Capitolo 6: Che cos'è l'Amore?
𝓛𝓲𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪
Sbatto ripetutamente le palpebre, finché non mi rendo conto di essere viva e vegeta, sdraiata su un letto. Apro gli occhi e mi siedo.
«Lisandra, non così in fretta», mi rimprovera mio padre.
«Papà», sorrido. «Sto bene», affermo. Lui annuisce.
«Dov'è? Fatemi entrare» Una voce squillante disturba la nostra conversazione. Jules!
«Falla entrare», dico accennando un sorriso.
La porta si apre e Jules compare con il suo pancione in bella vista.
«Ero così preoccupata. Alec mi ha portato via quando Lucius ha dato l'ordine di far uscire tutti e...» sbuffa parlando velocemente.
«Rallenta», sorrido poggiando la mia mano sulla sua. Si siede accanto a me e sorride.
Sono in una stanza che non conosco, con un letto semplice e le pareti in pietra. Un grande camino riscalda l'ambiente e davanti a me ci sono le due persone a cui ho salvato la vita. Sono così felice di vederli vivi.
«Salve, signor Mikelaus», dice Jules salutando mio padre.
«Krauss», risponde lui in tono serio, non sapendo che quel saluto mi ricorda Michelle. Rabbrividisco e Jules sospira.
«Ero così preoccupata per te», ripete la mia migliore amica, accarezzandomi il viso. Mio padre mi misura la temperatura poggiandomi una mano sulla fronte e aggrotta la sopracciglia preoccupata..
«Sto bene», ammetto.
«Vi lascio sole», afferma mio padre ed esce dalla stanza. Jules attende che la porta si chiuda e schiocca le dita, facendo diventare la stanza insonorizzata.
«Cos'è successo? Dove sei sparita?» esorta Jules.
«Difficile da spiegare», borbotto.
«Più difficile di nasconderti in una piccola casa nel bosco perché avevi svegliato il re originale? Non credo», scherza.
«Ero con... Lilith», sussurro.
«Tu eri con chi? Con cosa?» chiede sbalordita.
«Non lo ripeto», mormoro talmente è assurda la situazione.
«Cos'è successo? Ti ha fatto qualcosa? Come eri con Lilith? Ma era proprio lei? Descrivimela», insiste Jules.
«Era strano... Ero in una specie di stanza completamente bianca e al centro c'era una grossa pozza di sangue. A un certo punto si sono creati dei cerchi, come quando butti un sasso nell'acqua, e lei è uscita elegantemente, nuda e sporca di sangue», spiego. Jules ride. «No, non mi ha fatto male se non in un momento», accenno indecisa se dirle tutta la verità.
«Ovvero?» esorta.
Le dirò solo del terzo desiderio...decido nella testa.
«Mi ha... diciamo... trasformato in un originale», bisbiglio.
«Cosa?» risponde Jules sbigottita. «Non sei un vampiro. Non hai gli occhi rossi e non sembri indistruttibile...» balbetta.
«No, ma ha deciso di non farmi crescere più. Ha bloccato la mia crescita e, come per magia, sono diventata un immortale, ma con tutte le debolezze umane», ragiono ad alta voce.
«Quindi puoi morire?» domanda Jules.
«Non lo so e spero di non scoprirlo», dico emettendo un sospiro. «Basta di parlare di queste cose. L'importante è portare dentro di sé la vita», continuo cercando di cambiare argomento.
«Sono così felice. Alec ha detto che è arrivato il momento: fra pochi giorni diventerai zia!» esulta Jules.
«Sono così felice per te», rido abbracciandola. Le annuso per un secondo i capelli: sanno di cannella e mi rendo conto di aver espresso bene il secondo desiderio.
Il mio pensiero va subito a Lucius...
«Senti, Jules... So di avertelo già chiesto, ma... come capisci di essere innamorata?» chiedo imbarazzata.
«A dir la verità, non è stato facile capirlo. Non lo è stato affatto. Quando ti piace qualcuno sei pronta subito a dire che lo ami, ma non è sempre la verità», risponde.
«In che senso?» insisto.
«Beh, c'è una differenza tra essere attratta da una persona e amarla».
«Come hai capito di amare Alec?» domando curiosa.
«Ho capito di amarlo nel momento in cui sono riuscita a superare tutte le mie paure, le mie debolezze, quando sono diventata meno timida del solito. L'ho capito quando lo guardavo ed era tutto ciò che volevo, quando sorrideva e io ero felice. Quando stava male, stavo male anche io. L'ho capito quando mentre stavo con lui tremavo e allo stesso tempo mi sentivo a casa. Era come se lo conoscessi da anni: avevo una certa confidenza con lui. Non lo so come l'ho capito, sinceramente. So soltanto che quando lui era con me mi batteva forte il cuore e quando non c'era mi sentivo sola», sorride tra sé e sé. «Anche quando ci salutavamo perché dovevamo andare a casa, ecco, in quell'istante già mi mancava. È strano, ma l'amore è così», ammette alzando le spalle. «Mi sono dilungata troppo, ma perché me l'hai chiesto? Non è che ti sei innamorata? Oddio... di chi? Sono curiosa...» continua gasandosi.
