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Capitolo 10: Il laboratorio Artistico

𝓛𝓲𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪

«Alucard», saluta mio nonno con il viso rilassato.

«Signori», risponde il mio tutore scolastico con un inchino.

«Lis, ti abbiamo chiamato qui per parlarti di un progetto estivo dei Romanov», mi spiega mio padre.

«Progetto?»chiedo.

«Sì. La signora Romanov ha organizzato un laboratorio artistico e culturale dove si valorizza il teatro, la pittura, il canto e tutte le attività collegate al mondo dell'arte», spiega alle mie spalle Alucard.

«Hanno chiesto la tua partecipazione...»mi comunica mio nonno.

«La mia?»chiedo stupita.

«Sarà un modo per imparare nuove cose», mi incoraggia mio padre.

«Perché l'hanno chiesto? Non si fidano ancora di me?»esorto voltandomi verso Alucard, ma lui guarda in avanti senza rispondermi.

«Prendilo come un bonus. Hai sempre adorato cantare. Mi ricordo quando canticchiavi sotto la doccia», afferma mio padre con un sorriso, prendendomi la mano.

«Va bene», sospiro. «Quando inizierà?»

«Domani mattina», risponde nonno Grigore facendo un sorriso timido.

«Quanto durerà?»chiedo.

«Lisandra, il castello dei Romanov è una corte. Ti terrà occupata per tutto il giorno, ma non devi preoccuparti: ci sarà Alucard che provvederà ai tuoi fabbisogni umani», mi assicura mio nonno, mentre mio padre si mostra apertamente contrario.

«Non è così?»domanda mio nonno rivolgendosi al vampiro alle mie spalle.

«Certamente», concordo Alucard con rispetto.

«Bene! Alexandru ti darà una lista con il necessario. Va' pure», dice sgarbatamente mio padre agitando una mano al vento.

Il mio tutore annuisce e si dirige verso la porta.

«Ci vediamo domani!»saluto.

«Ti aspetterò all'ingresso», mormora con tono serio. Mio padre borbotta qualcosa a bassa voce.

Alucard saluta tutti in modo rispettoso ed esce dalla stanza.

«Sapete chi ci sarà?»chiedo sospirando rassegnata.

«Sono dei laboratori individuali a gironi. Se anche ci fosse qualche tuo amico, non lo vedresti durante le lezioni. Quando tu avrai lezione di canto, un altro avrà quella di piano, per esempio», mi spiega mio padre.

«Sapete chi sono gli insegnanti?» domando.

«No, ma Fritz dovrebbe portarti un'agenda a breve», risponde mio nonno.

«Va bene», sospiro.

«Hai fame?» chiede mio padre.

«Hmmm... No, il pranzo di Fritz è stato soddisfacente», affermo salutandoli.

Mi alzo e vado in camera mia.

Un laboratorio?Potrei ritornare a cantare... Mi piaceva...

Penso allo spettacolo di teatro di Vatra Dornei. Perché Lucius era lì? Era da solo?

Rievoco il momento: gli applausi irregolari, le persone, tutte umane, in piedi che mostravano apertamente la loro gioia per la mia scena. A un certo punto, tra le tante teste e occhi nel buio del teatro, apparvero due occhi rossi. Era Lucius. Ne ero sicura...

Tentai di seguirlo, ma sparì velocemente, come se non fosse mai comparso.

E se non fosse stato lui?

Qualcuno bussa alla porta.

«Avanti!»urlo.

«Signorina, le ho portato l'agenda», mi comunica Fritz porgendomi un piccolo quaderno nero.

«Grazie mille», rispondo sorridendo. Fritz esce chiudendo dolcemente la porta.

Mi siedo sul letto a gambe incrociate, apro l'agenda e leggo le lezioni previste per domani.

Ore 11:00 Lezione di teatro.

Ore 12:00 Pausa pranzo.

Ore 13:00 Lezione di canto.

Ore 14:00 Lezione di strumento.

