Capitolo 11: Violino
𝓛𝓲𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪
«Lasciami stare! Subito!» urlo mentre Alucard mi strattona.
Mi concentro per cercare di raccogliere tutta la forza necessaria per staccarmi da Alucard e finalmente ci riesco: con un movimento estremamente veloce mi libero dalla presa stretta del mio tutore scolastico, che si volta stupito.
«Che cosa è cambiato? Eh? Ti dà fastidio che io sia qua?» sbotto. Alucard mi ignora. Si volta verso il lungo corridoio e qualche secondo dopo scuote la testa, ritornando con gli occhi su di me.
Mi prende e mi porta in uno stanzino, chiudendo la porta.
«Insonorizza!» sbraita. Con uno schiocco di dita, eseguo il suo ordine.
«Che cosa ho fatto per meritarmi un comportamento simile?»
«Non hai fatto nulla...» risponde lui.
«Cos'era quel signorina? Pensavo che avessimo superato queste formalità da mesi...» continuo.
«Non lo so».
«Non potresti comportarti normalmente?» domanda.
«Sì... Non so cosa mi sia preso. Scusami», risponde accarezzandomi la guancia.
<<Perché tutti quelli che fanno parte del clan Romanov sono così lunatici?>> sbuffo col sorriso sulle labbra.
«Devi mangiare», mi ricorda in maniera più rilassata.
«Prima devi dirmi che cosa ti turbava».
«In queste notti ho avuto parecchio tempo per pensare», spiega. «Sono stato in Italia per un incarico del mio signore: vuole rimodernare la sua stanza».
«Che cosa c'è di strano?» mormoro confusa.
«Aveva chiuso i suoi appartamenti», informa come se fosse una cosa incredibile.
«Perché?» chiedo. Alucard scuote la testa. «Non me lo dirai, vero?» domando sorridendo.
«L'unica cosa che posso dirti è che le sigillò quando le sue emozioni vennero meno», risponde accennando un sorriso.
«Tieni veramente tanto al tuo signore?»
«Sì», ribatte. «La stampa vampiresca l'ha sempre descritto come un mostro, una persona da temere, ma nessuno lo conosce come quei pochi della sua cerchia, me compreso».
«E che persona sarebbe?»
«Non ci crederesti mai, se te lo dicessi», dice con un sorrisetto sulle labbra.
«Provaci», lo sfido.
«No, devi mangiare e abbiamo poco tempo», mi ammonisce con serietà.
«Va bene», sussurro rassegnata. Mi volto e Alucard mi afferra per il gomito.
«L'unica cosa che posso dirti è che ha appena liberato Milena dal vincolo del matrimonio», mi bisbiglia fieramente nell'orecchio.
Il tempo passa velocemente solo quando qualcosa ci piace. È stato dimostrato da diversi scienziati, tra i quali Einstein, che più qualcosa ci piace, più il tempo passerà velocemente mentre la facciamo. È questo che sto provando. Siamo ad agosto e nei prossimi giorni ci saranno il matrimonio di Jules e Alec, nell'intimità della mia vecchia casetta nel bosco, e il compleanno del re al castello.
Il laboratorio dell'arte dei Romanov è stato per me fonte di sfogo e di piacere: sono tornata a fare teatro e a leggere. Sto imparando a parlare e a cantare in italiano, a ballare e, nel tempo libero, a combattere nel bosco che circonda il castello. La sera, di solito, parlo al telefono con Jules o rimango nel salotto con la mia famiglia a leggere o a guardare la tv con Licano.
Il mio insegnante di danza, combattimento, lettura e lingue straniere è Alucard, quello di teatro è il famoso William Shakespeare e quello di canto, strumento e stile è Phoenix Romanov.
La prima lezione di danza è stata meno imbarazzante di quanto mi aspettassi. L'assistente di Alucard, un celebre coreografo di cui non ricordo il nome, continuava a farmi i complimenti.
«Penso che tuo padre abbia fatto un'ottima scelta facendoti vivere un quarto della tua vita in mezzo agli umani. Sono davvero contento di poter lavorare su un soggetto che non sia rigido per natura», si è complimentato la prima volta il coreografo.