«Non lo so, ma...»
«Ma, cosa?» borbotta.
«Lucius... mi ha guardato ed è stato strano. Non è stato un semplice sguardo, mi sono sentita bene ed era strano... Insomma, è Lucius, no?»
«Non dirmi che ti sei innamorata di Lucius», sussurra felice.
«In realtà...» mormoro.
«Da quanto?» mi interrompe in tono serio. «Da quanto lo ami?» chiede Jules.
«Non è che lo amo, ma... è lunga da spiegare».
«Ho tutto il tempo del mondo», afferma.
«Okay...» sospiro. «Ricordi che, quando tua madre mi portava via, mi iniettavano un siero per cercare di controllarmi?»
«Sì, ma non ha funzionato».
«Infatti. Non ha funzionato perché, non chiedermi come, il mio spirito finiva all'interno dei corpi di alcune ragazze nel corso del tempo e tutte loro hanno incontrato Lucius quando io ero in loro».
«Chi erano queste ragazze?» domanda interessata.
«Hmm... Erano diverse, ma la più importante è stata Milena», mormoro.
«Milena... Milena Romanov? L'attuale moglie di Lucius?» insiste Jules.
«Sì. È strano, lo so. Eppure ero io quando la principessa Milena arrivò a corte per incontrare i principi Romanov. Ero io e penso che sia colpa mia se adesso lui è diventato quello che è... È colpa mia se sta succedendo questo e...» Mi agito.
«Shh... Calmati. Va bene. Va tutto bene. Non è colpa tua», cerca di tranquillizzarmi Jules. «Non addossarti la colpa di qualcosa con cui non c'entri nulla. Non è colpa tua. Si vede da lontano che Milena e Lucius non hanno feeling. Solo lui poteva pensarlo», ridacchia. «Era innamorata di qualcun altro e tu hai agito come avrebbe reagito la vera principessa Milena», mi conforta. Tutto sommato, capisco che sta dicendo il vero.
Qualcuno bussa alla porta, così Jules toglie l'incantesimo.
«Avanti!» esclamo imbarazzata.
La porta si apre. Appare un uomo vestito da maggiordomo con capelli corti castani, il viso tondo e pallido e, ovviamente, due grandi occhi rossi.
«Re Sebastian, Re Nicolae e Re Lucius, signorina», afferma. Si mette accanto alla porta con la schiena attaccata al muro e i tre fratelli Romanov fanno il loro ingresso, accompagnati da mio padre e da mio nonno.
«Ciao, Lisandra», mi saluta con eleganza Nicolae.
«Quale piacere», dice Sebastian.
Lucius rimane in silenzio e immobile, in mezzo ai due fratelli.
«Salve», ricambio in preda a una paralisi.
«Io non me ne vado», mi sussurra all'orecchio Jules.
Jules si alza in piedi ma resta al mio fianco, mentre mio padre e mio nonno si posizionano sul lato opposto.
«Siamo venuti a conoscenza di diversi fatti da diverse persone. Tuttavia, riteniamo opportuno conoscere la storia dalla protagonista di tali vicende», spiega cortesemente Nicolae.
«Sì, è vero! Sono successe davvero tante cose e vi dirò tutto, ma prima volevo chiedere scusa per tutto. Capisco la gravità degli errori che ho commesso, ma tutti avevano delle finalità ben precise», spiego guardando in faccia mio padre.
Mi sconcerta sapere di essere così timida. Da dove è uscita tutta questa timidezza?
«Vorremmo sapere tutto», sibila a denti stretti Lucius. Un brivido mi corre lungo la schiena.
«Certamente», concordo.
«Che cos'era la Flaved Lessie?» chiede Sebastian curioso.
Mi volto per un secondo verso Jules e le sorrido.
«Era un'operazione, o per meglio dire un club segreto, dove tutti coloro che erano considerati Feccia potevano dimostrare di non esserlo», rispondo.
«E ne eri a capo?» domanda Nicolae.
«Sì, ma ero sempre affiancata dai miei amici», aggiungo.
«I suoi amici che sono nell'Élite grazie al suo manipolamento nei nostri confronti?» esorta sarcastico Sebastian.
«Sì, signore», mormoro imbarazzata.
«Quando ha scoperto di essere la Skiarat?» chiede scontrosamente Lucius. Mi ha dato del lei, mentre gli altri due fratelli hanno usato il tu.
«Quando ci venne chiesto di andare in una pianura tra le montagne, all'accampamento dei cacciatori. Me lo disse Dragos», rispondo abbassando lo sguardo.
«Come ti sei allenata?» domanda Nicolae.
«Autonomamente, con l'aiuto dei miei amici, di Alexandru e della signorina Cross», ribatto evitando di guardare mio nonno.
«Sei riuscita a sviare tuo nonno, quindi...» cerca di riflettere Nicolae.
«Ho semplicemente messo un blocco. Uno scudo mentale che posso togliere e mettere a mio piacimento», spiego.
«Perché non ha pensato di venire subito da uno di noi?» chiede Lucius con distacco.
«Per lo stesso motivo per cui me ne sono andata dalla radura: non voglio essere un oggetto. Non voglio essere controllata e manovrata a vostro piacimento», dico in tono serio. Il volto di Sebastian mostra segni di agitazione e Lucius si irrigidisce.