Ore 15:00 Ora libera.

Ore 16:00 Lezione di stile.

Ore 17:00 Lettura.

Ore 18:00 Lezione di scrittura.

Sbuffo, chiudo l'agenda e mi addormento.

Qualcuno bussa alla porta svegliandomi. «Chi è?» chiedo biascicando le parole.

Sento la porta aprirsi. Qualcuno si avvicina a me con passi leggeri. Apro una palpebra e vedo Fritz.

«Signorina, è ora di alzarsi», mi informa.

«Che ore sono?» chiedo sbuffando.

«Le nove e mezzo, signorina», risponde con gentilezza.

Mi lamento con parole indistinte e mi metto un cuscino sulla faccia.

«Lisandra...» mi rimprovera qualcuno.

Alzo un po' la testa, apro leggermente una palpebra e vedo mio fratello appoggiato al cornicione della porta. Il viso è rilassato, ma lo sguardo è severo.

Sospiro e mi alzo, ancora mezza addormentata.

Licano entra, chiude la porta e si mette sulla mia poltrona vicino al camino. Fritz entra nella cabina armadio per cercare non so cosa e io tengo gli occhi chiusi. Dopo alcuni secondi avverto Fritz appoggiare qualcosa sul mio letto, alle mie spalle e andarsene.

Mi giro e vedo un completo appoggiato morbidamente sul letto disfatto: un paio di collant nere, una gonna con le balze di lunghezza media e una maglietta a maniche lunghe.

«Potevo prepararmelo da sola...» avviso.

«Certo che potevi, ma lui è qui per questo e...» dice Licano.

«A me piace farlo, signorina», afferma Fritz portando il mento all'insù, facendo risaltare la forma triangolare del suo viso.

«Oh... va bene. Grazie», mormoro.

«Si figuri, signorina», risponde accennando un sorriso.

Prendo i miei vestiti, vado in bagno e dopo circa quindici minuti sono pronta.

«Sono pronta», annuncio entrando nella mia stanza.

«Finalmente», risponde Licano facendo finta di essere stanco. «Fritz, andiamo?»

«Certo», concorda il maggiordomo con un lieve cenno della testa. Noto subito che ha rifatto il letto e che ha sistemato, lasciando tutto impeccabile.

Ci spostiamo nell'atrio, saluto i miei nonni e partiamo in direzione del castello Romanov. Dopo dieci minuti arriviamo a destinazione.

Sto per scendere dall'auto, ma Licano mi blocca.

«Aspetta un secondo», mi dice.

«Che c'è?» chiedo preoccupata.

«Volevo darti questa...» sussurra tirando fuori una borsa nera di media grandezza.

«Cos'è?» domando curiosa.

«Una borsa», ridacchia.

«Lo vedo, ma perché?»

«Sei in ritardo per la tua prima lezione», mi rimprovera scherzosamente.

«Non è vero!» ribatto.

«Stai facendo aspettare Alucard», mi ammonisce. Mi volto e attraverso il finestrino scuro vedo Alucard con le mani dietro alla schiena. Mi sta aspettando davanti al grande portone d'ingresso.

«Va bene», borbotto. Prendo la borsa dalle mani di Licano e scendo dalla macchina, ringraziando Fritz per avermi aperto la portiera.

Salgo le scale lentamente. «Ciao», saluto.

«Buongiorno», risponde freddamente Alucard.

Corrugo la fronte: perché così tanta freddezza?

Si volta e lo seguo lungo i corridoi. Non dice nulla. È successo qualcosa? È arrabbiato?

Non capisco. Ha la faccia inespressiva.

Sospiro.

Si ferma davanti a una porta marrone scuro.

«Qui si terrà la prima lezione», annuncia voltandosi e appoggiando le spalle al muro con eleganza.

Lo guardo con riluttanza, ma giro il pomello della porta ed entro.