«Grazie», ho risposto.
Con lui ho imparato a ballare con eleganza e forza al tempo stesso, in coppia o da sola, anche le danze più classiche come il valzer, la mazurka e la polka, riconosciuti come i balli eleganti per eccellenza anche per via della loro presenza nelle fiabe.
Mi ha insegnato anche il boogie woogie e il rock 'n' roll, balli tipici degli anni '30 e '60. Pensai per un momento ai ragazzi delle superiori di Vatra Dornei e ai loro piccoli spettacoli in stile Grease.
«Boogie in un dialetto degli Stati Uniti meridionali significa cattivo, mentre il Woogie era un'antica danza dei neri della Louisiana. Il Boogie Woogie deriva dalla tradizione jazz e blues e dal ballo Jive, mentre il Rock 'n' Roll ne è la naturale evoluzione>>, mi spiegò il coreografo girandomi intorno. Alucard rimase fermo appoggiato al muro, col sorriso sulle labbra. Nei giorni seguenti imparai alcune tecniche del ballo espressivo, come lo chiamo io: dovevo liberarmi di tutte le tensioni nel corpo e non limitarmi a muovermi come l'aria: dovevo essere come lei. Ogniqualvolta andavo a lezione di danza mi sentivo rilassata e diventavo un tutt'uno con me stessa, ma capivo anche cosa fosse il controllo.
«Allarga quelle braccia e muovi quel bel bacino che hai!» mi esortava il coreografo.
Alucard era al suo solito posto vicino al muro. Mi guardava sempre più sorridente e io ballavo, ballavo e ballavo, finché non mi intristivo una volta giunta l'ora di andare via. Un giorno, però, sul suo viso non era presente altro che rabbia e distanza. Gli chiesi il motivo di tale comportamento, ma non mi volle rispondere. Era come se ci fosse qualcosa o qualcuno che lo turbava dietro alla porta dell'aula.
Per quanto riguarda l'allenamento, miglioravo sempre di più. Ero ormai in grado di erigere una barriera mentale per bloccare tutti i tipi di poteri, in stile Bella Cullen, e controllare gli oggetti con la telecinesi. Mi sentivo uno Jedi di Star Wars.
La seconda e ultima lezione con il drammaturgo inglese fu più che soddisfacente.
«Il testo che hai scritto è ottimo. Veramente ottimo. Non al mio livello, ovviamente, ma ottimo», si congratulò dopo aver letto il mio lavoro. «Vorrei vederlo recitato, adesso», disse.
Qualcuno bussò alla porta.
Accompagnati da Alucard, fecero il loro ingresso i tre fratelli Romanov. Mi irrigidii all'istante.
«Miei signori», disse il drammaturgo alzandosi velocemente. Io li salutai con un cenno del capo e un sorriso tenero.
Sebastian e Nicolae avevano i capelli legati dal loro filo rosso, mentre Lucius mi guardava fisso con ardore.
«Ho sentito che state facendo una ronda per verificare i risultati», esordì William Shakspeare.
«Se non ti turba, cara Lisandra, noi vorremmo restare», mi spiegò gentilmente Nicolae.
«No, certo che no», risposi schivando gli occhi di Lucius.
«Eccoti gli oggetti di cui hai bisogno», disse il drammaturgo inglese passandomi una valigia. Alucard spostò la scrivania per fare più spazio.
Feci un grosso respiro e iniziai la scena davanti agli occhi scrutatori di Lucius Romanov.
«La paura che più mi tormenta è quella di non essere niente di speciale per nessuno. lo stessa non riesco a sentirmi vicina a nessuno perché sono troppo persa nelle mie insicurezze, troppo smarrita in un ideale di perfezione che so che non raggiungerò mai», dissi entrando nel rosso lucente degli occhi di Lucius, davanti a me.
«Ho perso la scintilla di vita che avevo quando ero piccolina, adesso sono solo un barlume di ciò che ero un tempo. Posso solo ricordare quando non avevo paura di niente ed ero felice», continuai accarezzando la valigia appoggiata a terra.