«Per quale motivo pensi questo di noi?» chiede Nicolae con tono inquieto.
«Non è quello che fate?» sbotto impulsivamente. Mi metto una mano sulla bocca per zittirmi. «Scusate... Io...» Nicolae si limita a sorridere. «Abbiamo interrogato Jules Krauss su quanto accaduto al monte Moldoveanu, ma vorremmo una tua conferma. Subivi maltrattamenti e torture al suo interno?» chiede lui gentilmente.
«Sì», ammetto a testa china.
«Viaggiava nello spazio-tempo durante le torture?» chiede Lucius improvvisamente.
«Sì. E in merito alla sua domanda durante il ballo, mi piace molto il nome Lucinda», lo sfido.
«Interessante», risponde. «Ma stia attenta: non si pavoneggi troppo, perché prima o poi i pavoni perdono le loro piume».
«Come sei riuscita a entrare e a superare gli ostacoli fino alla sala Sulbén?» domanda incuriosito Sebastian.
«C'erano degli ostacoli? L'unico momento in cui ho sentito del male è stato quando il mio polso è rimasto intrappolato in una morsa d'oro e mi sono tagliata. Ho ancora la cicatrice», spiego mostrando a tutti la cicatrice.
«Emilian, non sei arrabbiato per il fatto che tua figlia ti abbia nascosto così tante cose?» dice Sebastian con un sorrisetto perfido.
«No. Anzi, devo fare ammenda, perché le ho promesso di esserle accanto per sempre, quando in realtà l'ho solamente umiliata, rinnegata e cacciata di casa mentre lei si occupava di vicende più grandi di lei, oltretutto con successo», afferma mio padre voltandosi verso di me. Si avvicina, si abbassa all'altezza del letto e mi abbraccia. «Scusami».
«Un'ultima domanda, cara», riprende Nicolae. «Hai incontrato effettivamente qualche membro degno di essere nella Feccia?»
«Per qualche mese dopo il mio arrivo, prima della spedizione all'accampamento dei cacciatori», confermo.
«Ci ha detto tutto?» ringhia severamente Lucius.
Annuisco a testa china.
«Bene. Vorremmo precisare una cosa, Lisandra. Noi non controlliamo nessuno e, se mai dovessimo farlo, lo faremmo per motivi più che ragionevoli», spiega dolcemente Nicolae.
«Concludiamo in fretta», mastica Lucius seccato.
«Accettiamo le tue scuse», afferma Sebastian. «Se ti unirai all'Élite...» continua il biondo.
«Dall'ultima volta in cui sei stata qui, abbiamo cambiato i piani didattici: la teoria si fa in classe e la pratica in una delle nostre sale, con un tutor personale. Il tuo sarà Alucard...» prosegue Nicolae.
Guardo un attimo prima mio nonno, che annuisce, poi mio padre e mio fratello, i quali mi guardano con la gioia negli occhi, e infine Lucius davanti a me. Il suo sguardo è impassibile e fisso su di me.
Dov'è finito il dolore che avevo visto prima?
«Va bene. Accetto».
Dopo aver accettato l'offerta di entrare nell'Élite, i Romanov uscirono dalla stanza salutando cordialmente, tranne Lucius, che mi fissò con impassibilità e una leggera ma evidente freddezza.
Jules sorride, mi saluta ed esce dalla stanza.
«È ora di tornare a casa. La tua vera casa...» afferma mio padre avvicinandosi.
«Papà, sto bene. Posso camminare...» mormoro scostando la coperta dalle gambe.
Sembra offeso e penso che lo sia: non gli ho detto più nulla da quando siamo arrivati in Romania.
Mi prende in braccio e mi copre con la coperta.
«Andrò veloce. Trattieni il respiro», mi avvisa. Prendo un grosso respiro e dopo due secondi parte velocemente, seguito da mio nonno e mio fratello.
Non appena capisco di essere nel bosco innevato, chiudo gli occhi.
«Siamo arrivati», mi comunica mio padre. Così scendo.
Siamo nell'atrio della tenuta di casa Mikelaus. È strano tornare qui dopo tanto tempo...
«Hai fame?» chiede Licano.
«Sì, grazie», rispondo timidamente. Mi sento quasi in imbarazzo a tornare qui. Le luci sono accese ma soffuse. Tutto era come l'avevo lasciato, immutato.
«Lisandra!» esclama a mezzo fiato.
Alzo la testa e in cima alle scale vedo Crina e Anca, ma ricordo a me stessa che non ho più un rapporto stretto con Anca...
«Ciao», mormoro.
Crina scende lentamente le scale, con Anca accanto a lei. Entrambe hanno uno sguardo serio.
«Grigore mi ha detto tutto», afferma Crina in tono serio.
«Andiamo», dice mio padre alle mie spalle, poggiandomi delicatamente una mano sulla schiena. Andiamo in cucina e ci accomodiamo attorno al tavolo. Mi siedo al mio vecchio posto: accanto a mio nonno, a capotavola, con mio padre alla mia destra e Anca alla mia sinistra. Accanto a mio nonno Grigore c'è nonna Crina.