La stanza ha tutto l'aria di essere un ufficio: le pareti sono di pietra come il resto del castello, sulla sinistra c'è un camino acceso e al centro una grossa scrivania. Mi siedo su una piccola sedia davanti al tavolo di legno scuro su cui tutto è sistemato con precisione e ordine. Mentre aspetto l'insegnante di teatro, cerco di capire cosa abbia messo Licano nel suo piccolo regalo.

Apro la borsa e la svuoto: c'è la mia agenda, il mio cellulare, che pensavo di avere lasciato alla tenuta, un fazzoletto di stoffa su cui è incisa la lettera M e un altro quadernino rigido con la copertina blu.

Da dove arriva? Lo prendo in mano e lo apro: sulla prima pagina c'è una dedica.

Questo quaderno dovrà essere per te una fonte di idee, di illuminazioni e di creatività. Scrivi, scrivi, scrivi tutto ciò che vuoi: musica, testi, romanzi, appunti. Puoi anche scrivere i tuoi sentimenti, se non te la sentissi di parlare con me o con nostro padre.

Sei libera di fare quello che vuoi con questo e sarà per sempre tuo, così come lo sono io.

Buona fortuna!

Licano.

P.s. Jules Krauss ha fatto un incantesimo: potrai aprirlo soltanto tu!

Sorrido e sento vibrare il telefono nella borsa. Chiudo il quaderno e vado alla schermata home del cellulare: ci sono diversi sms da leggere.

Sorrido davanti ai messaggi di buona fortuna e buon divertimento da parte della mia famiglia e decido di rispondere a quello di Jules:

Lessie! Ho saputo che parteciperai ai laboratori dei Romanov. Va' e spacca quelle statue di persone con la tua bravura! Ti mando un mms con un video. È bellissimo!

Apro il video allegato e vedo il piccolo Leo camminare lentamente, barcollando, nella mia vecchia casa. Rido e qualcuno tossisce. Alzo la testa di scatto e vedo un uomo alto, bianco come la neve, dagli occhi rosso scarlatto.

«Lisandra Mikelaus, è un piacere fare la tua conoscenza», afferma con enfasi sedendosi sulla grande sedia di legno davanti a me, dall'altra parte del tavolo.

«Buongiorno», saluto rimettendo il telefono in borsa e appoggiandola sullo schienale della sedia.

«Mi presento: il mio nome è William», afferma con animo. «William Shakespeare. Sarò il tuo insegnante di recitazione. Sai dirmi cosa vuol dire recitare?»

«Non lo so», rispondo.

«Recitare: dal latino re- e citare, ovvero fare l'appello delle persone citate in tribunale, poi leggere a voce alta. Ha diversi significati, che sono mutati nel tempo. Il primo è dire, pronunciare a voce più o meno alta, con una certa ricerca di espressività interpretativa, un testo imparato a memoria o già preparato, in ogni caso senza leggere. La seconda è interpretare un'opera teatrale, cinematografica, radiofonica o televisiva, oppure una parte di un'opera», spiega. «Eppure io lo definisco in una parola: esprimere. Per fare teatro bisogna essere in grado di esprimere sentimenti, emozioni...» continua. «Mi è stato riferito che hai già esperienza nel teatro. Hai un tuo testo da mostrarmi?» mi chiede. Com'è logorroico!

«Hmmm... Dovrei averlo sul cellulare», mormoro frugando nella borsa. Passo due minuti a cercare il file tra i documenti del cellulare sotto gli occhi scrutatori del famoso drammaturgo inglese, il quale attende massaggiandosi la barbetta nera sotto il mento. Finalmente trovo il testo che avevo scritto per la scuola di Vatra Dornei e glielo mostro.

«Interessante», afferma pizzicandosi i baffetti. «Hai talento e si vede», continua restituendomi il telefono, che rimetto subito in borsa.

«Grazie». L'insegnante prende un blocco e vi annota qualche appunto.