«Adesso non ho neanche voglia di esprimere i miei sentimenti; mi vergogno di provarli. Non mi piace la persona che sono e non riesco a essere diversa. Sono troppo strana, intricata come la mia scrittura, complicata», dissi accennando un sorriso pensando a Lucius, destinato a non provare.
«E mi chiedo: chi si ricorderà di me? Ho paura. Paura di vivere e di fallire, paura di non lasciare un segno da nessuna parte, o addosso a qualcuno», continuai. Mi vennero le lacrime agli occhi.
Aprii la valigia e tirai fuori il mio quaderno, quello che mi aveva regalato Licano.
«Mi piace scrivere. Quando scrivi puoi cancellare, puoi correggere, puoi rivedere. Nella vita non è così. La mia vita è costantemente rovinata dai miei frequenti sbagli. Inciampo continuamente nelle mie stesse gambe e spesso scordo la direzione che devo prendere», dissi con voce incrinata.
Accarezzai dolcemente il dorso del quaderno e lo riposi nella valigia. Mi sedetti e la richiusi, concedendo un minuto di pausa per assaporare le parole.
«Non ricordo il momento preciso in cui l'ho fatto, ma ho messo nel ripostiglio il cuore: cosi si evita accuratamente qualsiasi cosa possa creare scompiglio o lacrime», dissi con la massima tranquillità. «Non lo dirai mai. Hai paura, ma è normalissimo. Qualcosa sta per cambiare. Ne sei sicura. Andrai lontano prima o poi. Tuo padre comincia già a dirti che devi telefonarle almeno una volta al giorno, che prenderà il treno e correrà da te se ne avrai bisogno. Basta che la chiami, lei arriva subito», dissi ridendo, con le lacrime agli occhi. «Ma hai paura. Ti tremano le mani e la notte non riesci più a dormire tranquilla; hai sempre qualche incubo incastrato tra le palpebre, e allora fai fatica, ti tieni sveglia, pensi a tutta la luce che hai custodito per un po', pensi a tutte le cose belle. Sono tante, quasi perdi il conto. Sorridi», dissi. Per un attimo intravidi sul viso di Lucius un lieve sorriso. «Che bel sorriso che hai. Non smettere mai. Mai. Mai», dissi con convinzione. «Allora buon viaggio! Anche la paura serve. Serve per trovare il coraggio, per andare avanti, per non crogiolarsi. Ma fermati solo per il tempo di guardare il cielo. Ti aspetterà», conclusi. William si alzò in piedi applaudendo, mentre sul viso del re biondo e di quello castano apparvero dei sorrisi.
«Veramente delizioso. Non trovi, fratello?»
«Grazie alla tua abilità persuasiva di Skiarat sei un'ottima attrice», fu l'unica cosa che mi disse.
Dopo quell'evento, ripensai a ciò che mi disse Alucard in quello stanzino. Lucius aveva lasciato libera Milena. Com'era possibile?
Le lezioni con Phoenix, invece, risultarono piuttosto complicate a causa dell'incredibile somiglianza col fratello gemello.
«Sai le note, le intoni alla perfezione. Ha una voce magnifica, adatta sia ai toni alti che a quelli bassi. Il tuo inglese è già perfetto, ma la lingua preferita dai miei fratelli è l'italiano: ricca di per sé di cultura e storia», sospirò arrabbiata. «Cantami la canzone che più ti allieta, oggi», mi disse scortesemente.
Capii fin dalla prima lezione che mi odiava. Mi odiava perché non avevo preso una posizione matura con suo fratello, perché sono scappata e perché sto donando altro dolore al suo povero gemello, pensando solo a me stessa. Tutto ciò, però, non è vero: lui mi odia. Ma il punto è questo: io lo odio?
Scossi la testa.
No, non potrei mai. È entrato così tanto dentro di me che non potrei mai odiarlo.
Quel giorno cantai all'insegnante di canto Back to youdi Selena Gomez.
«Took you like a shot
Thought that I could chase you with a cold evening
Let a couple years water down how I'm feeling about you
(Feeling about you)
And every time we talk
Every single word builds up to this moment
And I gotta convince myself I don't want it
Even though I do (even though I do)
You could break my heart in two
But when it heals, it beats for you
I know it's forward, but it's true».