Mi mettono davanti un piatto di carne stufata fumante.
«Spero che la cottura vada bene... Non cucino da quando tu te ne sei andata...» mi avvisa Alexandru facendomi sobbalzare.
«Dov'è Ruxandra?» chiedo prendendo in mano una forchetta.
«Da Dragos», risponde sedendosi accanto a Crina.
«E Alina?» esorto.
«In missione con alcune guardie dei Romanov», replica Licano.
«Lisandra...» interviene mio padre portando le mani sul tavolo. «Mi è sembrato che dal nostro arrivo tu abbia dimenticato cosa significa essere una famiglia».
Mastico piano e il respiro si fa sempre più affannoso.
«Perché non sei venuta da noi?» chiede mio nonno.
«Avremmo potuto aiutarti», continua Crina.
«Perché non ce l'hai detto, Alexandru?» chiede scontrosamente mio padre.
«Non è colpa sua», intervengo. «Sono stata io a chiederglielo... Avevo paura che voi sareste andati dai Romanov... e ne ho ancora, nonostante sappiano quasi tutto...»
«Cosa intendi con quasi?» chiede Anca.
«Non ho detto tutto», accenno.
«Che cosa intendi?» chiede mio padre corrugando la fronte.
«Durante il ballo, quando sono sparita nel nulla... ero con Lilith...» bisbiglio senza fiato.
Mio fratello ride, ma guardando la mia espressione seria si scurisce. Il resto della famiglia, invece, rimane in silenzio.
«Non sto scherzando. Io ero con lei e... non mi credete...» sbuffo. Abbasso le spalle e, per non farmi credere matta, decido di togliere completamente lo scudo, cosicché mio nonno possa capire e credermi.
Penso ai tre desideri: cerco di rivivere i cambiamenti a cui ho aderito e ricordo il dolore della trasformazione. Il mio corpo non cambierà più d'ora in avanti. Rimarrò con il corpo di una diciottenne per sempre.
«Dice il vero», afferma mio nonno stupefatto, scatenando nella mia famiglia uno specie di delirio. Nonna Crina tocca la mano di Grigore, inquieta, cercando di capire come fare, Licano si irrigidisce e mio padre e la sua compagna si scambiano sguardi allarmati.
«Mi ha trasformata in un immortale, ma con tutte le caratteristiche umane», affermo spiegando quel poco che so.
«Se vieni ferita, perdi sangue?» chiede Anca. Scuoto la testa e alzo le spalle.
«Scopriamolo», rispondo. Prendo un coltello e mi faccio un taglio netto sulla mano sinistra. Licano si alza bruscamente e fa un balzo fino ad arrivare a sbattere contro la parete sul fondo della stanza, accanto alla porta. Gli altri vampiri anziani intorno a me, invece, si alzano velocemente, allarmati.
Lentamente mi rendo conto del bruciore che il taglio mi arreca. Guardo la mano e il sangue, rosso per antonomasia, che cola lungo il braccio fino a gocciolare sul tavolo in legno scuro, sul quale si formano piccoli cerchi neri.
Questo è il mio sangue: un piccolo fiumiciattolo nero che sgorga da un taglio profondo su una mano sinistra umana.
«Com'è possibile?» sibila a denti stretti Licano, con gli occhi accesi.
«Non fare più un gesto tanto sconsiderato», mi rimprovera mio padre porgendomi un tovagliolo di stoffa per bloccare la fuoriuscita di sangue.
«Perché non gliel'hai detto?» chiede Anca.
«Perché...» balbetto.
«È una ragazza. È normale che abbia avuto paura», dice nonno Grigore. Sorrido.
Tutti si siedono ai loro posti, con atteggiamenti seri e preoccupati.
«Dovremmo parlarne con loro», suggerisce Grigore.
«Dovremmo prima capire cos'è», ribatte mio padre.
«No, non voglio che loro lo sappiano», supplico.
Mio padre e mio nonno si scambiano degli sguardi confusi e inquisitori.
«Dovremo capire le conseguenze di questa trasformazione», conclude mio nonno.
«Quando eri... con lei... ti ha spiegato il motivo dei desideri?» chiede nonna Crina.
«Desideri?» interviene papà.
«Avevo a disposizione tre desideri», spiego. «Il primo era di riportarti in vita».
«Riportarmi in vita?» domanda confuso mio padre.
«Sì. In un altro tempo, nostra madre era riuscita a ucciderti... Ricordi quella notte in cui ti ho pregato di non andare al lavoro perché sarebbe successo qualcosa di brutto il giorno dopo? Ecco...» spiego. «Il secondo era di riportare Jules in vita e il terzo è questa condizione».
«E il terzo era di diventare questa cosa?» chiede mio nonno.
«Non so nemmeno io cosa sono», ribatto.
«Saremo con te!» esclama mio padre prendendomi per la mano sana.
Il resto della famiglia annuisce, scaldandomi il cuore.
La porta si apre, interrompendo così il momento di tenerezza. Appare l'uomo-triangolo con la sua testa all'insù. Ha in mano un vestito foderato.
«Cosa c'è li dentro?» domando confusa.
