vera forma umana: bambina. Aveva una folta chioma
bionda spettinata, il viso da fanciulla coperto dalla pesante massa e adornata
con vestitini degni di una bomboniera. Non smetteva mai di ripensare a quella
personalità esaltata dall'aspetto così innocente.
A quei tempi suo padre non sapeva di certo che ella sarebbe diventa il suo
esperimento più riuscito. Suo, o almeno così pensava. Eloise non l'aveva di
certo lasciata incustodita alle sue cure grezze. Aveva vegliato nell'oscurità
sull'incubatrice per lunghe notti e il giorno in cui si era svegliata aveva
preparato con cura il processo di inversione delle anime. Qualcosa era andato
però storto. Quella che con timidezza e dolcezza indossava la pelle della sua
amata non era lei.
Ella però si presentò a lui poco dopo. Non poteva essere diversamente. Erano
fatti per stare insieme: lui e la sua Sherry, la vera e unica Sherry Dupoins.
«Eloise, vieni con me!»
Ordinò monsieur Rousseau, avvicinandosi al figlio per poi strattonarlo fino le
sue stanze e gettarlo dentro con foga.
Prese il bastone e iniziò a colpirlo ripetutamente. Eloise rideva: una risata
nervosa mista alla sicurezza che quelle violenze non lo avrebbero fermato. Più
lui lo picchiava, più il ragazzo sentiva crescere dentro di sé la voglia di opporsi.
Dopo un po', tuttavia, si ritrovò senza alcuna energia. Non riusciva nemmeno a
parlare.
Claude lo lasciò a terra, con il viso gonfio e la schiena ricoperta di profondi
graffi sanguinanti e lividi.
Scese velocemente le scale e intimò i suoi ospiti di seguirlo.
Nelle ore precedenti aveva ordinato a i servi della sua casa in Russia di
predisporre tutto per il suo arrivo. Avrebbero impiegato una settimana di tempo
e finalmente avrebbe potuto riprendersi ciò che gli apparteneva per eccellenza.
La carrozza fu preparata e, dopo un'attesa che parve interminabile, giunsero alla
stazione.
Quando Annemarie scese, la gioia di vedere lo strano ragazzo seduto al posto
del cocchiere la pervase. Non capiva perché ma sapeva che quel giovane, per
quanto grotteschi potessero apparire i suoi modi di fare, era forse l'unico uomo
a non soffermarsi su ciò che appariva. Lo osservò e vide il labbro inferiore
spaccato e sanguinante. Annemarie distolse velocemente lo sguardo e, a passo
svelto, entrò nella carrozza del treno.
Claude rimase sbigottito quando notò suo figlio sulla carrozza al posto del
cocchiere e, per quanto lo odiasse, dovette ammettere che aveva una grinta
degna del cognome che portava. Quel singolare pensiero fu però ben presto
sopraffatto dall'indignazione. "forse questo viaggio si rivelerà più utile del previsto", pensò fra sé. L'insolenza di quel ragazzo sarebbe stata ripagata con il
sangue.
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