I giorni passarono e migliorai molto con lo studio dell'italiano, perciò la mia insegnante decise che fosse arrivato il momento di cantare in italiano . Optai per una canzone trovata per caso su YouTube pochi giorni prima. Era Trova un modo di Alessandra Amoroso e non so... Mi faceva pensare a Lucius.
«Ti ho aspettato per giorni, mesi e anni
Ho sorriso ai passanti, infranto mille sguardi
Ho aperto finestre e chiuso le porte
Se vuoi farti amare trova un modo per entrare
Giorni, mesi e anni
Ci terrei a precisare non saranno tanti
Se alla fine di tutto non è finito tutto
Se vuoi farti amare trova un modo per entrare
E per ricominciare», cantai.
Al termine della canzone, Phoenix tentò in tutti i modi di nascondere il compiacimento dipinto sulle sue labbra.
Col tempo iniziammo a esercitarci con uno strumento: decisi che il pianoforte sarebbe stato il prescelto.
«L'Anima è un pianoforte con molte corde. L'artista è la mano che con questo o quel tasto porta l'anima a vibrare. Questa frase è di Wassily Kandinsky. Quando ti siedi su uno sgabello, devi lasciarti andare al ritmo della musica, i tasti diventano i tuoi migliori amici e tutto il mondo sparisce», mi disse la prima volta che mi trovai davanti a un pianoforte.
Effettivamente, con le mie abilità da Skiarat e le poche abilità da mezzo vampiro tutto mi è sembrato più semplice: imparavo molto più in fretta rispetto a un essere umano semplice, il quale ci avrebbe messo almeno due anni per imparare a suonare il piano.
Phoenix mi insegnò a disegnare bozzetti, a cucire e ad abbinare abiti e accessori.
«Devo ammetterlo: hai un ottimo senso dello stile», confessò la prima volta che mi vide.
Quella fu la prima volta che la rividi dopo la battaglia.
«Per quanto riguarda l'abito che dovresti realizzare, a che punto sei?» mi chiese un giorno Phoenix.
«L'ho quasi finito», risposi.
Mi commissionò un abito per il compleanno di Lucius e per lo spettacolo che verrà organizzato in suo onore. Lo finii in poco tempo. Lo feci corto, con una maglietta con paillettes argentate a maniche lungo e una gonna corta con un tulle grigio e un nastro che divide il tutto con una grande fiocco davanti.
«Direi che per oggi la lezione finisce qui. Sono le dieci ed è tardi. Non posso accompagnarti alla porta come al solito. Devo sbrigare delle faccende che avrei dovuto svolgere stamattina», si scusa Alucard chiudendo il libro.
«So la strada», sorrido.
Ride, mi accarezza la guancia e sparisce.
Mi alzo dalla sedia di legno del suo ufficio, il luogo in cui ci chiudiamo quando deve insegnarmi l'italiano o quando devo leggere qualche romanzo.
Esco e vado in direzione della porta attraversando diversi corridoi. All'improvviso, la mia attenzione viene attirata da una melodia dolce e ammaliante, suonata da un violino.
Seguo lentamente la melodia, che si fa sempre più forte man mano che mi avvicino, e giungo a una porta in fondo al corridoio del castello. Mi proteggo con un'aura attraverso la quale non mi avrebbe percepito nessuno. Al di là della porta socchiusa, vedo Lucius Romanov con il mento rotondo appoggiato al violino e le braccia che sorreggono il collo del violino e l'archetto, che striscia contro le corde.
Suona in una stanza da solo, con gli occhi chiusi, e muove i piedi a ritmo di musica. All'improvviso si interrompe, si volta verso la porta e, nonostante io sappia che non può vedermi, mi nascondo attaccandomi al muro e rimango ferma il più possibile.
Sento i passi lenti venire verso la porta. Quando penso di averla fatta franca, percepisco un sorriso. Mi volto e lo vedo con gli occhi fissi su di me.