«La tua divisa», ridacchia.
«Lo porto nella sua stanza, signorina», comunica il maggiordomo Fritz. Mio nonno acconsente.
«Grazie», mormoro.
Adesso sono ritornata signorina?
«Sono tornata a essere degna di portare il vostro nome?» chiedo con ironia, con la testa china sulle gocce di sangue secche sul legno del tavolo.
«Lo sei sempre stata», ammette sorridendo mio padre spostandomi una ciocca di capelli e portandola dietro all'orecchio.
«Ho fatto mettere un televisore nella tua camera e c'è il Wi-Fi in tutta la tenuta», ride Licano.
La tensione sembra essere calata e tutti sono rilassati.
«Ti andrebbe di vedere Lilo e Stitch?» chiede Licano alzandosi, con un sorriso grande quanto una casa stampato sulla faccia.
Eravamo tornati a essere una famiglia. Almeno di fatto. Sapevamo che non sarebbe stato facile, ma dovevamo farlo. Dovevo perdonare il loro abbandono, perché è quello che ho capito. Come spiega Lilo nel film: nonostante tutto rimaniamo una famiglia e dobbiamo rimanere uniti.
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Cammino avanti e indietro. Milena mi osserva con occhio inquisitore, seguendo i miei passi.
«Smettila di guardarmi», la avverto.
«Altrimenti?» ribatte.
«Zitta!» ringhio.
«Sei così infuriato perché ti interessa. Non dire che non è vero, perché l'ami», dice.
«Sta' zitta!» Mi precipito su di lei e la sbatto contro il pavimento più e più volte.
«Adesso basta!» esclama Nicolae.
Mi volto verso la porta d'ingresso, dove attendono i miei due fratelli, e mi alzo di scatto liberando Milena, che corre via.
Io e i miei fratelli ci sediamo sui nostri troni e iniziamo a leggere libri diversi. All'improvviso, le porte della sala si aprono e i giovani dell'Élite la invadono con un brusio fastidioso.
Nicolae tossisce per far capire ai giovani studenti di moderare la voce. Così tutti si zittiscono, si dividono in gruppi e raggiungono i loro tutor. Alzo gli occhi dalle pagine di Thomas Hardy, intrise di passione e dolore, e la vedo: lunghi pantaloni neri e una maglietta a maniche corte, anch'essa nera, con lo stemma della mia casata. Provo una sorta di piacere a vedere il mio simbolo su di lei. È come se fosse mia, più o meno.
Ma cosa penso?!
I capelli sono legati in una morbida coda bassa e mentre parla con i suoi vecchi amici, sul suo viso è dipinto un sorriso sincero.
Alucard le è subito accanto in modo elegante ma distaccato e dal suo atteggiamento noto che sta cercando di essere rigido nei suoi confronti.
«Ciao», lo saluta.
«Ciao», ricambia lui. «Sei pronta?»
«Certo», sorride seguendolo.
Si posizionano davanti a noi, ovviamente, affinché possiamo valutarla, essendo il nuovo acquisto dell'Élite.
Alucard la sottovaluta fin troppo: si è messo davanti a lei e usa semplici mosse da combattimento. Sono fin troppo basilari per il suo livello. Lei che in quella radura uccideva senza rimorso, lei che tagliava la gola in modo netto e preciso, lei che era spietata nel difendere coloro che amava, lei che era così testarda...
Cerco di ricordare gli avvenimenti di quel giorno, ma non ci riesco. Sono così confusi e io ricordo sempre tutto. Com'è possibile che li abbia dimenticati? Sono sfocati, come se fossero avvolti dalla nebbia.
Alucard scatta in avanti e lei si difende mettendo le braccia davanti alla sua faccia in maniera eccezionale, come se fossero uno scudo. Colpo dopo colpo, sulla fronte le si formano piccole gocce di sudore, facendola risplendere ancor di più, ma soprattutto facendomela sentire di più. Il suo odore è come una calamita e con tutto quel movimento sto letteralmente impazzendo. Il mio corpo reagisce come mai aveva fatto prima.
Non ho ancora capito di preciso in quale momento mi sia accorto di odiarla. Stava portando troppi cambiamenti nella nostra società. Potrebbe persino cambiare idea e rivoltarsi contro di noi, prima o poi. La odio perché ha esagerato e, forse, abbiamo sbagliato a perdonarla... Ci siamo mostrati deboli. La odio perché ogni volta che entra nella sala del combattimento il suo odore impregna le pareti ed entra subito nel mio naso. La odio perché il mio odio è fine a se stesso e non penso di odiarla veramente. Inizio a pensare a quello che disse Milena nel bunker della ribellione: «Ne sei innamorato».
No, Milena, non ne sono innamorato, continuavo a ripetermi prima di entrare sulla sala del combattimento. Tuttavia, una piccola ma profonda parte di me sapeva che era una menzogna.
Dopo alcuni giorni, lei e Alucard iniziarono a esercitarsi sui suoi poteri contro un membro della Feccia e per un momento ebbi l'impressione che, con il passare dei giorni, la mia guardia fosse sempre più tranquilla e meno rigida, che la semplice vicinanza di quella ragazza la tranquillizzasse.