«Hai esperienza e nelle tue parole c'è un sentimento vero. Vorrei avere un tuo testo per la prossima volta in cui ci vedremo. Ne hai di tempo a disposizione. Chiedi al tuo tutore tutte le informazioni necessarie e dagli questi appunti. Grazie», dice velocemente ma con eleganza dandomi un foglio piegato.

«Di che cosa deve trattare il testo?» chiedo alzandomi.

«Il tema è il viaggio e la paura», spiega.

«Va bene, grazie. Arrivederci», lo saluto. È incurante di me: continua a scrivere e a creare sempre più disordine sulla scrivania. Apro la porta e Alucard è ancora dove l'ho lasciato.

«Ehmmm... William mi ha detto di darti questo», mormora cercando di fingermi distante.

«Mi servirebbe anche la vostra agenda, signorina», dice freddamente Alucard.

Signorina?

Sbuffo, prendo l'agenda dalla borsa e gliela porgo.

«Andiamo alla prossima lezione?» domando maleducatamente.

«Devi mangiare», mi rimprovera con tono severo.

«Mi hai fatto passare la fame», borbotto con avversione.

«Devi mangiare!» ribatte duramente. Mi prende per il polso e mi trascina lungo il corridoio.

«Lasciami stare!» urlo.

𝓛𝓾𝓬𝓲𝓾𝓼

«Ebbene, l'hai inviata a corte anche durante l'estate. Deve proprio averti preso questa ragazza», sghignazza Milena entrando in biblioteca. Stanco di stare a sentirla, chiudo il libro di colpo e mi alzo repentinamente.

«Come hai fatto a uscire dalle tue stanze?» chiedo.

«Abilità nascoste», risponde con superbia volteggiando intorno alla stanza come una bambina.

«Non lo mettevo in dubbio», commento amaramente.

«Possiamo parlarne?» mi chiede con una strana timidezza.

«Di che cosa?» domando alzando un sopracciglio.

«Del bacio! Non mi hai mai baciato in pubblico e non ci sopportiamo da non so quanti secoli!» esplode venendo di fretta verso di me.

«Ammettilo! Quella ragazza scatena in te cose mai provate e ti spaventa, ma l'ami. L'ami con tanto ardore e non te ne rendi nemmeno conto», afferma a denti stretti. «Hai sempre finto di essere senza cuore, ma sappiamo entrambi che in fondo, se andiamo a scavare nell'abisso oscuro della tua anima, c'è un cuore a cui interessa il benessere dei propri cari».

«Sta' zitta!» ringhio.

«Mi dici di stare zitta solo perché sai che ho ragione», ribatte con un sorriso compiaciuto stampato in faccia.

Afferro mia moglie per il collo e la sbatto contro uno scaffale. Una risata compiaciuta esce dalla sua bocca.

«Mi colpisci perché ho ragione...» continua ridendo istericamente.

«Non so cosa abbia visto in te a quel ballo», urlo a denti stretti mentre stringo sempre di più la presa. Lei si dimena sotto di me, continuando a ridere.

«Non hai visto me. Hai visto lei. È sempre stata lei. Sei sempre stato innamorato di lei».

«Non... non... ne... sono... innamorato!» sbraito a gran voce scandendo ogni parola.

Improvvisamente le porte della biblioteca si aprono e spuntano delle persone, ma non ci faccio caso, perché la mia unica preoccupazione è far capire alla principessa Milena che non sono innamorato di Lisandra Mikelaus.

«Lucius!» grida Nicolae.

«Mio signore!» dice Pollux.

Due di loro mi prendono per le spalle e mi allontanano da Milena, che cade per terra continuando a ridere senza staccarmi gli occhi di dosso.

«Tu! Fa' insonorizzare tutta la stanza!» ordina mio fratello maggiore alle spalle, riferendosi ad una guardia.

«Ammettilo a te stesso una volte per tutte», sibila Milena con fatica. «Così non ci penseremo più».

Mi stacco da Sebastian, che mi ha costretto a lasciar andare Milena, e osservo tutti i presenti: i miei fratelli mi guardano storto e Pollux, accompagnato da una piccola guardia di basso rango, mi scruta preoccupato. La sentinella di basso rango si avvicina a Milena e l'aiuta.