«Mi deludi, sai?» mormora Lucius sorridendo.
Sobbalzo e trattengo il respiro.
«Come fai a vedermi? Io...» balbetto dopo alcuni minuti di silenzio. Lui inizia a ridere.
Lo guardo spaesata.
«Signore, ha detto qualcosa?» chiede una voce dal fondo del corridoio. Mi volto. Una delle guardie, vestita di tutto punto, cammina lentamente verso Lucius.
«No...» dice Lucius guardandomi confuso.
«Non mi vede?» sussurro. Lui allarga gli occhi per dirmi di stare zitta e si gira verso il suo commilitone.
«Vedi qualcosa, Maquart?» domanda Lucius alla guardia.
«Cosa dovrei vedere, signore?» ribatte confuso il vampiro.
«Interessante... Nulla», mormora Lucius sorridendo e unendo le mani davanti a sé. «Puoi andare», conclude. La guardia annuisce, fa un inchino e sparisce nel lungo e ombroso corridoio.
«Com'è possibile che ti veda solo io?» si domanda, accarezzandosi il mento.
D'un tratto la mia mente riporta alla luce una vecchia frase che mi aveva detto qualcuno, in merito al rapporto tra Ateyo: non importa dove e quando, l'altra tua metà saprà riconoscerti ovunque.
Sospiro e chiudo gli occhi per un secondo.
«Per...» mormoro a bassa voce. «Per il nostro rapporto». Perché siamo Ateyo.
Lui si irrigidisce per qualche istante, ma cerca subito di rilassarsi.
«Non sapevo che suonassi», dico cercando di cambiare argomento. «È stato delizioso ascoltarti. Che cosa suonavi?»
«Una vecchia canzone che ho gentilmente offerto a un umano», pronuncia con una traccia di odio nella voce.
«Potrei sapere il titolo?» chiedo curiosa.
«Rewrite the stars», dichiara guardandomi con la coda dell'occhio. «Come procedono le tue lezioni? L'ultima volta che ho avuto modo di assistere è stato con Shakespeare, se non erro».
«Ahimè, è stato molto tempo fa», sospiro in modo del tutto sorpreso.
«Perché? Vorresti vedermi più spesso?» domanda con insistenza, come se desiderasse una risposta affermativa.
Riconosco una strana carica tra noi due: è come se fossimo due poli opposti che si attraggono e si respingono al tempo stesso.
Tuttavia, è qui che mi sbaglio. Lui mi vuole, ma non per essere la sua dolce metà.
«Io...» mormoro scuotendo la testa, mostrando un leggero panico. «Dovrei andare. Fritz mi starà aspettando e ho dei compiti da fare...» concludo velocemente, cercando di fuggire dalla situazione imbarazzante e sgradevole che si è creata.
«Ti andrebbe di discutere insieme di qualche lettura, domani?» chiede Lucius proprio mentre sto per voltarmi.
«Certamente!» rispondo sbalordita.
«Bene. Allora farò sistemare i tuoi programmi da Alucard», afferma. È la terza volta che lo vedo sorridere in tutta la mia vita.
Annuisco, mi volto e raggiungo velocemente Fritz davanti alle scale del castello, accanto alla macchina.
«Signorina», mi chiama aprendomi la portiera.
Mi volto un'ultima volto verso il grande castello scuro e sento il cuore un po' in tumulto. È quello che attendevo con ansia durante il primo appuntamento con Alucard.
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La vedo correre via lungo il corridoio. Sono stupito e allo stesso tempo confuso per la nostra conversazione.
Abbiamo parlato tranquillamente, senza discussioni o minacce.
Ritorno nella piccola stanza della musica, rimetto il violino sul suo apposito ripiano e torno nella sala del trono.
«Era un violino quello che le mie orecchie hanno sentito?» chiede Nicolae meravigliato.
«Sì», rispondo con calma.
«Cosa hai intenzione di fare domani?» domanda Sebastian, seduto sul suo trono, guardandomi inquieto.
«Non lo so», ammetto nervosamente. Mi accomodo sulla mia sedia.