Quando il ragazzo della Feccia entrò a capo chino nella grande sala, il viso di lei si scurì. Riconobbe immediatamente la divisa che un tempo portava.
«Non mi alleno su di lui», disse incrociando le braccia e puntando i piedi.
Tuttavia, cambiò subito idea non appena Alucard le disse la verità.
«Vuoi sapere il motivo per cui appartiene alla Feccia?» le bisbigliò nell'orecchio. La loro vicinanza mi irritava e lo fa tutt'ora. «Ha ucciso dieci neonati, con il rischio di farci scoprire in un reparto neonatale di un ospedale di New York. È sotto giudizio e la pena di morte è quasi certa».
La sua faccia cambiò letteralmente espressione: divenne disgustata e si fece convincere facilmente. Avrebbe usato il ragazzo come cavia. Così fu deciso.
Alucard si avvicinò al ragazzo per legargli le mani, ma Lisandra lo bloccò.
«No, voglio che si difenda», esortò Lisandra.
Iniziò da un potere semplice, dopodiché passò a quelli più complicati, aggiungendo delle mosse di combattimento.
Gli diede fuoco e lo spense riempendolo d'acqua, gli lesse la mente e provò a usare la forza del pensiero per scagliarlo contro il muro.
«Devi concentrarti», ribadì serioso il capo della mia guardia, in vece di allenatore.
«Ci sto provando!» gli urlò Lisandra.
«Fallo! Immagina che davanti a te ci sia un cacciatore», la incoraggiò Alucard. Lei guardò con rabbia il ragazzo davanti a sé.
«Devi combattere», la punzecchiò. «Combatti per le cose che ami, anche se significa combattere da sola».
Lei strinse gli occhi fino a farli diventare piccole fessure. Una piccola vena violacea spuntò sulla sua fronte e iniziò a pulsare.
Più i giorni passavano, più lei migliorava e più non smettevo di pensare a lei. Era diventata un chiodo fisso, martellante e perpetuo.
La notte era il momento peggiore della giornata. Prima, quando viveva in quella casa umana, riuscivo a vederla, a sentire il suo respiro e ad accarezzarla e, nonostante il senso di colpa per non aver capito il piano di quella famiglia umana, mi sentivo bene. Adesso che vive con la sua vera famiglia, la vedo e la sento solo per poche ore al castello ed è peggio di tutte le torture che ho inflitto e subito nella mia vita.
Sono in biblioteca e ascolto lo scoppiettio del fuoco. All'improvviso Alucard entra, infrangendo la mia solitudine, e mi informa di una visita da parte di alcuni membri della famiglia Mikelaus. Entro nella sala principale e noto che entrambi i miei fratelli sono nervosi. Ci sediamo sui nostri troni e le porte si aprono.
«Grigore, amico mio. Una visita in così breve tempo», ridacchio mentre l'anziano Mikelaus entra lentamente, accompagnato da Emilian e dal figlio. «E non sei solo, questa volta». Tutti e tre indossano dei completi semplici e modesti e li portano con grazia ed eleganza.
«Siamo venuti per porvi le nostre più sentite scuse», afferma Emilian con le mani dietro la schiena, facendo un passo in avanti.
«Come sempre», commenta Nicolae con acidità iniziando a muoversi sul trono, mostrando chiari segni di nervosismo.
«A che numero siamo?» chiede con sarcasmo Sebastian, alzando un sopracciglio.
Alzo una mano per interromperli. Mi sento particolarmente buono in questo momento.
«A che proposito?» domando educatamente.
«Al debutto di mia figlia», risponde Emilian sinceramente.
«Sarà domani, corretto?» esorta Nicolae.
«Sì, signore», prosegue il giovane Mikelaus.
«Allora non c'è tempo da perdere. Ci vediamo stasera», lo zittisce Sebastian. È normale questo atteggiamento da parte sua: odia essere disturbato, soprattutto di notte.
«Alle venti», informa Grigore chinando leggermente la testa.
«Ci saremo», saluto schiettamente.
I tre Mikelaus si voltano, escono dalla stanza e le porte si richiudono. Anche i miei fratelli vanno via.
Domani alle venti la vedrò. Compirà diciannove anni.
Che vestito indosserà?
Che vestito indosserò?
Come mi presenterò?
Un leggero panico si fa strada nella testa, mentre...
Io non ho mai provato panico. Mai.
Sono sempre più agitato.
«Alucard?» chiamo a voce bassa.
Il capo della mia guardia, nonché mio segretario personale, fa un passo in avanti e con un leggero inchino si posiziona davanti a me.
«Avvisa Milena dell'uscita formale che ci sarà domani sera. Dovrà accompagnarmi», lo informo.
Alucard mi guarda confuso, ma annuisce e si volta senza fare domande.
«No, aspetta. Vado io», esorto alzandomi di scatto e dirigendomi verso la stanza di Milena, situata nell'ala sud del castello.
Se la porterò con me, potrò usarla come ripicca nei confronti della piccola Mikelaus... Così magari non si farà strane idee.
Arrivato davanti alla porta, busso educatamente e vengo accolto dall'ancella anziana che Milena aveva trasformato.