«Dov'è Alucard?» chiedo confuso.

«Con la sua studentessa, signore», risponde Pollux a testa china. «Vado a chiamarlo?»

«No», ribatto scuotendo la testa.

«Fratello...» pronuncia Sebastian con occhi compassionevoli.

«Sto bene!» lo interrompo bruscamente.

«Devi farti aiutare!» ammonisce severamente Nicolae.

«Pensavamo che la sua presenza a corte ti avrebbe giovato...» dice Sebastian guardando nostro fratello maggiore, inquieto.

«Non mi avrebbe giovato nulla, perché io... non... provo... nulla», ribadisco a denti stretti.

«Ammettilo!» urla Milena.

«Che cosa dovrei ammettere?» sbraito.

«Sei arrabbiato, inquieto e depresso. Provi emozioni che non percepivi da tempo. È normale che tu ti senta così...» afferma Nicolae.

«Ma non puoi far ricadere sugli altri tutto ciò che ti accade. Quel tempo deve finire. Noi non possiamo sempre stare ai tuoi comodi. È ora di diventare un uomo», mi rimprovera mia moglie.

«Io sono un uomo!» sbotto furioso.

«Allora prendi in mano la situazione e va' da Lisandra!>> dice lei in tono serio. «Così io potrò andare da Guglielmo», continua a voce bassa.

Già. Guglielmo, il suo vero Ateyo.

Sospiro.

Sì, ha ragione.

Inizio a tremare. Osservo le mani traballare e sento la debolezza impossessarsi di me. Il mio petto si alza e si abbassa rumorosamente, ma non per ché abbia bisogno di aria. Improvvisamente, le mie gambe cedono e tutto diventa più chiaro.

«Mio signore!» urla Pollux con spavento. Tutti fanno un passo in avanti e il bruciore alla gola aumenta in maniera esponenziale.

«Pollux, puoi andare!» ordina severamente Nicolae. La guardia si inchina, esce dalla stanza insieme alla piccola sentinella e chiude le porte.

«Lucius...» accenna Sebastian.

«Scusami... ho esagerato», sussurra Milena.

I miei occhi sono fissi sul pavimento e percepisco il dolore impossessarsi di ogni cellula del mio corpo.

Allora provare qualcosa significa questo?

Ha fatto sempre così male?

Sento un brusio intorno a me, ma non comprendo le parole. Nella mia mente c'è Lisandra che sorride, suda, respira, dorme, combatte e uccide.

Dopo un po' riesco a riprendere il controllo della mia mente. «Scusatemi tutti», sussurro interrompendo le chiacchiere dei miei fratelli con Milena. Mi alzo e guardo in faccia i presenti.

«Vi chiedo scusa per il mio comportamento insolente», annuncio a testa alta. Nicolae e Sebastian mi guardano con un'espressione stupefatta. Mi volto verso Milena e mi avvicino a lei. Le prendo la mano e gliela accarezzo con il pollice.

«Ti devo più di due misere parole di scusa, ma inizierò lasciandoti libera», le comunico sforzandomi di non assecondare le emozioni che minacciano di travolgermi.

«Lucius...» mormora lei prendendomi per mano. «Non avrei dovuto dirti quello che ho detto».

«Mi ha solo aiutato, cosa che hai fatto per tutta la vita, sebbene tu, ovviamente, abbia avuto un secondo fine. Torna dal tuo panettiere, ovunque tu l'abbia nascosto».

«Come lo sai?» chiede sconcertata.

«Non importa. Adesso va'!» le ordino. Restia, Milena mi osserva per qualche secondo per poi spostare lo sguardo alle mie spalle, verso i miei fratelli. Mi sorride, fa un passo in avanti e mi dà un bacio sulla guancia.

«Sappiamo entrambi che sei migliore di quello che dicono», afferma abbandonando il castello per sempre.

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