«Discuterete normalmente. Chiedile qual è stato il suo libro preferito finora. Magari falle trovare del cibo al suo arrivo e soprattutto sii gentile», suggerisce Cleo, seduta sul grembo del compagno, intento a leggere un libro.
«Uhm... sarà difficile», commenta Sebastian sogghignando.
«Ci sto provando», sostengo a denti stretti.
«Devo ammettere che sei migliorato molto e in poco tempo. Hai riaperto le tue stanze, hai chiesto scusa e hai persino ricominciato a suonare. Significa che Lisandra è quella giusta per te», afferma Nicolae. «È forte, tenace, determinata e soprattutto sa tenere testa, cosa che a te, fratello, serve», continua ridendo.
Accenno un sorriso. Le porte principali si spalancano e Alucard entra con le mani dietro la schiena insieme a due operai e a un designer dall'aspetto elegante e sofisticato.
«Signore, i suoi appartamenti sono pronti», mi comunica.
«Bene», rispondo cercando di riprendere il controllo.
Seguo Alucard fino alle mie stanze. Quando i miei fratelli e i due poveri operai arrivano davanti alla porta, mi decido ad aprirla.
La luce è caldamente soffusa, distribuita in diversi modi per tutta la grande stanza. Ci sono lampade raffinate appese al muro, rivestito da una parete di tessuto nero e morbido.
Osservo con attenzione ogni particolare della ricostruzione della mia stanza: ha un aspetto macabro e sinistro, ma è accogliente e di sicuro nel mio stile.
«Per quale motivo avete deciso di sistemare un divano e un letto nelle mie stanze?» chiedo toccando il morbido canapè rosso sul lato destro della mia stanza.
«Ho voluto seguire le sue richieste relative al camino e allo scrittoio in legno scuro del nord Europa, ma ho pensato a qualcosa di più moderno, come il letto king size che vede sulla destra, coperto da morbide lenzuola cremisi, e un divano su cui rilassarsi. Tutto è stato progettato ed eseguito conservando il suo stile, signore. Inoltre, come da voi richiesto, ho apportato qualche modifica inserendo nelle pareti un sistema di insonorizzazione della stanza», spiega il designer italiano mentre scruto la stanza.
Annuisco e intuisco il turbamento dei miei fratelli: si aspettano una mia sfuriata contro il vampiro italiano, ma tento di dominare il mio animo impetuoso.
Sorrido in modo falso, alzo la mano e ordino ad Alucard di portarlo via insieme ai suoi operai. Analizzo il nuovo ambiente. Ho diversi dubbi: il letto? Cosa dovrei farci? E quel divano?
Il mio pensiero va subito a Lisandra, a quando per la prima volta la vidi dormire e respirare lentamente, come se fosse un'infante. Ho accettato il fatto di provare qualcosa per quella ragazza, eppure ancora non ci credo. Mi sembra tutto così nuovo. Piano piano tutte le emozioni riemergono dal limbo in cui erano state sepolte. Fa un male boia, eppure non mi sono mai sentito più forte di così. Penso a Lisandra intenta a leggere un libro sul mio divano, a dormire serena sul mio materasso e a ridere...
Il mio segretario personale esce dalla stanza, paga il vampiro e rientra.
«Chiedo perdono, mio signore», afferma Alucard.
«No, va bene», lo interrompo alzando una mano. «Alucard, dovrai apportare delle modifiche sull'agenda della giovane Mikelaus. Domani mattina verrà negli appartamenti per un'ora», gli comunico.
Lui spalanca gli occhi e si irrigidisce, ma subito dopo china la testa e abbandona la stanza insieme ai miei fratelli.
Sento il suo respiro irregolare dietro alla porta. Il suo petto si alza e si abbassa rumorosamente e il suo cuore batte velocemente.
La aspetto da ieri sera. Mi sono posizionato sul mio nuovissimo divano rosso e ho aspettato fino a stamattina. Finalmente è arrivata.
Alucard apre le porte e la vedo. Indossa una maglietta di pizzo nera e dei pantaloni neri attillati. I capelli le circondano il viso chiaro, facendolo risplendere.
«Buongiorno», saluta accennando un sorriso.