«Signore», afferma con riverenza, senza guardarmi negli occhi.
«Vorrei parlare con Milena», dichiaro.
La donna dai capelli grigi si volta e la seguo.
«Lucius, cosa ci fai qui?» chiede sorpresa Milena alzandosi dalla sua poltrona di montone. «Non ti aspettavo», ripete in tono più educato.
«Tornare qui è strano», commento guardandomi intorno.
Devo ammettere a me stesso, una volta tanto, di aver sbagliato.
Quello che pensavo di provare per Milena era solo un'infatuazione che col tempo si è trasformata in un vincolo obbligatorio. Io e questa donna abbiamo un passato costituito da un odio crescente e menzogne continue, eppure in questo momento è l'unica che mi conosce veramente, più di quanto io conosca me stesso.
Dovrei parlare veramente?
«Domani sera alle venti ci sarà il debutto di Lisandra Mikelaus e, se sei d'accordo, vorrei portartici», dichiaro.
«Mi ci vuoi portare? Tu non mi hai mai portato da nessuna parte», dice sbalordita. «Deve proprio averti cambiato quella ragazza», ridacchia.
«No», ribatto immediatamente.
Che cosa mi è saltato in mente? Portare lei?
Arrabbiato, mi volto e torno verso la porta.
«Va bene! Verrò», mi blocca Milena. «Quale vestito vuoi che indossi?» chiede educatamente. Per la prima volta si è avvicinata a me con la testa china.
«Non so. Magari quello nero. Scegli tu», taglio corto.
«Va bene», risponde.
L'ancella mi apre la porta e trovo Alucard davanti a me.
«Tutto bene, vostra maestà?» chiede.
«Sì, ma... voglio introdurre un cambiamento d'ora in poi», rispondo correndo via.
«Quale, signore?» chiede in lontananza. Mi trovo davanti a una grossa porta nera con decori in oro. È chiusa a chiave. Esitante, appoggio la mano sui due maniglioni posti all'altezza del petto, ma Alucard mi raggiunge. Dalle stanze accanto si sentono dei rumori: i miei fratelli stanno avendo dei rapporti intimi con le loro compagne e una strana gelosia mi pervade il petto. Io e Milena ci abbiamo provato una volta, ma senza alcun risultato.
«Signore?» chiede Alucard alle mie spalle.
«Dammi la chiave, Alucard», ordino in tono serio.
Il mio segretario apre la giacca ed estrae una grande chiave d'oro dal taschino interno.
«Ne è sicuro, signore?»
«Per troppo tempo ho finto. Finto di non voler più entrare in questa stanza, perché non volevo più entrarci. Un mero capriccio infantile».
«Signore, sinceramente non ricordo più quale sia il motivo per cui abbia deciso di chiudere questa stanza e non farci più ritorno», sussurra con rispetto.
«Nemmeno io, Alucard», sorrido.
𝓛𝓲𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪
Gli allenamenti con l'Élite non risultano troppo pesanti e i ragazzi che ne fanno parte non sono poi così spocchiosi come pensavo. Alucard è diventato gentile con il tempo. Mi sprona sempre e comunque, anche se a volte non tollero le sue esagerazioni. Dopo il primo mese si decise di allenare anche i miei poteri e di cercarne dei nuovi, così mi convinsero a usare come sacco da box un ragazzo americano che aveva commesso un crimine atroce.
È passato poco tempo, ma molte cose sono cambiate: è nato il bambino di Jules e Alec, ho iniziato ad andare da uno strizzacervelli per curare i postumi e le conseguenze della tortura di Michelle, ho messo al tappeto Alucard due volte e continuo ad allenarmi assiduamente per poter fare sempre di più.
Da quando sono tornata alla mia vita, fine di dicembre è stata senza dubbio la mia parte preferita: ho risolto i conflitti con la mia famiglia, ho avuto indietro mio fratello, mio padre e la mia migliore amica e ho passato un Natale sereno.
Beh, non proprio sereno. Pare che il Natale lo si passi in maniera diversa da quella che si conosce, ma non lo racconterò in questo momento. Sono entrata nell'Élite malgrado non fosse una mia aspirazione. Mi piace e ho avuto una piccola vittoria: Lucius non smetteva di fissarmi durante gli allenamenti. Non so bene per quale motivo gongoli tutt'ora, ma è una gioia profonda e inaspettata.
Dopo il primo giorno con l'Élite, Ruxandra borbottava che Lucius non mi aveva tolto gli occhi di dosso e che mi aveva guardato da sotto le spesse pagine gialle del libro che stava leggendo. Abbiamo provato a chiedere ad Abel quale fosse l'umore di Lucius mentre mi guardava, ma lei non volle dire nulla. Non che mi interessasse molto, ma ero curiosa...
In fondo era vero: più i giorni passavano, più i suoi occhi rosso sangue erano su di me. Al contrario, il suo corpo diventava sempre più rigido e composto. Ogni giorno aveva un libro diverso, ma ciò non mi sorprendeva, perché tutto sommato è un vampiro e non ha bisogno di dormire.
«Concentrati», ribadì Alucard. Il ragazzo davanti a me non si muoveva. Mi stavo esercitando con la telecinesi da ore ed ero stanca ma soprattutto deconcentrata: i miei occhi cercavano Lucius.