«Buongiorno», rispondo alzando il capo.
Alucard mi guarda, abbassa gli occhi ed esce, chiudendo la porta dietro di sé. Lisandra rimane ferma in piedi, accanto alla porta, con una borsa nera sulla spalla. I suoi grandi occhi osservano la stanza con evidente disagio: ha le spalle strette e respira a fatica.
«Accomodati pure», dico dopo alcuni istanti di imbarazzo. Si siede a circa due spanne da me, sul lato opposto del divano, e tira fuori una vecchia edizione di Tess dei d'Urbervilles di Hardy.
«Ho pensato di portare questo romanzo. È il mio preferito», mi comunica.
«Ma davvero?» chiedo alzando un sopracciglio.
«Sì», risponde facendo spallucce e sorridendo. «In realtà non so il motivo...»
«Pensavo fossi più un tipo da Jane Austen», ribatto.
«Lo sono, ma come ho già detto, questo è il mio preferito», contesta lei accigliandosi.
«Posso chiedere il perché?»
«Non parla del solito prototipo di amore, ma sono presenti molti temi che toccano alcuni aspetti dell'epoca vittoriana: la durezza del lavoro dei contadini nella campagna inglese, la condizione delle donne, l'ineluttabilità del destino, la severità della religione, che pervade la narrazione con numerose citazioni. Ho apprezzato l'immersione nel paesaggio talvolta dolce e idilliaco, alla Constable, e talvolta inquietante», afferma convinta sfogliando il libro.
«Veramente?» esorto stupito.
«Tuttavia, ho provato una profonda rabbia per la condizione delle donne, nell'Ottocento e non solo: sin dall'inizio Tess si sente caricata di un senso di colpa ancestrale e questo la porta a comportarsi in modo da peggiorare la sua situazione: sempre alla ricerca di riscatto e di espiazione per poi finire nelle mani sbagliate», spiega Lucius.
«E ti riconosci in questa protagonista?» domando.
«Sì. In effetti sì», risponde in tono serio accavallando le gambe.
Mi irrigidisco.
«Quindi ti definiresti una ragazza di umili origini?» chiedo sentendo il nervosismo venire a galla.
«L'hai detto tu stesso. Sono nata da uno stupro. Sono una figlia, un abominio nato da una cacciatrice che ha voluto usufruire di un prigioniero della vostra specie», risponde in maniera distaccata. Serro la mascella e Lisandra lo nota immediatamente, così si sposta leggermente indietro, toccando con la schiena il bracciolo del divano. Sposto furtivamente gli occhi sul piccolo aggeggio elettronico attaccato al muro e vedo che l'opzione di insonorizzazione è attiva.
«Pensaci bene...» continua Lisandra stringendo il suo libro con entrambe le mani. «Tess scopre di essere imparentata con la famiglia d'Urbervilles, ricchi possidenti proprietari di una grande tenuta non distante da casa sua. Così i genitori decidono il futuro della figlia. Allo stesso modo, io arrivo in Romania e scopro cose di cui non ero a conoscenza, come il fatto che avrei dovuto essere legata a una persona per tutta la vita. Tess ha dovuto presentarsi ad Alec d'Urbervilles e ha dovuto convincerlo di essere imparentata con lui per ottenere almeno una parte dei privilegi derivanti dalle sue nobili origini. Possiamo mettere a confronto questa scena con il mio ingresso in questa società e...»
«Va bene. Ho capito», la interrompo alzandomi in piedi di colpo. Lei mi guarda desolata e abbassa la testa.
Qualcuno bussa alla porta. Dopo tre colpi, Alucard entra con un vassoio elegante. La mia guardia personale, nonché tutore dell'ibrida che si trova nella mia stanza, posa le pietanze da me ordinate sul tavolino di fronte al divano ed esce in silenzio dalla stanza.
Lisandra tiene gli occhi bassi. La sua espressione è dubbiosa e chiede il permesso di parlare. Improvvisamente alza lo sguardo e fissa il piatto contenente dei biscotti bulgari davanti a lei.
«Io chi sono? Alec o Angel?» esorto a denti stretti.
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