«Lo so, ma sono ore che ci proviamo», ribattei.
Alucard sospirò. Quando Lucius cambiò posizione sul suo trono, attirando l'attenzione di tutti i ragazzi, i miei occhi si precipitarono su di lui senza scrupoli. Per una volta fui io a osservarlo intensamente. Non mi guardava perché avvertiva i miei occhi su di lui, ma sapevo che dentro di sé sorrideva perché lo guardavo. Se solo avesse saputo cosa stavo pensando...
I giorni successivi mi esercitai con la lettura della mente, visto che mi risultava ancora difficile. Ne approfittai per tentare di entrare nella mente di Lucius e trovare qualche risposta: mi ha davvero lasciato andare? Che piani aveva? Perché mi fissa?
Con quel esercizio capii diverse cose su di lui, ma non ottenni alcuna risposta alle mie domande.
Lucius è strano. È come se vivesse dentro a una campana di vetro. Il mondo lo si può guardare lo stesso, ma non lo si può toccare davvero fino in fondo. Avrei voluto essere per lui la persona in grado di spaccare quel maledetto vetro. Non è questo che dovrebbe fare l'Ateyo? Non so se sia consapevole della sua condizione, ma vorrei tanto fargli capire che si percepisce in maniera molto diversa avendo o meno una barriera davanti. Sì, farà male perché non arrivano solo le cose belle. Il problema è quando si inizia a provare qualcosa di brutto senza quel vetro a proteggerci. Lui è così...
Sono sul mio letto a guardare il soffitto e a pensare agli avvenimenti degli ultimi quattro mesi.
Domani è il mio compleanno. Compio diciannove anni, ma il mio corpo rimarrà per sempre come quello di una diciottenne.
Qualcuno bussa alla porta.
«Chi è?» chiedo con uno sbuffo stanco.
«La pasta è pronta», mi avvisa Licano aprendo la porta.
«Arrivo», dico scendendo dal letto. Sento dolore dappertutto.
«Ti fa davvero così male?» ridacchia mio fratello.
«Sta' zitto!» ribatto imbronciata.
Andiamo nel piccolo salottino che vidi quando arrivai in Romania per la prima volta. Sono state aggiunte due poltrone, un tavolino basso rettangolare e un televisore a schermo piatto accanto al camino.
Quando entro nella stanza, mio padre si volta e ride.
«Ti fa tanto male?» chiede mio padre passandomi il mio grande cuscino viola cuscino da mettere sotto le gambe. Il mio posto è per terra con un bellissimo cuscino morbido. Mentre mangio, guardo la tv. Quando i miei decisero di rimodernare quella stanza, capii che quello sarebbe stato il mio posto: è piccolo ma comodo. La stanza profuma di spaghetti al pomodoro di Alexandru. Mi accomodo e mio nonno mi passa il telecomando. Accendo la tv e Game of Thrones parte da dove era stato interrotto. Prendo la forchetta alla mia sinistra e inizio a mangiare con gusto. Mio nonno chiude il libro sbattendolo.
«Cosa c'è, caro?» chiede mia nonna Crina.
«Oggi sono andato a una riunione con i Romanov e mi hanno chiesto espressamente per quale motivo non abbiano ricevuto l'invito per la festa di Lisandra», risponde lui.
Circa un mese fa la mia famiglia mi ha chiesto se volessi una festa per celebrare l'entrata in società al compimento dei diciannove anni, ma ho rifiutato e ho preferito fare una piccola festicciola nella mia stanza.
«Per loro è un problema, vero?» domando in tono deluso voltandomi verso i miei parenti.
Ruxandra e Alexandru entrano nella stanza, mentre mio nonno e mio padre si scambiano degli sguardi.
«Dovremmo organizzare la festa», afferma mio padre.
«Ma perché è così importante la festa dei diciannove anni? Licano non l'ha fatta» intervengo.
«Io l'ho avuta, ma tu non c'eri. Per una donna, però, è il momento più importante, soprattutto per trovare marito», risponde gelosamente mio fratello.
«Ma sapete già che io non...» sussurro.
«Non ti stiamo dicendo di sposare Lucius, ma solo di conoscere nuove persone e fare amicizia. I balli o le feste sono l'occasione giusta per farlo», mi spiega nonna Crina.
«Ma abbiamo solo poche ore per organizzarlo e poi non verrà nessuno con così poco preavviso...» blatero. Licano mi afferra la mano per tranquillizzarmi.
«Ascolta... è solo un ballo», mi ripete.
«Solo un ballo? L'ultima volta in cui ho ballato sono sparita e...» bisbiglio andando in ansia.
«Anca dovrebbe tornare a breve. Potrebbe aiutarti con il vestito e per il resto ci pensiamo noi. Va bene?» chiede mio padre.
«Io posso dare una mano con i capelli», si offre Ruxandra.
«Posso almeno finire di mangiare?» chiedo esasperata, in ansia e con un accenno di mal di testa.
«Certo», mi sorride mia nonna. Il nonno, mio fratello e Alexandru si alzano e corrono via per darsi da fare con i preparativi.
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